4 novembre. "La Vittoria!"

 

4 novembre 1921. Cerimonia della tumulazione del Milite Ignoto che, da Aquileia, viene condotto a Roma sull'Altare della Patria.
La banda dell'Esercito intona una marcia toccante, eroica, e sulle labbra della immensa folla dei reduci affiora una canzone intensa, energica, guerriera, che colpisce Re Vittorio Emanuele, il quale emozionato domanda a un suo Ministro chi ne sia l'autore, anche perché non gli sembra che questa canzone sia stata cantata dai suoi fanti all'inizio della Grande Guerra.
La canzone è "La leggenda del Piave".
L'autore, Giovanni Gaeta, è un impiegato delle poste di Napoli, noto canzonettista, il quale con lo pseudonimo di E. A. Mario aveva composto molti successi ormai alla moda. Era popolarissimo tra i giovani che sono andati in guerra, gli stessi che ora sono sull'Altare della Patria e cantano.
Per questo quando l'Italia è entrata in guerra nel 1915 i soldati hanno preso a scrivergli, come ad un amico. Gli raccontavano la loro vita, le emozioni, le tragedie della trincea, e chiedevano canzoni. E, lui, Giovanni Gaeta andava a trovarli, al fronte, partendo da Napoli, con i treni postali notturni. Da questo spirito di fratellanza è nata "La leggenda del Piave". Una melodia che della tragedia di quella guerra possiede tutta la tensione. E di quella tragedia questa sera vi racconteremo la storia.

***

28 giugno 1914, a Sarajevo, lo studente serbo Gavrilo Princip uccide l'arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono austriaco. La brace dei rancori che da tempo, l'Europa, nasconde sotto la cenere, riprende le fiamme. L'Austria dichiara guerra alla Serbia
In pochi giorni si scatena la prima guerra mondiale.
Impero Germanico, Asburgico, ed Ottomano contro Russia, Giappone e gli imperi coloniali di Inghilterra e Francia.
L'Italia non entra in guerra accanto all'Austria e all'Ungheria come invece avrebbero previsto gli accordi della Triplice Alleanza, ma coglie l'occasione per fare richiesta all'Austria proprio delle terre irredente: il Trentino e la Venezia Giulia. Vienna rifiuta. Ed il governo italiano gli dichiara guerra, trasformando il conflitto mondiale in una quarta guerra per l'Indipendenza.
E dunque…
Parigi contro Istambul. Londra contro Berlino. Roma contro Vienna. Borghesia dei cafe' sul Reno e sul Danubio contro borghesia dei bistro' sulla Senna, dei pub sul Tamigi e dei bar sul Tevere. Grappa, vino, wiscky, vodka.
Un distillato di popoli si ubriaca di una tragedia mai vista prima. Saranno 4 lunghi anni, con quasi 9 milioni di morti.
La "bella epoque", che ha dato all'occidente trent'anni di pace e' morta per sempre. In Europa si chiude un'epoca.


IL FRONTE D'ATTACCO

La mattina del 24 maggio 1915 il nostro esercito attraversa il Piave.
Lo Stato Maggiore italiano retto da generale Luigi Cadorna promette una facile vittoria, dimenticando che il confine militare italo austriaco è difficilissimo da penetrare ed è lungo ben 450 chilometri. Teatro bellico: i nostri confini nord orientali e soprattutto il Veneto. A ridosso del Trentino: i massicci dell'Ortles Adamello, Grappa, Pasubio. Contro la Venezia Giulia: i 136 km del fiume Isonzo, che scorre interamente in dominio austriaco e sfocia nel golfo di Trieste, toccando Caporetto e Gorizia. Il piano di Cadorna è spezzare il nemico con due veloci colpi. A nord, superare Trento e raggiungere Vienna. A Sud, passando per Gorizia, Lubiana congiungersi all'esercito serbo e prendere l'Austria sul fianco. Un'idea tanto efficace quanto semplice.

PRIMA BATTAGLIA ISONZO

"Il reticolato! Attenti al reticolato!?" questo, il grido che s'alza il 23 giugno 1915 tra gli uomini della 2.a Armata all'attacco su Monte Kuk, le alture di Oslavia, il Podgora. Dietro queste enormi spirali metalliche si cela Gorizia, Trento, Trieste, l'obiettivo militare e politico per cui questa guerra si combatte. Ma è il primo baluardo impossibile. Agli italiani mancano attrezzi, pinze, tenaglie per troncare questo reticolo infinito di ferro ed aprirsi un varco.
La fanteria italiana attacca ancora, di nuovo, e frontalmente la linea austriaca. La 3° Armata insidia il ciglione carsico, tra Sagrado e Monfalcone. Ma tutto è frustrato dalla difficoltà di varcare l'Isonzo. Ed ove questo riesce, ancora ci si ferma per quegli insormontabili fili spinati.
Le artiglierie e poi le mitragliatrici austriache falciano interi reparti. Il 7 luglio, a fine scontri: 1.916 morti, 11.495 feriti, 536 dispersi. E senza che l'esercito italiano abbia raggiunto alcun risultato. Analogo andamento avranno anche tutte le altre offensive sull'Isonzo lanciate nell'arco dei tre anni successivi.
E' incredibile come due barriere così semplici siano impenetrabili, l'una: è un filo d'acqua, l'Isonzo, l'altra: un filo di ferro, il reticolato. Entrambi sottilissimi, ma che la Prima Battaglia voluta da Cadorna non riesce a spezzare. E ci si affoga e ci si impiglia. Dinanzi ad essi si muore.

Questa terribile esperienza della guerra vogliamo raccontarla anche attraverso le parole dei soldati, le lettere di quegli uomini che l'hanno vissuta.

ANCORA FIDUCIA

…Le pallottole fendono l'aria facendo lo gnaulo d'un gatto. Io mi ci diverto, mi pare d'essere nel casotto a caccia di colombacci. - si vanta un tenente di Montepulciano rivolto alla moglie - francamente, di una tale vita ne avevo bisogno, sentivo che mancava in me qualcosa, che finalmente ho trovato in questo rude esercizio dello spirito e delle membra. Per la terza volta mi sono offerto volontario. Con slancio. Lo sai che a cento metri ci sono gli austriaci? Una di queste sere li assalteremo.

Ma altri pensieri affiorano dove il cuore e' più fragile, il battito più profondo. E vi e' l'ansia.

Cara Mamma, ti devo fare una confessione! Se non avessi avuto te mi sarei fatto volontario per il taglio dei reticolati! Ieri nel sorteggio ho sentito un impeto, quello di mostrarmi e chiedere... avrei dovuto, ma non l'ho fatto! …mi e' parso di vedere il tuo volto in lagrime... si, non ho avuto il coraggio! Ti scrivo mentre si attende l'ordine d'avanzare. Questa e' l'ora non posso sottrarmi. Difficilmente tornerò. Muoio tranquillo, di morte gloriosa e onorata per la nostra bella Italia.

AVIAZIONE e D'ANNUNZIO SU TRIESTE

Ma non è solo nelle trincee, nel corpo a corpo, che avviene lo scontro.
Nonostante l'interventismo italiano sia nato sotto l'insegna futurista del "demone della velocità… dei cavalli d'acciaio che si lanciano in volo a galoppo" all'inizio della guerra, l'aviazione italiana si trova in grave svantaggio rispetto a quella nemica, scarsi i materiali, pochissimi i piloti. Resteranno ancora a lungo un sogno le acrobazie nei cieli.
L'Italia ha solo un centinaio di aerei inquadrati nell'esercito, in pratica disarmati. I piloti usano pistola e moschetto per difendersi da terra e dall'aria.
Il costruttore Caproni intanto costruisce un biplano trimotore da combattimento il CA1 che, armato di bombe, compie la prima azione il 20 giugno 1915 sull'aeroporto di Aisovizza. Su cui lancia bombe esplosive ed incendiarie.

Manca ancora una idea strategica. Gli italiani usano gli aerei per impieghi tattici a ridosso della prima linea. Ma D'Annunzio è il primo ad intuire l'uso dell'aviazione come arma di propaganda: il 7 agosto 1915 vola con la sua squadriglia su Trieste lanciando manifestini invece che bombe con i quali si invitano gli abitanti della città a ribellarsi all'oppressore austriaco e solidarizzare con gli italiani.
Il governo di Vienna, ne e' cosi' fortemente seccato da porre sul capo del poeta una taglia di 20.000 corone, una cifra altissima per quei tempi.

LA MARINA

In terra, in cielo, ma anche in mare, si combatte.
Tra l'ottobre ed il dicembre 1915, al comando del Duca degli Abruzzi, la Marina Italiana scriverà una delle pagine più gloriose della sua storia, riuscendo con grave rischio a porre in salvo quel che resta dell'intero esercito serbo, il quale, incalzato dalle forze austro-tedesche e bulgare del generale Mackensen, con una ritirata spettacolare confluisce in Albania.
Qui sono le navi italiane a porlo al sicuro, trasferendolo a Corfù, a Biserta, e in Sardegna.
E' una azione che rende onore alla Marina da Guerra italiana, la quale in modo spericolato riesce a sfuggire alla caccia dei sommergibili di Vienna. I serbi, riequipaggiati, nella primavera del 1916 vengono sbarcati a Salonicco, per ricongiungersi con le forze franco inglesi. Passano cosi' al contrattacco, aiutati - tra l'altro - dai propri partigiani.

1915
16 ottobre 24 novembre
III^ e IV^ Battaglia Isonzo

La terza battaglia dell'Isonzo ha inizio il 16 ottobre con una preparazione di artiglieria di tre giorni, da Caporetto al mare adriatico. La fanteria italiana conquista un crinale di Monte Nero, trincee nel settore di Tolmino, e sotto violenti contrattacchi raggiunge San Martino del Carso. La pioggia cade a dirotto.
La Quarta Battaglia non e' che il proseguimento della terza, con il bel tempo. Sul Podgora e sul Calvario ci si impadronisce di un altro trinceramento. La famosa trincea delle "Frasche" viene espugnata dai sardi della brigata "Sassari" con un attacco alla baionetta.
Ma nessuna conquista ha un senso effettivo. Solo un colle in più, un colle in meno, quattro macerie di case in più, quattro in meno. Tutto è così effimero, provvisorio, mortalmente statico ed aggrappato alle rocce come uno scorpione, un ramarro, un serpe.
Non si riesce ad entrare a Gorizia, che dista un tiro di cannone, figuriamoci sfondare sull'Isonzo ed unirsi ai serbi. Cadorna deve ridimensionare le strategie. Ma anche per i soldati - che raccolgono cenere dal fuoco delle battaglie - è frustrante. Gorizia, Trento, Trieste, ai loro occhi, rimangono ancora delle sconosciute chimere. Irraggiungibili.

***

Nelle prime quattro battaglie dell'Isonzo, tra fine giugno del 1915 e metà novembre, si registrano 62.000 morti, 170.000 feriti; un quarto di tutte le forze mobilitate. Un urto frontale di carne, cervelli, braccia, corpi, e pensieri di uomini contro mitragliatrici.

