medicina - medicine

 

Come cambiano l'educazione e la didattica nell'universo digitale

Incontro culturale con la "Dante Alighieri" trevigiana
Treviso, Sala dell'umanesimo latino, mercoledì 5 novembre 2008

Franco Blezza
Facoltà di Scienze Sociali, Università "G. d'Annunzio" - Chieti

 

 

Presentazione: discorso complessivo e continuità pedagogica


Il tema della nostra conversazione di quest'anno appare, ad una prima impressione, sensibilmente diverso da quelli delle quattro conversazioni che abbiamo avuto il piacere di tenere presso la "Dante Alighieri" trevigiana negli anni precedenti, e i cui testi sono stati diligentemente e meritoriamente raccolti in ricchi volumi di atti dal preside Arnaldo Brunello come un ulteriore, rilevante contributo alla cultura locale e nazionale. Sembra, e l'impressione non tradisce la sostanza, che ci orientiamo più su tematiche tecniche, metodologiche, didattiche in senso lato, applicative, piuttosto che non su tematiche sociali e culturali inerenti in modo diretto la coppia e la famiglia, nonché la genitorialità e i rapporti sociali con riguardo particolare alla prossimità. Il che non toglie nulla alla matrice pedagogica generale e sociale che rimane comune a questa conversazione come alle quattro precedenti, e come vedremo questo risulterà chiaro nello svolgimento del discorso che andrà a riconnettersi in modo altrettanto nitidamente leggibile con i discorsi che abbiamo già avuto l'opportunità di fare in questa sede, opportunità della quale ringraziamo sempre il preside Brunello e lo stimato sodalizio.
Oggi parleremo del digitale, nel senso elettronico ed informatico del termine. Questa conversazione si dividerà in due parti, in quanto è la risultanza dell'integrazione tra i temi di due conversazioni distinte nelle quali intendevamo in un primo tempo articolare il discorso del merito, ma poi la cosa non è risultata effettivamente praticabile. Un tale discorso, in effetti, è sconfinato: esso richiede di trattare innanzitutto dei fondamenti, delle questioni generali, e della didattica nel senso più generale del termine, cioè della riflessione sull'insegnamento, a scuola ed in altre sedi come vedremo; e poi di entrare nel merito delle prerogative peculiari che una didattica e un'educazione acquisiscono in seguito all'implementazione di strumenti informatici e telematici digitalizzati quali sono quelli ormai a disposizione e noti al grande pubblico, cioè del nuovo modo di insegnare e di apprendere che consegue a quella vera e propria rivoluzione che questi strumenti elettronici hanno portato nella nostra vita, impiegando il termine "rivoluzione" nello stesso senso e propriamente come lo si impiega con riferimento alle rivoluzioni industriali occorse dalla fine del Settecento in poi.
Non potremmo comunque essere esaustivi, ma questa scelta unitaria e integrata ci consente un discorso più organico. E prima di tutto, per l'esperienza di chi vi parla, proprio una impostazione siffatta del discorso previene la tentazione di perdersi in particolari tecnici indubbiamente interessanti ma di secondaria importanza, per fissare invece l'attenzione su ciò che di sostanziale è cambiato e di cui dobbiamo prendere atto proprio perché le grandi opportunità che ci offre questo complesso di innovazioni tecniche abbiano una destinazione congrua in senso umano, pedagogico, sociale, culturale: in sostanza, che l'uomo come singola persona e come umanità, come genere umano, abbia a disposizione tutto questo come suo proprio apparato strumentale, è sempre e comunque si prevenga l'eventualità che l'uomo divenga comunque strumento, quale che sia il fine e chiunque ne possegga il controllo.


Digitale e analogico

"Digitale" significa "numerico": si tratta di una italianizzazione dall'inglese americano e scientifico, un po' bruttina, del termine Dugit, una delle tante.
Il concetto base è relativamente semplice: qualunque trattamento di dati, anche non numerici in origine come testi scritti, immagini fisse, suoni, suoni modulati ad esempio sotto forma di voce o di musica o di documento storico o personale, immagini in movimento come i filmati e le stesse trasmissioni televisive, tra loro combinati, comporta che questi dati vengano tradotti in lunghissime sequenze di numeri tra di loro opportunamente coordinate, il che rende il trattamento in sé piuttosto semplice, alla base aritmetico, e poi che queste sequenze vengano ritradotte nel medium o nei media di partenza. Non si dimentichi il Computer, cioè il calcolatore elettronico, è uno strumento potente quanto stupido: stupido nella sostanza come è rimasto nei decenni, capace solo di fare uno più uno, e che tratta i numeri non come li conosciamo noi cioè in base dieci, scritti in sequenza delle 10 cifre dallo zero al nove, bensì in base due, come largamente noto, cioè come sequenze molto più lunghe delle sole cifre zero ed uno, in quanto questo "mulo da soma" autentico conosce solo questa dualità, nella forma acceso-spento, c'è corrente - non c'è, si-no, appunto uno-zero.
Negli anni '60, quando chi vi parla era ancora studente del glorioso ed ora bi-centenario Ginnasio Liceo Canova, era accesa la disputa tra due paradigmi alternativi e reciprocamente esclusivi per l'elaborazione elettronica dei dati. A quei tempi aveva una forza ancora notevole il paradigma analogico: senza perderci in tecnicismi da specialisti, qui basterà ricordare che si trattava di impiegare le enormi e diversificate risorse dell'elettronica mediante circuiti elettronici opportuni allestiti in modo che riproducessero qualunque tipo di fenomeno o di dato da elaborare, cioè appunto che vi fossero analoghi come funzionamento. I televisori in commercio stanno divenendo progressivamente digitali, ma per la gran parte quelli in uso sono ancora analogici, tanto è vero che se si vuole con essi vedere programmi digitali (sia terrestri che satellitari) occorre possedere uno strumento di traduzione dal digitale all'analogico, il modem, termine che è semplicemente l'abbreviazione di modulatore-demodulatore. I calcolatori in uso, sia quelli personali e domestici sia quelli delle massime dimensioni, sono invece tutti digitali da decenni come del resto il messaggio complessivo della rete, di Internet, del Web. Digitale è quasi tutta la musica fruita, e se si desidera un esempio della musica in forma analogica occorre un vecchio giradischi o meglio grammofono o fonografo, e un disco di vinile dove l'analogo del suono è ben visibile nella varietà dei solchi sui quali sfrega la puntina.
Ma se vogliamo un esempio molto semplice e comparativo basterà che ci poniamo il problema di misurare le dimensioni di una stanza come quella nella quale ora ci troviamo. La misurazione impiegata per millenni sarebbe stata analogica, consistente nel confrontarne i tre lati con un campione dell'unità di misura al tempo adottata: è un metodo di immediata comprensione e di facile attuabilità, quanto lento, macchinoso e fortemente impreciso. Oggi, come sa chiunque abbia visto all'opera un architetto, un ingegnere edile, un geometra, un operatore del settore, si impiegano degli strumenti elettronici digitali il cui funzionamento consiste nell'emettere un segnale radar da un estremo, e nel misurare il tempo che ci mette quel segnale a tornare dall'altro estremo: la velocità del segnale radar è la velocità della luce, per cui basta moltiplicare la velocità per il tempo e ovviamente dividere per due e si ottiene la distanza con enorme velocità e con elevata precisione, anche se la costruzione dell'apparecchio è indubbiamente molto più impegnativa e complicata di quanto non lo sia quella di un righello o di un metro (a nastro, a bacchette od in qualsiasi altra forma) che venivano usati fino a tempi non lontani ed ancora si usano. Oggi possiamo quindi lavorare sfruttando con metodologia digitale un principio e un meccanismo in fondo semplice a comprendersi, anche se non altrettanto a realizzarsi, e ancor più semplice ad impiegarsi, in modo più comodo, più veloce, meno laborioso ed enormemente più preciso.
In quegli anni, non molto lontani cronologicamente ma lontanissimi dal punto di vista culturale e da quello tecnico, l'analogico era fortemente studiato e oggetto di potenti investimenti, anche perché esso consentiva di sortire dei risultati efficaci e paganti in modo concettualmente semplice e immediato, anche se leggibile solamente dagli esperti. Il paradigma digitale era ancora perlopiù visto come una sorta di stravaganza, immaginandosi facilmente quali enormi sequenze numeriche si sarebbero dovute impiegare e coordinare nonché elaborare per un segnale complesso come quello televisivo, delle immagini in movimento integrato con il sonoro modulato, e quali elevatissime capacità di archiviazione ciò avrebbe comportato.


