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Leandro Papi

nasce il 5 marzo 1937 a Poggio San Costanzo, territorio collinare del comune di San Ginesio, in provincia di Macerata.
Nel 1959 si diploma nell'Istituto Magistrale del comune di residenza.
Costretto, come tanti giovani, a cercare lavoro lontano da casa, nel 1961 si trasferisce a Varese, dove viene assunto come educatore nel "Villaggio Cagnola" di Rasa, istituto che accoglie ragazzi con diversi problemi familiari.
Nel 1962 vince il concorso magistrale sempre a Varese e dall'anno successivo inizia ad insegnare nelle scuole elementari della stessa provincia.
Nel 1967 pubblica tre romanzetti per ragazzi con l'Editore Raiteri di Milano: La storia del gattino nero, Il merlo senza coda e Cento anni per Sergio.
Un anno dopo con l'Editore Menna di Varese pubblica ancora, sempre per ragazzi: Una gatta e un gattino attraversano l'Appennino.
Tra il 1974 e il 1978 collabora con il quotidiano La Prealpina di Varese in qualità di corrispondente locale di Cantello, paese vicino al confine svizzero, dove insegna e risiede.
Dopo circa trent'anni di impegno con la scuola, va in pensione e con il pensionamento ha più tempo da dedicare alla sua passione di scrittore.
Nell'agosto del 1996 pubblica con l'Editore Livi di Fermo (AP): Vita contadina, storia, tradizioni e abitudini della sua terra di origine.
Nell'estate del 1998 con lo stesso autore pubblica: Fàmmete dì (Fammiti dire), una raccolta di racconti, poesie e scenette comiche in dialetto maceratese.
Nell'estate del 2001 esce: La gente di Poggio. È un libro in due parti: storie e leggende della sua terra nella prima, la storia di ogni famiglia nell'evoluzione da vita contadina ad altre scelte lavorative, nella seconda.
Ancora nel novembre del 2002, pubblica con Ghisetti e Corvi Editori di Milano: Il regno di Henry, un romanzetto per gli alunni delle scuole medie.
Infine nel luglio del 2004, esce, per conto dell'Editore Michele Di Salvo di Napoli: Ho dimenticato il pigiama, romanzetto per adulti.

 


Il richiamo
della paternità

Romanzo per adulti

 

 

Indice

Un uomo di quarantacinque anni pag. 3
Mirella, la prima casalinga " 6
E poi Rosaria " 10
Infine le altre " 13
Il destino in agguato " 16
In cerca di Gabriella " 20
Rivelazione angosciosa " 22
Lungo la statale " 24
Ricordi che riemergono " 29
L'incontro " 33
Ritorna il passato " 37
La nuova destinazione " 40
Timori " 44
Un passato da dimenticare " 48
Il diario di Susanna " 51
Il dubbio " 56
Le ultime volte " 60
Verso nuovi traguardi " 64
Fine del passato " 68
Nuovo lavoro, nuova vita " 70
Un'attesa per due " 75
Finalmente la pace " 78
Incontro in famiglia " 81
Pericolo superato " 84
Troppo anche per lui " 88