GLI INTERVENTISTI E FUTURISTI

Ed il numero dei morti crescerà ancora, fino ad oltre seicentomila! Vien da chiederci come mai il popolo italiano accetta così stoicamente così tanti lutti e vi resiste per più di tre anni!?
E' perché, un po' alla volta, l'idea della guerra, almeno la sua accettazione è entrata capillarmente nel cuore del paese.
Un ruolo importantissimo lo hanno avuto gli intellettuali. Perché interventisti non sono solo i nazionalisti, ritenuti la "longa manus" degli industriali, che nella guerra vedono una occasione di affare, ma anche docenti dell'Università, intelligenze libere di assoluto rilievo come Gaetano Salvemini, Giovanni Gentile. O il discusso ma stimatissimo D'Annunzio, che si è arruolato volontario. Interventista è quasi tutta la cultura italiana. Ma se la pacatezza dei professori serve a garantire la borghesia, sono i futuristi, i più sanguigni, a muovere la massa dei giovani, che vedono nella guerra lo scatenarsi delle energie primordiali.
Il loro alfiere Filippo Tommaso Marinetti al grido di "La guerra - sola igiene del mondo! che glorifica le belle idee per cui si muore" esorta i compagni a "lasciar versi, pennelli, scalpelli e orchestre" e dedicarsi alle arti belliche. Mentre Giovanni Papini rende omaggio di benvenuto alla guerra esaltandone il caldo bagno di sangue nero. E molti si arruoleranno volontari, nel Battaglione Ciclisti e Automobilisti. I pittori Severini, Carrà, Depero, Prampolini, Sironi, Balla. Boccioni, richiamato alle armi, vi muore a 34 anni. Con lui Luigi Russolo il creatore della musica futurista, e il genio dell'architettura Antonio Sant'Elia, entrambi caduti in battaglia a soli 28 anni.
La cultura italiana è tutta al fronte. Nessuno si ribella. Vi sono i poeti Giuseppe Ungaretti, Umberto Saba, il futuro premio Nobel Eugenio Montale.
A 27 anni sul Podgora muore Scipio Slataper. Poi ancora moltissimi giovani il cui talento si è smarrito col sangue.

Parto per il fronte con rimpianto.
Scrive un giovane di Firenze La povera anima mia è sola, in tumulto. Non ho nessuna vocazione di morire. In qualunque occasione saprò fare il mio dovere; ma non ho, e non voglio darmi, l'aria di chi va, sorridendo.
Tutto sembra lontano, in questa piovigginosa giornata di settembre. Ho visto che cosa è la guerra, e sì. Certo quando la gridavamo in piazza, eccitati, non si pensava agli orrori della trincea: ne vedevamo solo la gloria luminosa, non la terribile opera.


LA PRIMA VITTORIA DI FRANCESCO BARACCA

Inizia il duello con giri sempre più stretti e vorticosi durante i quali cerca la posizione migliore per sparare. Poi scende a picco. Evita una raffica. E risale subito. Scatti, virate. Difficile valutare con quanti avversari si batta, ma nella mischia non bisogna perderli di vista. Quando eccone il primo a tiro. Fuoco!
7 aprile 1916. È la prima vittoria di Francesco Baracca, presso Gorizia, durante i combattimenti sulla Medeuzza. Il "cavaliere del cielo" partito all'alba con il suo "Neuport Bebé " da 90 Cv abbatte un velivolo austriaco.
E' il primo dei suoi 34 successi.
Promosso Maggiore, per meriti di guerra. Baracca morirà due anni dopo durante la seconda battaglia del Piave, il 19 giugno 1918 mentre difende le nostre posizioni sul Montello, per un colpo di fucile.
E' lui che in qualche modo incarna il tema dell'eroe, quello dell'eroismo: la mistica della "bella morte" cercata e trovata in battaglia. L'immagine di Francesco Baracca, la sua elica al vento e la gloria delle sue imprese, riempirà per più generazioni le pagine dei sussidiari scolastici e dei giornali popolari italiani.
La sua insegna, il cavallino rampante, anni dopo verrà adottata come marchio dalla casa automobilistica Ferrari.
Dopo Baracca, per fortuna l'aviazione italiana e la giostra dei duelli aerei troverà la riscossa in piloti che faranno ancora parlare di sé: Scaroni, Piccio, Ruffo, Cerutti, Ranza, Olivari, Baracchini. Non tutti però berranno il calice della vittoria.

V^ BATTAGLIA ISONZO

La guerra non possiede solo un proprio orrido carnevale fatto di carri, di uomini e di maschere, ma ne possiede anche tutte le strategie di simulazione. La "Quinta Battaglia dell'Isonzo" è una di queste. Infatti non è combattuta per un obiettivo militare vero, essa è solo una azione dimostrativa con l'intento di appoggiare l'offensiva alleata in Francia. Si vorrebbe far credere agli austriaci di condurre un attacco poderoso in grande stile su tutta la Venezia Giulia, sperando che richiamino truppe dal fronte di Verdun.
Gli scontri si accendono fra l'11 ed il 19 marzo 1916, lungo tutto il costone del Tolmino, ritenuto la porta per entrare in Gorizia. La lotta, che si svolge accanita, ottiene alcuni avanzamenti sul Carso, ma non spezza il fronte, né confonde gli austriaci. Ancora una volta non si passa.

Si tenga conto che lo sviluppo delle manovre militari della Prima Guerra Mondiale è profondamente diverso da quelle della Seconda, che è fatta di movimento, grandi avanzate, profondi ripiegamenti. Invece la Prima è in pratica una guerra ferma, con impenetrabili posizioni arroccate e lunghe serpi di trincee da cui sorgono cruenti attacchi corpo a corpo. Il motivo è che gli eserciti della Prima Guerra, rispetto alla Seconda, sono più fortemente dotati di armi di difesa che di offesa. Il fronte si stabilizza lungo alcune linee strategiche che vengono alternativamente conquistate ed abbandonate, senza con questo dare mai una svolta decisiva alla guerra.
La strategia complessiva perciò, su tutti i fronti, diventa una lunga azione di logoramento. Non è essenziale la pur utile conquista del territorio nemico, quanto l'annientamento di tutte le sue risorse umane e materiali.

ALL'ATTACCO

All'attacco! All'attacco!
Corpi abbattuti, con quegli zaini chiusi rovesciati sulle spalle come tanti vagoncini umani deragliati per uno scontro a fuoco sul binario opposto. Uomini contro. Resi uguali nella morte. Ammucchiati. Sfracellati. Sbrecciati. Chi sul fianco, in mucchi solitari di carcasse d'ossa. Chi supino, con gli occhi appoggiati alle pietre. Chi perso in voragini, colme di sacchi di stoffa ancora pieni dell'uomo che fu.

"E giungono i barellieri, apparentemente esperti. E invece faticano a ritrovare i corpi sparsi dei compagni. Alcuni spariti, cancellati, vanificati per sempre.
Ci si adatta a tutto. Come la polvere. Solo quando il nemico attacca, un po' ti viene l'amarezza di non essersi trovati altrove. Pensi alla licenza che ti hanno rifiutato. Al cambio che non è giunto. E li guardi, quegli altri, che ti vengono incontro scagliando inferno e fuoco. Dovresti fuggire ed invece resti lì, nella tua orrenda monotona fossa, pensi che tutto stia per finire...! E tuttavia non si pensa a lei. No. Alla morte. E' lei che pensa a me, e vive per ciascuno dei miei uomini un amore inappagato."

LA GUERRA ALPINA

La Grande Guerra è un conflitto dall'andamento complesso. Non vede solo l'intervento di navi e sommergibili, il debutto in grande stile dell'aviazione, ma fatto ancor più incredibile vede trasformati in campi di battaglia anche luoghi sempre pensati come inaccessibili. Cime delle Alpi. Ghiacciai. Pinnacoli di roccia. Nuovi campi di Battaglia, l'Ortles, l'Adamello. Lo Stelvio, Cima della Grande di Lavaredo. Conca Presena, Passo del Paradiso, Corno di Cavento. Sono nomi che rimarranno impressi per sempre nella memoria di chi ha combattuto, ma anche di chi è rimasto a casa, ad attendere, a sperare.
Non c'è piazza di paese, di città che non ricordi il sacrificio di quegli uomini. Non c'è luogo d'Italia che non conservi questa memoria.

Alpini e Kaiserjager. Italiani e austriaci. Nemici. Con un nemico comune: la neve, il gelo, la montagna stessa.

Anche tra le vette accadono le stesse ingiustificabili carneficine che avvengono sull'Isonzo. L'attacco a Conca Presena, sul Tonale, provoca 87 feriti e 52 morti. Gli austriaci ne avranno soltanto uno.
Fatto ancor più grave, non vi è intesa fra Croce Rossa italiana e austriaca, si spara anche sui soccorsi, aggiungendo altri morti.
Un testimone oculare, padre Atanasio da Grauno, racconta che i poveri alpini a cui diede sepoltura erano neri ed orribili, come intarsiati in quelle bianche distese di neve.

Il rifugio Garibaldi sull'Adamello è uno dei più famosi campi base degli alpini in quota. Medico del rifugio è il famoso dottor Giuseppe Carcano, da quegli uomini lassù, amato come un padre.
Ma ad uccidere non è solo la guerra. Nell'agosto del 1915 un intero plotone della 47.a compagnia viene distrutto da una valanga.

Nei diari degli alpini si parla di fame, di pidocchi, di solitudine.

"…Dopo le grandi nevicate è curioso vedere, da entrambi i lati i soldati che con il badile buttano la neve davanti alla rispettive postazioni e poi la si pesta per indurirla. In alcuni casi la distanza fra le linee è di pochi decine di metri; in questi momenti vi è la tacita intesa che essendo occupati in lavori domestici non ci si spara".

L'equipaggiamento degli alpini è misero. Per molto tempo calzano scarpe di cartone. Le sentinelle devono battere continuamente i piedi per salvarli dal congelamento.

Un alpino scelto scrive ad un amico "Il comandante ci ha chiesto a ciascuno di noi di farci fare un paio di scarpe ciascuno dal calzolaio del nostro paese e lui ne rimborserà il costo con la cassa del Reggimento. E' stato un successo ".

All'inizio il rancio è sempre freddo, ma poi vengono adottate marmitte thermos.

Andare all'attacco con la divisa grigio verde è una carneficina. Solo dopo viene inventato il camicione bianco che si indossa prima dell'assalto. Ma non si creda che faccia miracoli! Sulla neve i soldati mimetizzano sì la propria figura scura, ma rimane l'ombra del corpo che il sole proietta, è impossibile da cancellare!

Il monte Pasubio è strategico per il controllo della Pianura Veneta. Due sono le cime, divise da una sella, una tenuta dagli italiani, l'altra dagli austriaci.
L'inverno 1916 - 1917 è il più rigido di tutta la guerra. Vengono scavati tunnel nella neve, nel ghiaccio, nella roccia. Si combatte con pali e pugnali. Sotto il Pasubio si svolge una lotta titanica.

Ancora una volta gli austriaci adottano la loro tecnica dinamitarda, perforano abilmente il Dente del Pasubio, la cima occupata dagli italiani, e la fanno saltare in aria con 600 kg di esplosivo, seppellendo tutti i nostri soldati.