Un'evoluzione a ritmi frenetici

A questo punto, basterà riflettere su quest'ultimo dato, considerare per chi abbia un minimo di dimestichezza con l'informatica domestica quale enorme crescita della capacità di memorizzazione si è avuta anche in un arco di tempo piuttosto limitato, un decennio o persino di meno: se instaurassimo un paragone con i mezzi di trasporto, e dicessimo che dopo un paio di anni il motorino è stato sostituito da una 500, e questa dopo un altro paio d'anni da una Ferrari, e questa in breve da un prototipo di Formula Uno, non ne renderemmo neppure lontanamente il senso quantitativo della crescita che la memorizzazione digitale ha avuto. Più difficile è dare la misura della capacità di elaborazione di questi dati (i MHz del processore da soli non dicono abbastanza), ma la differenza tra una immagine digitalizzata, in movimento e con il sonoro ad alta fedeltà, che ci arriva in centinaia di canali interattivi via satellite e i due o tre canali nazionali che qualche decennio fa ci pervenivano in bianco e nero di cattiva qualità e con un sonoro di scarsa fedeltà, rendono l'idea, seppur lontanamente. In realtà, il divario è considerevolmente maggiore, e non lo possiamo apprezzare perché vengono posti dei limiti ben precisi all'impiego del segnale digitalizzato per ragioni di copyright e simili: pensiamo solo al fatto che se vogliamo videoregistrare su DVD una trasmissione via satellite o anche via digitale terrestre dobbiamo prima trasformarla in analogica attraverso il modem, anche quello incorporato nel televisore di produzione recente, poi prelevarla tramite la presa scart sempre in forma analogica, e quindi ritraformarla nuovamente digitale con il registratore DVD, così perdendo comprensibilmente di qualità e di flessbilità
Qui risulta esserci un nesso, sul quale sarebbe bene riflettere, tra l'enorme semplicità, la rozzezza, la scarsa provvedyutezza del modo di lavorare e l'enorme evoluzione circa i volumi e le velocità per compiere questo lavoro immane in brevi lassi di tempo: chi non ha molto né molto di difficile su cui ragionare diventa rapidamente ed estremamente produttivo. Si tratta di un argomento piuttosto impegnativo sul quale riflettere, che probabilmente getterebbe qualche fascio di luce su quella zona buia che nonostante tutto seguita ad essere la cultura tecnica, o meglio ancora la tecnica come cultura, il sapere di e sulla tecnica (che si chiamerebbe, in senso proprio, "tecnologia"), nella nostra scuola come nel nostro Paese.
Quanto è rimasto analogico dovrà essere per la gran parte letteralmente buttato (o rottamato…) e sostituito da uno strumento digitale corrispondente. Se si è seguitato a lungo a vendere televisori analogici, e se (ad esempio) ancora per qualche mese si vendono termometri clinici analogici al mercurio, è stato ed è solo per ragioni commerciali, e su questo dobbiamo avere chiare le idee: i corrispondenti digitali sono disponibili,e sono competitivi, da anni.


Uno spettro da esorcizzare, uno guardo alle professioni

Abbiamo accennato alla dimensione umana della questione: prima infatti di entrare nel vivo della digitalizzazione dal punto di vista pedagogico dobbiamo liberarci da uno spettro incombente, uno spettro metaforico, ma la liberazione dal quale sarà anch'essa passibile di metafora per la facilità, assolutamente paragonabile a quella del ricorso ad una treccia di aglio nei confronti dei vampiri.
Lo spettro è facilmente esemplificabile: si dice che una simile tecnologia, che invade tutti i campi nei quali l'uomo si impegna, tra quelli di lavoro ad alta cultura a quelli domestici relazionali e ludici, finisce per essere disumana, per ridurre l'uomo a macchina. La risposta costringerebbe ad indagare sulla cultura che vi è alle spalle di chi agita questo spettro, e nuovamente ad un riferimento alle carenze di cultura tecnica in Italia.
Prendiamo un buon esempio dalla medicina e dalla sua evoluzione. Fino a non molti anni fa, le analisi cliniche avevano una imprecisione altissima, e nuovamente il termometro a mercurio ne può dare una idea molto pallida, Invece, un secolo fa non c'erano nemmeno per la gran parte le analisi cliniche, e il medico che doveva prendere in esame lo stato di salute del paziente dall'urina doveva guardarla, annusarla, assaggiarla, ed è chiaro che aveva un rapporto più diretto con l'oggetto di studio; la visita del paziente si poteva svolgere solo a contatto, e questo è evidente. Ora, non verrà certo in mente a nessuno di azzardare che sia meno umano se adesso di analisi di laboratorio dell'urina come del sangue o di altri reperti biologici sono indirette ed enormemente più precise, dettagliate, discriminanti, di lettura immediata anche al profano, con più variabili in gioco.
Vale l'analogo per le possibilità di distinguere sempre più precisamente le parti interne non immediatamente e direttamente visibili, e senza alcun contatto con il medico, dalle radiografie alle ecografie, dalla risonanza magnetica cui non si aggiunge più l'aggettivo corretto "nucleare" per malinteso rispetto del paziente alla tomografia con emissione di positroni, anche questa chiamata con la sigla PET perché in una carenza di cultura tecnica certe parole possono spaventare.
Al contrario, è di tutta evidenza che questa medicina è molto più umana, in quanto il possesso questi dati consente diagnosi e terapie più precise ed efficaci di quanto non fosse consentito dal rapporto diretto tra il paziente e il medico: non dimentichiamoci mai che tutti questi dati, dalle analisi alle immagini, non possono in nessun caso fare a meno dell'uomo medico come mediatore tra la realtà singolare, irripetibile e con la propria variabilità dell'uomo-paziente e la diagnosi e la terapia che seguono schemi astratti e sintetici come nel caso della malattia.
Il medico non cura malattie ma malati, e questo è valido oggi come lo era trenta o cento e più anni fa; ma il medico non sarebbe un professionista se non conoscesse le malattie e come si curano.
Altrettanto vale per qualunque professione: il professionista è l'uomo che media tra i casi umani particolari che sono di sua competenza e la cultura di cui egli è rappresentante ed esercente. Questa è una visione assolutamente umana degli saperi anche scientifici, anche tecnici, ma per esempio anche giuridici o sociali, in quanto introduce la necessità dell'uomo come condizione di conoscenza e di praticabilità cioè il principio antropologico.


Riflettere sulla cultura tecnica e la sua annichilazione nella scuola

Aver annichilito la cultura tecnica nella nostra scuola dell'istruzione obbligatoria in questi ultimi decenni ha avuto delle ragioni anche comprensibili, sulle quali potremo intrattenerci in una prossima occasione. Ciò non toglie che gli effetti siano stati letteralmente catastrofici sulla società intera: non c'è verso di porre seriamente e rigorosamente nessun problema a base tecnica o scientifica, dall'inquinamento alle fonti di energia, dal buco nell'ozono all'effetto serra, dai trasporti al consumo del territorio, appunto della tecnologia in medicina e nell'insegnamento, e l'elenco sarebbe purtroppo lunghissimo, mentre allignano formulazioni ed escogitazioni consolatorie e altisonanti, retoricamente efficaci, quanto false ed ingannevoli e parimenti tecnicamente o praticamente inefficaci.
In questo senso, proprio il digitale fornisce un esempio particolarmente emblematico, uno stimolo di grande fertilità per una riflessione più complessiva. Ma non dedichiamo a questo aspetto del problema, per quanto importantissimo, righe ulteriori, e torniamo senz'altro allo specifico.
Non esiste né può esistere un computer che formuli le diagnosi, o per esempio che esprima sentenze nel campo giudiziario, o che educhi o che valuti gli alunni e gli educanti, e via esemplificando per linee concettualmente analoghe, in quanto ci deve sempre essere il fattore umano in una posizione determinante e, consideriamo bene il termine, nella visione di tale preziosa strumentalità.
È chiaro che si può formulare e paventare un analogo avviso di pericolo per l'informatica digitalizzata, cioè a proposito di ciascun computer singolo, e per la telematica digitalizzata cioè per il collegamento di ciascun computer con tutto il mondo, ma sarebbe una formulazione altrettanto ingannevole e foriera di rischi molto seri.


