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Mario Tobino, Fiesole
di Enzo Cicchino
1984
 
 

 
  Si legga anche la splendida nota di Claire Soullier a fondo pagina*


"Maria! Maria!" la sua voce mi urlò dall'alto dell'ultimo piano di lì sulle scale senza che io avessi detto nulla e mi stupivo -io, uomo- che mi chiamasse Maria! Lo raggiunsi. Non lo vedevo da un paio di anni e me lo trovai in vestaglia, con gli occhi sgranati folli, eccitato ed al tempo stesso stupito e lieto del vedermi, affacciato sulla inferriata delle scale. Con l'emozione di reincontrarmi, certo. Però aveva fretta. "Aspetto Maria" mi disse ancora con sollievo "Tu... mi capisci... Maria verrà tra poco, la sto aspettando..." e teneva tra i denti un confetto bianco rotondo alla menta, quelli con il buco in mezzo con il quale tentava di profumarsi l'alito ombroso, esaltato. Stetti per salutarlo e tornar subito giù, quando lui "Eh no, Enzo... no, no, non posso mandarti via così... aspetta... vieni, vieni dentro..." e mi portò nei meandri bui di quell'appartamento colmo di scaffali di libri in cui non ero mai stato e, così diverso dalla villa dove lo ebbi conosciuto.
    Seguivo, curioso, e, per l'imbarazzo, improvvisamente timido.
    "Voglio lasciarti un ricordo... non ti posso mandar via così... non posso!" fece ancora, avvicinandosi all'enorme cristalliera a vetri in cui sovrabbondavano, preziosi, molti libri. "Me ne sono rimaste due copie... solo due, le ultime... una la dò a te". Ed aprì con un gesto nervoso, religioso, lo sportello, traendone un volumetto con la copertina rossa! "Questo è il mio primo libro che scrissi... -Racconti-!" mormorò, sibillino, quasi ad intendere che io dovessi capirne l'impronta, forandomi lo sguardo amorevolmente pazzo e senza che io neppure glielo chiedessi mi scrisse la dedica. Tenni quel libro nelle mani, con tenerezza, ed un fremito del sangue.
    Ci salutammo, con la profondità di uomini antichi.
    Restò a guardar giù sul pianerottolo mentre scendevo le scale, forse, pensando che di lì a lì sarebbe giunta Maria. "Verrà... chissa?!" Non incontrai nessuno, scendendo. E neppure una donna che me ne suggerisse la presenza, mentre uscivo dal caseggiato di Borgo Sant'Anna ed imboccavo una delle stradine lievi di Lucca che in quei giorni mi ospitava.
    Era estate dell' 89. Quella fu l'ultima volta che vidi Mario Tobino. Chissà davvero se poi aveva fatto all'amore con Maria quel giorno! Chissà, se era venuta. O forse era rimasto per tutto il giorno sulle scale, nel rimpianto, con quel misero confetto in bocca.
    Lo avevo conosciuto nel 1983 mentre realizzavo per la rubrica scientifica di Raitre DELTA una inchiesta sul futuro dell'alimentazione umana nel terzo millennio. Ero a Firenze, quando Adone Nardi, il mio operatore, mi propose di intervistare lo scrittore Mario Tobino che a quel tempo abitava a Fiesole e che lui conosceva bene per averlo incontrato altre volte. Per la verità non era fondamentale per la buona riuscita della mio documentario quell'incontro, ma, come si sa, l'intervista con uno scrittore controcorrente ci sta sempre bene, qualunque cosa si racconti. E fu così che il giorno dopo, al mattino, fummo dinanzi al cancello di Villa Olivetti, a Fiesole.
    Ci aspettava da sopra un viottolo fra gli alberi, grosso, con i capelli bianchi ed un ampio energico sorriso in cui pareva aprirsi tutta la sua anima.
    Le riflessioni che mi regalò in riferimento ai cibi del nuovo millennio furono piuttosto acute e simpatiche anche se purtroppo nel montaggio del doumentario potetti inserirne solo un frammento e -come succede sempre in Rai- la parte più interessante è quella che zelanti funzionari -che chiamano responsabili culturali- ti costringono a buttare nel sacco degli scarti per timore che la stupidità degli spettatori possa esserne sconvolta. Così, turpemente, ogni cosa nuova finisce inesorabilmente distrutta per sempre. Forse avrei dovuto appropriarmene, ma a quel tempo possedevo ancora la sciocca coerenza del rispetto verso l'azienda per cui lavoravo, che è malattia terribile! figlia della psicosi atavica dell'ingorda ignoranza.
    Terminata l'intervista, la troupe se ne andò. Io restai... Parlammo a lungo dei miei sogni. E degli infiniti lunghi sogni, suoi, ormai vissuti.
    Feci la felice scoperta che la sua compagna... era nientedimeno che Paola Olivetti, la compagna dello scrittore Carlo Levi (l'autore del Cristo si è fermato ad Eboli). E il Mario, con una scelta molto controcorente era andato ad abitare -lui- nella villa di lei, soluzione decisamente poco maschilista. Ed erano davvero felici insieme. Intanto parlammo ancora di molte cose, dello scrivere, della letteratura, della sua dimestichezza con la poesia e con la follia... quei suoi lunghi giorni e notti tormentose presso il manicomio femminile di Maggiano, nei pressi di Lucca.
    Gli risultai simpatico. Si interessò con curiosità a me, al mio lavoro, alle mie faccende private ed ai miei amori. Ero titubante a parlargli del fatto che anche io scrivevo... non volevo certo ripropormi anch'io come uno dei tanti... Mi castigavo, anche se... il mio desiderio era grande. Invece, fu lui ad incoraggiarmi. Forse per simpatia filiale. Gli dissi che stavo scrivendo un romanzo... Mi vergognavo un po'. Forse mi vedeva strano, forse gli ricordavo qualche suo paziente del manicomio... Fatto sta ne fu molto curioso, mi disse anzi che quando ne avrei finito la stesura l'avrebbe letto volentieri. E così accadde. Ci vedemmo poi alcune volte. E lesse il manoscritto anche Paola Olivetti, che conosceva bene la grande scrittura antropologica di Carlo Levi.
