L’Arte della Comunicazione

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Mi si chiede di dare maggiori delucidazioni sul corso di Comunicazione che ho il piacere di tenere da più di tre anni presso la Prodest in Largo di Torre Argentina 11 a Roma. Intanto, è più facile dire che cosa non è: non è un corso di recitazione; non è un corso di fonetica; non è un corso di dizione; almeno, non è solo questo. Amo partire dal presupposto che voce e linguaggio siano un binomio inscindibile al pari di uno strumento musicale e di uno spartito di note. Le prime sette lezioni del corso sono mirate sulla voce: dobbiamo capire quali sono le sue potenzialità e tentare per quanto è possibile di attuarle grazie ad una respirazione e ad un’impostazione corrette. In secondo luogo, proprio come si fa con uno strumento a fiato, è necessario accordare la voce secondo i suoni corretti delle vocali e delle consonanti (fonetica) e della giusta pronuncia (ortoepia). Tuttavia, ciò che assume maggiore importanza in questa prima fase, a meno di non voler diventare professionisti del microfono, non è tanto la fonetica quanto l’articolazione, ovvero la capacità di rendere perfettamente chiare e nitide le sillabe che costituiscono le parole. In fondo, l’italiano, come qualsiasi altra lingua del globo, si può parlare come si vuole, l’importante è farsi capire.
Le ultime cinque lezioni del corso riguardano la partitura, ovvero il linguaggio. Dai suoni si passa alle intonazioni. Suoniamo (leggiamo) secondo i vari spartiti che ci vengono sottoposti, con una particolare attenzione alla punteggiatura che correda il testo e che connota lo stile dello scrivente. Ad ogni segno d’interpunzione corrisponde una particolare intonazione della voce e seguendo la cadenza della punteggiatura capiamo quale debba essere il ritmo logico di lettura. Non basta, dobbiamo conoscere a fondo il nostro strumento per poterlo suonare al suo massimo livello e con l’interpretazione dei brani classici (Manzoni, Verga, Pirandello) e delle poesie impariamo a giocare con le vibrazioni, i passaggi di tono, le coloriture di voce. È quanto ci serve per applicare le tecniche di comunicazione. Non si nasce oratori. Parlare in pubblico è una tecnica, un insieme di regole di comportamento, grazie alle quali c’impadroniremo delle capacità di servirci della lingua con i suoi poteri di suggestione e di evocare emozioni per convincere qualsiasi ascoltatore della bontà delle nostre asserzioni.
Questo è il corso, v’interessa?
Alberto Lori

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Ecco uno stralcio di “Parlar chiaro” tratto dal primo capitolo:

La voce
il nostro biglietto
di presentazione

Nei pochi minuti che precedono l’ingresso sul podio del direttore d’orchestra, gli strumenti, siano essi a fiato o ad archi, a percussione o a corde, traggono per sé un momento di assoluta individualità per mettere a punto l’accordatura delle note. È un breve lasso di tempo, di apparente anarchia cacofonica, che si conclude allorché il direttore richiama l’attenzione degli orchestrali con un paio di colpi di bacchetta sul leggio. Subentra allora, immediato, il silenzio. Da quest’istante in poi, con l’ouverture, i suoni dei singoli strumenti si armonizzeranno nell’unica possente voce dell’orchestra sinfonica.
Questa breve digressione di carattere squisitamente musicale introduce il primo argomento in scaletta: la voce. Se ci fate caso, è la componente in un certo senso più affascinante, forse anche la più misteriosa del nostro essere vitali. È immateriale, eppure nasce dalla materialità del nostro corpo. È la colonna sonora che accompagna i nostri pensieri e le nostre passioni. Tuttavia, è anche uno strumento musicale, uno strumento a fiato per la precisione, che ha bisogno di essere accordato per rendere al meglio delle sue potenzialità. Coloro che se ne intendono definiscono fonazione il complesso di suoni prodotti dalla laringe (1), con il contributo della respirazione e di quelle sofisticate casse di risonanza che sono le cavità nasali e la bocca con i suoi organi interni. In particolare, la voce, intesa come suono prodotto dalle corde vocali (2), concorre alla produzione dei fonemi: vocali e consonanti
Tecnicamente, sia pure in maniera esemplificata, il processo avviene in questo modo: in fase d’inspirazione l’aria passa senza impedimenti attraverso la laringe e va a riempire i polmoni fino al diaframma (3), facendolo abbassare. Nella fase d’espirazione il fiato inalato, spinto dal diaframma come se fosse lo stantuffo di una siringa, ripercorre il cammino a ritroso attraverso il condotto laringeo. Sospinto verso l’alto, il flusso d’aria trova ostacolo nelle corde vocali chiuse. La forza del mantice polmonare, combinata alla spinta diaframmatica e dei muscoli addominali, pone il flusso nelle condizioni di aprirsi la strada attraverso le corde vocali, che si socchiudono entrando in vibrazione. Il suono prodotto, nella risalita attraverso la faringe, viene indirizzato dal velo pendulo o verso le fosse nasali o verso la bocca.
Se il suono scaturisce senza impedimenti di sorta nell’apparato fonatorio, quel suono sarà sicuramente una vocale. Se, all’opposto, l’aria espirata trova ostacolo nei meccanismi di fonazione, il rumore articolato sarà quello di una consonante. L’articolazione della B o della P, tanto per fare un esempio, avviene grazie all’occlusione del fiato per opera delle labbra, seguite da una piccola esplosione delle labbra stesse nel momento della riapertura. Ecco perché, secondo la definizione data dai linguisti, la B e la P sono considerate consonanti occlusive bilabiali esplosive. La F è il prodotto dell’aria sotto pressione, che ostruisce parzialmente il tubo fonatorio, ed è perciò detta consonante fricativa (dal latino fricatus che significa strofinato). La Z, sorda o sonora secondo l’articolazione, è frutto di una lieve frizione dell’aria sui denti chiusi perciò è detta, in entrambi i casi, affricata dentale. La V, invece, è definita fricativa labiodentale perché il rumore prodotto dalla sua articolazione nasce dallo strofinamento dell’aria tra il labbro inferiore e i denti superiori.
N.B. Qualcuno, leggendo il mio precedente libro Speaker: la comunicazione verbale, nell’osservare gli schemi dei suoni delle vocali e delle consonanti, ha obiettato che, almeno dal punto di vista della grafia, i segni dell’alfabeto italiano non sono 21, come sanno i bambini delle elementari, ma 26 perché ormai sono molte le parole in uso che contengono lettere come la K (karatè), la J (Ajaccio), la X (taxi), la Y (yogurt) e la W (watt). Troppo giusto ed ecco quindi gli schemi base dei suoni delle vocali e delle consonanti adeguati ai tempi moderni.