L'uomo nelle sue creazioni

Tuttavia, per chi abbia anche una limitata esperienza della materia, è invece chiarissimo che dietro a qualunque manifestazione dell'una e dell'altra digitalizzazione, anche dietro ai personaggi dei videogames, anche dietro Facebook che tanto tempo fa perdere ai nostri figli e talvolta anche ai nostri coetanei, dietro i gruppi elettronici (E-group) e dietro My Space, anche dietro Second Life e tutte le possibili virtualità, ci sono uomini, pienamente tali e che semmai trovano ulteriori opportunità di mettere in atto talune rispettive potenzialità nei confronti di quanto non potrebbero fare senza strumenti digitalizzati.
Da un punto di vista che non è solo pedagogico-sociale e neppure solo scolastico, il vero problema è vedere pienamente l'uomo dentro quelle che altro non sono se non sue creazioni. Questo può anche non essere facile, per l'educazione dell'uomo e per la sua cultura. Ma questo può non essere facile, neppure dove viene fatto più frequentemente: ciascuno di noi ricorda certamente quante lezioni e quanto impegno dispiegavano i nostri validi insegnanti di letteratura italiana per consentirci di cogliere l'uomo che c'era e c'è dentro, poniamo, la Divina commedia, ovvero I promessi sposi o l'Infinito; questo è tutt'altro che facile, tanto da richiedere per Dante o per Manzoni addirittura anni di studio e numerose riprese di notevole entità da un anno all'altro. A questo proposito il ricordo del vostro conferenziere va con gratitudine e deferenza a quel grande maestro di umanità e di vita, prima che non di letteratura italiana ed anzi contestualmente ad essa, che ha avuto in Giovanni Battista Baroni, anche a distanza ormai di una quarantina d'anni. Nessuno si sognerebbe di mettere in dubbio tanto per quel che riguarda anche le letterature straniere moderne, o il latino e il greco, o la storia dell'arte. Non cambia assolutamente nulla, salvo la maggiore importanza e altresì le più gravi inadempienze, per quel che riguarda la cultura tecnica e per quel che riguarda la cultura scientifica: come nella fattispecie cogliere l'uomo dietro l'informatica digitalizzata può non essere più difficile, secondo chi vi parla sarebbe perfino più facile con un'educazione scolastica meno squilibrata: ciò non toglie che vada fatto e vada fatto con la massima cura, con finalità specialmente umane, educative e culturali anche quando coesistono finalità di ordine pratico operativo ovvero a carattere di procedura di uso quotidiano.


Circa il ruolo odierno della scuola, in generale…

Per portare un semplice esempio al riguardo, potremmo ipotizzare che nella scuola ci fosse il fine di far conseguire la patente di guida agli studenti; sul patentino già si fa qualcosa di apprezzabile. Ovviamente la risposta è no, anche se la cosa sarebbe possibile: lo scopo fondamentale è che si dovrebbe porre la scuola al riguardo sarebbe sostanzialmente un altro e cioè in questo caso (proprio come nel caso alla nostra attenzione qui oggi per il digitale) educare gli studenti a fare di uno strumento potente e fortemente invasivo sulla nostra vita e nella nostra società un impiego umanamente e socialmente congruo, mettendoli in guardia rispetto ad impieghi che invece contraddicono l'umanità che si trova anche dentro le progressive fasi che hanno condotto alla invenzione e alla costruzione delle automobili con il motore a combustione interna come sono quelle che impieghiamo ormai da oltre un secolo. E spieghiamoci meglio, perché non è un fatto né tanto di educazione stradale e neppure di dimestichezza con alcuni meccanismi per comandare l'automobile: dobbiamo domandarci e far comprendere agli allievi perché quei meccanismi vi siano, siano disposti in un certo modo, quale evoluzione essi abbiano avuto in questa breve storia dello strumento, e sono tutti motivi umani; impartire delle lezioni sul codice della strada, è opportuno che le impartiamo, ma non tanto perché conoscano le regole della circolazione stradale, bensì prima di tutto perché capiscano il motivo o il complesso di motivi di certe regole, se sono cambiate e come potranno cambiare, quali regole siano critiche (e così via) avendo sempre riguardo per l'essenza del problema umano e relazionale; ed ancora, che succederebbe se queste regole non ci fossero. Occorre cioè praticare dell'educazione stradale.
Per il digitale vale esattamente l'analogo, con la differenza che la sua storia è di pochi decenni.
Da lungo tempo ormai siamo tutti convinti che il compito fondamentale della scuola non sia fornire informazione, bensì educare ad una gestione dell'informazione fin dalle età più tener. E del resto, se non lo fa la scuola, chi volete che lo faccia, chi lo potrebbe fare al posto della scuola e con una maggiore professionalità della scuola e degli insegnanti? Si tratta di una responsabilità pesante,che né la scuola né gli insegnanti possono scuotere da loro stessi.
… e nello specifico
Questo discorso acquista una forza e una specificità maggiori nei riguardi del digitale con riferimento all'informatica e alla telematica, proprio perché si tratta di gestione e trasmissione dell'informazione, come certo gli ascoltatori hanno compreso perfettamente.
Potremmo cominciare con l'osservare e con lo studiare con attenzione e senza pregiudizi l'immensa varietà di corsi che troviamo continuamente in edicola, spesso in abbinata con noti quotidiani o periodici, con CD-ROM, DVD ed altro materiale elettronico, e spesso prevedendo la possibilità di integrare tanto con taluni collegamenti telematici dedicati. Ne troviamo di lingue moderne, di musica, di teatro, di disegno, di letteratura e sulla Divina Commedia, di varie attività artistiche e di ancor più varie attività artigianali, e via elencando a piacere, non senza dimenticare l'informatica e la telematica stesse, oggetto di approcci e discorsi generali ovvero di corsi specifici per alcune particolari applicazioni per alcuni particolari pacchetti di programmi, nonché per una buona navigazione in Internet. Là dove sarebbero occorsi volumi su volumi, cospicui apparati di dischi analogici, filmati o diapositive, riproduzioni e complicazioni di ogni genere, il tutto enormemente costoso e non per tutte le tasche, ora abbiamo un ammontare limitato e compatto di materiali digitalizzati ad un prezzo accessibile a chiunque.
Indubbiamente si tratta di una evoluzione positiva, non v'è chi non se ne renda conto, in quanto ogni ambito del sapere è a piena disposizione di chiunque, e spesso con qualità elevata, anche se occorrerebbe un sano discernimento.
Abbiamo messo in guardia da pregiudizi facili quanto infondati: l'offerta è vastissima ed estremamente articolata, comprende anche dei corsi allestiti con grande perizia e dai quali gli allievi possono trarre un profitto enorme, e il relativamente basso costo di questi corsi dovrebbe essere apprezzato come un pregio ulteriore, esattamente come la modalità di diffusione estremamente capillare della promozione che le case editrici e spesso le pubblicazioni che li promuovono possono effettivamente assicurare. Ma la miglior accessibilità sia come sedi e diffusione che come costo rispetto a trattati blasonati di anni recenti è uno dei tanti pregi, e nemmeno il principale a ben vedere.
L'accesso al sapere e ai saperi attraverso questa varietà di strumenti digitalizzati, una volta acquistati ed inseriti nel computer connesso in rete, sta interamente e senza residui nelle mani dello studente o, meglio, di quello che potremmo chiamare più propriamente l'"utente" del corso stesso. È proprio lui e lui solo, a quel punto, a decidere senza alcuna riserva come, quando, con quali ritmi studiare, per lo più anche seguendo un itinerario a scelta tra una varietà oppure scegliendo in totale libertà i moduli nei quali il corso si articola e l'ordine nel quale affrontarli, è lui stesso a decidere se procedere anche con scelte ramificate, soffermarsi oppure ritornare, quando e quante volte, su determinati argomenti, e attraverso strumenti di autovalutazione se considerarsi adeguatamente preparato allo scopo oppure no e che cosa fare di conseguenza.
Non dimentichiamoci, poi, che quasi tutti questi corsi hanno un finalità pratiche. Questo consente a ciascuno di constatare se è in grado di leggere una lingua straniera o di parlarla, di suonare uno strumento musicale di impiegare gli strumenti di un pittore, di fare buon uso di pacchetti informatici ovvero di un programma per la navigazione nel Web (Browser), in che misura, con quale dimestichezza con quali limitazioni, e quindi responsabilmente su quali argomenti tornare.


