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RICERCANDO IL CUORE
Il tossicodipendente che si è perso in un labirinto.
Giusy Rao

 

Ai ragazzi del
"Cenacolo Cristo Re".

§1 Breve presentazione della struttura

"Ho finalmente la roba, per oggi è andata, mi dico fino a domattina riesco a tirare […]. Con il resto dei soldi arranco verso la farmacia, ma ricordo che è domenica. Maledico il momento in cui ho gettato la siringa stamattina. Era intasata, certo, ma con la pressione di qualche getto d'acqua sarebbe tornata a funzionare. Leggo su un cartello l'indirizzo della farmacia di turno. È molto distante: calcolo cinque fermate di autobus e poi ancora due stazioni di metropolitana. Indugio, non so cosa fare, il corpo è percorso da brividi e da sudore, solo la mano destra è vigile e attenta perché custodisce la bustina di stagnola dove è custodita la "dose". Il malessere è come acuito dall'emozione, dall'emozionante certezza che di lì a poco finirà. Mi dirigo istintivamente verso il solito angolino dietro il supermercato. Ecco il blocco di cemento dove i tossici di passaggio appoggiano il loro armamentario. Cerco tra le siringhe la più nuova, quella con l'ago meno spuntato, con meno sangue nel serbatoio. Raccolgo un limone spremuto, cui sottrarre l'ultima goccia. Mi accorgo però di non avere l'acqua. La fontanella più vicina è in Piazza Vetra, sarà mezzo chilometro, ma non ho nemmeno le forze per quello. Mi volto e vedo a qualche metro una pozzanghera. Ho un attimo di perplessità, poi mi avvicino, mi chino e disegno la superficie dell'acqua con la punta dell'ago, come per costatarne il grado di pulizia, attento a non muovere il fondo fangoso. "Ma sì chi se ne importa", mi dico mentre aspiro l'acqua per l'iniezione".

Fabio Annibaldi Cantelli, La quiete sotto la pelle, Milano, 1996


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Non si tratta di un'opera umanitaria, ma l'educatore è portatore di empatia e di fronte alla realtà suddetta non può certo starsene con le mani in mano. Quanto segue è frutto di un'esperienza condotta all'interno della Comunità terapeutica "Cenacolo Cristo Re" di Biancavilla (Catania) la quale mi ha consentito di osservare le attività dell'utenza composta da 14 soggetti di sesso maschile e di età compresa fra i 22 e i 40 anni. In comunità l'utente è preparato ad intraprendere un percorso di autoconsapevolezza e riflessione ottimale, viene in sintesi spronato al confronto col gruppo e alla valutazione delle proprie aspettative. Le attività sono coordinate da uno staff composto da ex tossicodipendenti, educatori diplomati e psicologi i quali stilano per i ragazzi le attività della giornata intervenendo su un piano prevalentemente basato sulla gestione delle emozioni. L'attività mattutina ha inizio con una riunione di gruppo denominata IDM nella quale viene visionato una sorta di diario quotidiano della giornata: esso viene compilato alla sera, a turno da uno dei residenti e deve contenere le relazione di quanto ha vissuto sia in gruppo che lui personalmente nel corso della giornata. Viene letto al mattino successivo ed apre l'attività del giorno. Le attività proseguono fino alle ore 13.00 con lavori di manutenzione e riprendono alle ore 16.00. La Comunità "Cristo Re" funziona sulla base di semplici regole che servono a rendere armonica la vita comunitaria garantendo il rispetto di tutti e ciascuno:

Le tematiche trattate all'interno della struttura hanno fatto sì che l'utenza esprimesse verbalmente le emozioni e le sensazioni emerse durante il libero svolgimento di colloqui. Sebbene non mi sia stato consentito assistere alle riunioni di gruppo (poiché secondo le esperienze precedenti la transitorietà di una figura esterna è avvertita come inibizione alla libera espressione dei ragazzi), presiedute dallo staff se non nel momento mattutino in cui gli utenti si confrontano l'un l'altro, mi è stato possibile intrattenere coi ragazzi delle discussioni su diversi aspetti. È stato oltretutto possibile condurre diverse attività di Counseling spontaneamente richiesto dagli utenti.
Nei paragrafi che seguono verrà esposta in dettaglio l'esperienza.