Sulle cime sono costruite anche delle rudimentali teleferiche, utili per il trasporto delle pesanti artiglierie da 75 mm, con affusti da una tonnellata.
Dove non arrivano muli e teleferica provvedono gli alpini a spalla. Numerosi pezzi di artiglieria vengono smontati e poi rimontati a Cresta Croce, fortificata con 4 cannoni antiquati da 75 mm.
Lo Stato Maggiore si trova a Passo Venezia.

Tra gli alpini combatte anche il capitano Dino Grandi futuro Ministro degli Esteri fascista e Ambasciatore a Londra. Sarà decorato con due medaglie al valore.

Un'avventura al limite dell'impossibile è il traino sull'Adamello del famoso cannone da 149 mm. In gergo dai soldati viene chiamato l'ippopotamo. Pesa 18 tonnellate.
Partito il 9 febbraio 1916 da Temù, in fondo alla Val Camonica, dopo due mesi e mezzo, il 27 aprile conquista la sua posizione a Passo Venerocolo a 3250 metri di quota.

Ed epica è la storia di due fratelli. Epico il loro coraggio per la conquista del Dosson di Genova tra aprile e maggio 1916.
La cima è avvolta dalle nubi. Alla sua conquista sono diretti 500 alpini, su tre colonne.
Il capitano Nino Calvi, comanda la prima; il fratello Attilio - colonnello - è in testa alla seconda.
Partendo dal Rifugio Garibaldi, all'alba… s'avviano.
Rasentano le rocce. Il baratro di valli tagliate a picco. Gallerie bluastre ove il sole s'incurva.
Adagio. Cautela. Le scarpe vitree. Ed il vento che pare pietrifichi la carne.
La posizione nemica è dominante. Si ode la mitragliatrice, che, nervosa di tanto in tanto sfrigola.
Un colpo d'occhio di intesa. I due fratelli, all'improvviso, attaccano, lungo tutto il costone, seguiti dagli alpini che si aggrappano ai cornicioni di pietra. Fortuna vuole che un cannone dalla base faccia fuori un nido di mitragliatrici. E allora si attacca alla baionetta. A 3400 metri di quota. Con le ginocchia sul ghiacciaio. Il corpo a corpo è tremendo. Nelle postazioni si combatte a morsi.
Gli austriaci sono costretti ad arrendersi, o fuggire, lasciando al suolo 60 morti.
Tornati al rifugio Garibaldi… Attilio Calvi non c'è.
Intanto gli alpini si rifocillano, distribuendo il vino - ormai tozzo di ghiaccio - con la piccozza, facendolo poi sciogliere nella gavetta, sul fuoco.
Ad un tratto si presenta il generale Cavaciocchi. Per un attimo e' la speranza. Invece e' solo un gesto gentile. Attilio e' morto per le ferite.
Nino Calvi stringe i denti. Avrebbe voluto essere lì, accanto a lui.
Eppure suo fratello non è morto solo.
A vegliarlo, lassù in cima alla montagna, c'e' un altro alpino, un oscuro ufficiale, studente di ingegneria che diverrà famoso: Carlo Emilio Gadda.
Così come effimera e' la vita, in guerra lo e' anche la conquista. Il Dosson di Genova dopo tanto strazio di morti, un mese dopo sarà di nuovo conquistato dagli austriaci.

MARECHIARO

Se sui monti gli alpini lottano contro il gelo e la montagna, sull'Isonzo tormento giornaliero per i soldati è la bora.

"Dopo ogni assalto ci si conta. Ci si domanda in silenzio chi altro perirà. Spesso la predizione e' semplice. Solo quando dipende dal coraggio le cose diventano imprevedibili. Si rimane soli. Ed a volte, superstiti, ci si chiede con stupore per quale inaudito inganno sia potuto accadere! Non c'è ragione di credere che tutto continui ancora cosi' per mesi e tu resti salvo. Dopo anni, nei lumi delle stelle si conta il tempo e credi e speri che il miracolo possa di nuovo accadere.
E quantunque giunga la morte, tu sai che essa ti ha concesso tuttavia un premio: il suo ritardo. Ma e' la sua certezza la verità più umiliante …il sentirsi domato anzitempo. Il vedersi costretto …ormai gli sei sfuggito troppe volte ed ha deciso lei di provvedere a liberarti d'ogni accusa per farti divenire un eroe. Qui. Ora. E contempli l'orizzonte sperando nell'aiuto del vicino, che come te forse morrà."

A volte ci si ribella. Ci si nasconde. Si invoca la madre.

"Capita, sovente, a poco più di un tiro di sasso dal fronte, che si oda un canto nelle sere di calma! Guardando al tramonto la cerchia dei colli farsi più cupa, le voci si levano quasi a voler essere portate dal vento, lontano, verso un paese, una casa, una gonna".

Caro E. A. Mario, scrive un ufficiale dal fronte, al suo amico a Napoli, raccontando un episodio vissuto e davvero emblematico su quale possa essere, anche in guerra, la forza della musica.
Le nostre trincee, in quel settore del fiume dove ci trovavamo, erano vicinissime a quelle nemiche. Compivamo dei lavori di rafforzamento delle nostre posizioni: ogni giorno sotto il fuoco nemico, bisognava raffittire un tratto di reticolato. Eppure gli uomini erano allegri, tanto che una sera un ragazzo di Caserta, che aveva una gran' bella voce, e credo studiasse canto, intonò la Serenata di Toselli. Appena ebbe finito, dalle trincee nemiche udimmo, un lungo applauso, e una voce gridò: - Ave Maria di Gounod! Il cantore acconsentì e sospirò la mistica elegia: e furono nuovi applausi, e parve che, per rispettare quel canto, un tacito accordo legasse i nemici, per tutta la notte non vi furon fucilate.
L'indomani sera il cantore intonava Marechiaro, ma, nel frattempo una svelta squadretta scivolava fuor delle trincee, strisciava tra l'erba alta, s'andava a distendere bocconi nel tratto scoperto: e cominciava a rafforzare il reticolato. Su, nelle nostre trincee, i canti si succedevano e questa volta con cori rumorosi destinati a coprire qualche rumore, se mai se ne udissero. Di nuovo applausi, e di nuovo calma.
Ma l'indomani se sapeste - Mario - che fucileria contro di noi, quando i cecchini s'accorsero che il nostro canto, come quello delle Sirene, traeva a perdizione. Ma noi ridevamo e il reticolato era fatto, grazie alla finestra che sta a Marechiaro.


E' la beffa, ma anche la riscossa della vita civile, della memoria di una citta' e di una cultura; della nostalgia, che nei momenti piu' inattesi riemerge! Fra l'imbarazzo della guerra e la crudezza della morte.
Uomini dall'una, dall'altra parte, divisi unicamente dalla lotta che hanno accettato di condurre. Ma un conto e' averne la volonta', un altro e' riuscire a dominarla.

CORRIDONI e MUSSOLINI

Sul principio della guerra la fanteria italiana non sa neppure come si proteggano le trincee, utilizza rami d'albero invece di sacchetti di sabbia. Per colpa di questa inesperienza viene ucciso il sindacalista Filippo Corridoni, caro amico del bersagliere Benito Mussolini.
E' lo stesso futuro Duce che racconta come ha appreso la morte dell'amico.
"Sei tu Mussolini?"; gli chiede un giorno un commilitone.
"Sí".
"Benone, ho una buona notizia da darti: hanno ammazzato Corridoni. Gli sta bene, ci ho gusto. Crepino tutti questi interventisti!"
La loro e' una storia che rappresenta un po' il dramma di tutti i socialisti interventisti e combattenti. Per i compagni al fronte sono lo scandalo e la vergogna, vengono guardati di sbieco. Una circolare di Cadorna ... raccomanda di tenerli d'occhio, a suo parere si sono ficcati nell'esercito solo per conquistarlo e fare la rivoluzione appena finita la guerra.
Il bersagliere Mussolini combatte sul Montenero fin dal settembre 1915. La vita di trincea anche per lui non è facile, tra l'altro si ammala di tifo. Ma tra le esperienze belle, a casa, la moglie Rachele mette alla luce un figlio, a cui lui - propiziatorio - pone il nome di Vittorio Alessandro. Al fronte Mussolini è promosso caporale. Il 23 febbraio 1917 rimane gravemente ferito dallo scoppio di un lanciabombe e inviato in licenza di convalescenza. l'anno successivo è smobilitato*.

LA MORTE INGRASSA LA BOCCA

La guerra possiede sempre un che di ambiguo, di sozzo, di spietato. Di sconvenientemente piacevole.

- scrive un tenente di Siena ad un amico - Gli austriaci rispondono con risa beffarde, sataniche al lamento d'un nostro ufficiale ferito sui loro reticolati uccidono col calcio del fucile i nostri feriti, depredano come avvoltoi i corpi dei caduti! Bisogna che l'odio nostro cresca cresca, divampi furibondo, insaziabile come il loro. Son diventato cattivo; ieri ho visto alcuni austriaci, fuggivano per un camminamento dopo il tiro delle nostre bombarde.
Poi l'azione e' cominciata violentissima. Li abbiamo assaliti con la baionetta, facendone un carnaio. E' stato un momento di vero delirio, lasciando libero corso alla mia vendetta, al mio odio contro il nemico.


Qualcuno ha sostenuto che per comprendere certa bestiale indifferenza verso le tragedie del Novecento si debba riflettere su come abbia fatto scuola - tra gli uomini - proprio l'abitudine alla ferocia, appresa sui campi di battaglia. All'orrore dei corpi mutilati e del sangue toccato con le proprie mani ci si abitua, purtroppo.

IL FANTE

Su sette milioni di uomini in età da servizio militare, l'Italia ne ha mobilitati 6 milioni: il 16% della popolazione attiva. Uno sconvolgimento del tessuto sociale che altre nazioni non hanno avuto e che per l'Italia e' unico.
Questa guerra sanguinosa e tragica crea tra gli uomini stessi un vincolo, finora sconosciuto, che va al di là delle diverse origini dei soldati: che siano essi, intellettuali, borghesi, o proletari. E cambia anche il rapporto fra ufficiali e truppa. Nasce una diversa alchimia, una forma di eroismo anonimo, senza volto. E come se la battaglia unificasse tutti e creasse una nuova identità, quella di "combattenti"!
Particolari fenomeni di solidarietà profonda nascono tra i corpi speciali costituiti dai volontari. Qui la comune volontà per il rischio porta a legami indissolubili che, secondo alcuni, avrà effetti imprevedibili anni dopo con l'avvento dello squadrismo fascista, che spesso e' un ricostituirsi delle gerarchie e dei rapporti di disciplina maturati durante il conflitto.

LO STRAZIO DEI SENTIMENTI

Al fronte si vive lo strazio della coscienza moltiplicato in tragedia. Sentimenti filiali, materni, paterni, e fraterni, scagliati contro l'orrore.