Un rovesciamento nel paradigma della didatttica

Tutto ciò integra un vero e proprio ribaltamento di paradigma nella didattica, e ricordiamo bene l'avvertenza data in apertura di non considerare la didattica come una scienza della scuola, bensì una scienza dell'educazione con dominio sociale enormemente più ampio. Dopo decenni e decenni di enunciazioni di principio autorevoli sulla necessità di decentrare l'attenzione nella didattica dal docente ai discenti, con fortuna alterna e risultati sempre molto parziali, ora siamo di fronte alla realizzazione integrale di questo principio. Il discente ora è assolutamente al centro di tutto il processo didattico e di apprendimento, e tutto il resto, anche il docente in rete o in Chat, è a sua completa e incondizionata disposizione. Dopo decenni o secoli che parliamo di insegnamento individualizzato, di insegnamento personalizzato (che non è la stessa cosa), di una didattica centrata sul discente, di una educazione centrata sulle educando, e per questo non sono bastate enormi aliquote tra le più pregiate risorse umane dei docenti e degli educatori nonché degli esperti, ora tutto ciò è realizzato è disponibile a chiunque. Adesso il discorso didattico ed educativo è nelle mani del discente, e questo è fondamentale.
Qualcuno potrebbe obiettare che tutto questo è comodo, non essendovi per il discente-utente altre persone con le quali fare i conti continuamente, come gli insegnanti ed i compagni. Comodo lo è per la fruizione e il basso costo, ma per il resto va tenuto presente che la responsabilità è tutta, interamente e senza residui nelle mani dello stesso utente. Se riesce, oppure no e in che misura, dipende solo da lui: non può prendersela con nessuno né scuotere comunque da sé e da sé solo la responsabilità qualunque fallimento. Così come. si capisce, è tutto e solo suo il merito di qualunque successo.
Si ribadisce quindi come alla scuola competa innanzitutto un compito metodologico, cioè di insegnare all'allievo a fare buon uso di questi strumenti e ad ottimizzarne la fruizione, ed inoltre di fornirgli gli strumenti culturali e critici per orientarsi all'interno di un'offerta pletorica, strabocchevole, di entità chiaramente superiore alla possibilità anche del migliore degli studenti-utenti.
Notiamo, inoltre, che questa centralità dell'allievo lo mette nelle condizioni migliori anche per poter cogliere e comprendere appieno quell'uomo che c'è dentro l'oggetto di studio, in quanto e lui uomo da solo ma nella pienezza delle sue prerogative umane che si applica secondo propri principi e proprie decisioni ad un determinato sapere, e ne controlla l'acquisizione anche mediante le possibili applicazioni.


Tra le caratteristiche peculiari della didattica digitalizzata

Vi sono altre caratteristiche fondamentali di questa didattica digitalizzata e connessa, intendendo il termine "didattica" nel senso lato che ciascuno ormai intuisce, sulle quali è necessario che diamo almeno alcuni cenni schematicamente.
Un primo esempio ci è offerto dalla cosiddetta "ipertestualità". Anziché dover seguire un ordine prefissato, si tratta di una caratteristica che già abbiamo potuto intravvedere nella didattica digitalizzata che consente una scelta, più o meno ampia, ma tendenzialmente crescente e in prospettiva totale, dell'ordine nel quale seguire l'oggetto di studio da parte dell'allievo-utente. Va tuttavia precisato che gli ipertesti c'erano già prima che la digitalizzazione entrasse nella didattica: il vostro relatore ricorda perfettamente negli anni '60 taluni volumi al termine di ciascun capitolo dei quali vi era una serie di alternative su come procedere, e ha potuto appurare come queste risorse fossero presenti, anche se in casi assolutamente eccezionali, anche nel decennio precedente, e forse prima ancora. L'idea di fondo, si capisce, è di responsabilizzare l'allievo nella fruizione dello strumento didattico, fosse anche un tradizionalissimo libro cartaceo, consentendogli di adattare alle sue peculiari esigenze il percorso da seguire e non vincolandolo all'ordine delle pagine che è comunque una scelta astratta e centrata non sull'allievo ma sull'autore, il quale può essere più o meno sensibile e più o meno edotto circa le esigenze dei possibili fruitori, i quali peraltro potrebbero avere esigenze diversissime e fin divergenti.
Il problema vero era che non tutti gli utenti erano in grado di usare questi strumenti nel modo migliore. L'abitudine ad affrontare il volume cartaceo nella sequenza delle pagine finiva spesso per imporsi o quanto meno per condizionare le scelte, ed inoltre i casi nei quali lo studente era indotto a ritornare a pagine precedenti, senza che questo significasse ricominciare daccapo, era vissuto e considerato come una sorta di sconfitta o di inadeguatezza personale, anziché positivamente come un importante adattamento a sé stesso della risorsa ipertesto, per quanto assolutamente confondibile con un testo ordinario una volta chiuso.
Nella didattica digitalizzata si capisce come non sussistano simili condizionamenti, ed anzi la tendenza che prende piede immediatamente nel fruitore è proprio quella di andare in volta a volta all'argomento che più gli interessa e che gli sembra meglio funzionale al proprio personale itinerario di sviluppo e di apprendimento; non dimentichiamoci che la responsabilità di eventuali errori anche in questo è tutta e solo sua. Aggiungiamoci un dato importante: che in molti corsi e materiali didattici digitalizzati, specie se è organica e forte l'interazione con la rete e ancor più se è prevista la connessione continua on Line come quando si è in possesso di un collegamento ADSL, spesso non vi è neppure una indicazione progressiva di argomenti, ma solo una giustapposizione di trattazioni modulari di argomenti ciascuna in sé compiuta ed autosufficiente, al fine di consentire qualsiasi possibile scelta di ordine nell'affrontare i moduli da parte dell'allievo, come anche nell'integrarli con altri materiali ovvero nell'omettere taluni argomenti, di principio senza limite alcuno. Anche solo per questo, le possibilità di personalizzazione sono realmente infinite.