    Non so come, però accadde che - entrambi - amarono le mie povere parole de LA FONTE DI MAZZACANE. Perciò di sua iniziativa decise di aiutarmi ed inviò copia del dattiloscritto ad Alcide Paolini, a quel tempo direttore editoriale della Mondadori. Per un mese vissi come in trance, nella speranza... poi la doccia fredda della delusione...
    Ma lui non si arrese. Insistette, mandando poi il libro anche ad Adelfi. Nessuna risposta. Ed ancora, mi fece incontrare Natalia Ginzburg, al secolo Natalia Olivetti, sorella di Paola, la sua compagna. Neppure a lei piacque il mio libro, "Perché voi giovani scrivete sempre cose così tristi!" ricordo, mi disse.
    Non si fermò qui, Tobino cercò pure di farmi conoscere Leonardo Sciascia, attraverso il contatto romano con il pittore Bruno Caruso, ma questa volta per un disguido del traffico romano non riuscii ad essere puntuale all'appunamento, non era destino, e tutti i sogni si chiusero lì. Anche lui si arrese. Con amarezza. Era convinto che gli editori si fossero sbagliati, ed io -non mi importa se fosse vero oppure no- per questa sua certezza l'ho sempre ricambiato in cuor mio di un amore profondo.
    "Paola non c'è. E' in Ospedale. Le hanno tagliato la pancia!" da un pò non lo sentivo, mi disse a telefono mesi dopo. Mi colpì il tono urlato che dette a quella sua espressione "Tagliare la pancia!" Dopo qualche mese Paola Olivetti morì. L'anno trascorse. Lo ricercai a Fiesole, sempre allo stesso indirizzo, ma lui non c'era più. C'erano i muratori. Era stato mandato via dagli eredi. Infatti quella villa era proprietà della sua compagna, non erano sposati, e come si sa i nipoti dei morti non rispettano mai gli amori delle donne, o degli scrittori vivi. Non seppi più Tobino dove fosse andato a finire.
    Dopo un paio di anni mi trovavo ospite dell'amico Sandro Bartolini, a Lucca, quando, nel bel mezzo di un discorso, la moglie Maria Teresa se ne uscì "Lo sai Enzo che una mia amica ha saputo che a Lucca, dalle parti di casa sua -Borgo Sant'Anna- abita Mario Tobino... tu lo conoscevi...!" Mi sentii in imbarazzo per averlo un pò abbandonato nei miei pensieri. Risentii viva e forte un'angoscia nel cuore... Però decisi di andare comunque a reincontrarlo, non avevo il suo telefono... ci andai così, direttamente, seguendo le indicazioni della mia amica e senza farmi annunciare... Invece lui quel giorno aspettava Maria!
    Fu l'ultima volta che lo vidi. Era stanco, forse non scriveva neppure più. Mi colpiva, nel ricordo, quando mi parlava della trepidazione che viveva, giovinotto, dopo aver mandato le sue poesie alle riviste letterarie famose, importanti negli anni venti e trenta, poi andava all'edicola a comprarle nella speranza - quei versi - di trovarveli pubblicati. Ed in quel momento viveva unono spasimo ed una gioia incredibile, un'emozione tutta da sfogliare così come le carte di una seducente partita a poker. Mi parlava del suo amore per Dante "...biondo era e bello e di gentile aspetto!" e poi mi citava a memoria gli endecasillabi più sublimi da una delle Cantiche, e poi ancora mi diceva che... da giovane, aveva scritto una biografia del Sommo Poeta.
    Altro ancora. Esprimeva un sollievo profondo anche per altre cose che non avevano a che fare con l'arte ma con cose molto semplici della vita dello scrivere. Gli si illuminavano gli occhi, nel ricordare come semplici invenzioni gli avessero cambiato la vita artistica sollevandolo dalle fortissime angosce che uno scrittore ha nel presentare ben pulito un testo all'editore, senza cancellature! Era entusiasta per esempio dell'invenzione del bianchetto, che permette di realizzare fotocopie libere dagli errori e correzioni. Era disperato, da giovane, quando nel bel mezzo di un dattiloscritto era costretto a lunghi inguacchi di inchiostro che gli deturpavano l'estetica della pagina. E poi ancora, fibrillava nel ricordare la Guerra d'Africa a cui aveva partecipato come ufficiale medico e gli aveva dedicato un libro del cui titolo, chissà perché, andava orgoglioso IL DESERTO DELLA LIBIA; gli piaceva l'immagine poetica del deserto associata a quella di libia, parola forse pregna di vita e di eros, libia, libare. Lo rivedo quando ancora mi narrava della sua vita nel manicomio di Maggiano, in cui ha vissuto, da scapolo, tutta la vita ed al quale si era così abituato che tutti i suoi amici in pratica lo ritenevano un pò matto anche lui. Eppoi gustava ancora con gli occhi quei piatti di tortellini che spesso la suora dell'ospedale psichiatrico gli portava la sera a fine turno e che lui si gustava come se fosse la sua grazia.
    11 dicembre del 1991, stavo realizzando per Mixer una inchiesta sulla morte di Mussolini ed ero in macchina con uno degli autori della trasmissione e la sua ragazza, saranno state le dieci di sera ed eravamo sull'autostrada che portava da Milano a Como. La radio era accesa, quando... nel giornale radio della notte... fra le notizie culturali udii "...Stamani, ad Agrigento, ospite del Premio Pirandello è morto lo scrittore Mario Tobino, autore di Le libere donne di Magliano, Per le antiche scale, La brace dei Biassoli. etc. Era nato a Viareggio nel 1910, aveva 82 anni". Ero seduto sul sedile dietro, nell'auto. E v'ebbi per un attimo un disperato flash di abbandono... mentre il silenzo del traffico che divenne muto sull'autostrada raccoglieva ancora parole e sorrisi... dei miei due amici che serenamente continuavano il viaggio.




