L'arte di comunicare

La dimensione umana nella relazione:
attenzione, ascolto e comprensione
ovvero amore

di STEFANO DE CAMILLIS
(psicologo e psicoterapeuta sistemico-relazionale)

Questi appunti rappresentano alcuni dei contenuti delle lezioni svolte nei corsi di formazione a Voce Amica.
 

La centralità della comunicazione
 Viviamo in una realtà dove la comunicazione è forse l'aspetto predominante della nostra società. Tutto il vivere dell'uomo è immerso in un continuo flusso di comunicazioni e di informazioni. Questa situazione dovrebbe a prima vista essere del tutto favorevole per gli aspetti relazionali del vivere, creando molteplici possibilità di scambio tra le persone. Non solo, ma tutto ciò ha sicuramente prodotto una maggiore diffusione di patrimoni conoscitivi divulgati oggi in maniera da raggiungere un pubblico sempre più vasto.
 Ma nonostante queste possibilità offerte da una comunicazione sempre più determinante nel vivere quotidiano, ci troviamo al tempo stesso di fronte al dato opposto di un aumento della solitudine che, come stato esistenziale, coinvolge un numero sempre maggiore di persone. Fenomeno questo frequentemente esemplificato dalla situazione del sentirsi soli anche stando in mezzo agli altri. Si ha così l'impressione che tutte le potenzialità comunicative espresse dalla società siano in realtà solo tangenziali rispetto alla profonda esigenza umana del comunicare. Come se la comunicazione tanto esaltata dalla società di massa avesse perso di vista l'interiorità dell'uomo stesso, fermandosi ad un ideale estetico e funzionale puramente esteriore. Si moltiplicano sempre di più i manuali e le guide che promettono di insegnare i segreti per una comunicazione perfetta, garanzia del successo personale. Questi intenti sono sicuramente positivi quando tali abilità servono a migliorare le capacità professionali di quanti fanno delle relazioni interpersonali un aspetto essenziale del proprio lavoro.
Il rischio è che questo sbilanciamento verso gli aspetti formali dell'arte del comunicare finisca in primo luogo con il mortificare l'aspetto del contenuto di ciò che viene comunicato, relegandolo ad un ruolo secondario. Fenomeno espresso interamente dalla figura del writer ovvero colui che redige i discorsi del leader politico o del personaggio pubblico il cui compito è quello di comunicare, ossia offrire rendendo credibile, i contenuti talvolta neanche pensati da lui ma da un apposito team.
L'altro rischio di questa tendenza ad una concezione della comunicazione intesa come capacità ad imporsi, a farsi sentire, ad aggiungere la propria voce al coro generale, è quello che sta perdendo d'importanza l'arte di ascoltare. Non esiste comunicazione senza ascolto o attenzione e se di qualcosa necessità l'uomo della società attuale è proprio l'essere ascoltato per non sentirsi solo.
Come considerare questa tendenza esasperante la comunicazione intesa nei suoi aspetti formali? Degenerazione o costume dei tempi? Crediamo che in questa tendenza ci sia tuttavia uno spazio di recupero e di salvaguardia degli aspetti della comunicazione più legati al senso etimologico del verbo comunicare, ossia mettere in comune qualcosa che per le sue caratteristiche non è tale. E cosa se non i propri pensieri, i vissuti, le proprie percezioni e giudizi, in una parola il mondo interiore di ciascuno. Apprendere a comunicare vuol dire, in questo senso, divenire abili a dar voce e a condividere con altri questo mondo personale all'interno di una dimensione relazionale favorevole a questo disvelamento. Abilità comunicative queste che presuppongono una precedente capacità di autopercezione e di affinamento della capacità personale a scrutare le proprie vicissitudini interiori, riconoscendole e dando loro un nome.
 Ma accanto a questo, apprendere a comunicare vuol dire apprendere ad ascoltare non solo se stessi ma anche gli altri restituendo nella dimensione dell'ascolto l'affermazione e la conferma della loro esistenza.
 L'arte di comunicare è allora un qualcosa che coinvolge un Io e un Altro nel reciproco processo di mettere in comune la proprio soggettività e di ascoltare. È questa sicuramente la dimensione più importante, dal punto di vista psicologico, per contrastare l'isolamento degli individui e il senso di annullamento della propria umanità.
 