O quanto mutatus ab illo…
Si r4ifletta su quanto sia cambiato, dai tempi nei quali affrontare una materia significava partire necessariamente da un determinato oggetto di apprendimento: tipico il rosa rosae del latino elementare, o i monomi dell'algebra scolastica!
Un'altra caratteristica emergente della didattica digitalizzata è costituita dalla multimedialità, altro neologismo che può sembrare arduo ma che in realtà si comprende facilmente nel suo significato, come avviene spesso per i termini composti originariamente in lingua inglese, anche quando i componenti possono essere latini come nella fattispecie. Qualche studente, alla domanda su che cosa sia questa prerogativa, crede di cavarsela dicendo semplicemente che abbiamo a disposizione molti mezzi, molti media, e raccomanderei di pronunciare la parola come è scritta, trattandosi di termine latino, e non indulgere al vezzo di pronunciarlo all'inglese. Si tenga presente che anche la declinazione al nominativo plurale è quella latina e non certo quella anglosassone. Comunque, sbaglia quello studente o chiunque altro creda che multimedialità significhi semplicemente avere a disposizione molti media: manca il concetto essenziale cioè la contestualità immediata della disponibilità di tutti questi media e l'attivabilità diretta secondo scelte dello studente-utente.
Già lo vediamo in tanti materiali in CD-ROM, e lo vediamo continuamente quando siamo connessi con la rete: in genere abbiamo un testo con immagini fisse e piuttosto modeste, come base, ma già questo presenta una serie di collegamenti o link; con questi o con altri strumenti è possibile secondo scelte delle quali è responsabile dello studente-utente, materiali sonori, altri materiali iscritti od conici fissi, con l'interattività di ingrandire e di coglierne particolari di questi secondi ovvero di confrontare tra loro immagini, ed inoltre se disponibili immagini in movimento con o senza sonoro, un sonoro di commento o anche il sonoro originale.
È chiaro che solo per argomenti che si collocano nell'ultimo secolo o giù di lì questa multimedialità può essere piena, non possiamo certo disporre della voce di Cicerone ovvero del filmato della guerra del Peloponneso; ma anche in quel caso la disponibilità contestuale di cartine, magari animate, di ricostruzioni e delle immagini dei luoghi come essi sono attualmente, nonché di commenti di storici e critici e di altro materiale analogo costituiscono una risorsa di intuibile pregio.
Ma pensiamoci approfonditamente. Se per esempio stiamo studiando il Seicento, con riferimento al barocco, certo non avremo immagini in movimento storiche: ma possiamo integrare a quello che il multimediale è disponibile in storia le varie espressioni artistiche del barocco, così con correndo ad una più piena comprensione del tempo storico e dei suoi fenomeni. Dobbiamo poter disporre di letteratura barocca, a lungo sminuita e oggi forse oggetto di un qualche recupero, sia in modo testo che ad esempio recitata. Dobbiamo poter disporre di musica barocca, possibilmente non sempre e solo le Quattro stagioni di Vivaldi, e pur riconoscendo il primato dell'Italia non dimenticandoci di inserire adeguati contenuti di musica tedesca e in particolare di Bach, di musica inglese ed in particolare di Händel, di musica coeva di altri paesi; e magari filmati di brani di melodrammi, forma artistica appena creata in quel secolo e presto prioliferata, ovviamente nell'un caso è nell'altro in interpretazioni filologicamente il più accurate possibili. anche se le attuali; e non deve certo mancare l'attenzione per il barocco delle arti figurative, non solo anche se primariamente dell'architettura, la quale anche in Italia ha sue zone di assoluto elevatissimo valore artistico e storico. Sono la contestualità e l'integrazione che segnano la differenza sostanziale dal punto di vista didattico, culturale, educativo: la semplice molteplicità dei media non basta ed anzi può ingannare.
La vera è corretta multimedialità è incomparabilmente più interessante, e in questo è un'altro pregio che dobbiamo tenere nel giusto conto.
Ancora. Oggi anche uno strumento frivolo come i videogames diventa prezioso per ricostruire in modo comprensibile le dinamiche di certe battaglie oppure di certi altri eventi storici, e sarebbe un errore di superbia e di spocchia non vederne la positività per l'apprendimento e la comprensione da parte degli utenti.
È chiaro che in questo ambito allignano con facilità anche materiali sedicenti multimediali ma che in realtà sono solo aggiunte, accozzaglie di materiali di scarso valore ad un testo base: l'importanza di educare ad un corretto accesso ed approccio a questi materiali, che è poi educazione alla scelta, appare ancora più chiara alla luce di riflessioni come queste. D'altra parte, una buona multimedialità anche con simulazioni è un efficace antidoto anche nei confronti di trattazioni di fatti storici dell'antichità o del medioevo puramente verbose, libresche nel senso più spregiativo (riduttivo) del termine, o magari di altisonante retorica con fini non educativi ma di condizionamento, di convincimento con un fondo politico e ideologico, come anche nel nostro Paese è avvenuto dopo l'Unità con programmi di storia improntati alla scelta di episodi e aneddoti che servivano solo a costruire una falsa ed ingannevole continuità tra la cultura italiana e la cultura e la storia dell'antica Roma, e una immagine di questo guazzabuglio come di una sequenza di eroismi, mettendo in un unico calderone Muzio Scevola, Orazio Coke lite, Clelia, Giulio Cesare, Costantino, Pier Capponi, Francesco Ferrucci, Ettore Fieramosca, le repubbliche marinare, la lega lombarda e il carroccio, Pietro Micca, Balilla e via elencando, chi ha i capelli grigi come il vostro relatore non fatica certo a riconoscerne quelle che sono state forse, speriamo, le ultime propaggini di questo modo di diseducare con una storia falsata su un nucleo realistico ancorché di scarso rilievo. È chiaro che noi pensiamo all'insegnamento della storia oggi con tutt'altre finalità pedagogiche, a comprendere il passato nelle sue cause e dei suoi effetti onde poter comprendere e razionalizzare più pienamente il presente e progettare un futuro realistico per il quale valga la pena di impegnare se stessi.
D'altra parte, il ricorso a simulazioni, specie dove non vi siano e non vi possano essere immagini originali è comune in altri campi, perfino nei quali sarebbe possibile avere immagini originali, e spesso le due tipologie di immagini si integrano reciprocamente. Pensiamo a corsi di chirurgia oppure di fisioterapia o di altre risorse della cultura medica. Oppure pensiamo alla simulazione di terremoti od altri eventi catastrofici in geologia, od anche all'arricchimento semantico di quelle immagini di difficilissima interpretazione che caratterizzano la fisica degli ultimi 60 e più anni. Al solito, si tratta di una risorsa, di uno strumento: può anche essere usato male, ma dobbiamo fare di tutto perché sia usato bene, in quanto l'uomo ne ha moltissimo da guadagnare.


A proposito di ludicità

La centralità dell'allievo-utente in qualche modo riassume tutte le proprietà salienti di una didattica digitalizzata: e non dimentichiamoci che a scuola avviene esattamente il reciproco, e più si procede negli studi e più la centralità si sposta, in qualche modo necessariamente, verso il docente allontanandosi dai discenti. All'università questo è portato alle estreme conseguenze, anche con il massimo di perizia da parte di noi docenti. Il docente ha ben precisi doveri nello stabilire programmi, orari, scadenze, tempi da dedicare ai vari argomenti, bibliografie e quant'altro: certo può compiere ogni sforzo per avvicinare queste scelte alle caratteristiche e alle compatibilità degli allievi, e lo si fa; ma rimane necessariamente un complesso di determinazioni la cui responsabilità è nel docente e non potrebbe essere altrimenti, a meno di un docente negligente e manchevole dai propri doveri più elementari.
Le proprietà tipiche della didattica digitalizzata sono tante, ma l'uditorio mi consenta di dedicare ancora almeno alcune parole ad un'altra di queste, vale a dire la ludicità, il carattere fondamentalmente ludico della didattica digitalizzata e connessa. Non è certo necessario che ricordi in questa sede che il termine latino ludus ha molti significati, per esempio riguarda il teatro e riguarda aspetti della vita sociale, non solo il gioco e il divertimento puerile, fine a sé stesso. Lo diciamo o meglio lo ricordiamo proprio perché non si fraintenda non tanto il significato del termine "ludicità" con riferimento alla didattica digitalizzata, ma le valenze positive dal punto di vista culturale ed educativo di una attività che è intrinsecamente ludica, nel senso detto ma anche nel senso stretto di divertimento giocoso, come lo è sempre l'attività al computer, meglio se connesso. Eppure, si deve denunciare come ancora oggi troppo spesso tocchi a chi vi parla e a chiunque si occupi della materia si appuntino critiche salaci e pesanti, nonché distruttive, a tutti quanti lavorino per una didattica che si centri sul computer sbeffeggiandola e svillaneggiandola come se si trattasse in sostanza di nient'altro che di un videogame in un po' trasfigurato, o appena appena mascherato. Non è difficile immaginare che anche presso persone di elevata cultura possano esistere sacche di ignoranza anche così vistose relativamente a tematiche degli ultimi decenni e alle quali esse non abbiano ritenuto di applicarsi, o lo abbiano assolutamente rifiutato. Si crede proprio, insomma, che di un vero e proprio gioco si tratti, fine a sé stesso e al sollazzo: gli studi seri sarebbero solamente quelli che si fanno ascoltando il docente nella lezione frontale e poi con i libri cartacei, ovviamente da studiarsi nell'ordine numerico delle pagine. Senza nulla togliere alla serietà e anche alla non sostituibilità totale di questi secondi, eredi di una tradizione millenaria, si deve ribadire che le cose non stanno questo modo negativo per quanto riguarda le risorse informatiche e telematiche digitalizzate, al contrario esse dimostrano sempre più ampiamente in campi sempre più diversificati di essere preziose e di costituire un grande aiuto per l'evoluzione della cultura e del suo insegnamento, e per renderne partecipi strati sempre più ampi della popolazione.
Sia ben chiaro: non ci si deve fermare all'idea che con i primi calcolatori tascabili si sono liberati gli studenti da certi procedimenti noiosi e di scarso valore educativo come l'estrazione a mano della radice quadrata oppure l'impiego dei logaritmi (in base 10) e relative tabelle, ovvero ancora il trattamento delle funzioni trigonometriche sempre mediante tabelle. Ci siamo liberati di quei gravami e abbiamo risultati più precisi in un tempo enormemente più breve, ma questo libera risorse perché si imparino meglio ad esempio la teoria dei logaritmi, la teoria delle funzioni trigonometriche, e le loro ricchissime applicazioni che non sono certo solamente interne alla matematica ma anzi schiudono orizzonti enormi nella fisica come nell'economia. nella musica come nell'elettronica e via elencando.
Ma se il discorso fosse limitato al campo scientifico o a quello tecnico tradiremo l'essenziale: oggi l'impiego di strumenti di scrittura e di consultazione digitalizzate sta dimostrando da tempo la sua elevatissima proficuità anche nello studio delle lingue classiche, come il latino, il greco ed anche ad esempio l'ebraico, ma altresì in studi di antichistica che possono raggiungere una efficienza e una valenza probatoria enormemente superiori che non per il passato. Ricordiamo sempre che è l'uomo a servirsi di questi strumenti, e non ne è mai sostituito, e il fatto che questo ricorso abbia caratteri ludici è un pregio, un vantaggio, una marcia in più.
La letteratura italiana, le letterature straniere, la storia dell'arte, la storia della musica costituiscono altri esempi di campi nei quali l'applicazione di una didattica digitalizzata è connessa con le proprietà che abbiamo visto e con le altre sulle quali potrebbe intrattenerci hanno già dimostrato risultati enormemente più validi ed apprezzabili che non tecniche tradizionali. Purtroppo il pregiudizio secondo il quale un farmaco per far bene deve essere cattivo è tardo a morire, come tutta quella cjhe la saggezza contadina chiama "l'erba cattiva".