§2 Analizzando il fenomeno droga

Ha varcato da quattro anni le soglie della nostra realtà e il nuovo millennio appare ancora inerme nel saper arginare il fenomeno "tossicodipendenza".
Un po' come una moda, ogni generazione ha fatto uso della propria droga. Nei Settanta ci fu il boom dell'eroina per causa della quale morirono cantanti come Jimi Hendrix e Jim Morrison, negli Ottanta la cocaina di Maradona e nei Novanta si assiste all'esplosione delle droghe sintetiche. La tossicodipendenza sembra essere divenuta una "costante sociale", quindi i moderni dibattiti in materia sono rivolti a contrastare il problema: a tal proposito sentiamo spesso parlare di "liberalizzazione delle droghe leggere" e di "riduzione del danno", ma ridurre il danno significherebbe cercare di far sì che il tossicodipendente rechi il minor pregiudizio a se stesso e alla società.
Parliamo pure di danno sociale perché spesso il fenomeno tossicodipendenza si associa a comportamenti delinquenziali. Ovviamente le campagne di prevenzione e d'informazione promosse in questi ultimi anni sembrano aver reso i giovani più sensibili al problema droga e ai rischi ai quali sono esposti. Si sono attivati Servizi Pubblici (SERT) rivolti a chi ha problemi di tossicodipendenza e a questi si affianca l'azione delle Comunità di recupero. nonostante tutto, le campagne di prevenzione e di informazione non sono riuscite a far decrescere notevolmente il consumo di droghe, tuttavia, da qualsiasi punto la si veda, la tossicodipendenza è un business che nonostante le vengano prefissi degli intralci non conosce momenti di crisi: si pensi ad esempio che i profitti derivati dal narcotraffico sono superiori a quelli del commercio del petrolio, trattasi di un flusso di danaro talmente grande da essere una delle voci principali dei bilanci della criminalità organizzata. Se consideriamo la criminalità organizzata strutturata come una sorta di anti-Stato capiamo subito come la droga non sia altro che oggetto di lotta tra Stato e Mafia. possiamo cominciare col pensare alla droga non come a quella cosa che "ti fa sentir bene", bensì come quella sostanza che "rende schiavi".
Nonostante tutto, resta ancora insoluta la domanda che ci si pone: perché ci si droga? Se ci fosse una risposta definitiva sarebbe sicuramente più facile affrontare il problema della tossicodipendenza, il fatto è che in tale fenomeno trovano collocazione differenti componenti. A livello fisico sappiamo che le droghe agiscono nelle parti del nostro cervello che si attivano quando riceviamo uno stimolo gratificante: in sintesi, le droghe forniscono dei falsi segnali di benessere sostituendosi, con meccanismi chimici a stimoli che invece potremmo ricevere in maniera del tutto naturale. È in tali termini che spesso si sente parlare della droga come di una "scorciatoia" per sentirsi rapidamente bene. In verità quel senso di benessere conferito dalla droga è solo qualcosa di virtuale e passeggero. Quindi bluffare se stessi e il proprio cervello non è un gioco che durra a lungo.
L'assunzione di sostanze stupefacenti può avvenire in ogni età, tuttavia l'adolescenza in particolar modo è un periodo in cui si è alla ricerca di esperienze nuove. L'adolescente è desideroso di fagocitare le sensazioni che possono dar sfogo alla sua grande energia. Purtroppo alla ricerca di sensazioni forti spesso ci si imbatte anche in cose altamente rischiose sia per la salute che per l'integrità psichica. In tal senso la droga è spesso una reazione alla noia e alla routine quotidiana.



§3 Definire la comunità

Il termine "comunità", solitamente incanala nel nostro immaginario la dimensione di un "vivere comune" assimilabile ad un contesto familiare, gruppale o amicale, ovvero contesti nei quali si giustifica l'aggregazione mediante un obiettivo comune. Poiché il termine "comunità" è stato ampiamente utilizzato in svariati contesti, ha causato delle "confusioni in termini". Tuttavia si è concordi sul definire la comunità, non come un luogo in cui stare., bensì come un modo di stabilire le relazioni con gli altri. Ovviamente tanto più il luogo è ovattato, tanto meno la propria umanità è avvertita in modo fragile.
Condividere regole, principi e senso di appartenenza alla comunità assume un carattere protettivo e pertanto, chi vive all'interno della stessa ha l'opportunità di esprimere le caratteristiche emergenti del sé che prima non avevano avuto l'opportunità di esplodere. Il tossicodipendente per osservare la realtà con occhi nuovi, deve uscire da se stesso cercando così di "cambiare punto di vista". Nel condurre tale attività, egli avverte una sofferenza interiore poiché deve accettare l'idea di "aver sbagliato", l'immediatezza alla quale era precedentemente avvezzo, deve lasciar spazio alla riflessione, alla considerazione dei punti di vista altrui, al rispetto di quelle regole base alle quali prima dimostrava diffidenza. Per "cambiare punto di vista", il soggetto necessita della presenza altrui, egli avverte il bisogno di essere tranquillizzato da qualcuno disposto a dimostrare comprensione. Il soggetto tossicodipendente necessita di essere riorientato nelle convinzioni e nelle scelte di vita, ha bisogno di "toccare" con mano che anche gli altri gli sono simili e che vivono i medesimi disagi. La comunità pertanto è un contesto ottimale per ricondurre il soggetto verso la risocializzazione, essa si presenta come spazio sociale all'interno del quale i componenti condividono un'esperienza di crescita e di maturazione finalizzata al superamento della condizione di tossicodipendenza e di emarginazione.
Ma perché si fa riferimento all'emarginazione? Quando una persona è depressa, cerca di creare un rimedio al suo disagio così scopre che le droghe producono sollievo e arrendendosi ad esse ne diventa dipendente sino a sfociare nell'assuefazione. Il tossicodipendente non è da compatire, non è assolutamente corretto considerarlo un malato, egli è invece da assimilare alla figura del bambino capriccioso. Abituato ad ottenere ciò che desidera mediante l'immediatezza, secondo la regola del "tutto ora e subito", il tossicodipendente non è riuscito ad ingoiare le frustrazioni. Ingoiare le delusioni è una prova di maturità, è oltretutto un saper accettare le sfaccettature della vita. Chi non è riuscito a risolvere i propri conflitti inevitabilmente cercherà di lenire il proprio disagio "drogando" il suo sé attuale di modo che questo possa "evolvere" in un sé ideale falsamente mitizzato, capace in sintesi i ergerlo a super-eroe in grado di ottenere "tutto ora e subito" senza sacrificio alcuno. È per il motivo suddetto che senza esclusione è raro trovare all'interno delle comunità anche soggetti con precedenti penali che per poter soddisfare le loro "illegali esigenze" hanno perfino preferito incanalarsi verso il sentiero della criminalità involontaria piuttosto che dire "no" alla voglia di evasione dalla realtà.