Se andiamo ad approfondire il fenomeno della fonazione, ci rendiamo conto di un primo aspetto basilare nel processo di formazione dei suoni. Le condizioni ottimali per l’emissione del suono non dipendono tanto dalla respirazione, quanto dalla correttezza dell’atto respiratorio. Intanto, mi pare evidente un primo aspetto: se non c’è respirazione, non può esistere neppure il suono. È un’asserzione di un’ovvietà sconcertante, lo ammetto, sperimentabile con qualunque strumento a fiato: se non ci soffiate dentro, non ne ricaverete alcun suono. Il problema, tuttavia, non è quello di produrre un suono, ma di produrre un suono corretto. Non vogliamo presentarci davanti ai nostri interlocutori con una voce fievole, insicura, tremolante oppure velata, rauca, accompagnata da pruriti, bruciori e vari doloretti di gola, tutti effetti determinati da una cattiva respirazione al servizio dell’emissione dei suoni.
Abbiamo già visto nel precedente volume come a ciascuna delle attività dell’uomo corrisponda un tipo di respirazione che le è congeniale. Abbiamo inoltre riconosciuto che, per leggere come per parlare usufruendo dell’intera gamma di toni e coloriture di una voce ben impostata, è indispensabile una respirazione pacata, senza forzature, profonda fino al livello del diaframma (4).
La respirazione è essenzialmente di due tipi:
Ø toracica (o costale): l’aumento o la diminuzione della pressione all’interno dell’intero apparato respiratorio sono prodotti dall’azione dinamica delle costole e dello sterno;
Ø diaframmatica (o addominale): la respirazione si attua combinando contrazioni o decontrazioni del diaframma e dei muscoli dell’addome.
È opinione comune che le donne respirino con il torace (più spesso soltanto con la parte alta dei polmoni) e gli uomini con l’addome. In realtà, è più giusto affermare che le prime respirano in prevalenza con il torace, mentre i secondi in prevalenza con l’addome. Tuttavia, per una più corretta funzione respiratoria sarebbe necessario, per le une come per gli altri, impiegare la cosiddetta respirazione combinata, determinata dall’abbinamento di entrambe le forme di respirazione.
Uno dei miei primi allievi, un insegnante di storia, mi domandò per quale ragione, dopo pochi minuti dall’inizio della lezione in classe, la sua voce tendesse a velarsi, per poi rompersi fino a sconfinare nella raucedine. Era forse a causa dello stress, dell’ansia che lo pervadeva? No, gli risposi, le sue disfonie (5) erano causate dalla respirazione scorretta e dal conseguente mancato coordinamento tra suono e respiro.
Se mancano la spinta diaframmatica e quella dei muscoli addominali e se in più la respirazione è apicale, cioè coinvolge soltanto la parte alta dei polmoni, il flusso d’aria inviato verso la bocca troverà difficoltà a fare entrare in vibrazione le corde vocali. Dovranno allora intervenire in aiuto i muscoli laringei, i quali, costretti a compiere un lavoro che non gli compete, si affaticheranno con le conseguenze del caso: velatura della voce, raucedine, senso di bruciore alla gola e via dicendo. Tutto ciò avviene perché manca il supporto indispensabile del diaframma e dei muscoli dell’addome.
N.B.: quanto sia importante la cintura muscolare addominale è rivelato anche dal fatto che, intervenendo manualmente su di essa nel caso di un individuo musicalmente stonato, e aiutandolo nell’atto respiratorio, si ottiene l’immediata correzione della condotta stonata. L’essere intonati dipende non tanto dall’orecchio quanto (sic!) dal tono muscolare che può essere modificato con esercizi fisici e vocali.
Una volta messo a punto il mantice diaframmatico-polmonare che fornirà l’aria necessaria per l’emissione di suoni, l’altro aspetto da esaminare riguarda le caratteristiche basilari della voce. Esse sono:
Ø l’intensità: la sonorità del suono, data dal volume in relazione al fiato emesso in fase d’espirazione ed espresso dalla potenza del mantice polmonare. L’intensità è data, inoltre, dal grado di forza emozionale che le parole riescono a trasmettere;
Ø l’altezza: dipende dalla tensione delle corde vocali. Al variare della tensione si modifica lo spessore delle corde. Tanto più corta e sottile è la corda vocale, tanto più acuto è il suono emesso;
Ø il timbro: la qualità del suono. È il nostro biglietto di presentazione nel momento in cui s’interagisce con un interlocutore, il quale si accorgerà subito se la nostra voce possiede quelle caratteristiche che la rendono espressiva e modulata oppure se è fastidiosa e monocorde.
N.B.: in ambito lirico, in base alla caratteristica dell’altezza si distinguono le voci femminili di soprano, mezzosoprano, contralto, quelle maschili di tenore, baritono e basso, in ordine di tonalità decrescente. Questi criteri standard sono applicabili anche alle voci normali (non di cantanti, cioè). I primi alle voci femminili, i secondi a quelle maschili con tutte le sfumature e le variazioni che possono esservi.