Circa l'educazione alle regole

Fra l'altro, non dimentichiamoci a proposito della ludicità che il comportamento secondo regole comuni e comunemente accettate costituisce una condizione necessaria e imprescindibile per l'accesso al computer. Anche l'allievo più ribelle alle regole all'ottemperanza alle quali è educato con altri mezzi accetta di buon grado le regole quando esse sono condizione necessaria per accedere al computer e ad Internet. Non si sottovaluti l'importanza di questo aspetto. Già l'impiego ludico del computer, in senso lato ma anche il senso stretto e riduttivo, è un importante aspetto dell'educazione alla necessità di agire secondo regole. Certo, una regola o un complesso di regole può essere oggetto di critica, di cambiamento, di riforma, e in genere ogni apparato di regole ha anche le modalità per la propria riforma; quello che deve essere un carattere essenziale di ogni educazione e di ogni atto culturalmente significativo, e di cui ancora oggi spesso ci dimentichiamo secondo cattivi insegnamenti e fraintendimenti di qualche decennio fa, è che comunque di un apparato di regole non si può fare a meno, che si tratti di cultura e di studio, che si tratti di socialità o relazionalità, che si tratti di qualunque modalità di esercizio della creatività umana. Al mito romantico e idealistico di "genio e sregolatezza" non crediamo, ed anzi ne comprendiamo il carattere retorico alla luce dello spirito borghese ottocentesco (ma propagatosi ben dentro il Novecento): oggi invece diamo delle regole una visione umanamente promozionale, e comunque le presentiamo come una necessità imprescindibile, che il computer e Internet digitalizzati possono adeguatamente esemplificare, testimoniare, riscontrare, facendole accettare anche ai più riottosi. Si può sempre sostituire una regola, ma con un'altra regola che presenti qualche carattere premiale nei confronti della prima; senza regole non c'è cultura, non c'è socialità, non c'è relazionalità, non c'è educazione.
Proprio oggi che ci lamentiamo, giustamente, individuando un problema reale, di questi nostri ragazzi che non rispettano le norme, che violano ogni convenzione e ogni consuetudine, ma anche dal fatto che in società c'è poca dimestichezza con il rispetto delle regole in quanto tali, se abbiamo una risorsa pregiata come l'abbiamo in questo contesto sarebbe il caso di farvi ricorso con convinzione e in modo provveduto, fin pèrogettuale.
Non occorrerebbe nemmeno precisare, e lo facciamo solo en passant, che tutto quanto abbiamo detto circa la figura dello studente-utente riguarda anche l'insegnante e la persona di cultura che, pur venendo da tutt'altre tradizioni di studio e di apprendimento, può arricchire sé stesso e la propria professionalità attraverso questi strumenti. Anzi, si potrebbe perfino ipotizzare che proprio per la diversità delle tradizioni dalle quali egli proviene il beneficio che ne possa ricavare sia considerevolmente maggiore.
Vedendolo da un'altra prospettiva: il fatto che gli allievi di fronte ad una didattica digitalizzata rispettino rigorosamente le regole, dimostrino una capacità di attenzione per tempi enormemente più lunghi e sotto stress rispetto a quella mezz'ora che dogmaticamente e senza alcuna prova si è ritenuta essere la massima capacità di attenzione in classe da parte loro, il fatto che dimostrino davanti al computer una memoria visiva enormemente superiore a quella che viene richiesta nel contesto delle attività scolastiche, non ha conseguenze solo relativamente agli allievi. Anche chi è provveduto può è in un certo senso deve trarne le necessarie conseguenze per ripensare anche al suo insegnamento porto nella forma più tradizionale, diciamo "frontale" e con i soli media costituiti dalla sua parola e dal gesso alla lavagna. Non è un incoraggiamento a ritornare al passato, al contrario la programmazione curricolare degli ultimi decenni ha ampiamente testimoniato quanto possa essere più ricca ed interessante nonché più efficace e produttiva una didattica che faccia ricorso a materiali e media differenziati, quelli che un tempo si chiamavano "sussidi didattici audiovisivi" e che avevano con me loro antenati quelli che Giovanni Gentile nella riforma del 1923 chiamava "espedienti didattici".
L'insegnamento che ricaviamo da tutto questo è anche un altro, e forse ancora più importante: che certe limitazioni temporali, di attenzione, di memoria, di disciplina entro le quali siamo stati portati a muoverci come insegnanti ed educatori da asserzioni in materia assolutamente dogmatiche, nel senso di mai messe alla prova e di ideologicamente ispirate ad un contenimento del ruolo del docente e della sua importanza per l'allievo, trovano proprio nella digitalizzazione una falsificazione completa, senza riserve né residui, che ciascuno dei nostri allievi o dei nostri educanti o dei nostri figli ci può portare, tale da portarci a ripensare alle nostre metodologie didattiche e alle relative scansioni qualitative e quantitative in termini sostanzialmente differenti è molto ma molto lontani dalle strettoie delle quali abbiamo dovuto soffrire per troppi decenni, ed è opportuno che ci liberiamo quanto prima.
In parole povere: io insegnante sono portato da tutto ciò a riprogrammare la mia didattica proprio rifiutando queste limitazioni, delle quali la più penalizzante ma anche la meno sostenibile e la più falsificata si compendia nella frase "tanto, più di mezz'ora non mi seguono!". Poi, non è certo detto che la ristrettezza vada varcata con il computer: si può varcare con la Divina commedia o con i lirici greci, con la storia moderna e contemporanea o con una buona integrazione tra arti figurative, arti letterarie, arti musicali: insomma, con un insegnamento suscettibile di interesse nell'allievo tale che egli si auguri che una lezione così non finisca mai. Non si creda che sia impossibile: è possibile, possibilissima, quanto è indubbiamente difficile; ma il grosso delle difficoltà non sta nei limiti dell'insegnante e della sua cultura, sta delle abitudini e dei luoghi comuni consolidatisi negli ultimi decenni che, in ultima istanza, avevano il solo scopo di svalutare e screditare la cultura e la didattica, assieme alla scuola e alla figura degli insegnanti.