Un uomo di quarantacinque anni

Se un uomo di quarantacinque anni non è ancora sposato, i motivi possono essere due: o ha molte donne, oppure non ne ha neanche una. Marcello Scipioni, che aveva quaranta-cinque anni e non era sposato, apparteneva alla prima categoria. Ora la sua preferenza era per le casalinghe, dato che con il nuovo lavoro aveva modo di frequentarne parec-chie. E un motivo c'era. Un motivo ben preciso, ben determinato.
Originario di Tolentino, in provincia di Macerata, terminati gli studi, dovette partire soldato con destinazione Varese. Durante la leva conobbe un prete, direttore di un collegio e, siccome era in cerca di lavoro, a servizio finito, si fece assumere come educatore. Ma ben presto si rese conto di non essere fatto per i bambini, di modo che, dopo appena un anno si licenziò e con il suo diploma di ragioniere, trovò impiego presso una ditta di elettrodo-mestici. Qualche anno ancora e gli riuscì di farsi assumere in una banca ed ebbe così l'opportunità di occupare un posto di prestigio e ben pagato, che gli permise di acquistare a rate un bilocale tutto per sé.
Però, per il suo carattere insofferente, non era capace di star seduto per troppo tempo dietro una scrivania e meno ancora di sentirsi quasi uno strumento in mano al capoufficio che gli dava ordini da eseguire.
A lungo andare cominciarono a serpeggiare dissapori che, andando avanti, si acutizza-vano sempre di più, per cui un bel momento decise di licenziarsi, preferendo intraprende-re la professione di consulente editoriale, che sarebbe poi venditore di libri a domicilio, attività che gli permetteva di stabilire i giorni e le ore di lavoro e di costruirsi lo stipendio con le proprie mani. Intanto erano passati una decina d'anni da che era arrivato a Varese. Nel frattempo aveva avuto a che fare anche con diverse fidanzate.
La prima, Claudia, una bellissima ragazza, alta, bionda, ben fornita di curve, che lo face-vano impazzire tutte le volte che ce le aveva tra le mani. Però lei, pur molto disponibile, che l'andava a trovare spesso nel suo appartamentino per trascorrere con lui indimenti-cabili momenti, molti dei quali a letto, aveva anche un altro scopo nella vita, uno scopo che si pone la maggior parte delle donne: sposarsi. Dopo aver fatto l'amore, dopo aver goduto intensamente con lui, stringendolo con le braccia intorno al collo e con la bocca accostata alle sue labbra, quasi che potessero ascoltarla, gli sussurrava con dolcezza, visto che lui non si decideva mai, da quattro anni che stavano insieme:
- È così bello, tesoro mio, stare qui con te! Mi piacerebbe tanto, sai, addormentarmi stretta stretta tra le tue braccia!
- È quello che desidero tanto anch'io! - rispondeva lui. - Resta con me stasera. Ci prepa-riamo una bella cenetta e poi... dormiamo insieme.
- Ma allora non mi vuoi capire, amore mio! Ci dobbiamo sposare, per dormire abbracciati tutta la notte e tutte le notti.
Quello era un tasto che per Marcello stonava parecchio. Lui non era fatto per il matrimo-nio, per un legame definitivo. Si sarebbe sentito come in prigione. Non avrebbe goduto di tutta quella libertà che si poteva concedere con la vita da singolo. Poi i bambini! Rifiutava già con la fantasia dover saltare dal letto per accudire a un cosino lì che lo svegliava stril-lando. E dovergli cambiare pannolini sporchi e puzzolenti... No, proprio no! Il solo pen-siero lo faceva sentire a disagio. L'esperienza negativa con quelli più grandi in collegio gli era stata più che sufficiente. Non era fatto per il matrimonio, non era fatto per mettere su famiglia, non era fatto per fare il padre, non era fatto per sentirsi dei doveri in casa. Que-sto suo atteggiamento però non piaceva a Claudia, che aveva tutt'altro concetto della vita e della famiglia, per cui, quando si rese conto che quel ragazzo tanto amato, non se la sentiva di soddisfare le sue esigenze di moglie e di madre, cominciò a diradare le sue visite, le sue concessioni, metteva scuse che non si sentiva troppo bene, che era stanca e alla fine, triste, avvilita, delusa e con il pianto nel cuore, glielo confessò:
- Mi dispiace, Marcello! Mi dispiace tanto e so che ne soffrirò moltissimo! Ma tu non ti vuoi sposare, non mi vuoi sposare. È meglio non vederci più! - e le lacrime dissero il re-sto.