La donna è Paola Olivetti, vedova di Carlo Levi, ultima compagna di Mario Tobino





mi dispiace terribilmente per la qualità delle foto!

 

* Nota di Claire Soullier

ho letto la tua pagina su Mario Tobino e, di questo testo, alcune cose mi
hanno colpito: per prima cosa ho reagito emotivamente al passo dove scrivi
che, dell'intervista fatta a Tobino tanto tempo fa, hai dovuto scartare
molti elementi - ora senza dubbio irrimediabilmente persi - per che la Rai
che ti aveva fatto fare questo lavoro non avrebbe ammesso di mandare in onda
le "forte" risposte, per paura che il pubblico non l'accettasse. …è una cosa che mi
tocca, a causa del mio lavoro.
Come regista, ho già vissuto questa situazione, e in seguito questo rimpianto di non
avere strappato all'oblio (e alla pattumiera) documenti irripetibili... e
per ciò ho deciso anni fa di auto-produrmi (mai e mai più lavorare con il "final cut" ad un altro)
Rende la mia situazione difficile, ma mi rende d'accordo con me stessa.
Questo era il pensiero di Tobino: mai ubbidire ad un altro per tutto ciò che riguardava la sua
opera. Diceva che era rimasto primario al nosocomio di Lucca per non dovere
ubbidire ai capricci e agli ordini assurdi degli editori... Ed è rimasto, per tutta la
sua vita, in questa schietta indipendenza. "Un uomo irto" scriveva di lui Geno
Pampaloni, tra l'altro... e allo stesso tempo un uomo che aveva consapevolezza terribile che l'uomo
sempre cammina "incatenato, chiedendo amore e pace".