Comunicare ovvero mettere in comune

La centralità dell'ascolto
Ogni atto del nostro comportamento è potenzialmente una comunicazione, un messaggio che parte dalla nostra individualità diretto verso un altro essere vivente, questo perché ogni azione è così carica della soggettività che la denota da essere comunque espressione del nostro essere. Allo stesso modo l'uomo per potersi orientare nella complessa realtà che lo circonda, fisica e relazionale, deve costantemente attribuire significati, implicitamente o esplicitamente, a ciò che percepisce. Così perché ci sia comunicazione non occorre la presenza di una volontà considerando la realtà spontanea e naturale del fenomeno.
 Ogni comunicazione presuppone l'emissione di un messaggio che veicola una descrizione della realtà (esterna o interna) da parte del comunicante e la ricezione da parte di un altro individuo che dovrà dare significato a ciò che percepisce. Tuttavia perché si verifichi comunicazione è fondamentale un ascolto che comprenda il messaggio - parola o gesto - restituendolo all'Altro rivestito di significato. La comprensione si ha solo in questa circostanza: se  chi ha inviato il messaggio può rendersi conto che il destinatario della comunicazione è stato raggiunto e che gli ha dato attenzione costruendo un significato attorno a ciò che gli è stato dato.
 "Un soggetto può sentirsi psichicamente vuoto quando non si impegna in quello che fa, o quando si impegna in sentimenti che sono, per lui, intrinsecamente privi di significato. Ma il senso di vuoto e di futilità può insorgere anche quando il soggetto si cala nei propri atti, e questi gli sembra che abbiano una certa rilevanza, se al suo impegno non corrisponde un riconoscimento da parte dell'altro, o se egli si convince di non poter produrre un mutamento nell'altro, senza che abbia importanza, a questo riguardo, la misura del suo impegno. (...) L'altro, che viene avvertito come indifferente e irraggiungibile dall'io agente, ed è effettivamente indifferente, tende a determinare, a causa di questa intangibilità, l'insorgenza nell'io di un senso di vuoto e di impotenza."(1)
Senza questa operazione di ascolto-comprensione non esiste comunicazione e ogni messaggio ha lo stesso effetto del rumore dell'albero che cade al suolo senza che ci sia nessuno a sentirlo.
 Così, contrariamente a quanto è imperante nella società della comunicazione in cui l'aspetto fondamentale della comunicazione è l'emissione di messaggi, nella più ristretta dimensione interpersonale l'ascolto diviene un elemento essenziale. Questo spiega il senso di solitudine e incomprensione che pervade, nell'ultimo squarcio di secolo, l'uomo che vive di
relazioni in cui tutti parlano ma nessuno ascolta l'altro: nasce così il vuoto interiore determinato dall'assenza di conferme significative provenienti dall'altro. Disturbi narcisistici, depressione sono questi i sintomi prevalenti di questa condizione. Il primo quasi a compensare l'assenza di ascolto comporta una crescente necessità di affermare se stessi nella ricerca di conferme al proprio essere; il secondo sintomo a sottolineare la rinuncia davanti all'impossibilità di un ascolto che rende l'individuo estraneo al mondo in una totale svalutazione della realtà esterna e di quella interna.
 Riconoscere la centralità dell'ascolto non significa trascurare l'azione complementare del parlare ossia del definire se stessi all'altro, mettendo in comune il mondo interiore tramite l'atto comunicativo. Questa azione richiede la disponibilità da parte dell'individuo di mettersi in discussione nel senso di portare se stesso all'interno di uno scambio comunicativo con l'altro. Il presupposto di tutto ciò sta nella possibilità di saper accedere - tramite la percezione e il riconoscimento - agli elementi costitutivi della realtà psichica personale fatta non solo di pensieri, idee, emozioni che subitanei si affacciano alla coscienza, ma che consente una vera conoscenza solo tramite un atto riflessivo. Il valore di ciò che viene messo in comune dipende allora anche da questo atto riflessivo contrario alla fretta che tanto spesso permea la comunicazione, condannandola a una dannosa esteriorità.
 Se l'ascolto è allora l'occasione per creare i significati nei quali si rispecchia l'interlocutore, l'azione del mettere in comune fornisce il materiale su cui costruire l'ascolto. Ma cosa comunicare? Il flusso di comportamenti che mostrano all'esterno parti di noi è praticamente continuo: ogni nostra azione in realtà è una rivelazione. L'accesso comunque alla propria vita psicologica richiede anche un coraggio maggiore da parte della persona, proprio nel senso di mettersi in discussione intenzionalmente.
 L'idea che in una comunicazione occorra parlare di sé non rimanda all'idea di una monopolizzazione della comunicazione centrandola su se stessi. Parlare di sé significa esprimere se stessi nella comunicazione ponendo l'Altro a confronto con i pensieri e le emozioni che genuinamente scaturiscono dalla nostra identità senza l'uso di manovre che mascherano o negano la manifestazione del proprio Sé.
 