Arriva un soldato sano e pieno di vita, ma tutto anelante e affaticato; cerca fra i morti il proprio fratello, e lo trova ancor vivo, ma già dentro le fauci della morte insaziata. Si leva la giubba, si leva il farsetto e così, in maniche di camicia si china per terra, raccoglie il fratello, se lo stringe al petto con le mani nelle mani, e incomincia a dimenarlo con gesti ampi e celeri per farlo sopravvivere. E mentre così lavora gli dice reiterate volte: "Non disperare, fratello. Io ti salverò, ti farò vivere, non ti lascerò morire".
Ma di lì a poco il fratello gli reclina il capo sul petto e se ne muore. Allora quel soldato, scappato chissà da dove, giunto lì trafelato, ed ora grondando sudore per l'immane fatica depone per terra il corpo esanime del fratello, si morde le dita, si rimette il farsetto e la giubba, raccoglie un fucile e corre in prima linea gridando: " Scellerati, scellerati! "


IL PARTITO SOCIALISTA

Fondamentale, per gli effetti che comporta tra i soldati al fronte, e' l'atteggiamento del Partito Socialista italiano. Mentre allo scoppio della guerra i partiti socialisti europei hanno appoggiato lo sforzo bellico delle rispettive borghesie, quello italiano adotta la formula ambigua del "né aderire né sabotare" creando non pochi malumori al fronte, rifiuto di battersi e propaganda antibellica fra i soldati.

Nell'aprile del 1916 la Commissione dei socialisti europei contrari alla guerra si riunisce a Kienthal, in Svizzera; elabora un manifesto ritenuto disfattista che viene diffuso clandestinamente fra le truppe italiane proprio nel momento in cui nel Trentino gli austriaci stanno per scatenare la famosa "Spedizione Punitiva".

LA SPEDIZIONE PUNITIVA

Il potente attacco avviene tra il 14 e il 16 maggio 1916. 20 divisioni al comando del generale Conrad, dopo una lunga preparazione, dilagano verso gli altipiani vicentini. L'esercito italiano perde i monti Zugna, Pasubio, l'altipiano di Asiago; la Val Posina e la Valsugana. La cosiddetta - Strafexpedition, la spedizione punitiva - ha come obiettivo per primo la conquista di Schio e Bassano, poi la penetrazione nella pianura Veneta e nella Pianura Padana, e infine sorprendere alle spalle l'Armata italiana attestata sull'Isonzo.

27 maggio 1916, scendendo da Passo Folgaria-Lavarone, le truppe di Conrad, si spingono fino ad Arsiero, davanti a loro e' ormai la pianura Padana. La spedizione punitiva sembra aver raggiunto i suoi obiettivi.

DECIMAZIONE PER CEDIMENTO


28 maggio 1916. Avviene un fatto gravissimo. Dopo lo sfondamento austriaco sull'altipiano di Asiago, vengono fucilati alcuni ufficiali e soldati del 141.o reggimento di fanteria. Cadorna aveva detto "sono rei di cedimento!".
E a Cadorna verrà rimproverato, tra l'altro, di aver scaricato, per tutta la direzione della guerra, fino alla disfatta di Caporetto, sempre e solo sulla truppa, la responsabilità degli arretramenti e delle sconfitte. Nonostante l'eroico sacrificio di tante vite umane, Cadorna con disprezzo afferma che l'esercito e' formato di "turbe improvvisate" prive di ardore. "Se non c'è entusiasmo non si fa nulla" dice, e dà una stoccata al governo, che, secondo lui avrebbe lasciato che le forze socialiste sobillassero e perturbassero il Paese.
Di fatto, è instaurato un clima di terrore, chiunque ceda deve essere fucilato.

A quel punto gli austriaci vanno avanti, si aprono la via per Asiago e si infiltrano nella Val d'Astico. Ma Conrad commetta l'errore di non insistere proprio in Val D'Astico, penetrando la quale avrebbe potuto raggiungere Schio e Thiene. S'incaponisce a muoversi per cime, con l'idea che in tal modo possa consolidare le sue conquiste strategiche. E non attua neppure la prevista manovra avvolgente lungo il corso del Brenta.

A soccorso degli italiani una grossa mano viene dai russi, il 3 giugno le armate di Brusilov attuano una forte offensiva in Galizia, e Conrad deve dirottare una parte delle truppe su quel fronte.
La situazione strategica è tale che il 16 giugno Conrad ordina il passaggio alla difensiva. Arsiero ed Asiago vengono abbandonate.

La "Spedizione Punitiva" e' anche la crudele occasione, per gli austriaci, per saldare i conti con gli irredentisti italiani, con coloro cioè che prima della guerra, sul territorio austriaco, chiedevano che Trento e Trieste passassero all'Italia.
Cadono in mani austriache i due trentini Cesare Battisti e Fabio Filzi. Sono condannati per alto tradimento, impiccati il 12 luglio del 1916 nel Castello del Buonconsiglio di Trento.
A Cesare Battisti il boia gli si appende alle spalle perché il cappio stringa più forte. Al sacerdote dice: "Sono sereno. A 42 anni ho vissuto ed ottenuto abbastanza per dire che la mia vita è stata spesa bene". E i soldati austriaci di guardia si disputano la corda con cui e' stato impiccato, ritenendola un portafortuna.
Il 19 maggio, a Trento e' stato fucilato l'ufficiale irredentista Damiano Chiesa, in servizio nell'esercito italiano. Mentre il 10 agosto, a Pola, sarà impiccato l'irredentista istriano Nazario Sauro, comandante di un sommergibile catturato nel golfo del Quarnaro.

PRIGIONIERI

Durante la Strafexpedition molti sono gli italiani caduti prigionieri. Dalle loro lettere si rimane stupiti per le molte testimonianze a favore degli austriaci. Saranno anche di comodo, forse scitte per ingraziarsi quelli che li tengono prigionieri, tuttavia sembrano sincere. Stupisce notare tra i soldati italiani la mancanza di indignazione nei confronti del proprio destino. Prevale il fatalismo.

Ho intenzione di sposarmi, qui, in Austria, e di non tornare più in Italia. -scrive un bracciante della Basilicata - Mi capirai: la bionda con cui lavoro mi ha scaldato il sangue e la voglio prendere in moglie.

E un altro:
Ti comunico che un mese dopo essere stato fatto prigioniero mi sono sposato qui in Austria. Fra qualche mese la mia cara sposa darà alla luce un bel bambino.

Situazione più difficile per un giovinotto calabrese
Mandatemi i miei documenti. Ho messo incinta una ragazza per bene... I gendarmi mi minacciano di morte. Il mio datore di lavoro mi vuol licenziare. Fatemi questo piacere, mandatemi subito questi documenti, se no mi sparo...

Quando ritornerò a casa, cercherò di distruggere la leggenda del cattivo trattamento dei prigionieri italiani in Austria - scrive un fuciliere fiorentino - e questo per dovere di coscienza, per saldare in qualche modo il mio debito per tante prove di bontà. E dove si soffre la fame e' la stessa per tutti qui. Vi sono dei paesi dove i fanciulli domandano pane alle loro madri e non ne hanno. Quanta desolazione! Speriamo che dalle nostre parti non si arrivi a un punto cosi terribile.

E talvolta, non si sa in modo quanto complice, questa confusa doppiezza sul concetto di nemico è viva anche in Italia, espressa in lettere imbarazzanti che tanti padri inviano ai figli prigionieri.
Curioso e' il biglietto di un genitore abruzzese, che scrive in dialetto:

Mio Caro Giovanni! Abbiamo sauto che sei prigioniere in Austria, Bene gli Austriaci e gli Itagliani siami tutti cattolici tutti fratelli e percio passila allegre.

Negli archivi della censura di lettere inneggianti alla comunanza cattolica ce ne sono diverse. Forse vi contribuisce l'atteggiamento del papa, forse l'opportunismo, ma forse vi è molto anche di vero.
Non sempre pero' l'invito alla fratellanza risolve i problemi. Scrive un sergente di fanteria, a suo fratello a Bologna:

Gli austriaci non ci danno più niente da mangiare e da vestire, siamo sulla strada come i vermi. Se ti capita di andare al fronte, vedi di far lavorare bene i tuoi pezzi, mira diritto e senza pietà.

Forte indignazione sorge quando D'Annunzio, in un suo articolo definirà gli italiani prigionieri con la polemica battuta di "imboscati d'oltralpe". Qualcuno velenosamente risponde:

Qui si sa, che il signor D'Annunzio, il Poeta dei debiti, ha detto male dei prigionieri di guerra, chiamandoci anche "svergognati" e dicendo: "Voi non avete diritto alla gloria!" Quanto a svergognati non sa chi più di lui si meriti quell'epiteto. Quanto poi alla gloria, sappia quel signore che noi non abbiamo combattuto per la nostra gloria, ma per la gloria d'Italia. -Non voglio dire altro. Terminerò dicendo di lui:
Bocca, che quando infama loda. E quando loda insozza...!

Tanti italiani rimarranno in Austria per sempre.

'O SOLE MIO

Caro Mario - scrive un sergente di Napoli a Giovanni Gaeta - Ieri ho raccolto un artigliere caduto presso il suo pezzo e rimasto letteralmente cieco. Il capitano mi ha ordinato di piantonarlo. Dopo una notte d'angoscia s'è addormentato stamattina. Ho profittato di questa pausa per ritentare qualche canzone sul mandolino dal quale non mi sono mai diviso: suonavo leggermente, per non disturbarlo. E, poiché un bel sole ci ha onorato d'una sua visita improvvisa, mi son venute, così, sotto le dita, le note di " 0 sole mio "..
Ebbene, lo credete? A un certo punto mi è parso che quel poco di viso libero di bende, si rischiarasse ad un sorriso di gioia. Quel povero cieco ad un tratto si e' messo anche lui a cantare:
"0 Sole!... O sole mio! …ti prego, suona più forte" m'ha detto "Così, solo così, posso vedere ancora Napoli!"


Ma chi sono questi giovani che restano ciechi, storpi e muoiono? Da dove vengono? Quale la loro estrazione sociale?
Risponde il colonnello Bencivenga, segretario, del generale Cadorna.
"Purtroppo ci sono delle forme d'imboscamento che non si riesce a debellare. Intere categorie che hanno ottenuto l'esonero (ferrovieri, postelegrafonici, impiegati dello Stato, maestranze dei cantieri, ecc.) assorbono una quantità tale di uomini da rendere difficile il flusso verso le trincee. Per quanto possa sembrare inverosimile, manchiamo di uomini. E gli uomini ci sono: basti dire che se ne possono contare fino a centomila presso ogni Corpo d'Armata territoriale!" E conclude: "Si direbbe che sino ad oggi quasi solo i contadini abbiano fatto la guerra".

1916
9 agosto
Battaglia di Gorizia

Intanto sul fronte orientale sembra che nulla di nuovo accada. Tutto si ripete incessante, come in un tragico gioco dell'oca, dove nessuno è abbastanza forte per vincere e nessuno troppo debole per perdere. Cadorna tenta di uscire da queste sabbie mobili.
Il 20 luglio 1916 comincia il trasferimento truppe per la conquista di Gorizia. Compaiono le prime automobili blindate.
Dal 6 agosto le artiglierie italiane sovvertono con assidui bombardamenti le postazioni austriache sui monti Podgora, Sabotino, Montesanto, San Gabriele, San Daniele. Eppure non basta per espugnarli. Dopo migliaia di granate, in quella desolazione, ancora all'assalto! E uomo contro uomo. A pochi metri l'uno dall'altro. Ci si guarda negli occhi. Ci si spara in faccia.