Regole e contenuti d'insegnamento

Anche sulle regole sarà meglio insistere per qualche riga. Non è vero che i nostri ragazzi sono contro le regole; la psicologia ci ha insegnato da lungo tempo che all'autonomia si perviene attraverso l'eteronomia, e che non esiste una scorciatoia dall'anomia all'anarchia. I nostri ragazzi, a differenza dei componenti di alcune generazioni fa, non rispettano le regole imposte "a prescindere", non rispettano le regole che vengono loro poste con la sola motivazione che sono regole. Diventa allora pedagogicamente necessario il passaggio attraverso lo studio del perché vi siano certe regole, di come certe regole siano necessarie per la socialità, per la cultura, per la buona crescita e per lo sviluppo ottimale di tutte le potenzialità del soggetto, per la sua piena relazionalità, perché e per come senza certe regole non vi possa essere socialità né cultura, ma nemmeno sviluppo di proprie potenzialità e di proprio esercizio di creatività sotto qualsiasi forma. La grammatica, o il modo di impiegare i colori, non sono forme di autoritarismo, ma sono forme di liberazione nell'allievo delle capacità di esprimersi in una lingua ovvero attraverso un disegno. Perfino la calligrafia, senza tornare ad eccessi di altri tempi, ha una sua importanza notevole in questo senso, in quanto una scrittura illeggibile vanifica qualunque tentativo di comunicare per iscritto da parte dell'allievo, per cui una sana disciplina ad una scrittura il più possibile standardizzata non può che essere per lui una liberazione, una potenzialità attuata. Poi, lasciamo alla riflessione degli ascoltatori quanto possa aiutare la disciplina della scrittura a sviluppare altre forme di disciplina: qui può anche sembrare che stia parlando di tutt'altro rispetto alla digitalizzazione della didattica, dell'elaborazione elettronica dei dati culturali e della loro interconnessione in rete, invece stiamo parlando esattamente della stessa cosa, cioè dell'uomo così come egli si manifesta nelle sue creazioni e dell'impiego di tutti i media che egli escogita e cui fa ricorso per ragioni di comunicazione, di socialità, di cultura, di evoluzione personale ed assieme ad tutte le altre persone che costituiscono il genere umano.
Semmai, allora, dovremmo ringraziare quegli allievi che si rifiutano di rispettare le regole "a prescindere", perché "così si fa", perché "non far così non sta bene", od altre frasi altrettanto destituite di ogni e qualsivoglia senso e significato. Sono per noi una ragione di correzione di un errore grave, il permanere nel quale avrebbe conseguenze catastrofiche degli allievi stessi.


Circa la connettività

Rimangono poche righe per trattare della connettività, altra proprietà caratteristica della didattica digitalizzata.
Anche qui vi sono delle anomalie, degli impieghi riduttivi e che sviliscono lo strumento. Vi sono anche dei rischi, il principale dei quali (secondo l'esperienza di chi vi parla) è la tentazione di sostituire ad un rapporto in presenza un rapporto virtuale a distanza: non, si badi bene, sviluppare a distanza quei rapporti che non possono essere in presenza, ma anche omettere di percorrere qualche kilometro in bicicletta o col mezzo pubblico per raggiungere la casa di un compagno quando sarebbe possibile e quando ce ne sarebbe il tempo sostituendo un atto simile con la virtualità di una comunicazione telematica. La conoscenza di questi ed altri veri e propri abusi dello strumento è necessaria, anche perché si sia pienamente consapevoli di quali possano essere gli usi positivi proficui dello strumento stesso, e di quanto essi possano effettivamente dare a noi e ai nostri educanti.
Sotto le nostre dita abbiamo il mondo in contatto: abbiamo possibilità di connessione reciproca praticamente illimitate. Tanto è ampia questa possibilità che non possiamo fare a meno di aiuti nella navigazione, per esempio dei motori di ricerca generalisti o specialistici, di punti di riferimento che fungono da "fari" nella "navigazione" in questo "mare magnum". Qui bisogna capirsi, non si tratta di riproporre quel motto degli anni '90 "no limits" che in sé è addirittura osceno nella sua disumanità: l'uomo è tale in quanto è limitato, questa è la saggezza dei Greci dell'epoca classica, per certi (differenti) versi anche della tradizione giudaico-cristiana, e ricordiamo che per i Greci la violazione dei propri limiti integrava quel vero e proprio gravissimo peccato nei confronti degli dei che si chiamava ybris, malamente tradotto come superbia, che attirava sul peccatore la collera e la condanna degli dei nonché una immancabile punizione.
Oggi diremmo meglio: noi uomini siamo stati capaci di realizzare la storia, la cultura, l'arte, la scienza, la tecnica, tra le ultime cose la digitalizzazione informatica e telematica, e la stessa educazione, non nonostante i nostri limiti, ma proprio perché abbiamo dei limiti, siamo imperfetti, ed insieme puntiamo a migliorarci di continuo, ci diamo la regola della perfettibilità. Ricordiamo che Rita levi Montalcini, appena meritato il premio Nobel, intitolò la sua gradevole e rigorosa autobiografia proprio Elogio dell'imperfezione, nella piena consapevolezza che il carattere imperfetto è tipico dell'uomo e in qualche modo caratterizzante questa particolarissima specie vivente, l'unica capace di storia e di evoluzione culturale.
Allora, io che ho sotto le mie dita possibilità illimitate di connessione, sono io stesso ad essere limitato e che debbono conservare consapevolezza di questo mio carattere, e come tale rivolgermi alla rete per cercare di migliorarmi, di emendare i miei errori, di correggere e colmare le mie lacune, di allargare i miei orizzonti. Non si creda che nella storia dell'arte, nella scienza, nella letteratura il movimento fisico dal luogo di studio nel globo, alla ricerca dell'interazione con ambienti diversi, sia stata una condizione di capacità di portare un contributo anche rilevante: personaggi di grande rilievo come Immanuel Kant o come l'abate Grigor Mendel, per portare due esempi, non si sono mossi rispettivamente da Königsberg e dal proprio convento, ma vivevano dentro la cultura mondiale. La globalizzazione di oggi a volte ci fa paura, a volte suscita reazioni velleitarie di rigetto: in realtà siamo globalizzarti e dobbiamo imparare a vivere nella globalizzazione attuale cui non ci si può opporre e che non ha alternative reali, e la connettività digitalizzata costituisce probabilmente lo strumento ed insieme il supporto didattico più efficace per perseguire un risultato come questo.


Due righe sull'interattività nel suo specifico

Dell'interattività si detto a più riprese. L'interattività è una proprietà ulteriore della digitalizzazione ma strettamente connessa alla connettività. Tra l'altro, essa comporta la necessità di rigore, di precisione, e ha in sé caratteri forti di autocorrezione.
Pedagogicamente parlando, là dove difficilmente si accettassero le parole dell'insegnante come segnalazione di un errore e necessità di sua correzione, la didattica digitalizzata interattiva è connessa potrebbe costituire un prezioso esempio di quanto invece il correggere gli errori sia da un lato una necessità ma dall'altro un rafforzamento dell'errante, e non certo qualche cosa che l'errante debba rifiutare come vergognoso o come offensivo.
Non dovrebbe essere necessario ribadire l'importanza di distinguere l'errore dall'errante, ma l'esperienza di chi vi parla suggerisce fortemente di farlo anche in questa sede.
Si cresce, si matura, ci si sviluppa anche commettendo errori e imparando a correggersi da tali errori: è un insegnamento antico, ma che ritroviamo tale e quale nella didattica connessa e digitalizzata, nella quale ancora una volta riconosciamo l'uomo che c'è dentro e alla base, quell'uomo senza del quale tutto ciò si ridurrebbe a poco più che un banale trastullo. Anzi, la connettività facilmente smaschera capacità retoriche vuote sia da parte di propagandisti politici o sociali sia da parte di pubblicitari commerciali, in quanto consentendo revisioni e riprese, suddivisioni, "moviole" anche virtuali e trascrizioni, e con tanti altri strumenti, svela il carattere falso od ingannevole di tanti discorsi che in presenza hanno una formidabile efficacia. I discorsi di Adolf Hitler in questo senso sono stati oggetto di studi molto interessanti, ma non sarebbero certo gli unici che sarebbe necessario fare, anche se probabilmente sono giustamente i primi che vanno fatti.