La definizione
 Tanto nell'ascolto quanto nel parlare di se stessi appare rilevante il definirsi. L'individuo impegnato in una comunicazione ha l'obbligo di definire chiaramente ciò che viene messo in comune, ossia la propria posizione. Questo non soltanto per una propria coerenza dal momento che l'azione del mettere in comune costringe la persona a far chiarezza nei propri contenuti. Definirsi acquista un particolare significato soprattutto rispetto all'interlocutore.
 Un esempio può aiutare a comprendere la portata di questo. Se una nave lancia da un punto qualunque del mare un S.O.S. la prima cosa che deve definire è la propria posizione. Senza queste coordinate non è possibile iniziare alcuna ricerca mancando un orientamento in base al quale muoversi.
 Così se una persona non definisce se stesso (i propri pensieri, emozioni) o la propria posizione relativa a ciò che viene messo in comune, l'interlocutore sarà confuso e dovrà faticosamente desumere o ricostruire una definizione dell'Altro. Tuttavia, ogni definizione proveniente dall'esterno e conseguente ad una mancanza di chiarezza è sempre soggetta ad inesattezze e imprecisioni.
 

Pensare l'altro

La metafora dell'ascoltare
Ascoltare è un verbo che si riferisce alla dimensione uditiva non esclusivamente sensoriale ma anche percettiva. Spesso possiamo sentire che l'Altro parla ma possiamo anche non ascoltarlo, non permettendo che esso entri nel nostro pensiero. Così il rapporto con l'Altro viene costruito sulla superficialità e sulla caducità: se non permettiamo all'Altro di entrare dentro di noi non possiamo pensarlo. Tutto questo è possibile solo  attraverso la parola e se ciò non si verifica l'Altro esisterà solo finché fisicamente presente, condannando la relazione alla sola dimensione attuale.
 