In uno dei contrattacchi, gli austriaci adoperano gas asfissianti. E qui rimane intossicato il maggiore di fanteria Rodolfo Graziani, che, a stento riesce a salvarsi. Futuro generale di Mussolini, adopererà le stesse atrocità che ora subisce, in Africa, vent'anni dopo, durante la conquista dell'Etiopia.

Caro padre, noi bersaglieri ciclisti, nel pomeriggio dell'8 agosto abbiamo ricevuto l'ordine di oltrepassare l'Isonzo e di entrare di slancio a Gorizia. La bicicletta mi s'inchioda alle costole. Ed il manubrio si impiglia ovunque, facendo vibrare i cespugli. Quasi impossibile nasconderci. Siamo un bersaglio ridicolo per le mitragliatrici!
Ad osservarci nell'azione ci sono i giornalisti Luigi Barzini ed Ugo Ojetti, che, accompagnano ufficiali alleati in visita al fronte.
Spaventapasseri umani. Si cade come stracci, ruzzolando sul greto del fiume. Una scarica, poi un'altra, di sorpresa, dei mitraglieri austriaci, che, astutamente, per qualche minuto, hanno smesso di sparare.
E' una vergogna, questa, di morire sotto gli occhi delle cineprese e della stampa.


Dinanzi a Gorizia, con il Battaglione Lombardo Volontari Ciclisti e Automobilisti, e' arruolato anche il sottotenente Filippo Tommaso Marinetti. Ferito in combattimento, nel febbraio del 1917 ottiene la prima medaglia di bronzo e promosso a Tenente.
Neppure il disagio della trincea riesce a sopire il suo spirito provocatorio: e' lui che teorizza l'inedita apologia delle corna: "tutti i soldati al fronte sanno di essere traditi dalle loro donne ma se ne infischiano... i corni sono necessari agli eroi per tenere nelle teste le corone d'alloro". Non sembra pero' che questo suo tipo di patriottismo abbia riscosso entusiasmi.

L'offensiva italiana sembra avere successo.
E' la presa del Monte Sabotino, per merito del colonnello Pietro Badoglio, che verrà promosso generale, a permettere ai battaglioni della brigata Casale e Pavia di entrare per primi in Gorizia. Ci si accontenta solo della città.
Lo Stato Maggiore sa che è difficile andare oltre, perche' gli austriaci sono ben fortificati sulle alture.
Il 16 agosto 1916 sospende l'offensiva. Ma il prezzo della conquista è assurdo: 21.000 morti.

L'entrata in Gorizia mette comunque un tale entusiasmo nello Stato Maggiore, che, il 27 agosto 1916 il governo Boselli, da poco succeduto a Salandra, dichiara guerra alla Germania..

LA GUERRA SOTTOMARINA GERMANICA

I sommergibili, facili da produrre, economici, permettono di penetrare ovunque e colpire grosse navi. Usano motori diesel in superficie, elettrici in immersione. Armati di siluri per affondare e di cannoni per finire le navi squarciate che ancora si reggono a galla.
Ed ecco gli U-boot: I sommergibili per eccellenza, l'arma con cui la Germania tenterà più tardi di mettere in ginocchio gli Stati Uniti. 65 metri di lunghezza, 10 nodi di velocità in immersione, 17 in emersione, 4 tubi lanciasiluri da 500 mm, 35 uomini di equipaggio. Semineranno rovine. Ma rivoluzioneranno anche le strategie della guerra in mare.
In Atlantico inglesi e francesi, alleati dell'Italia, corrono ai ripari costruendo navi lanciasiluri camuffate da semplici mercantili. O attacano gli u-boot con bombe di profondità che possano distruggerli in immersione.
Ma la contromossa serve a poco, il 7 maggio 1915, gli u-boot colpiscono il transatlantico inglese "Lusitania" con 2 siluri, 1200 i morti, fra cui 128 statunutensi, cittadini di un paese fino ad allora neutrale.
Nel 1916 un U-boot attraversa l'atlantico e dinanzi alle coste Nordamericane affonda 6 mercantili e alcune navi da guerra anglo francesi. Non solo. Il 1° febbraio 1917 l'ammiragliato germanico dichiara ufficialmente guerra marina ad oltranza contro tutte le navi, anche di paesi neutrali, se dirette verso porti nemici.
L'efficacia di questa strategia e' tale che nell'aprile 1917 le scorte di viveri in Inghilterra si riducono a solo 6 settimane.

STATI UNITI IN GUERRA

6 aprile 1917. Gli Stati Uniti dichiarano guerra alla Germania. La decisione è presa in seguito alla rottura delle relazioni diplomatiche tra i due paesi avvenuta il 3 febbraio, dopo lo scatenarsi della guerra sottomarina illimitata da parte della Germania. Ma ci vorranno ancora tre mesi perché il primo soldato americano tocchi il suolo di Francia.

In agosto però sono un milione e 200.000 gli americani che combattono sul Fronte Occidentale al comando del generale Pershing.

IL PAPA E LA PACE E MORTE IMPERATORE

Nella primavera del 1917 emerge che tra Francia, Inghilterra e Italia i rapporti non sono idilliaci: molte le diffidenze, le gelosie, ed anche i sotterfugi. Il nostro governo viene a sapere che gli anglo-francesi si sono già accordati per la divisione della Turchia fin dal marzo 1915. E - cosa altrettanto grave - scopre soltanto ora dei passi fatti dall'Austria per una pace separata con la Francia.
Nel maggio 1917, a Parigi, nuova missione austriaca. Gli Asburgo cederebbero all'Italia il Trentino più una zona di confine lungo il fiume Isonzo. Ma l'offerta viene giudicata insufficiente dagli Alleati, e quindi respinta.
Da un punto di vista morale e politico anche la chiesa ha un ruolo importantissimo.
1° agosto 1917. Benedetto XV con una Nota ai capi dei popoli belligeranti chiede l'avvio di trattative di pace. La nota pontificia definisce la guerra una "inutile strage".
Cadorna ribatte che le parole del papa sono "una pugnalata alla schiena del nostro esercito".
Intanto lo scenario politico a Vienna si è modificato.
Il 21 novembre 1916 e' morto a Vienna l'Imperatore d'Austria Francesco Giuseppe, contro cui per sessant'anni l'Italia ha combattuto tutte le guerre di Indipendenza. E gli succede il nipote Carlo I d'Asburgo. Il quale, constatata la difficile situazione militare ed economica, dà inizio il 12 dicembre 1916 a trattative di pace, che però saranno respinte da Francia ed Inghilterra. Se le intenzioni del nuovo imperatore sono sincere, non lo sono quelle dei suoi generali, che fanno in modo che esse vengano intese solo come una mossa di propaganda, e poi permettano alla Germania e all'Austria-Ungheria di declinare - anche dinanzi al Pontefice - ogni responsabilità per il protrarsi del conflitto.

DECIMA BATTAGLIA ISONZO, o OPERAZIONE K, o BATTAGLIA DELL'ORTIGARA

La X Battaglia sull'Isonzo, o Operazione K (kappa), è il tentativo di attacco di Cadorna per conquistare alcune posizioni strategiche cadute in mano austriaca nel maggio del 1916. Gli italiani sono sparpagliati su un fronte di 14 chilometri, mentre l'avversario e' concentrato su un fronte di due chilometri e nel punto strategico più importante.
Sarebbe dovuto essere un assalto di sorpresa, invece gli austriaci ne sono già informati ed ogni tanto alzano a ridosso delle trincee spassosi cartelli da presa in giro "Quando partite con l'operazione Kappa?" scrivono.
Il 19 giugno gli italiani conquistano monte Ortigara, ma poi, per il contrattacco delle Sturmtruppen austriache sono costretti a riabbandonarlo.
18.000 le perdite italiane fra morti e feriti.

Di nuovo sono le canzoni che rivelano il dramma collettivo. Sul Monte Ortigara, gli alpini, che cadono a migliaia vittime dei cecchini austriaci, cantano….

TA-PUM

Ho lasciato la mamma mia
l'ho lasciata per fare il soldà
tapum tapum tapum
Venti giorni sull'Ortigara
senza il cambio per riposar
tapum tapum tapum
Nella valle c'è un cimitero
cimitero di noi soldà
tapum tapum tapum
Cimitero di noi soldà
presto un giorno ti vengo a trovar
tapum tapum tapum
Ho lasciato la mamma mia

Nasceranno a centinaia le canzoni: diventeranno anch'esse, insieme alle lettere spesso sgrammaticate dei soldati, ai versi asciutti dei poeti, alla descrizioni degli scrittori il patrimonio della letteratura che si tramanderà per decenni.

AMMUTINAMENTO SOLDATI E TUMULTI POPOLARI

La guerra sembra non avere fine.
15 giugno 1917. Dal punto di vista del morale delle truppe un altro grave episodio: l'ammutinamento della brigata Catanzaro. Un primo ammutinamento e' già avvenuto in marzo tra i soldati della brigata Ravenna. Episodi di diserzione e di insubordinazione sono frequenti nel corso dell'anno, e non solo in Italia. Lo Stato Maggiore e lo stesso Cadorna attribuiscono di nuovo la responsabilità di questi episodi alla propaganda socialista e "disfattista", molto viva fra le truppe. Molte decine di soldati verranno fucilati senza processo. È una pagina tremenda e oscura, questa, che non è stata mai a sufficienza raccontata.

Cose non migliori accadono sul fronte interno. Nel maggio 1917 tumulti popolari sono avvenuti a Milano e in alcuni altri centri della Lombardia. La protesta contro il carovita ha assunto rapidamente il carattere di ribellione contro la continuazione della guerra. E in agosto inizia a Torino una sommossa operaia provocata dalla mancanza di pane, che si trasforma rapidamente in aperta ribellione contro il conflitto. Occorreranno quattro giorni perché l'esercito riesca a riprendere il controllo della città

1917
18 agosto 15 settembre
XI Battaglia sull'Isonzo


Intanto, inesorabilmente, come stazioni di una Via Crucis si consumano gli ulteriori fuochi di questa guerra. A questo punto, dopo due anni di combattimenti e cinquecentomila morti, il fronte è avanzato di solo venti chilometri in territorio nemico.
L'undicesima battaglia sull'Isonzo è l'ultima spallata tentata da Cadorna. Di una brutalità inaudita. Dura circa un mese, dal 18 agosto al 15 settembre 1917. Vi partecipano 52 divisioni, 5200 cannoni. Dal monte Kuk e dal monte Calvario continui ripetuti attacchi irrisolti contro i monti San Daniele, San Gabriele, San Michele, Montesanto, verso cui partono fiumane di soldati urlanti. E' una lotta cruda e vana, nella speranza di schiodare il catenaccio austriaco ad est di Gorizia. Viene conquistata la Bainsizza, si ottiene un avanzamento di ben sette chilometri sull'altipiano del Carso. Pare un risultato strepitoso, ma sterile; costa la impronunciabile cifra di 165.000 uomini tra morti e feriti.

