Appunto di Giuseppe Bastianini
per Mussolini
sul nuovo ordine dell'Europa
e del mondo

aprile 1943

 

L'accenno alla salvaguardia dei reciproci interessi e alla collaborazione europea - contenuto nel comunicato emesso dopo la visita a Roma del Ministro von Ribbentrop - ha avuto una notevole risonanza in tutti i Paesi d'Europa. Era un accenno assai vago, eppure esso è stato ansiosamente raccolto, poiché in esso è sembrato di intravvedere finalmente un elemento di chiarificazione nella politica delle Potenze dell'Asse, una prima formulazione, sia pure generica, negli intendimenti di queste Potenze a prendere in considerazione per la futura sistemazione dell'Europa non solo i proprî interessi, ma anche quelli dei loro minori alleati, dei paesi neutri, e degli scarsi paesi nemici, i quali un giorno dovranno pure collaborare alla ricostruzione della nostra società civile. Noi abbiamo avuto la prova in questa occasione di quale vitale importanza sia il problema che il Duce ha sollevato nei suoi colloqui con il signor von Ribbentrop, quale alto e urgente interesse noi abbiamo a uscire dalle formule troppo complesse o troppo astratte con le quali noi abbiamo finora indicati i nostri scopi di guerra, per definire poi concretamente una politica, nella quale i popoli europei possano trovare una base di orientamento, e una certa assicurazione per quelli che saranno nell'avvenire i loro destini.
Di queste necessità si è fatto interprete anche il signor de Rollny nei colloquî che egli ha avuto di recente con il Duce, nel corso dei quali egli ha invocato una parola chiarificatrice che serva a dare un indirizzo politico alla guerra che i popoli stanno combattendo in questo momento. Una parola, egli ha detto, che serva per i grandi come per i piccoli Paesi alleati o neutri o nemici. La stessa invocazione ci è giunta da Bucarest.
E non è una invocazione diretta ad ottenere da noi alcune specifiche assicurazioni per determinati problemi di carattere locale, ma fa sí che la Germania e l'Italia traccino le linee generali di una politica, segnino una strada da seguire, oppongano a quelle che sono le formulazioni dei nostri avversari un programma politico, che valga a dimostrare come sia nelle intenzioni dell'Italia e della Germania di dare all'Europa non già una sistemazione che consista nella pura e semplice sopraffazione degli interessi delle Potenze dell'Asse su quelli degli altri popoli, ma che nel quadro di un ordine nuovo dia la garanzia che gli Stati minori potranno far valere i diritti della loro indipendenza e gli interessi della loro individualità nazionale.
Di questo particolarmente essi sono ansiosi. Ciascuno di essi ha alcuni specifici interessi da salvaguardare. Ma tutti - alleati, neutri, nemici - ne hanno uno in comune ed è l'interesse generale degli Stati minori ad un regime internazionale che garantisca la loro preservazione, interesse che essi riconoscono non solo per se stessi, ma in genere per tutti i piccoli Stati i quali, pure se divisi da loro questioni particolari, tutti si sentono uniti in quella solidarietà che lega sempre i piú deboli di fronte ai piú forti.