§4 Regole del vivere collettivo

Ovviamente il tossicodipendente non è da assimilare né al criminale né ad un soggetto sul quale operare con atteggiamenti moralistici…..lungi dal fare quindi una netta differenziazione di ruoli. C'è sì in ballo la relazione educatore-tossicodipendente ma non dimentichiamoci dell'empatia fondamentale da utilizzare. Teniamo innanzitutto presente il fatto che il tossicodipendente è un essere umano, con la sua sensibilità, i suoi sogni, le sue aspettative e le sue idee, sebbene tali aspetti siano compromessi dalla forte ferita che ci si porta dentro. Il cammino di recupero in comunità deve essere essenzialmente valutato tenendo conto della dinamica del gruppo come incessante superamento dell'omeostasi: la presenza del residente nella comunità è infatti transitoria e temporanea e ciò garantisce il costante rinnovamento delle relazioni. Tutto è basato sulla transitorietà poiché se così non fosse non si registrerebbero indici di maturazione: il soggetto tossicodipendente troppo sensibile che si lega affettivamente ad un compagno, rischierà di perdere un punto fermo nel momento in cui quest'ultimo andasse via, motivo per cui, è fondamentale educare il tossicodipendente a gestire le sue emozioni recuperando l'autonomia e la capacità di affermare in tono decisivo : "vivo in comunità…la vita è caratterizzata dalle relazioni sociali, non è buono isolarmi perché nell'isolamento ho fallito rifugiandomi nella droga, ma ora che il mio compagno va via, non devo soffrirne, ma devo imparare a camminare da solo". La noodinamica del gruppo è costituita da due fattori preponderanti. Dall'accoglienza e dalla dinamica evolutiva di crescita dei soggetti che via via si responsabilizzano in seno al gruppo. La crescita di responsabilità è ingrediente basilare per far crescere la capacità operativa della comunità. Il momento dell'accoglienza coincide con l'apertura verso il "novizio": intorno all'ultimo arrivato infatti, tutto il gruppo subisce una riorganizzazione e la struttura all'interno della quale si erano consolidate le relazioni, subisce un rimescolamento. I residenti usciranno dalla comunità solo quando avranno interiorizzato la chiarezza necessaria per poter stabilire rapporti con gli altri con la consapevolezza di quanto possa essere difficoltoso accettare le critiche rivolte al proprio "life style".
Il programma terapeutico-riabilitativo della Comunità, nel campo del recupero delle tossicodipendenze, mira a favorire nel soggetto il raggiungimento di un sufficiente equilibrio attraverso tre obiettivi fondamentali: riscoperta della propria individualità,
consapevolezza delle problematiche che hanno condotto alla tossicomania, presa in carico responsabile delle modalità da attuare per il loro superamento; riscoperta dell'incontro attraverso la relazionalità di gruppo e attraverso la ridefinizione del ruolo all'interno del suo nucleo familiare di origine. La responsabilizzazione personale avviene attraverso la graduale acquisizione di competenze professionali e di autostima. In riferimento al processo di individuazione personale, una volta riconosciute come proprie le problematiche sulle quali si è strutturato lo stile di vita deviante, il ragazzo viene sostenuto nella rielaborazione dei propri vissuti in modo tale da acquisire l'autocritica necessaria per riconoscere gli ambiti conflittuali della propria personalità. Al contempo si lavora sul "rafforzamento dell'Io" del soggetto in modo che questi, riappropriatosi della necessaria autostima e della fiducia nelle proprie capacità, possa arrivare ad una autodeterminazione ed a una soggettiva autonomia interiore. Tale processo è favorito da una componente basilare, vale a dire dal confronto responsabile con gli altri ragazzi. Mediante colloqui individuali il ragazzo viene aiutato ad approfondire le attuali problematiche personali e pertanto, viene spinto ad individuare le zone conflittuali della personalità. Nell'iter comunitario, i ragazzi vengono indirizzati verso la riscoperta dell'amicizia sincera e responsabile, basata sul rispetto reciproco, sull'attenzione, sull'altruismo, sulla fiducia e sul dialogo in modo preponderante. Scoprire i punti di vista altrui e quindi considerare l'altruità, è fondamentale per superare sentimenti di solitudine e di sfiducia che hanno caratterizzato lo stile di vita del tossicodipendente. Il riscoprire l'altro, viene favorito dalla condivisione di ogni momento della vita comunitaria, e attraverso un continuo processo di socializzazione che avviene tramite le attività lavorative e altri momenti di aggregazione. Il processo di responsabilizzazione viene attuato mediante l'esercizio delle arti lavorative. Al giovane vengono, infatti, affidati in maniera graduale delle mansioni ben precise in modo che possa giungere all'acquisizione di autostima e, quindi, di fiducia nelle proprie capacità. L'impegno richiesto al giovane che ha la dirette responsabilità di un settore, gli da la possibilità di sentirsi partecipe in prima persona della vita comunitaria e, contemporaneamente gli consente una progettualità verso la futura autonomia. La responsabilità non è il punto ultimo del cammino comunitario ma costituisce una piccola pietra sulla quale costruire le fondamenta su cui ergere il monumento per assaporare il senso della vita.