Ma in questa tragedia europea sono solo gli ignoranti, i contadini, gli analfabeti a morire?! O a finire sotto i trucioli di schegge sono anche le migliori menti, le intelligenze raffinate che avrebbero dato sicuro lustro al loro paese?
Quanti futuri uomini di talento furono bruciati fra le due rive del Piave e dell'Isonzo? O su quelle della Marna, o dei Laghi Masuri? Sorge una poderosa rabbia per tanta morte imposta ed affatto necessaria.
Come avrebbero condotto i propri destini l'Italia, la Germania, la Francia, l'Austria, la Russia, se quei milioni di giovani fossero rimasti in vita? Questo e' un riflesso di cui spesso ci si dimentica nel valutare gli effetti di una guerra!

RETROVIE

Eppure, in tanta grande rovina, non mancano parole dolci, affettuose. Di mariti, giovani che pur induriti dalla trincea e lontani dalla loro compagna si scoprono all'improvviso gelosi.

Guarda di non baciar troppo qualcuno onde tu non "frughi" tutte le labbra; lascia anche per me un pò di quel miele che m'ha sempre raddolcito tanto la vita. Dimmi se hai ricevuto le mie due cartoline; ricevi un bacio appassionato, un abbraccio furioso dal per sempre tuo Francesco.
Scrive un capitano di Venezia alla sua ragazza, che, difficilmente avrebbe potuto incontrare.

Cadorna, e' cosi' ossessionato dalla propaganda che d'istinto i soldati fanno contro la guerra che minaccia pene severe finanche se escono con le loro fidanzate.
Nelle retrovie, stesso atteggiamento duro applica nei confronti delle case di tolleranza, per timore che si diffondano malattie veneree.
Ai combattenti malati e' impedito andare in licenza, devono essere curati presso gli ambulatori dei rispettivi reparti e seguirne la sorte, fosse anche la decimazione.

Nelle retrovie ci sono anche le cucine.

Mentre infuria l'azione, mi tocca portare il rancio in prima linea a Dosso del Palo: posizione terribile, pericolosa.
- scrive nel suo diario un uomo appena tornato al fronte - un amico, considerando che io ho moglie e figlia, si offre di andar lui in vece mia: io ringrazio, ma rifiuto. Non voglio avere sulla coscienza la morte di un altro. Nella notte il bombardamento si intensifica sempre più: parto con le marmitte caricate sui muli e si va. Alle falde del San Marco prendiamo le marmitte in spalla e ci avviamo sotto un grandinar di proiettili, poi ci investe una scarica d'artiglieria. Ci buttiamo a terra. Nei camminamenti pesto addosso a dei soldati e domando loro scusa, credendo che dormano: non mi rispondono: sono morti. Bisogna vedere l'effetto terribile delle bombarde nelle trincee austriache. Salta per aria tutto: piante, terra, reticolati e brandelli di carne cadono sulle nostre linee!

Il terrore della battaglia non è solo degli italiani:

Nemici terrorizzati si arrendono in massa - scrive un coraggioso ufficiale - Si avanza. Centinaia di nemici atterriti, sporchi di terra, fin sugli occhi, pazzi di terrore. Buttano le armi, ci porgono la mano, gridando d'esser serbi o rumeni, mettendo coccarde tricolori che hanno in tasca, sui berretti, all'occhiello, tutto questo mentre le artiglierie sparano ed i feriti gridano. Il sangue scorre dovunque.
Ed un altro annota:
Ieri sera si è presentato un disertore austriaco e stanotte l'ho interrogato. Ha tre bambini, la moglie è morta. Si legge nei suoi occhi una profonda desolazione, quasi abbia perduta la speranza che un'altra anima umana possa capire l'animo suo addolorato.
Nel piccolo cimitero sono seppelliti morti italiani e austriaci. Le tombe sono vicine. Ho avuto più forte del solito l'impressione che tutti combattiamo per un'unica ragione e che è la medesima, per noi, e per i nostri nemici.


E' la fragilità degli uomini. Di possibili amici che ora si contrappongono. Ed anche per i nostri soldati, e' difficile ogni giorno, essere degli eroi.

Stanchi morti, instupiditi, cascanti, vengono a poco a poco, intercalati con le barelle dei morti e dei feriti, incespicando a ogni passo, nel buio. Si precipitano sul rancio che li aspetta dietro le trincee, dove sono ancora adesso io. Bevono avidamente il caffè; poi restano lì, indifferenti. Fanno un forte brusio. Il capitano passando strilla: "Fate silenzio, lazzaroni". Tutti si voltano un po' meravigliati, poi ricominciano a mangiare, sussurrando per lo stupore che qualcuno possa dargli ascolto.

Sono brani di un diario.

Questi poveri soldati, ridotti in uno stato miserando dalle veglie, dalle continue piogge, da qualche forzato digiuno, decimati dai combattimenti sono stanchi, prostrati, anelano al cambio che forse non verrà.
E' vero però che quando scoppiano sulle nostre trincee terribili granate questi cerchino uno scampo nel ritirarsi indietro, ed allora io e gli altri ufficiale li ricacciamo, puntando contro di loro il nostro moschetto carico, pronti ad agire ad ogni tentativo di fuga.


DISERTORI

A questo punto sempre più spesso i soldati cercano la diserzione. Il passaggio al nemico. A nulla vale il timore di essere deferiti al Tribunali di guerra e di essere messi a morte.

Una delle compagnie all'attacco si trova faccia a faccia con gli austriaci che vengon su dalla sinistra. C'è stato un momento critico: qualche disgraziato fantaccino s'è lasciato prender dal panico e ha alzato un fazzoletto bianco sul fucile. Gli abbiamo bruciato immediatamente le cervella con una raffica di mitragliatrice.

Racconta un Tenente di fanteria. Brutta nottata! tredici uomini della 72.a fra cui un sergente e un caporale hanno disertato: un fatto che in noi ha suscitato una profonda impressione, amarezza, rabbia. Gli altri soldati sono rimasti indifferenti; non si sono sentite parole di ripudio, o ribrezzo. Per loro la diserzione e' come un incidente, un accessorio inevitabile in queste condizioni.

Ammutinamenti. Processi. Diserzioni. È un fenomeno di ribellione montante contro questa immane bagno di sangue.
In Italia, degli oltre 5 milioni di soldati coinvolti nel conflitto, il 6 per cento e' oggetto di denunzia ai tribunali militari.
210.000 sono le condanne. 100.000 per diserzione, di cui 2.000 con passaggio al nemico. 5.000 sono i condannati per sbandamento di fronte al nemico. 15.000 le condanne all'ergastolo. 4.000 le sentenze di condanna a morte, di cui mille eseguite. E 100.000 sono i renitenti alla leva.

RESA DELLA RUSSIA

Sul Fronte orientale, dopo un primo successo, che vede i generali russi mettere in fuga l'esercito tedesco dalla Prussia Orientale e occupare la Galizia austriaca, le sorti della guerra si capovolgono. Le due spaventose sconfitte a Tannenberg ed ai Laghi Masuri per merito del maresciallo Hinderburg annientano in modo definitivo la Russia.
Marzo 1917. In seguito alla rivoluzione lo zar Nicola II si dimette. Dopo un primo tentativo di continuare la guerra accanto agli alleati, nel novembre 1917, il governo moderato di Kerenscky viene rovesciato dal partito comunista bolscevico guidato da Lenin, che accetta subito l'armistizio di pace offerto dagli austro germanici.

Vengono a liberarsi così ingenti forze austro tedesche, che dovrebbero far correre brividi sulla schiena di Cadorna e dei generali italiani.

1917
24 ottobre
Caporetto


- Fulmineo. Risoluto. Preciso. "Schwerpunkt" - convergente - su Caporetto.
Un colpo duro, imprevedibile, asfissiante. Che crei uno scompiglio irrimarginabile.
Ore 2. Notte. Quattro ore di artiglieria, per lacerare ogni forte. Ogni caposaldo. Ogni trincea. Poi bombe al cianuro. In prima linea morranno tutti. Con la nebbia, Cadorna, neppure capirà cosa sta accadendo. Nessuno tornerà indietro. Respireranno veleno.
Bisogna entrare in profondità. Raggiungere al più presto la pianura. Ferire a morte il cuore dell'Italia. Percorrere i fondovalle, evitare le cime e inerpicarsi per i sentieri battuti. Infiltrarsi. Correre avanti, anche se si lasciano sacche di resistenza.
Astuzia, velocità, sorpresa, ecco il segreto che moltiplica la forza e sbaraglia il nemico. -
Chissà, forse sono simili a queste le parole che fremono sulle labbra del giovane tenente Erwin Johannes Rommel, quando alle otto del mattino del 24 ottobre 1917, s'inoltra nel folto della nebbia, sugli altipiani rocciosi dell'Isonzo! Alle tre del pomeriggio di quello stesso giorno sarà fra i primi ad entrare in Caporetto. Non si ferma. Con appena 300 uomini, si spinge ancora in avanti, attraversa il Piave, tratta la resa di Longarone
In 52 ore di combattimenti, e al prezzo di solo 6 morti e 30 feriti, le sue tre compagnie hanno fatto 9.000 prigionieri. Come premio per il suo eroismo riceve l'ambita Croce "Pour le Merite". Quella stessa che ventiquattro anni dopo ostenterà in Africa Settentrionale, combattendo nelle vesti de - La volpe del deserto - accanto al vecchio nemico italiano.
Dai successi del solo Rommel si può intuire l'entità complessiva della nostra disfatta.
I generali dello Stato Maggiore di Cadorna non sono stati in grado di arginarla, nonostante da giorni conoscessero, nei dettagli, il piano strategico del comandante tedesco von Below, grazie al tenente Maxim, un disertore austriaco.
Non arrivando ordini da Badoglio, tagliato fuori con il suo 27° Corpo d'Armata, a nulla sono valsi i 700 nostri cannoni che sparano senza senso.
E' del 29 ottobre 1917 il sacrificio della seconda brigata di cavalleria formata dai lancieri del Genova e dai Dragoni del Novara. Ecco, li vedete. Si dirigono verso Pozzoli, nel Friuli, per bloccare ad ogni costo gli austro tedeschi, per permettere alla terza armata di ritirarsi. Sono immagini di Luca Comerio, uno dei registi che ha documentato l'intera guerra. Questi uomini sanno di dover morire. Eppure nulla della costernazione che tumulta nel loro cuore affiora sui volti.
L'ultima disperata resistenza, quella sul Tagliamento vede combattere anche un capitano del 7° Reggimento Alpini che, si salverà, e in futuro compirà imprese aviatorie: Italo Balbo.

11.000 morti, 29.000 feriti, 280.000 prigionieri. Sono scomparse intere divisioni.
Nella truppa dominano confusione e panico. C'è chi ruba nelle case, chi si veste da borghese, mischiandosi ai profughi civili, credendo che la guerra sia finita.
Si perde tutto il materiale bellico ammassato nelle retrovie. Una quantità mostruosa.
Vestiario, armamenti, viveri. Riserve di materiali di ogni tipo.