Esistono diversi timbri di voce che, se da un lato possono rendere riconoscibili una persona o il suo stato d’animo, dall’altro, variandoli, sono in grado di caratterizzare, coinvolgendo emotivamente l’ascoltatore, qualunque discorso.
Ø timbro di testa: la voce che si alza di tono è resa acuta ed ha come cassa di risonanza parte del cranio. Di norma la voce di testa entra in funzione nelle discussioni concitate e gridate. È ovvio che chi possiede come dominante il timbro acuto, rischia, nell’utilizzare registri di voce più alti, di diventare all’orecchio altrui sgradevolmente stridulo;
Ø timbro di naso: si usa normalmente nel pronunciare la M, la N, il GN. Tuttavia, in chi è raffreddato o ha le adenoidi, tutta la gamma delle consonanti risuona come fosse nasale. Ciò è dovuto al velopendulo che non si solleva per chiudere il passaggio dell’aria-suono nel naso;
Ø timbro di gola: il giusto equilibrio tra faringe (6), naso e bocca consente la corretta emissione dei suoni. Se è preponderante l’aspetto faringeo a svantaggio degli altri due organi, il suono che ne scaturirà sarà eccessivamente “ingolato”;
Ø timbro di petto: è la voce sana per eccellenza. Per nulla affaticante è la voce giusta dai toni gravi. Perché vi rendiate conto della corretta impostazione, è sufficiente poggiare il palmo della mano all’altezza dello sterno. Poiché la voce di petto è quella che possiede maggiore risonanza, dovreste, attraverso di esso, sentirne le vibrazioni.
N.B.: il timbro grave di un uomo non ha alcun riferimento con la virilità. Il fatto che durante la pubertà nei maschi la voce cambi, mentre nelle ragazze resti sostanzialmente acuta, è un fenomeno dovuto all’ampliarsi della laringe, al formarsi del cosiddetto pomo d’Adamo e al progressivo abbassarsi della laringe stessa.
Mi spiace deludere qualcuno, ma la scienza ha provato, senza alcuna possibilità di dubbio, l’infondatezza della credenza secondo la quale a timbri dai toni profondi e seducenti corrispondano maschi vigorosi, aitanti e virili. Non è neppure vero che una voce femminile dolcemente arrochita e suadente debba per forza appartenere ad una donzella sessualmente disponibile.
Per verificare che la nostra voce sia correttamente impostata, Corrado Veneziano, noto insegnante di dizione che collabora fra l’altro con l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica di Roma, suggerisce (7) di emettere un qualsiasi suono nasalizzato, concentrandosi sulle proprie narici, per esempio vocalizzare a bocca chiusa il suono “hmh-hmh”. Tenete una mano sul naso, mentre provate. Se il vostro timbro vocale è corretto, avrete la prova del coinvolgimento diretto del naso nell’emissione del suono “hmh-hmh”.
Giunti a questo punto ci si può ragionevolmente domandare: quali sono i requisiti perché una voce possa definirsi “fonogenica”, cioè buona, accettabile?
Qualunque sia la nostra professione, soprattutto se impieghiamo la comunicazione verbale per insegnare, spiegare, informare, difendere, arringare, convincere, intrattenere, divertire, affascinare, sedurre, dobbiamo poter contare su una voce piena, corposa, sicura, quindi né flebile né tremolante, né, tanto meno, acuta o stridula.
Impostare la propria voce significa riuscire ad ottenere la sonorità migliore senza particolari sforzi. Se abbiamo imparato bene a coordinare il binomio aria-suono e il colore della nostra voce è in prevalenza grave, a meno di non possedere difetti di articolazione, siamo già ad un passo dalla meta. Se, all’opposto, crediamo di averne, esistono esercizi specifici di ortofonia (8), che ci aiuteranno a superare quelle manchevolezze che caratterizzano in modo negativo la nostra voce.
Consigli pratici
Se riteniamo che la nostra voce non risponda ai requisiti di base, non preoccupiamoci più di tanto. Esistono esercizi di ortofonia che fanno al caso nostro. Ripetiamoli più volte durante il giorno con una certa assiduità. Cambiare la qualità della nostra voce richiede molto lavoro e allenamento costante. Ricordiamoci che soltanto con la costanza, la perseveranza, la tenacia, riusciremo ad ottenere i risultati che auspichiamo.
Per esempio: se si vuole dare maggiore forza alla voce perché si teme che sia debole e insicura, uno degli esercizi più efficaci è quello di sistemarsi davanti ad uno specchio ed osservare con attenzione il comportamento della bocca mentre si emettono separati i suoni relativi alle vocali, ricordando che le vocali dal punto di vista fonetico sono sette e non cinque:


ààààààààààààààààà
ééééééééééééééééé
èèèèèèèèèèèèèèèèè
ííííííííííííííííííííííííííííííííííí
óóóóóóóóóóóóóóóóó
òòòòòòòòòòòòòòòòò
úúúúúúúúúúúúúúúúúúú
Adesso leghiamo insieme i suoni delle vocali in un’unica emissione di fiato:
aaaa-éééé-èèèè-iiii-óóóó-òòòò-uuuu


Cercate come prima volta di mantenere la medesima intensità per tutta la durata dell’emissione. L’esercizio deve essere ripetuto più volte.
Qualora riteniate di essere riusciti a controllare la vostra voce senza eccessivi tremolii, provatevi ad articolare i sette suoni delle vocali, aumentando e diminuendo il volume dei suoni, sempre utilizzando un’unica presa di fiato.
Se si vuole correggere una voce troppo acuta, suggerisco quest’altro esercizio: inspirate col naso ed espirate a bocca aperta in profondità e lentamente. Quando avrete preso un certo ritmo, in fase d’espirazione riproducete un suono vocale senza far uso della laringe. In altre parole, cercate di emettere un suono come se foste particolarmente spossati, estenuati addirittura. Otterrete così un suono bassissimo:
a a a a a a a a
Quando avrete ottenuto l’espirazione sonora nei suoni bassi, provate a pronunciare una parola intera, sillaba per sillaba, facendo attenzione che ogni sillaba abbia una diversa inspirazione ed espirazione.
pre-ci-pi-te-vo-lis-si-me-vol-men-te
Quando sarete riusciti a pronunciare nei toni bassi e sillaba per sillaba una qualsivoglia parola, provate a prendere un brano da un libro, un racconto, una poesia e leggeteli nelle medesime condizioni, cioè sillaba per sillaba, tenendo presente che ciascuna sillaba deve corrispondere ad un’espirazione sonora. Fate la prova con questo brano poetico (si fa per dire!) tratto da un romanzo di Lovecraft.


“…tro.vam.mo quei gra.di.ni di pie.tra get.ta.ti
ver.so un an.tro sbar.ra.to da una la.stra as.sai for.te
che for.se ser.ra.va un o.scu.ro ri.fu.gio di mor.te
do.ve era.no rac.chiu.si an.ti.chi se.gre.ti e graf.fi.ti.
La stra.da ci a.prim.mo…
Ma at.ter.ri.ti do.vem.mo fug.gi.re
quan.do u.dim.mo dal bas.so
quei pas.si pe.san.ti sa.li.re.”


Un consiglio amichevole: quando effettuate questi esercizi di rinforzo della voce, premuratevi di avvertire i vostri familiari. I risultati potrebbero essere inquietanti, specie se fatti nel cuore della notte e senza preavviso.
È evidente che in caso di alterazioni più gravi del linguaggio, tipo blesità [disfonie consistenti nella sostituzione, deformazione o soppressione di una o più consonanti, le più comuni delle quali sono il rotacismo (9) e il sigmatismo(10)] o, peggio, di balbuzie, vere e proprie dislalie, sarà meglio ricorrere a un logopedista, un medico foniatra specializzato nella riabilitazione del linguaggio, che sarà in grado di prestare l’aiuto che serve con esercizi ancor più specifici e mirati.


1) Anatomicamente la laringe è un organo dell’apparato respiratorio deputato da un lato alla fonazione, dall’altro, agendo come una saracinesca, alla separazione tra la via aerea e quella digestiva. È costituita da varie parti cartilaginee e fibrose, tra le quali le corde vocali.
2) Le corde vocali, tanto importanti nel processo di fonazione, sono lamine muscolari che al passaggio dell’aria espirata vibrano producendo il suono. Negli uomini la lunghezza media delle corde vocali è da 2 a 2,5 cm, nelle donne da 1,5 a 2 cm. Nell’uomo, inoltre, le lamine sono più spesse che nella donna ed è per questi motivi che la voce maschile è più grave di quella femminile.
3) Il diaframma è uno dei più importanti muscoli respiratori. È una membrana muscolare tesa alla base del torace e si presenta sotto forma di cupola. Se abbiamo contratto la cattiva abitudine di respirare male, riempiendo solo la parte alta dei polmoni, ci accorgiamo della sua esistenza quando ridiamo a crepapelle, quando abbiamo il singhiozzo oppure quando sbadigliamo a rischio di slogatura di mascelle.
4) Per ciò che concerne le diverse tecniche riguardanti la respirazione, sia come tecnica di rilassamento che come tecnica utile alla distribuzione ottimale dei fiati nella lettura, vedi Speaker, la comunicazione verbale, pagg. 15-17.
5) Disturbi della fonazione.
6) La faringe è un condotto membrano-muscolare a forma d’imbuto, posto dietro le fosse nasali e la cavità buccale. In conformità ad esse è un organo di risonanza, un amplificatore di suoni.
7) Vedi Manuale di dizione, voce e respirazione, edito da Besa, Nardò (Le) 1998.
8) Ortofonia, dal greco ortós che significa “conforme alla norma” e foné che significa “voce”. In linguistica è la corretta pronuncia di una lingua, mentre in medicina è la capacità di correggere con l’ausilio di alcuni esercizi specifici i difetti della voce e dell’articolazione.
9) Assenza o pronuncia difettosa della “R” (tle clavatte tlenta eulo).
10) Alterata pronuncia della “S”, difetto caratteristico per esempio della parlata di Gatto Silvestro.