§5 Voler crescere cambiando

I tratti comportamentali dei ragazzi tossicodipendenti tendono ad assomigliarsi, Dieci ragazzi su quattordici erano soliti definirsi "incoerenti". Prima che emergano le diverse personalità è necessario disintossicare dalla sostanza, allontanarsi quindi dall'emarginazione e dalla tossicodipendenza. Avvenuto ciò si può procedere mediante interventi individualizzati. Gli obiettivi da raggiungere devono essere utili per poter approdare ad obiettivi successivi mediante la regola dello step after step (passo dopo passo). La comunità fissa delle regole su un sistema di valori e principi che vanno realizzati nel concreto vivere quotidiano. Gli obiettivi individualizzati infine, devono causare un cambiamento sul modo di percepire se stessi al fine di tendere verso la realizzazione del sé sperato mediante il raggiungimento della coscienza di sé come essere unico e irripetibile, nonché la costruzione di una coerente costruzione della propria immagine che possa così protendere verso l'acquisto dell'autostima (altamente compromessa), del saper amare, accettare, ascoltare, entrare in relazione con gli altri. All'interno della comunità esiste il "confronto individuale e di gruppo", tale confronto appare un metodo molto avanzato per far sì che si raggiunga l'obiettivo dell'autovalutazione. In seno alla comunità, particolare rilievo riveste il valore dell'onestà, la quale non lascia spazio a scuse, ad inganni, a contratti illeciti, essa infatti, apre le porte alla chiarificazione dei propri stati d'animo e allo star in pace con se stessi e con gli altri senza dover ricorrere ad infantili giustificazioni o bugie. Ecco che così agendo, subentra la capacità di autovalutazione che è anche capacità di ammettere di aver sbagliato e proiettarsi così verso la fase del cambiamento.



§6 Educare alla responsabilità ed aprirsi alla sfera dell'altro

Giungere ad essere responsabili non vuol dire interrompere il percorso comunitario ma è il punto di partenza per poter cominciare a guardare con occhio nuovo la realtà circostante, la vita che dinamicamente presenta con fantasia i suoi lati. Dal punto i vista individuale, l'agire responsabilmente vuol dire cominciare a conoscere la concretezza dei risultati raggiunti. La realtà non appare più così arcana bensì molto più cristallina e comprensibile. Il fato non viene visto più come situazione capricciosa ma ci si rende conto che i patimenti non sono altro che le conseguenze delle azioni del passato. Quando si attraversa la suddetta fase che per certi versi appare idilliaca, il tempo presente subisce una dilatazione, nel senso che non viene più avvertito come piccolissimo frangente. Ogni componente della comunità comincia a riconoscere il suo tempo, impara a guardare al domani costruendolo col lavoro di oggi. Agendo in tali termini, il cambiamento diventa sincero, cosciente ma soprattutto indirizzato con intenzionalità verso il futuro. Essere responsabili significa "curarsi", ovvero "prendersi cura dei propri compiti", essere vigili verso se stessi e verso gli altri, smettere di fuggire per poter prendere a carico le proprie responsabilità e il proprio impegno. Essere responsabili vuol dire diventare pianamente adulti senza ricercare mani su cui aggrapparsi, ma diventare mani presso cui trovare accoglienza. Ciò vuol dire proporsi come soggetto cosciente dei propri limiti che aiutando gli altri trova la risposta per se stesso, ed è per tal motivo che nella vita di comunità sussiste un periodo in cui non è più possibile proseguire il proprio cammino appoggiandosi agli altri, ma diviene indispensabile diventare "punto" di riferimento per gli altri. Mediante l'aiuto e la condivisione comunitaria, il tossicodipendente viene messo nella condizione di sforzarsi a comprendere l'altro e il suo vissuto. Tale atteggiamento favorisce l'emersione dell'empatia con la conseguenza di saper gestire emozioni e sentimenti.