Ascoltare ovvero pensare l'altro
 L'individuo esiste psicologicamente in quanto possibile oggetto del proprio o altrui pensiero. La costruzione dell'identità, da questo punto di vista, sta proprio nella possibilità che ciascuna persona possa entrare nel pensiero di un altro essere vivente e di rispecchiarsi nel prodotto di questo pensiero. R. Laing esprime proprio questo, rilevando che: "La donna ha bisogno di un figlio che le conferisca la sua identità di madre. L'uomo ha bisogno di una moglie per essere marito. Un amante senza la persona amata è soltanto un amante potenziale. Questa è la fonte della nostra tragedia, o della nostra commedia, a secondo dei punti di vista. La maggior parte delle identità richiedono la presenza di un altro, nell'ambito dei rapporti con il quale si attua l'identità dell'io. L'altro, per parte sua, tramite le proprie azioni può imporre all'io una identità non desiderata: è probabile che al marito tradito tale identità venga imposta contro il suo volere." (2)
 La relazione che lega ciascun Io a ciascun Altro è quindi di tipo complementare nel senso che è sempre richiesta la presenza di un Altro, con le sue azioni, pensieri e emozioni, per completare l'Io.(3)
 Ogni persona apprende a pensare a se stessa e a vedersi attraverso l'immagine autoprodotta. Questa capacita e possibilità è fondamentale per l'individuo ed è alla base di quel senso di identità che organizza il nostro comportamento. Ma non solo questo atto di pensiero contribuisce a creare ciò che noi siamo altrimenti vivremmo in uno stato di eterno narcisismo escludendo ciò che noi siamo nel prodotto del pensiero altrui.
 Come già rilevato, è proprio da questa riflessione sociale a partire dal pensiero degli altri che si costruisce la globalità della nostra identità ed è proprio nel riconoscimento che ci proviene dagli altri che noi traiamo la conferma di esserci. Questo riconoscimento appare così rilevante, addirittura più importante dell'opportunità di pensarsi, che molte gravi patologie mentali derivano proprio da una mancata conferma che la persona non riceve dall'esterno. L'altro ascoltandoci e quindi pensandoci diviene il più importante specchio per ribadire la nostra esistenza e importa relativamente se l'altro ci pensa in termini positivi o negativi, l'importante è che un'immagine ci sia rimandata a definire comunque e a suggellare il nostro "essere".
 

Ascoltare e pensare: la metafora alimentare
 L'ascolto e il pensiero interagiscono non solo nell'individuo singolo ma anche come azioni contemporanee in due interlocutori nei quali al pensare dell'uno corrisponde in maniera complementare l'ascoltare nell'altro. Questa sincronia complementare delle due azioni per quanto apparentemente scontata è però un momento relazionale molto importante per la vita psichica degli individui.
 Vorrei cercare di rendere chiaro questa dinamica, che W. Bion (4) ha evidenziato soprattutto per quanto riguarda il rapporto primitivo bambino-madre, partendo da un esempio nel campo
dell'educazione che possa rendere chiara la metafora alimentare del processo. Molti allievi che si avvicinano per la prima volta ad una nuova materia non comprendono ciò che percepiscono che resta quindi a loro estraneo. Il rischio che viene corso in simili situazioni è che la persona rifiuti i nuovi contenuti della materia interrompendo così un processo conoscitivo. In questi casi il compito dell'insegnante è quello di tradurre i nuovi contenuti all'allievo rendendoli assimilabili cioè riconoscibili e quindi integrabili nella struttura cognitiva esistente. Solo allora il nuovo contenuto può nutrire l'allievo, dandogli nuove conoscenze, idee, diventando parte essenziale del metabolismo del suo pensiero non più ad esso estraneo e sconosciuto.
 In maniera simile svolge il suo compito l'agente materno anche se la funzione di traduzione e l'azione di far diventare assimilabile ciò che è estraneo, viene compiuta in maniera preponderante sul piano delle emozioni e dei vissuti che il bambino sperimenta. Ed è qui, come in ogni altra relazione asimmetrica, che l'assenza di ascolto crea le premesse per il rifiuto di parti del Sé individuale, quando queste non sono rese assimilabili e quindi non più pericolose da parte dell'interlocutore. Emozioni, vissuti, pensieri e idee incomprensibili perché estranei al pensiero individuale subirebbero il destino della rimozione, della proiezione o sarebbero sottoposti alle vicissitudine di qualsiasi altro meccanismo di difesa, se non metabolizzati dal pensiero tramite il riconoscimento proveniente da un ascolto-traduzione efficace.
 

