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Il Lunario dell'Osteria
di Enzo Nocera



    Per il viandante della storia che volesse conoscere quel che c'era dentro lo stomaco pietroso del'antico Molise questa è l'opera più affascinante che possa incontrare per sentirne il morso, fagocitandone il naspro con gli occhi famelici, afferrando i mercanti del borgo vecchio per il bavero e rapirli della loro felicità! fortuna, esperienza. Piccola grande storia di uomini pregni di scatto e di fuoco è questa di Nocera, di uomini persi dal volto lupino, che par muggiscano, abbandonando le masserie con l'aratro! trascinando con i buoi il carro delle proprie ossa. Eppoi, dopo qualche pagina, il risveglio, appena hai bevuto, senti che a tutte le femmine corche tra i cesti di verza le potresti afferrare il naso adunco e baciarle! assaggiando il gusto di quei denti arroventati su le fornacelle di Nonna Marietta ricolmi di spezie.
    Bassorilievo di odori, sapori, pietanze divine e sacre visioni, il romanzo ti prende; senti il cociore melanconico per le due figlie dell'ostessa, che, pur non giovani, sperano ancora di strapazzar le guance sul corredo dell'invano matrimonio; e tu sei lì, sulla pagina e speri per loro, desideri, quasi che con la virtualità del tempo e della immaginazione tu davvero potresti fare qualche cosa. Il Lunario del'Osteria è un sortilegio narrativo, una specie di magia della atemporalità, facile pure che ti prenda con il suo laccio ti trascini in un volar di giorni a capofitto portandoti da quella odorosa cucina di Boiano alla favola storica altrettanto stracolma di meraviglie della grande letteratura dell'ottocecento "Il Castello di Fratta" di nievana memoria. Se ne respirano le stesse corrispondenze semantiche ed anche i molti parallelismi narrativi salvo che al cerimonioso matrimonio dello zingaro in Enzo Nocera corrisponda l'arrivo di Napoleone Bonaparte in Ippolito Nievo. Ma questa è una esagerazione di cui è colpevole solo la Storia!
    Originale è l'impianto narrativo. Controcorrente. Protagonista del romanzo non è un uomo, ma una osteria! con tutti i suoi forchettoni, i fornelli, gli otri; i legumi, le verdure, le ricette, i santi del calendario, e poi le pentole di rame alle pareti che requisite dalla guerra lasciano impronte a forma d'occhi strappati.
   Lo stile è impeccabile, senza sbavature, inarreso, tra cronaca e meraviglia, si inerpica talvolta in crioscopici fuochi di giostra con parole dense tratte dal dialetto, ricoperte dello stesso companatico umano di paura e carne tratte dalla storia .
    Romanzo intenso, circolare, che si ricongiunge al principio ed alla fine dell'anno sabbatico dei ricordi. Chiude la iperbole esistenziale, il bimbo narratore, con l'addio all'infanzia, i pantaloncini corti divenuti troppo corti. Lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale che precorre la totale tragedia, la morte dell'Osteria e di Nonna Marietta, con quel moscone che resta solo a ronzare accanto al fuoco quasi a rammentare il grido forastiero della morte. (E. C.)
 
 

 


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