§7 Arginare il vivido presente

Un atto deviante si pone come intenso a livello emotivo e pertanto causa nel soggetto il ricordo della suddetta tensione emotiva che seppur per breve tempo, ha riempito il suo "vuoto" interiore. Mettiamo caso che il soggetto in questione non riuscisse a trovare vie alternative al suo vuoto interiore, così vegetando nella squallore della sua esistenza (che ovviamente non è tale sebbene sia così da lui percepita), sarà spinto a far nuovamente esperienza dell'attimo passato, poiché almeno per un attimo, sebbene negativamente tale esperienza lo ha posto nel "vivido presente" che normalmente vien meno alla sua assopita coscienza. La vita di comunità deve proporsi con scelte e atti interni al fine di riorientare le scelte di vita delle persone, poiché, se così non fosse il tossicodipendente non troverà mai la forza per uscire dal labirinto in cui si trova. Il tossicodipendente, ha vissuto spesso dei momenti in cui ha promesso a se stesso di cambiare, ma tutto è avvenuto con sincerità momentanea e alla prima occasione, le solenni promesse vengono accantonate per conferire priorità al vissuto presente; dopo di che subentra la frustrazione, il senso di colpa e di incoerenza per non aver saputo mantenere fede alla promessa. Subentra così in lui un'immagine frantumata del sé, tristezza e disperazione si impossessano del suo vissuto e così comincia ad immaginare che la gente che gli ruota intorno guardi sempre e solo il "negativo" che è dentro di lui….finché tale sguardo diviene così intollerabile da costringerlo ad evitare i rapporti interpersonali preferendo in tal modo una realtà di emarginazione dove è possibile rifugiarsi senza temere gli attacchi provenienti dall'esterno. Gli atteggiamenti degli altri vengono letti in chiave moralistica, accettare di essere attaccato non appare soddisfacente, così il segregarsi in casa e consumare in silenzio la propria vita, diventa la soluzione più plausibile finché questa non sfocia nella possibilità della malattia mentale. Dal senso di insoddisfazione non è facile uscire da soli ma è necessario sentirsi incoraggiati ad intraprendere un cammino di mutamento. L'obiettivo della comunità non è quello di redimere da una malattia, bensì "ridare" la dignità. Il tossicodipendente richiede di essere circondato da persone attente ai suoi bisogni e quindi capaci di reggere il suo squilibrio interiore. La tecnica migliore da adottare in tali contesti sembra essere la Relazione d'aiuto, della quale se ne discuterà più in là. Va però detto, che il rapporto d'aiuto richiede una grande pazienza senza la quale rischia di essere controproducente. Esistono casi di ragazzi tossicodipendenti che per difendersi si chiudono in psicosi (paranoie, ansie, manie di persecuzione) dalle quali poi sono incapaci ad uscirne. L'educatore che tende una mano, può essere visto come un soggetto aiutante, ma anche come soggetto pericoloso in quanto nell'entrata in relazione, inevitabilmente spinge all'autenticità, alla rinuncia del guscio pieno di aculei di cui il tossicodipendente si è munito per fronteggiare la realtà. Uscire quindi dalla solitudine significa rinunciare alle proprie difese e quando ciò si realizza, il soggetto si manifesta nella sua interezza, nella naturalezza della sua sofferenza. L'apertura verso l'altro dev'essere principalmente basata sulla chiarezza dei rapporti, sono assolutamente da evitare i contratti illeciti e le azioni manipolatorie e per far ciò è necessaria la comprensione empatica dell'autentico vissuto dell'altra persona mediante il confronto continuo e diretto, l'onestà, la solidarietà, la rinuncia all'omertà, l'aiuto responsabile. Mediante il rimprovero del compagno, il tossicodipendente interroga se stesso, le sue emozioni, le sue reazioni e i suoi impulsi. L'esperienza del dolore è talmente acuta che il tossicodipendente non è più in grado di fare una distinzione tra dolore e piacere, ed è a tal proposito che Kooyman secondo la sua teorizzazione, indica come "base del sentire", cinque emozioni preponderanti: ira, dolore, piacere, paura e amore, tutti sentimenti ai quali i residenti devono essere educati al fine di saperli percepire e distinguere.