Si ripiega per 150 chilometri, dall'Isonzo al Piave. Ma il generale Cadorna fatica a riconoscere le sue colpe, anzi accusa i reparti di essersi "vilmente ritirati senza combattere". Prima di essere defenestrato, con quasi tutto il suo stato maggiore, per insistenza dei francesi e degli inglesi, e sostituito con Armando Diaz.

L'incontro con gli Alleati, a Peschiera l'8 novembre 1917 segna un punto di onore per il "piccolo" Re. Vittorio Emanuele III riesce a salvare la dignità dell'Italia dinanzi all'altero portamento dei generali francesi ed inglesi. Tiene le difese dell'Italia e dell'Esercito Italiano. Nonostante la piccola statura. Con la sua dignità. Riesce a convincere.
Perche', Caporetto, non è avvenuto per vilta', o per assenza di eroismo da parte dei nostri soldati, ma perche' essi si sono imbattuti per la prima volta nelle truppe speciali dell'Esercito germanico: addestrate ad una tattica rivoluzionaria - quella dell'infiltrazione -. Talmente innovativa che trasforma l'orrida, oziosa lotta di trincea in guerra di movimento. La nuova tecnica sorprende non solo per la strategia ma anche per il modo di intendere gli ordini: non più categorici, ma flessibili; ogni ufficiale, ma persino ogni soldato può modificarli a suo intuito nel corso dell'attacco, se più utile a conseguire il successo. Gli sclerotici strateghi alleati storcono il naso, ma ne dovranno presto riconoscere l'efficacia sulla propria pelle.
Intanto, nell'incontro di Peschiera, i franco inglesi vengono a porre agli italiani una sola condizione: che sia tenuta la linea del Piave, anche se in un primo momento e' stato consigliato un ripiegamento fino al Mincio. Vengono promesse 10 divisioni di rincalzo, quattro inglesi e sei francesi.
Il clima del paese è profondamente cambiato. La sconfitta, ha inferto ai soldati un colpo tremendo.

Non mi sarei mai immaginato di ripiegare di fronte agli austriaci! - Scrive uno di loro - E' la più grande vergogna della mia vita! Confesso che ho pianto, pianto di dolore, d'umiliazione, di rabbia impotente! Come me gli altri ufficiali hanno pianto; lo stesso colonnello non ha potuto nascondere le lacrime di fronte a quei pochi gloriosi soldati, ormai tenue avanzo del suo bel reggimento.

Se Francia ed Inghilterra sono state sollecite ad imporre le loro direttive militari, non lo sono state altrettanto nell'inviare gli aiuti promessi. Sul Piave la battaglia di arresto degli austriaci è solo opera degli italiani, i quali per la prima volta, su quelle sponde, sentono di difendere la Patria, concretamente le loro case, la loro terra, oltre che la loro dignità e il loro onore. E' questa un sentire che ridà fiducia e consapevolezza. Reinnalza il morale. Di fatto imprime una svolta all'andamento della guerra.
Sull'onda del rinnovato spirito patriottico nasce un corpo speciale che diverrà presto famoso, quello degli Arditi. Uomini armati di bombe a mano e di sfida, che con pugnale in bocca attraversano a nuoto il Piave per dare l'assalto alle postazioni austriache.
Tra gli arditi si distingue il futuro gerarca del fascismo Ettore Muti e tra gli uomini del 27° Reparto Fiamme Nere, il futuro ministro dell'educazione Giuseppe Bottai.

L'Esercito aveva 65 divisioni, ne sono rimaste 33. Per ricostituirne di nuove sono chiamati alle armi i giovani della classe 1899, di appena 18 anni. Passati alla storia come i ragazzi del novananove.

Poderoso è lo sforzo industriale e finanziario.

La Fiat costruisce il primo carro armato italiano, un prototipo da 40 tonnellate, con il cannone da 65 mm, 7 mitragliatrici, 10 uomini di equipaggio e 6,5 km/h di velocità.

Per elevare il morale delle truppe nascono gli "uffici P" con un agguerrito repertorio di propaganda.
Gli stessi cappellani si recano al fronte per infondere fiducia nella vittoria. Ed alcuni lo fanno con tale entusiasmo da partecipare essi stessi alle battaglie, come il sacerdote romagnolo don Giovanni Minzoni, che nel giugno del 1918, si porrà alla testa di un gruppo di arditi, ed impugnando il fucile assalterà una postazione austriaca. Don Minzioni, il futuro parroco di Argenta, l'energico antifascista, che nel 1923 sarà ucciso dagli squadristi di Italo Balbo, lo stesso capitano che abbiamo visto combattere sul Tagliamento.

Certo, se nonostante la situazione disperata, e' stato possibile - sul Piave - da parte del nostro esercito vincere la battaglia di arresto, grande merito va anche all'aviazione, che attacca senza tregua le truppe austro-germaniche che avanzano. E numerosi sono i duelli aerei con i caccia nemici. Da un punto di vista aviatorio e' un po' una resa dei conti, dopo che Vienna contro l'Italia, per due anni, aveva adoperato soprattutto i suoi bombardieri.

SARFATTI

La lotta al fronte torna ad essere dura

Con umile orgoglio un ufficiale di Rodi Garganico scrive alla moglie:

Mi e' stata concessa una modesta medaglia di bronzo... ma la motivazione non è modesta: è tale invece che farà certo inorgoglire il nostro figlio quando avrà raggiunto l'età della ragione... E forse, le mie parole acquistano maggior valore se tu pensi che sono scritte da presso il Piave, a duecento metri, o meno, dalle linee nemiche. Fa bene un po' di cannone: rianima e solleva lo spirito che è un piacere; è la voce della guerra, che si fa sentire.

È Roberto l'unico figlio di Margherita Sarfatti - l'intellettuale che sarà al fianco di Mussolini e che avrà voce in alcune iniziali scelte culturali del regime -, scrive alla madre parole nelle quali par di risentire lo stesso brio aggressivo della prosa futurista:

Con un po' di pratica si conosce dal sibilo la direzione e il calibro d'un proiettile. Questo che fischia come un uccello - sssì sssi - è un proiettile da montagna; oh, ma scoppia lontano; quest'altro - vvuvvuff - è un 305; corto a destra: booum ecco che scoppia. Ed ecco il 75 elegante, preciso, mi scoppia sopra la testa: ssen, pam! Le schegge sembrano mosconi che passino rapidi. L'impressione che desta un bombardamento è come essere al centro d'un fuoco d'artificio.
Ho molta simpatia per l'artiglieria da montagna. E' elegantissima.
E le mitragliatrici? Sembrano comari che si raccontino delle maldicenze: ta-tatata... bella ragazza, ma...
E poi le pistole; ti-ti-ti-ti; quelle paiono collegiali che giocano ed urlano come uccellini spauriti. Uh l'ha presa; ma no... veh che scappa! Brava Rosa! corri! ti... ti... ti...
Ed è la morte che passa! Ah, " la mort est une gaie maitresse! "


Roberto Sarfatti morirà un mese dopo.

I MAS

La Marina Italiana collauda un nuovo tipo di motoscafo ad alta velocità, preparato per la caccia dei sommergibili. E' il MAS, motobarca antisommergibile, o motobarca armata silurante. D'Annunzio lo fregia dell'ambito motto: MEMENTO AUDERE SEMPER.

Basso pescaggio dello scafo, sagoma filante, un particolare tipo di chiglia che consente di rompere l'onda durante la navigazione veloce, evitando il rollio a destra e a sinistra.
Ma dire Mas è come dire Luigi Rizzo, che di quei mezzi d'assalto si veste come fossero qualcosa di appartenente al suo corpo, li guida, li domina, vince. Degno pupillo di Thaon di Revel, questo marinaio di Milazzo, è uno dei più avventurosi combattenti del mare di tutti i tempi. Ed è la spina nel fianco della flotta austriaca.

Nella notte tra il 9 e il 10 dicembre 1917, a capo di due MAS riesce a penetrare nella rada di Muggia, vicino Trieste e lancia siluri contro la corazzata "Wien" che in breve cola a picco. Ed è premiato con medaglia d'oro al valore.

Dopo l'improduttiva incursione del 10 febbraio 1918 nella Baia di Buccari, insieme a Costanzo Ciano e Gabriele D'Annunzio, il capitano di corvetta Luigi Rizzo si prepara ad un altro colpo grosso.
È il 10 giugno 1918. Pomeriggio. Con il Mas 15 e il capo timoniere Armando Gori, lascia il porto di Ancona, affiancato dal Mas 21 del guardiamarina Giuseppe Aonzo. Dovrebbe essere solo un giro di routine lungo la costa dalmata, per ripulirla di mine. Ma, fatto insolito, di mine non se ne trovano.
Isolotto di Lutostrak.
La notte trascorre cullata da una ruvida bonaccia estiva.
Ore 03.15 del mattino. Rizzo sta per tornare indietro. Ma il suo timoniere lo ferma.
In lontananza ha scorto una nuvola di fumo. Sono delle torpediniere austriache. Difficilmente i due mas ora potrebbero sfuggire al loro attacco. Troppo poco veloci per i siluri ancora a bordo.
Non v'è scelta. Da preda Rizzo decide di trasformarsi in cacciatore.
In silenzio. Lentamente. I Mas si avvicinano alle nevi nemiche. Quando, passata l'isola di Premuda, si accorgono con sorpresa che non hanno più davanti semplici torpediniere ma una potentissima squadra navale con al centro le corazzate "Szent Istvan" e "Teghetthoff"! Sembrerebbe la fine.
Ma l'alba è insidiosa, penetra negli occhi degli austriaci. Li abbaglia. In controluce i due piccoli scafi di Rizzo paiono appena ombre. All'improvviso, …si insinuano nello schermo protettivo delle torpediniere!
La "Szent Istvan" eccola a tiro! E due siluri partono veloci come delfini.
Qualche secondo… un boato! fumo! Colpita a dritta la corazzata comincia a sbandare.
Nel tentativo di bilanciare il peso dell'acqua che entra dalla due grosse falle il comandante fa ruotare i cannoni, ma l'accorgimento è vano.
Il Mas di Aonzo, intanto, lancia anch'esso un siluro verso la "Teghetthoff", che inspiegabilmente affonda, senza esplodere.
Scampato il pericolo, la viceammiraglia austriaca cerca subito di andare in aiuto della "Szent Istvan" nel tentativo di prenderla a rimorchio… la nave però si inclina ancor più paurosamente e …all'improvviso si capovolge.
Sulla "Teghetthoff", marinai, ufficiali, assistono ammutoliti, impotenti. Un formicolio di uomini, in mare, sulla chiglia che ondeggia di goffo terrore. Non resta che recuperare i superstiti.
L'agonia che vediamo è in diretta, filmata da una troupe cinematografica imbarcata sulla "Teghetthoff"; ironia della sorte, avrebbe dovuto riprendere l'attacco vittorioso austriaco contro Otranto, invece non testimonierà che la propria tragedia. Alle 6.05 del mattino infatti, la corazzata si inabissa.
Ore 7.00, a sole alto, dopo una rocambolesca fuga, Rizzo e i suoi ormeggiano nel porto di Ancona. Come premio gli viene offerta l'Onoreficenza Militare dell'Ordine dei Savoia, ma lui, - convinto repubblicano - rifiuta. Come fatto straordinario gli viene allora concessa una seconda medaglia d'oro. L'unico, in tutta la Grande Guerra ad averne ricevute due.