Il pittore Tirinanzi mi scrisse una bella e lunga lettera dove mi raccontava
dell'indomabile carattere di Tobino, de la sua pretta libertà di giudizio.
Non le importava che Pirandello fosse universalmente ammirato, per Tobino
era lo scrittore della confusione: "che pasticcio, Pirandello" disse in
pubblico ad Agrigento, in un convegno dove era invitato per ricevere appunto
il Premio Pirandello! Questo, alla vigilia della morte, poche ore prima del
momento che descrivi, quando sei in macchina sull'autostrada e senti alla
radio la funebre notizia.


Tobino medico disprezzava Freud, Tobino letterato odiava Montale. diceva di
lui che era poco più di un insetto malvagio... Eppure con Montale aveva
quasi un legame di parentela: la zia della sua compagna era la moglie di
Montale. E' la famosa "Mosca", la donna odiata-amata che Montale rubò ad un
critico d'arte, come Dalì rubò Gala a Paul Eluard... Lui stesso, Tobino,
anche se era un seduttore (le foto soprattutto della vecchiaia non rendono
giustizia al suo fascino) aveva avuto un rapporto affannato, doloroso e
travagliato con le donne (tante donne.) ma ci fu senza dubbio un accordo
"superiore" tra lui e la Paola, un accordo tra due libertà e tra due lealtà
allo stesso tempo... Paola era la sorella di Natalia Levi e con altri tre
fratelli erano figli del professor Levi, grandissimo biologo di livello
internazionale. La "Mosca" era la sorella della loro madre che non era ebrea
bensì una pisana di buona famiglia cattolica e per niente razzista. Natalia
sposò Leone Ginzburg intellettuale antifascista (come insegnante aveva
rifiutato il giuramento) che aveva finanziato (era di famiglia agiata) la
creazione, con Giulio Einaudi, delle Edizioni Einaudi. Leone Ginzburg, amico
di Adriano Olivetti morì a Regina Coeli nel '44; Adriano Olivetti e Leone
Ginzburg erano resistenti al fascismo e al nazismo, così come i fratelli di
Natalia e Paola. Paola - era più grande di Natalia - aveva sposato Adriano
Olivetti, poi se ne separò, e divenne la compagna, e non la moglie, di Carlo
Levi. ancora in seguito (o forse per un po' di tempo contemporaneamente)
divenne la compagna di Tobino (quando voleva ferire Tobino le diceva che
Carlo era migliore in tutto... questo particolare me lo raccontò uno
scrittore versiliese che aveva assiduamente frequentato la coppia). Un altro
legame di famiglia, assai sorprendente, univa il professor Levi con
Margherita Sarfatti, la così detta "amante del Duce" e per ciò, in "Lessico
Famigliare" Natalia racconta come sua madre andò a Roma dalla Sarfatti per
strappare suo marito al carcere - senza esito perché la Sarfatti era in
viaggio all'estero.

Mi colpisce anche ciò che hai scritto su l'orgoglio di Tobino riguardo al
titolo del suo libro "Il deserto della Libia". Ho studiato, o per meglio
dire ho cercato di avvicinare Tobino nei sette ultimi anni, e ho la
convinzione che la Libia fu per lui, per molte ragioni, un periodo "sacro",
e nello stesso momento dove scrivo questa parola, mi torna in mente il
ricordo di avere visto tra le sue carte, una cartella che conteneva il suo
diario di guerra; su questa cartella (ho anche filmato questo particolare)
c'era scritto: "le Sacre Carte della Libia".

Molto prima di essere mandato come medico in Libia, scrisse in una poesia:
".O deserto deserto, mio fermo dolore."