§8 Orientamenti educativi nel contesto comunitario

Saper ascoltare, riconoscere, esprimere e gestire i propri sentimenti, spinge il soggetto alla riformulazione del sé. Successivamente si provvederà ad aiutare il tossicodipendente a porsi mete a lungo termine mediante la costanza già allenata nei piccoli lavori di manutenzione che la comunità fissa. In seno alla struttura per tossicodipendenti, l'educatore svolge un ruolo strategico all'interno di un programma di integrazione e reinserimento, le sue forze sono polarizzate al massimo potenziamento delle inclinazioni del soggetto. All'educatore vengono così richieste delle abilità /competenze intorno allo stile cognitivo-comportamentale e alle convinzioni personali. Per quanto concerne lo stile cognitivo-comportamentale, all'educatore viene chiesta l'attitudine alla relazione, motivo per cui è di fondamentale importanza che un educatore sappia instaurare il rapporto interpersonale dato che educare implica la relazione. Altra competenza dell'educatore verte sulla capacità di lavorare in staff e di sapersi comportare con flessibilità e adattamento, egli infatti, dovrà possedere determinate competenze che lo facciano agire da valorizzatore delle diverse condizioni, l'educatore inoltre dovrà possedere la capacità di problem solving; il suo ruolo infatti è caratterizzato dalla capacità di riuscire a trovare la soluzione ad ogni problema. L'educatore deve inoltre sviluppare la dimensione affettiva della relazione agendo con autorevolezza o con autorità se è necessaria nei casi estremi, accantonando del tutto gli atteggiamenti laizzer faire che genererebbero nel fanciullo la totale mancanza di autostima. Altra peculiarità dell'educatore, consiste nella leadership: egli deve agire come punto di riferimento, deve essere imparziale, non deve assolutamente parteggiare per un membro a sfavore di un altro, egli deve essere un arbitro giusto negli scontri che possono verificarsi in seno al gruppo degli adolescenti. Altra componente dell'educatore (ai livelli di convinzioni personali) riguarda la capacità di credere nel cambiamento, egli dovrà sapersi rapportare all'ambiente, creando situazioni nuove e stimolanti, agendo secondo l'ottica del mutamento e del dinamismo. All'educatore è richiesta inoltre una buona dose di autostima e di congruenza, di modo che gli altri possano stimarlo; inoltre, egli dovrà possedere un tipo di attenzione selettiva che lo conduca passo passo a conoscere la situazione problematica del residente tenendo presente che il tossicodipendente non proviene di certo da una situazione idilliaca ma è depositario di un background socio-culturale particolarmente anomalo. Il soggetto che vive all'interno della comunità, è innanzitutto portatore di disagio culturale e sociale di provenienza, in tale contesto hanno trovato sito dei modelli di riferimento inadeguati che hanno condotto pian piano a delle convinzioni fallimentari. All'interno del suo nucleo d'origine, il più delle volte il ragazzo ha condotto un tipo di esistenza privo di regole e di valori socialmente condivisi che hanno innestato disturbi di tipo comportamentale. I centri di tossicodipendenza, si propongono obiettivi specifici volti alla rieducazione del soggetto il quale dovrà essere inserito in un contesto dove sia possibile valorizzare le risorse, in seno alla comunità, il ragazzo dovrà attenersi a certe regole: di spiccata importanza è la consegna del telefono cellulare ai responsabili dell'organizzazione. Prioritario in tali termini è incrementare l'autostima poiché essa è simile alla molla che spinge la persona verso nuovi traguardi e che consente il superamento del bisogno delle costanti conferme e gratificazioni (ancora una volta subentra la regola del tutto ora e subito) di cui prima era dipendente. Giunti a tal punto, cerchiamo di far una distinzione fra persona con bassa autostima e persona debole. Colui che ha poca autostima non vede mete future poiché crede di non poter cambiare, rassegnandosi a tale situazione evita di esprimere chiari obiettivi. Tale soggetto porta in sé una debolezza interiore che lo fa tirare indietro di fronte alle difficoltà. Educativamente, tale soggetto necessita di "imposizioni benevoli" (si badi bene a non trasformare tale metodo educativo in atteggiamento dispotico poiché non rispetterebbe il soggetto nella sua umanità) atte a spronarlo e far sì che egli comprenda di non essere un fallito. Il soggetto debole invece, vive nella costante paura di cadere in tentazione, quindi, necessita di limiti utili a rinforzare la volontà. Gli obiettivi educativi costituiscono la presa in considerazione del proprio disagio, essi tuttavia sono parziali e non possono corrispondere alla completezza di un piano educativo globale. Occorre saper operare nel contingente, con le persone che si hanno di fronte, prevedendo le connessioni con strategie educative a lungo termine. Per definire il concetto "orientamento", dobbiamo cercare fra le carte delle scienze pedagogiche le quali coniarono tale termine: orientamento vuol dire indirizzare il soggetto verso la maturazione psicologica al fine di spingerlo a scoprire la sua concreta possibilità e capacità di scelta, insegnandogli ad individuare la vocazione personale.