Attenzione, ascolto e comprensione
 L'ascolto è un'azione a metà strada tra due altre operazioni psicologiche imprenscindibili: esso presuppone l'attenzione e deve essere accompagnato dalla comprensione.
 L'attenzione dirige e orienta la nostra percezione attraverso la realtà, consentendo una presa di contatto tra l'individuo e i fenomeni esterni. Nel caso della comunicazione l'attenzione dovrebbe andare incontro a mezza strada all'Altro senza attendere passivamente che quest'ultimo debba imporsi per riceverne. Quest'affermazione riprende un concetto espresso da S. Freud a proposito dell'attenzione e mette in evidenza un doppio aspetto (5). Nel dialogo Io-Altro l'attenzione non deve essere soltanto evocata o provocata dall'Altro attraverso una richiesta (azione) che per la sua forza, il suo valore eclatante la sollecitino in maniera inevitabile e improrogabile. Allo stesso modo l'attenzione richiede non solo la presenza fisica di un Altro ma anche la sua capacità a portare se stesso verso l'interlocutore, rinunciando ad attese passive e infantili di attenzione.
 Questa caratteristica dell'attenzione all'interno di una comunicazione ha un valore generale per ogni relazione umana che possa essere definita come matura. Tanto nelle relazioni amicali o di coppia e perfino nelle relazioni psicoterapeutiche (6) tanto l'Io quanto l'Altro devono rinunciare ad ogni pretesa egocentrica o infantile di attesa secondo cui l'attenzione dovrebbe essere suscitata o elargita senza che si verifichi un incontro.
 Questa reciprocità del movimento tra Io e Altro nel meccanismo dell'attenzione è richiama per analogia delle considerazioni la relazione d'amore, tanto da poter affermare che quest'ultima è una relazione centrata sulla comunicazione ossia sull'attenzione, l'ascolto e la comprensione. Come la capacità di amare si acquista nel tempo non presentandosi come capacità istintiva o naturale, alo stesso modo la capacità a comunicare è frutto di esperienza e apprendimento. Così per quanto si parla di amore e di comunicazione fra bambino e mamma, la capacità di amare e di comunicare da parte del bambino appare come immatura e sbilanciata, troppo legata a caratteristiche psicologiche infantili per essere equiparata a quella di un adulto.
Possiamo quindi definire relazione d'amore nel senso pieno del termine, qualunque relazione umana che presenti i tre processi comunicativi. Ciò consente di identificare come relazione d'amore un gran numero di relazioni evitando di ricorrere a criteri quali la presenza di rapporti sessuali, vincoli culturali formali (matrimonio o altre forme di unione riconosciute culturalmente: convivenza, fidanzamento, etc.), i quali sono solo criteri esteriori e non sostanziali della relazione d'amore. Ciò consente di utilizzare il termine amore per definire anche tipi di rapporti che con più difficoltà vengono equiparati a relazioni d'amore, come ad esempio i rapporti di amicizia o la stessa relazione psicoterapeutica. Parlare della relazione d'amore identificandola con la comunicazione e le sue tre caratteristiche vuol dire rintracciarne la struttura che connette l'Io all'Altro, rispetto alla quale tutte le altre caratteristiche derivanti regole sociali o culturali che vietano o prescrivono certi comportamenti nella relazione, servono esclusivamente a definirne la tipologia.
 L'attenzione pone le premesse affinché sia possibile ascoltare. Ascoltare, al di là del suo significato quotidiano, vuol dire percepire sinceramente, senza mascherare la realtà filtrandola secondo i propri desideri. L'ascolto richiede quindi la consapevolezza soggettiva di riconoscere i propri pensieri e idee per quello che sono, identificandoli e ponendosi nei loro confronti con coraggio evitando mistificazioni. Senza questa capacità l'Altro verrà sempre percepito attraverso la distorsione delle necessità emotive dell'Io.
L'ascolto deve essere seguito da un'altra operazione psicologica: la comprensione. L'esperienza fatta dell'Altro attraverso l'ascolto non può essere messa in comune se non procede attraverso la comprensione. Il termine "comprende" rimanda all'azione figurata di acquisire qualche cosa all'interno di un certo dominio (prendere dentro legandolo a qualcos'altro). Ciò che viene compreso è l'Altro, attraverso quanto egli sta mettendo di se stesso dentro la comunicazione; il proprio pensiero è il luogo dove l'altro viene trasportato per essere compreso. Non si tratta di un semplice inserimento ma si tratta della possibilità di introdurre l'Altro nei propri processi di pensiero. Come già visto nel paragrafo precedente la metafora alimentare usata da W.R. Bion per descrivere questo processo rende appieno del suo significato. Così, la comprensione si verifica quando esiste uno stato mentale aperto alla ricezione di tutti gli aspetti, positivi e negativi, provenienti dall'Altro (7).
 Solo attraverso la comprensione può verificarsi il contatto tra Io e Altro dato che la dimensione principale di questo incontro è squisitamente psicologica. Ciò con cui l'Io può entrare in contatto non è soltanto la fisicità dell'Altro ma soprattutto l'esperienza che l'Io ha fatto dell'"Altro" (8) . Proprio per questo motivo l'attenzione e l'ascolto rivestono un ruolo importante come premesse per comprendere l'Altro in quanto un disturbo in tali processi si convertirà in una esperienza dell'Altro distorta. In altri termini l'alterità dell'Altro verrebbe elusa, nel senso che l'Altro sarebbe percepito dall'Io solo in base alle proprie fantasie.
 La comprensione comporta dunque un contatto con l'esperienza globale dell'Altro da parte dell'Io e non può limitarsi ad una selezione soltanto degli aspetti positivi. Altrimenti l'"Altro" risulterebbe sempre essere un'esperienza parziale da parte dell'Io e a sua volta questa comprensione selettiva si rifletterebbe su ciò viene restituito (censurato, sconosciuto o inconoscibile) all'Altro.