Questo regime internazionale è quello che noi dobbiamo definire a formulare per dare un contenuto concreto a quel concetto che è stato accennato nel comunicato di Roma, e una interpretazione a quella nostra formula dell'ordine nuovo, che finora, nell'assenza di ogni chiarimento e assicurazione da parte nostra, è stata a poco a poco interpretata come una nuova veste del vecchio concetto dell'egemonia assoluta, in opposizione a quella concezione di autonomia, di indipendenza, di collaborazione di tutti i popoli che è espressa nella Carta Atlantica.
Noi sappiamo benissimo che nella Carta Atlantica si cela la politica imperialista ed egemonica degli Stati nostri avversari. Ma non possiamo per questo negare la portata psicologica di quel documento, al quale finora noi non abbiamo opposto assolutamente nulla. Non possiamo negare che finora non abbiamo dato nessuna formulazione alle linee direttrici della nostra politica. Non possiamo negare che l'ansia con la quale tutti i popoli considerano l'incertezza dei loro destini, anzitutto per quello che riguarda la propria indipendenza, non ha trovato in noi alcuna rispondenza.
Diverso è stato l'atteggiamento del nostro alleato di Estremo Oriente. Il Giappone ha conquistato in Asia territori immensi, e a mano a mano che ha slargato la sua sfera di azione, ha avuto cura di dar forma politica a questa sua azione. Esso non ha rinunciato a nessuno degli scopi per i quali ha preso le armi. Ma, perseguendoli, ha trovato modo di cointeressare a questi scopi le popolazioni dei territori che esso ha conquistati. Esso sta operando in Asia sopra un piano imperiale nel quale viene non negata, ma sfruttata a vantaggio del Giappone quella che è sempre e dovunque la maggiore aspirazione di ogni popolo, e cioè la propria indipendenza, della quale esso si proclama garante e tutore.
Noi ci troviamo in Europa di fronte a problemi indubbiamente diversi da quelli di fronte ai quali si trova il Giappone. Ma è certo che il Giappone ha dato ai suoi problemi una impostazione politica, noi ancora no. Il risultato è che in Asia "l'ordine nuovo" ha già preso una certa forma, in Europa non ne ha ancora presa nessuna.
Gli Stati d'Europa - gli stessi nostri alleati per non dire dei neutri ed i nostri nemici - non sanno ancora minimamente su quali principî noi vorremmo impostare la sistemazione dell'Europa futura. E con questo, dove piú abbiamo bisogno di sicurezza e di tranquillità - là abbiamo maggiore inquietudine. Ora è certo che noi non possiamo rimuovere tutte le cause di questa inquietudine. Non possiamo, per esempio, fissare le frontiere, che è quello che molti Stati desidererebbero all'incirca di conoscere. Se oggi noi ci mettessimo per esempio a stabilire sia pure sommariamente i futuri limiti degli Stati Balcanici, solleveremmo il malcontento di tutti e aizzeremmo contro di noi quella inquietudine che è nostro interesse calmare. Ma non vi è ragione di giungere a tanto. Vi sono formule generali che per il momento sono piú che sufficienti al nostro scopo. Due punti dopo tutto, interessano i piccoli Stati:

1) l'assicurazione che noi rispetteremo la loro indipendenza, o la restaureremo al termine della guerra;
2) l'assicurazione che quello che noi instaureremo al termine della guerra non sarà un regime di sopraffazione delle loro individualità nazionali, ma un regime di collaborazione.

Questi due principî noi abbiamo molto piú dei nostri avversari la possibilità di inserirli nel quadro dei nostri scopi di guerra, per due fondamentali ragioni:

1) perché i nostri avversari sono oberati dal peso della loro alleanza con il bolscevismo, che rappresenta di per sé stesso una minaccia alla effettiva indipendenza politica degli Stati;
2) perché la nostra guerra, come Voi Duce avete sempre affermato, ha avuto come primo movente e come essenziale motivo ideale, la distruzione di un ordine di cose iniquo e, come suo scopo quello di una piú giusta redistribuzione della ricchezza del mondo che è la necessaria premessa di un regime di collaborazione.

Due lotte poi stiamo conducendo: una contro il bolscevismo e l'altra contro l'imperialismo britannico e americano. Per la prima noi abbiamo bisogno di far leva sullo spirito nazionale dei popoli. Per la seconda sull'aspirazione di questi popoli di un maggiore benessere.
Non possiamo chiedere ai popoli che essi lottino contro il bolscevismo e nello stesso tempo privarli di ogni garanzia sul loro destino come Nazioni. L'esperienza insegna che la maggiore resistenza alle idee comuniste è stata sempre data dallo spirito nazionale, dall'attaccamento che i popoli hanno alle loro tradizioni, all'istinto di difesa che essi sviluppano contro chi attenta alla vita e alla continuità della loro storia nazionale. Noi stessi abbiamo fatto questa esperienza nel periodo 1919-22, quando abbiamo abbattuto il bolscevismo italiano in nome degli ideali e degli interessi della Nazione. Se nei Paesi occupati oggi il comunismo ha una presa cosí forte, questo avviene perché i comunisti sono andati assorbendo, per cosí dire, lo spirito di indipendenza di quei popoli. Il comunismo si presenta in quei Paesi nel duplice aspetto di un movimento sociale e di un movimento nazionale. Alza insieme la bandiera dell'indipendenza e della rivoluzione, come fece il liberalismo in Italia e in Germania nel secolo XIX. È nostro interesse separare queste due cause e opporre l'una all'altra. È nostro interesse attirare a noi gli elementi che simpatizzano e favoriscono i comunisti solo in quanto ritengono che essi siano uno strumento nella lotta per l'indipendenza. Questo non possiamo fare che dando loro la sicurezza che tale indipendenza sarà restaurata. Quando avremo fatto questo avremo separato gli interessi nazionalisti da quelli comunisti, e nei Paesi occupati avremo almeno due correnti, due idee, due forze motrici che si contenderanno la prevalenza. Ma fino a quando non avremo operato una tale divisione, queste forze tenderanno a unificarsi contro di noi, e noi stessi avremo facilitato i nostri avversari a superare le loro difficoltà, che oggi sono gravissime per l'opposizione intima che divide il programma bolscevico della Russia da quello sostanzialmente conservatore dei suoi alleati.
Una volta che noi avremo attratto a noi le correnti nazionali dell'Europa con l'asicurazione che noi rispetteremo le individualità nazionali noi abbiamo tutto un programma politico da offrire all'Europa. Non dobbiamo dimenticare che fascismo e nazionalsocialismo rappresentano due rivoluzioni che nell'ordine interno e nell'ordine internazionale puntano allo stesso obiettivo: quello di assicurare ai popoli una piú alta giustizia. La nostra guerra - come Voi piú volte Duce avete proclamato - ha un significato rivoluzionario. Non è una guerra combattuta per conservare dei privilegi e dei monopoli ma per distruggerli. E che significato avrebbe la formula "ordine nuovo" se la guerra non avesse questo carattere? Ordine nuovo nel campo internazionale e nel campo sociale.
Con le nostre armi noi, facendo crollare il vecchio ordine imperniato sul monopolio economico dei popoli anglosassoni, miriamo ad aprire a tutte le Nazioni la possibilità di una piú equa distribuzione delle risorse del mondo. Con il nostro esempio noi diamo un modello pratico di quelle riforme sociali del quale tutti i popoli possano spontaneamente avvantaggiarsi. Non si tratta di imporre a nessuno con le armi il regime fascista o nazionalsocialista, ma noi abbiamo dei principî e delle idee che le masse lavoratrici degli altri paesi hanno un proprio e spontaneo interesse a far valere.
Se il problema è impostato cosí noi possiamo benissimo pronunciarci in favore di alcuni principî generali. E tra questi:

1) il riconoscimento del diritto che ciascun popolo ha ad organizzarsi e governarsi a proprio modo;
2) il riconoscimento del diritto che ciascun popolo ha a partecipare a una equa distribuzione delle risorse del mondo;
3) il riconoscimento del diritto che ciascun popolo ha ad una legislazione che assicuri i principi della giustizia sociale a parità di condizioni con gli altri popoli.

Non solo non vi è in questi principî nulla che urti contro gli scopi della guerra che noi combattiamo, ma anzi essi coincidono, come detto piú sopra, con il carattere e il significato della nostra duplice lotta quale Voi Duce, l'avete piú volte definita.
Al bolscevismo che minaccia di travolgere in una marea distruttrice le Nazioni di Europa noi opponiamo la preservazione della individualità di queste Nazioni.
Alla plutocrazia anglo-americana che minaccia di asservire l'Europa agli interessi di una egemonia economica noi opponiamo il concetto di un'equa e libera distribuzione e utilizzazione delle risorse, delle energie produttive, delle vie di comunicazioni del mondo.
Soprattutto con la formulazione di un programma di sistemazione dell'Europa, noi riprendiamo in mano l'iniziativa politica, uscendo da quello stato di passività nel quale il giorno della dichiarazione anglo-americana noi ci siamo sostanzialmente tenuti.