La formazione a distanza e gli atenei telematici

Non possiamo chiudere questa pur sintetica e schematica disamina senza menzionare il fatto che da alcuni anni esistono esperienze importanti di formazione a distanza propriamente ai massimi livelli sia dalle università tradizionali, sia da quegli atenei telematici che sono potuti sorgere in Italia solo in questi ultimi anni con l'approvazione di una legge apposita: esperienze in tal senso erano in corso da decenni in paesi che da questo punto di vista erano più avanzati di noi come ad esempio il Regno Unito oppure gli Stati Uniti d'America.
In questi atenei vi è un impiego necessario organico e sistematico di strumenti telematici e informatici da parte di coloro che sono nella materiale impossibilità ad essere presenti nelle sedi accademiche e a frequentare, limiti economici, problemi familiari o di lavoro perché abitano troppo lontano, o per altri motivi di grande validità. Ovviamente questo impone a noi docenti uno studio apposito perché gli strumenti disponibili consentano una didattica e formazione a distanza quanto più possibile piena, cominciando con l'evitare accuratamente di considerare "didattica a distanza" la semplice fornitura di materiali scritti: il vostro relatore ha ben presente la sequenza di discussioni animate ed anche di liti furibonde sostenute con dei colleghi che non avevano una adeguata padronanza della materia e non presentavano neppure necessaria apertura, i quali ritenevano che la formazione a distanza, in sigla F.a.D., potesse ridursi con il fornire via Internet la dispensina scritta, al massimo con un po' di bibliografia come corredo. A pensarla così, potremmo considerare didattica a distanza o formazione a distanza anche le lettere di Cicerone o di Platone oppure le epistole di San Paolo.
Occorrono altri strumenti adeguatamente progettati e studiati, nonché sperimentati ed evoluti di continuo, è comunque non riducibili a modo testo. La didattica a distanza non può che essere basata su qualcosa di diverso dal testo, che è la cosa meno importante: la didattica a distanza deve sostituire le lezioni, non i testi, e poi indicare i testi, o le dispense, o gli uni e le altre.
L'equivalente delle lezioni alle quali l'allievo non può partecipare non può nemmeno essere costituito dalla registrazione di lezioni fatte in presenza, A parte il fatto che una simile registrazione presenta grossi problemi quando si tratti di impiegare strumenti audiovisivi, ad esempio schemi PowerPoint o anche solo scrivendo alla lavagna; le lezioni del consorzio Nettuno che sono visibili in due canali satellitare ed anche qualche volta durante la notte (o lo erano) per alcune ore non a caso sono lezioni non in presenza, ma che il docente struttura appositamente con un passaggio tra la sua immagine e schemi, fotografie, brevi scritti e quant'altro a seconda della materia, la cui durata non corrisponde alla durata della lezione universitaria ma è contenuta in mezz'ora o in 20 minuti. Di questo il vostro relatore ha già maturato una notevole esperienza, ma non via satellite bensì nelle emittenti regionali abruzzesi con le quali l'università di Chieti era convenzionata, cosa che presentava l'indubbio vantaggio di attirare l'attenzione per le trasmissioni accademiche anche i cittadini non studenti che guardano quelle emittenti regionali, con il risultato di essere chiamati per la strada o al bar perché riconosciuti dopo un'interessante trasmissione del giorno prima. Questo va bene, ma comunque non basta.
Prima di tutto, bisogna offrire delle lezioni appositamente confezionate nelle quali a video vi sia ciò che l'insegnante ritiene opportuno per l'argomento della lezione, cioè schemi, citazioni, immagini, filmati, schemi e quant'altro; mentre all'audio scorre la voce del docente. Tali lezioni vanno contenute in un quarto d'ora, 20 minuti o poco di più ed essere quindi sostanziose.
Ma bisogna anche fornire, assieme a queste opportunità che chiamiamo "asincrone" in quanto fruite dall'allievo-utente del tempo che lui vuole che è diverso ovviamente da quello nel quale il docente mette in rete le sue lezioni, anche delle attività "sincrone" cioè delle concrete possibilità di interagire sempre con strumenti telematici direttamente con il docente.
La posta elettronica è preziosa, ma ovviamente non basta è comunque è anch'essa asincrona. Possono essere "sincrone", invece, le chat e le teleconferenze, per lo meno se il numero di studenti non è troppo elevato. Abbiamo compiuto esperimenti molto interessanti a Chieti nei riguardi di tutti questi strumenti,
Vorremmo chiudere proprio con l'ultimo strumento citato cioè la teleconferenza. Il primo esperimento che facemmo fu operato in orario d'ufficio, per scelta della presidenza e dell'organizzazione e per comodità di gestione: si aveva in linea una sola allieva, la quale fra l'altro non aveva praticamente nulla di sostanziale da chiedere, con la quale chiudemmo la conversazione dopo una decina di minuti o poco più. Obiettammo allora con un'ovvietà, che trattandosi di studenti lavoratori o comunque di studenti che hanno altri impegni negli orari nei quali si dovrebbe frequentare, uno strumento del genere può avere efficacia piena se lo studente si trova l'insegnante a disposizione in tutt'altri orari, anche accademicamente insoliti; e qui ci scontrammo con la burocrazia, con l'organizzazione, che replicarono che non potevano mettere a disposizione di nessuno materiali informatici allo scopo fuori degli orari d'ufficio.
A quel punto, ci risolvemmo ad agire per conto proprio, come i materiali personali da casa propria. Proponemmo agli studenti delle teleconferenze i sabati pomeriggio, i sabati sera e le domeniche mattina: il risultato fu la lista piena e le code che continuamente si riformavano di studenti che attendevano per intervenire.


In sintesi

Ci vuole coerenza e rispetto delle regole, non costruire delle regole sul proprio comodo. Le regole vanno intese propriamente come condizione di socialità: tra i tanti preziosissimi apporti che ci provengono dalla digitalizzazione, dell'elaborazione dei dati e della connessione in rete mondiale, questo è il più importante, quello che in un certo senso li sintetizza e li rende fecondi tutti insieme.
Si può discutere sulla strumentalità, ma l'attenzione va tenuta fissa ed alta sull'uomo che ha realizzato tanto e che di tanto sa servirsi. È una sfida che non possiamo allontanare da noi stessi, anche perché essa ci offre strumenti difficilmente rinunciabili per l'evoluzione dell'insegnamento e dell'educazione. soprattutto oggi.


AA.VV.: Memorie della tecnica (Cadmo, Roma 1985)
Massimo Baldini: Epistemologia e pedagogia dell'errore (La Scuola, Brescia 1986)
Francesco Barone, Sergio Ricossa: L'età tecnologica (Rizzoli, Milano 1974)
Franco Blezza: La pedagogia sociale. Liguori, Napoli 2005.
Antonio Calvani: Manuale di tecnologie dell'educazione (Edizioni ETS, Pisa 19951 e successive edizioni aggiornate)
Giovanni Gozzer: La scuola nella società tecnologica (Anicia, Roma 1988)
Mauro Laeng (ed.): L'educazione nella civiltà tecnologica (Armando, Roma; l'opera ha conosciuto due versioni, una prima del 1969, ed una seconda largamente rifatta con il sottotitolo Un bilancio preventivo e consuntivo del 1984)
Rita Levi Montalcini: Elogio dell'imperfezione (Garzanti, Milano 1987)
Riccardo Massa (ed.): Istituzioni di Pedagogia e Scienze dell'Educazione (Laterza, Roma-Bari 2000).

 

webmaster Fabio D'Alfonso


 
Home
E-mail
Indice