FRONTE OCCIDENTALE 1918 + HITLER

Tra il 15 luglio e il 4 agosto 1918 ha luogo lo scontro che segna il punto di svolta della guerra. I tedeschi, applicando la stessa tecnica militare che ha permesso il successo di Caporetto, sono riusciti ad oltrepassare Reims, attraversando di nuovo la Marna. Un loro poderoso cannone bombarda la periferia di Parigi. Ma la loro sorte e' segnata. Il 18 luglio il comandante in capo e coordinatore di tutte le forze armate, generale Ferdinand Foch, facendo perno, per la prima volta in modo decisivo, su alcune divisioni americane, costringe le armate tedesche a ritirarsi oltre la Marna, restituendo definitivamente l'iniziativa agli Alleati.
Tra i soldati che combattono duramente vi e' un caporale austriaco il quale ha ottenuto di essere arruolato nell'esercito tedesco. E che proprio il 4 agosto viene insignito della croce di ferro di prima classe "per il coraggio individuale ed il valore mostrato in tutto il corso della guerra." E' una decorazione insolita per un caporale. La indosserà orgoglioso per tutto il resto della sua vita. Chi l'ha proposto per quel riconoscimento così alto e' l'aiutante di stato maggiore del suo reggimento il capitano Hugo Guttman, di religione israelita. Il nome del caporale premiato diverrà famoso: è Adolf Hitler.

MATHA HARI

La Prima Guerra Mondiale e' non solo guerra di trincea ma anche guerra di informazioni segrete, tanto che la psicosi per le spie si diffonde ovunque.
Se le informazioni più facili, quelle relative ad un ristretto settore del fronte possono essere ottenute -per esempio- utilizzando i palloni militari, o interrogando i prigionieri, quelle più delicate, sulle armi segrete, o la strategia complessiva, sono ottenibili solo attraverso il temerario lavoro delle spie. E si sa, in ogni conflitto, innanzitutto e' proprio questa guerra fatta senz'armi che deve essere vinta!
Di tutti gli agenti della Prima Guerra Mondiale il più temibile, affascinante, passato alla storia in termini proverbiali, e' la quarantunenne danzatrice olandese Margaretha Geertruida Zelle, che, grazie all'amicizia intima con alti ufficiali inglesi e francesi, riesce a entrare in possesso di importanti documenti che passa alla Germania. Processata da un tribunale militare francese, riconosciuta colpevole di essere la spia tedesca registrata con la matricola H21e' condannata alla fucilazione eseguita il 15 ottobre 1917 alle 6.12 del mattino, a Vincennes.
Nessuno ne reclamerà il corpo trafitto dal plotone d'esecuzione. E cosi' Mata Hari, questo il suo nome d'arte, finisce su un tavolo di anatomia della facoltà di medicina dell'Università di Parigi, per una esercitazione degli studenti.

L'Italia non possiede agenti altrettanto famosi, tuttavia, nel giugno 1918, il nostro Servizio di Informazione Militare e' cosi' perfettamente oliato da venire a sapere nei dettagli, ed in anticipo, il nuovo piano offensivo austro tedesco sulla linea del Piave.
L'attacco è previsto per le 3 della notte del 15 giugno. E con uno schieramento di 66 divisioni.

1918
15 giugno 23 giugno
La battaglia del Solstizio

Ed il 15 giugno 1918 gli austriaci puntualmente attaccano.
Gli italiani questa volta non sono soli. Accanto: truppe inglesi e francesi.
E' la Battaglia del Solstizio. Il cambio di Stagione non porta pero' fortuna agli austro germanici. Qualche istante prima che inizi lo scontro, infatti, con terrificante stupore si vedono investiti dal nostro potente inatteso fuoco di contro preparazione. E cosi' efficace e' il tiro dei nostri cannoni, che ingenera una profonda crisi di manovra da parte austriaca.
In alcuni punti, tuttavia, il nemico riesce ad attraversare il Piave. Forma tre teste di ponte, una sul Montello, una in direzione di Treviso, l'altra a San Donà.
Ed e' appunto San Donà ad esser citato in uno dei canti più tragici e famosi La tradotta che parte da Torino. Parla di quei poveri ragazzi del "Novantanove", che, chiamati dopo la rotta di Caporetto, ora bruciano i loro anni nelle ripetute carneficine sul Piave e sul Grappa. E moltissimi lasciano su quei monti la leggerezza dei loro pochi anni.
Parole di un anonimo fante, ma non di anonimi sentimenti. Amari. Asciutti. Duri squarci di rimpianto.

La tradotta che parte da Torino
a Milano non si ferma più
ma la va diretta al Piave
cimitero della gioventù
Siam partiti, in ventisette
solo in cinque siam tornati qua
e quegli altri ventidue
sono morti tutti a S. Donà
Cara suora, son ferito
a domani non ci arrivo più
se non torno dalla mia mamma
questo fiore ce lo porti tu

"Ho dei feriti inglesi accanto. Alcuni si alzano e vanno via. Altri restano.
Poi, un passo familiare, come salisse le scale, ed invece e' il sergente che con gli infermieri ti si avvicina e ti afferra colmando la tua ferita all'inguine, sulla coscia e la spalla con stracci imbevuti di un fuoco che arde. Talvolta è solo quell'alcool che contribuisce ancora una volta a farti sentire vivo. E ti accorgi che forse le tue preghiere sono state ascoltate.
Con il silenzio che prende la tregua senti l'accordo dei pianti, le carovane sorde dei mutilati sui treni immobili che paiono aver cancellato con lo sbuffo del carbone i binari. Torneranno a casa? A volte si chiedono. O non sarà bombardato lungo la strada - quel treno - riducendo in un povero niente contorto il corso della ferrovia?"

Venti e più giorni di questa vita ci ha mutati in orsi, ci ha sfiniti: eppure si resiste con tenacia, fra i violenti temporali che ogni notte allagano le trincee ed il sole ardente che ci soffoca durante il giorno, fra i cadaveri insepolti e il colera.

Gli austriaci che hanno oltrepassato il Piave non possono essere riforniti perché i loro ponti di barche vengono sistematicamente distrutti dall'aviazione, che ormai possiede apparecchi migliori che a bassa quota mitragliano le linee nemiche.
Sul Montello gli italiani attuano una disperata difesa che impedisce anche l'avanzata su Montebelluna.

Il 21 giugno il maresciallo austriaco Boroevich ordina la ritirata delle sue truppe sull'altra riva del Piave perché le posizioni sono insostenibili.
Pur di salvarsi gli austriaci si gettano nel fiume in piena. Tra morti e feriti perdono 149.000 uomini, gli Italiani 84.600.

E' in questi giorni di fine giugno che Giovanni Gaeta scrive di getto La leggenda del Piave.
Poi, con un treno postale notturno raggiunge il fronte. Qui, sul Piave incontra alcuni artisti napoletani di cui e' amico e che ora sono nel corpo dei bersaglieri; con il loro aiuto, accompagnandosi con il mandolino, rende immediatamente famosa nelle trincee quella canzone.
"La leggenda del Piave" contribuisce cosi' tanto a sollevare il morale delle truppe con i suoi versi e con la sua musica, che il Generale Armando Diaz citandolo con il nome d'arte E. A. Mario, gli invia un telegramma di complimenti: "Mario, la vostra canzone - al fronte - vale più di un generale!".

HEMINGWAY

Sul Piave, con il reggimento americano giunto sul fronte italiano vi è anche un autista della Croce Rossa che diverrà presto famosissimo. E che il 9 luglio 1918 viene ferito da una granata di mortaio austriaco mentre distribuisce cioccolata ai soldati lungo la trincea. Verrà insignito di una medaglia al valore dell'esercito italiano. Racconterà la sua avventura in un romanzo: "Addio alle armi", il suo nome è Ernest Hemingway.

Talvolta la guerra, per assurdo, parrebbe essere perfino opera di artisti. Il 9 agosto 1918 infatti, undici velivoli della squadriglia Serenissima s'alzano in volo dal campo di Treviso, obiettivo Vienna. Sono al comando del poeta Gabriele D'Annunzio. Non è più l'aviatore ardimentoso che nel 1915 ha sorvolato Trieste. Ha lo sguardo devastato. Una sola pupilla. L'altra l'ha persa nel 1916, in mare, durante un infelice atterraggio con l'idrovolante.
Gli aerei vengono dotati di un serbatoio da 300 litri per 7 ore di volo. Più di 1000 chilometri tra andata e ritorno.
Non sono carichi di bombe ma di 50.000 manifestini di propaganda con testo italiano, scritto da D'Annunzio; ed altri 35.000 con testo in tedesco scritto da Ugo Ojetti.
Solo otto degli 11 velivoli riescono a raggiungere Vienna. Tra i piloti: Aldo Finzi, il futuro sottosegretario agli interni del primo Governo Mussolini.
Grandi festeggiamenti per D'Annunzio, al ritorno. Gli viene conferita l'onoreficenza dell'Ordine Militare dei Savoia e promosso tenente colonnello. La missione ha risonanza mondiale. E' il preannuncio della futura vittoria italiana.
Ed è quasi il tempo di interrogarsi sui tanti perché ai quali sarà difficile trovare una risposta.

Dalla guerra io sono stato mortificato, umiliato, annientato. - scrive Roberto Maiorino un ragazzo di Isernia -
Ma non fa nulla. Io offro tutta la carne, il sangue, la mia dignità, la mia libertà, la mia stessa felicità, perché sia assicurata la felicità dei più che sono, dei molti che saranno. Che diritto ho io di essere felice se non lotto perché gli altri lo siano? Non è un attentare alla felicità altrui il negare il dono della propria vita?


1918
24 ottobre
Battaglia di Vittorio Veneto
"LA VITTORIA"


Nell'ottobre 1918 partono i preparativi italiani per l'attacco risolutivo contro gli austriaci. Piove incessantemente su tutto il Veneto e sul Piave i ponti sono crollati, o invasi dalle acque. Solo il 24 ottobre inizia la battaglia.
A Vittorio Veneto, pochi giorni dopo, sarà sgominata l'ultima resistenza nemica.

Il 3 novembre il 20° corpo d'armata viene accolto con gioia a Trento. Mentre un altro reparto di bersaglieri sbarca a Trieste.
Nelle stesse ore a Villa Giusti, presso Padova, l'Italia tratta con Vienna le ultime formalita' dell'armistizio. Firmato il quale, alle ore 15 del 4 novembre, cessano gli scontri.
Armando Diaz, emana l'ultimo bollettino di guerra, con la Vittoria.

Il prezzo delle parole del Maresciallo Diaz però è altissimo. 680.000 morti ed un debito complessivo che per pagarlo ci vorrebbero 62 anni.
Sullo scacchiere europeo le cifre del costo umano poi, sono scioccanti: 21.188.000 feriti, 7.751.000 dispersi, 8.450.000 morti, tra questi, gli autori di tutte le lettere che abbiamo ascoltato.

 

 

webmaster Fabio D'Alfonso