§9 L'utilità del Counseling in un contesto di tossicodipendenza

Durante l'esperienza all'interno della comunità, mi è stato possibile intrattenere coi residenti delle discussioni libere su differenti argomenti qui di seguito esposti:

In base agli argomenti trattati è stato possibile dar vita in modo spontaneo a dei colloqui d'aiuto. Il Counseling si propone di aiutare il tossicodipendente a fare delle scelte di carattere personale. Secondo la definizione dell'O.M.S., il Counseling è un processo di dialogo diretto ad aiutare il paziente in un momento di crisi, incoraggiandolo a possibili cambiamenti nel suo stile di vita. Nel campo della tossicodipendenza, il Counseling motivazionale acquista maggiore valenza, esso difatti mira a raggiungere i seguenti obiettivi:

1. Accrescere l'autostima
2. Sviluppare il senso di autoefficacia
3. Attivare una bilancia decisionale
4. Favorire una concreta modificazione del comportamento.

Il tossicodipendente, come è già stato ampiamente detto, dev'essere aiutato nel confronto del suo "life style", così il Counseling interviene portando avanti i suoi stadi:

1. Stadio della Precontemplazione: chi si trova in tale fase, non ha alcun insight relativo alla propria condizione, l'obiettivo del "counselor" è pertanto quello di aiutare il "cliente" a divenire consapevole del problema.

2. Stadio della Contemplazione: tale stadio è costellato da un diffuso senso di ambivalenza tra il riconoscimento del problema e la conseguente volontà di cambiare, nonché la resistenza ad ogni eventualità che possa determinare il cambiamento.

3. Stadio della Determinazione: esso si presenta come preludio dello stadio dell'Azione, l'individuo tossicodipendente col supporto del "counselor" valuta le possibili strategie per attuarle al fine di conseguire un reale cambiamento.

Il fine ultimo del Counseling motivazionale è quello di creare una motivazione al cambiamento tale da produrre modificazioni comportamentali a breve termine, ma anche di acquisire nuove strategie di cooping per il futuro. Va ovviamente ribadito fino all'esasperazione, che il principio base dell'intervento di Counseling afferma che il "cliente" è potenzialmente in gradi di trovare delle soluzioni ai suoi problemi, ma la condizione attuale ha temporaneamente disattivato le risorse interiori di cui disponeva, così che il compito del "counselor" sarà quello di ripristinarle. In un contesto di tossicodipendenza, il "counselor", dovrà fungere da specchio per il tossicodipendente in modo tale da proiettarlo verso un cambiamento futuro. Ovviamente l'esercitare il controllo sul "cliente", o esprimere giudizi morali, etichettare, incoraggiare verso un falso ottimismo, induce ad un errore conclamato. Esprimere empatia, essere disponibile verso il "cliente", ricercare un'alleanza spontanea, essere partecipe affettivamente e assumere un atteggiamento di "passività affettuosa", sono atteggiamenti utili che il "counselor" deve mettere in atto per stimolare nel cliente la produzione del cambiamento e il senso di autoefficacia. Un intervento di Counseling motivazionale rivolto ad un cliente tossicodipendente, prevede che nella fase iniziale si indaghi sulla motivazione del soggetto, per quanto concerne le aspettative e il livello di motivazione al cambiamento, secondo le tesi di Miller e Rollnick, in questa specifica fase, il "counselor" è chiamato a mantenere un atteggiamento aperto ma indagatore al contempo, egli deve saper porre domande facilitanti in modo tale da condurre la discussione del problema in maniera elastica al fine di indurre ad affermazioni automotivanti. Col tossicodipendente occorrono degli accorgimenti ulteriori come frequenti contatti e colloqui aperti condotti all'interno di un'atmosfera amichevole. Sia la fiducia quanto la motivazione, devono essere supportate dall'ausilio di tecniche non direttive (dare consigli o concordare piani d'azione). Analizziamo in ultima analisi gli obiettivi da raggiungere nelle diverse fasi del Counseling:

1. Fase della Precontemplazione/Contemplazione: in tali stadi, l'obiettivo sarà quello di rafforzare i dubbi, le contraddizioni, elaborare l'ambivalenza, evidenziare le possibilità di cambiamento, esplorare i lati positivi e negativi di alcune condotte e della condizione attuale.

2. Fase della Determinazione/Azione: in tali stadi si prepara il terreno per proporre strategie, promuovere il senso dell'autoefficacia e concordare un piano per evitare possibili ricadute.

L'intervento del "counselor" è prevalentemente polarizzato verso la ricerca di strategie di soluzioni che permettano al paziente di acquisire le abilità necessarie per poter affrontare efficacemente qualsiasi difficoltà. Col paziente tossicodipendente vengono indicate delle particolari tecniche da usare durante una seduta di Relazione d'aiuto: utilizzare la c.d. "tecnica dell'operatore incompetente", in questo caso il "counselor" agisce come se fosse incapace di risolvere il problema (chiede ulteriori informazioni, prende appunti), in tal modo, sembra che si riacquisti la sua disponibilità. Altra tecnica potrebbe essere quella del "colloquio strategico", atta ad aiutare il paziente ad abbandonare atteggiamenti di resistenza, in tal caso il "counselor" evita di affrontare il problema in maniera diretta facendo raccontare al tossicodipendente gli aspetti piacevoli della sua vita, in tal modo si riduce la resistenza e si rafforza il senso di autostima del paziente tossicodipendente.