(1)
  Pagg. 94-95. R. Laing: L'Io e gli altri. Psicopatologia dei processi interattivi. Sansoni, Firenze 1977.

(2)  Pag. 93. R. Laing: L'Io e gli altri. Psicopatologia dei processi interattivi. Sansoni, Firenze 1977.

(3)  "È pertinente parlare di qualsiasi aspetto dell'io, per esempio di un gesto, di un'azione, di un sentimento, di un bisogno, di un ruolo, di un'identità, come del complemento di un corrispondente gesto, azione, sentimento, bisogno, ruolo o identità dell'altro." (pag. 93) R. Laing: L'Io e gli altri. Psicopatologia dei processi interattivi. Sansoni, Firenze 1977.

(4)  Bion W.R.: Apprendere dall'esperienza. Armando Editore. Roma, 1972.

(5)  "La sua attività (dell'attenzione)va incontro a mezza strada alle impressioni sensoriali anziché attendere la loro comparsa."
 Freud S.: I due principi dell'accadere psichico. Boringhieri. Torino 1968.

(6)  Non è infrequente la posizione assunta dai pazienti nella relazione psicoterapeutica in cui c'è attende infantile che l'attenzione, l'amore, la comprensione vengano donati dal terapeuta-genitore senza che ci sia un precedente impegno ad esporsi (portare se stessi) e a comunicare all'interno relazione. Analogo rischio esiste anche per lo psicoterapeuta che attende passivamente che il paziente si manifesti nella relazione evitando di andargli incontro, poco disposto a porre attenzione a ciò che il paziente sta mettendo nella comunicazione.

(7)  Questo modo di concepire la comprensione è simile alla "capacità materna di rêverie" di cui parla W.R. Bion.

(8)  G. Bateson (Verso un'ecologia della mente. Adelphi. Milano 1984) a proposito di questo affermava che nella nostra teste non ci sono oggetti ma solo l'idea degli oggetti. L'epistemologia poi, nella versione più recente del costruzionismo, rileva come tutto ciò che ogni essere vivente conosce è il prodotto di una sua costruzione mentale per cui ogni conoscenza porta con sé un elemento di soggettività.
Anche R. Laing (La politica dell'esperienza. Feltrinelli,. Milano 1968) nota: "Quando due o più persone sono in rapporto tra di loro, il comportamento dell'una verso l'altra è mediato dall'esperienza che l'una fa dell'altra e l'esperienza di ciascuna è mediata dal comportamento di ciascun'altra". (pag. 22)
 


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