Durante il periodo bellico quando era in Libia dal 1940 al 1942 mi pare
che cambiò, divenne un grande scrittore e senza dubbio un pensatore, cioè un
uomo in grado di contemplare e di pensare con fermezza il mondo che lo
circonda. In Libia, amò una ragazza, una crocerossina nobildonna, e l'amò
probabilmente con forza, sebbene era un amore impossibile. Quest'altro fermo
dolore, Tobino lo racconta nel libro "Il Perduto Amore". Ho una bellissima
intervista di Michele Zappella, nipote di Tobino, dove mi racconta come, avendo
accompagnato suo zio ad Agrigento, Tobino alla vigilia della morte guardò al di
là dal mare e esprimò il suo sogno di tornare in Libia.

Sarebbe un compito sterminato dirti come secondo me Tobino ha trattato
i temi dell’'amicizia, della follia, del mare, ma questo fa parte a maggior titolo della
sua fortuna critica che davvero non è molto facile da trovare (ma si trova).
Garboli che fu vicinissimo a lui, Pampaloni ed altri hanno scritto su di
lui, ma stranamente hanno scritto poca cosa della sua scrittura poetica,
secondo me tanto straordinaria quanto sconosciuta. (La famiglia Tobino tenta
ora di fare editare tutte le sue poesie) Bisogna anche leggere, ad esempio,
le motivazioni della giuria che le assegnò il Premio Viareggio per la
narrativa, nel '76.

Mentre ti scrivo mi viene in mente ad ogni momento una poesia o una frase di
Tobino, e, di lui, i versi, le frasi, sono tesori, gioielli, diamanti nella notte. Leggi
le sue poesie e ti si apre una porta. Te ne trascrivo ora piccoli passi ma non posso
scrivere tutto, devi leggere, o rileggere Tobino . Ha scritto grandi libri e libri
minori ma suo stile è sempre superiore, chiaro, elegante e potente: il frutto di uno
spirito forte.

Ecco, sulla poesia: "E' la poesia un male peggiore del cancro, peggio della
tisi, che almeno di queste malattie si muore, mentre invece della poesia si
soffre soltanto. a meno che uno, rarissimo su milioni, non sia riamato dalla
poesia"
e prosegue, e finisce così il paragrafo "poiché il dolore del
poeta fa canto.”

Alla Paola, scrisse:

"Ti amo
e ti ho amato
non perché sei bella
ma perché sei una costa
del mio costato.
Il destino,
che ha voglia di ridere,
ti ha dato a un altro.
Se ti incontrerò nell'altro mondo
ti darò l'anello
per l'infinito."


La sua scrittura, soprattutto poetica, ha una capacità "latina" di esprimere
in pochissime parole un universo (non fino al "M'illumino d'immenso") e
soprattutto di "fare musica" come in francese canta la scrittura narrativa di
Louis Ferdinand Céline o (per un'epoca più remota e con altri mezzi e su ben
altri temi) quella di Racine . Comunque, ti propongo pochissime citazioni:
solo per farti sentire la richezza e la chiarezza della formulazione, per esempio
da una poesia scritta sulla Libia, "Ormai tra queste tendecamminiamo a malsicuri passi.".
In un'altra più remota, parla del "sospiro dell'erba".

Sulla Resistenza ha scritto grandi romanzi e numerose poesie come questa,
dedicata al Pasi, un amico con il quale aveva studiato a Bologna, si erano
anche insieme iscritti nel '37 al P.C, e con lui aveva fatto, mi sembra il
servizio militare come alpino (esiste una foto di Tobino, Pasi e Turri in
divisa. Dopo la guerra il Turri divenne deputato del P.C. poi Tobino e lui
lasciarono il partito)...


“Il Pasi era un giovanotto
veniva dalla Romagna,
insieme eravamo giovani,
si camminava muovendo le spalle,
e le donne avevan per noi debolezza.
Lui lo impiccarono i tedeschi
dopo sevizie che non ho piacere si sappiano,….”

Ti rendi certamente conto, Enzo, del fatto che scrivere in una lingua che
non è interamente mia, sia straordinariamente difficile; capire
perfettamente l'italiano, parlarlo senza troppo sbagliare non è nulla, è
scrivere la vera prova. Ora mi viene l'angoscia di avere commesso molti
errori scrivendo la vostra bella e ricca lingua..

Ma ecco che il mio compito è finito, ti mando questa lettera, con la
speranza che nello spirito di chi la leggerà si ascenderà il desiderio di
andare in una libreria e di comprare un libro di Tobino, qualsiasi. Esistono
in formato tascabile, relativamente a buon prezzo. Chi lo farà davvero
entrerà in questa scrittura come in un altro pianeta, un territorio dove si
respira un'aria diversa.

CLAIRE