§10 Solo cinque storie anonime ma non troppo

L'esperienza all'interno della Comunità per tossicodipendenti è stata estremamente formativa, spesso è l'utente col suo vissuto ad insegnare all'educatore. In seguito a tale attività, il mio interesse verso il Counseling e verso l'interazione pedagogia/medicina, ha avuto modo di arricchirsi notevolmente. La ricchezza interiore dei 14 ragazzi in questione merita di essere estrapolata….ma si badi bene a tener conto del prodotto che si sta coltivando: l'uomo. Qui di seguito vengono narrate cinque storie anonime ma molto vere. Raccontarne 14 per filo e per segno sarebbe stata un'impresa ardua per via della complessità dei contenuti.



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A racconta: " […] ho cominciato a far uso di eroina a 20 anni quando morì mio padre, ora ho 30 anni e la mia vita sembra essersi arenata verso il lido dell'insoddisfazione. Mi sento profondamente egoista per scelta, non ho saputo ponderare le mie sensazioni, non ho saputo godere delle piccole cose della vita […]. Sono cresciuto in una famiglia agiata e la mia posizione economica mi ha permesso di dissipare ben 37 mila euro nell'arco di tre mesi in sostanze stupefacenti. Vorrei cambiare e crescere ma non so da dove cominciare….la droga ha arrestato i miei sentimenti….profondamente sono ancora un adolescente"

B racconta: "Non ho amici, ho cominciato a drogarmi per emulare gli altri…o forse per noia…non so! Con la mia famiglia i rapporti non sono ottimi…anzi, li definirei del tutto mancanti. La noia incalza nella mia vita inesorabilmente, essa mi ha spinto al tentato suicidio e inoltre mi ha spinto a diverse rapine per le quali sono ancora sotto accusa. Non sono un criminale, sono solo un annoiato, non riesco a trovare nella mia vita aspetti gratificanti"

C racconta: "Ho vissuto tutta la mia vita godendo di beni materiali, le donne che ho avuto non sono riuscite a mettere a freno la mia "voglia matta" di dissipare tutto. Mi mancano i miei genitori, gli unici che mi consigliavano e mi riprendevano….adesso sono morti ed io non ho più nessuno"

D racconta: "Sono un incoerente. Ho iniziato a drogarmi perché se non lo facevo restavo fuori dal gruppo ed io avevo bisogno di amici perché mi sentivo triste, così giorno dopo giorno sono diventato un eroinomane. Oggi devo cambiare, mio padre per me ha pagato molto…voglio diventare come mio fratello che è un uomo realizzato"

E racconta: "Sono un depresso, un incoerente insoddisfatto. Credo che i miei genitori siano stati fin troppo protettivi nei miei confronti, sono ansioso e sfortunato, però ho capito che stavo per morire….se c'è qualcosa che ancora capisco è che rivoglio la mia vita indietro"




Indice bibliografico

Annibaldi Cantelli F., La quiete sotto la pelle, Milano, 1996
Bertolini P., Per una pedagogia del ragazzo difficile, Ed. Malipiero, Bologna, 1965
Demetrio D., Educatori di professione. Pedagogia e didattica del cambiamento nei servizi extrascolastici, Ed. La Nuova Italia, Firenze, 2000
Henck P.J., Van Belsen G., Il colloquio di motivazione con i tossicodipendenti, Ed. Erikson, Trento, 1994
Miller W. Rollnick S., Aspetti metodologici, in "Il colloquio di motivazione", Ed. Erikson, Trento, 1994
Mucchielli R., Apprendere il Counseling, Ed. Erikson, Trento, 1998
Mucchielli R., I metodi attivi per la pedagogia degli adulti, Ed. ESF, Parigi, 1984
O.M.S. 1995, Linee guida sul Counseling, commento a cura di Bravi E., Rossi A., Ed. La Grafica,
Verona, 1999

Riboldi F., Il rapporto professionale con i tossicodipendenti, in "Prospettive sociali e sanitarie", n°9, 1996
Rigliano P., Come aiutarmi? Chi mi aiuta ad aiutarmi? Le pratiche di autoaiuto nelle tossicodipendenze, in "Animazione sociale", n°4, 1999
Szasz T.S., Il mito della droga, Ed. Feltrinelli, Milano, 1977
Viberti P.G., Oltre il Duemila, Ed. Agorà, Torino, 2003

Indice

1 Breve presentazione della struttura
2 Analizzando il fenomeno droga
3 Definire la Comunità
4 Regole del vivere collettivo
5 Voler crescere cambiando
6 Educare alla responsabilità ed aprirsi
all'altro
7 Arginare il vivido presente
8 Orientamenti educativi nel contesto
comunitario
9 L'utilità del Counseling in un contesto
di tossicodipendenza
10 Solo cinque storie anonime ma non
troppo

 

Giusy Rao,
e-mail: raogiusy@yaho.it


 

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