Non valsero tutti i suoi convincimenti per indurla a ripensarci, dato che con lei si trovava molto bene. Non ci fu verso. Ci rimase male anche lui, tuttavia alla fine, tanto per conso-larsi, si disse: "Mi rincresce per te, Claudia, ma non è ancora nata la donna capace di mettermi in prigione. Amo troppo la mia libertà!"
Si mise con altre ragazze, trascorse molto tempo pure con loro, amoreggiò, le invitava spesso nel suo letto e anch'esse si concedevano con passione, ma anch'esse tiravano fuori il discorso del matrimonio e anch'esse alla fine lo lasciarono deluse.
Fu in seguito alle diverse esperienze negative, che cominciò a riflettere. Con il nuovo la-voro di consulente librario, tutti i mesi, tra gli incassi delle rate mensili e nuove visite, en-trava in un centinaio di famiglie, dove il più delle volte trovava le mogli, chi già avanti con gli anni, chi ancora giovani, chi appena sposate e tutte spesso si sfogavano con lui, ave-vano qualcosa da confidare. Non le vedeva in definitiva del tutto soddisfatte della vita fa-miliare, della casa, del marito e dei figli. E forse c'era anche chi avrebbe desiderato vive-re un'esperienza diversa. Allora cominciò a pensarci: "Se io riesco - si diceva - a trovarne qualcuna disponibile, ho risolto il mio problema. Posso ugualmente divertirmi, senza che mi venga tirato fuori il discorso del matrimonio". Deciso il progetto, partì all'attacco. Per prepararsi un piano preciso, perché lì per lì non ce le aveva tutte sotto mano nella memo-ria, tirò fuori lo schedario clienti e prese ad analizzare tutti i nominativi, ponendosi in anti-cipo alcune condizioni: le prescelte non dovevano avere molti anni più di lui ma, se pos-sibile, meno. Dovevano avere figli in età scolare, da essere fuori casa tutta la mattina e, possibilmente, anche nel pomeriggio, con il marito impegnato per lavoro durante il giorno anche lui. Intanto selezionò le sole casalinghe. Una donna che lavora e che deve, nello stesso tempo, badare alla casa, al marito e ai figli, sia pure insoddisfatta, non ha il tempo materiale disponibile per dedicarsi a qualche scappatella. Dallo schedario clienti, trovò una quindicina di casalinghe, che mise da parte. Infine si diede ad analizzarle una alla volta, per giungere ad una selezione di quattro o cinque, residenti ciascuna in un paese diverso, con le quali tentare il colpo. Man mano che sfogliava ciascuna scheda, esprime-va il suo giudizio: "Questa, sia pure molto bella, è troppo altezzosa, si dà un sacco di arie. Anche se potrebbe essere una dimostrazione chiara della sua fragilità interiore e quindi facilmente vulnerabile, diventa troppo impegnativa: lasciamola stare. Quest'altra è troppo grassa, bassa e racchia. Questa qui, seppure giovanissima e molto carina, ha però un bambino appena nato. Questa, molto carina anche lei, è separata e non c'è da fidarsi: prima o poi ti salta fuori con la convivenza e io sto tanto bene da solo. Questa neanche. Splendida donna con una bambina in terza elementare, è però separata". Insomma, a forza di analizzare, quattro riuscì a selezionarle. E si segnò anche i loro nomi. Rosanna di Induno, poteva avere quattro o cinque anni più di lui, ma era carnosa e vellutata come una pesca matura, da morsicare con gusto. Lo sguardo profondo, velato da una leggera tristezza, la rendeva desiderabile e a ripensarci, gli era proprio sembrato che ci sarebbe stata. Bastava darsi da fare e lui ci sapeva fare! Morena di Porto Ceresio, una bellissima signora molto formosa, più o meno della sua età, con due bambine che andavano a scuo-la e il marito impegnato dalla mattina alla sera, infatti da diversi mesi che andava a incas-sare le rate a tutte le ore del giorno, non lo aveva mai visto. Tiziana di Ponte Tresa, alta e mora, dolce e languida, qualche anno più di lui, il marito fuori tutti i giorni, escluso il saba-to, con due figli grandicelli. Infine Daniela di Viggiù, non molto alta, ma molto carina e ben fatta, due bambine da accudire, con il marito camionista. Si capiva che aveva bisogno di qualche momento di distrazione. Ora si trattava di portare loro un omaggio al prossimo giro d'incasso, per accattivarsele. Omaggio per loro o per i bambini? Era meglio per loro, un qualcosa che le interessasse personalmente: un libro di cucina, un Cd di musica, qual-che videocassetta, tanto ne aveva di omaggi da distribuire! Preparò la valigetta e vi mise dentro tutto l'occorrente.


Mirella, la prima casalinga

Verso le nove, lavato, profumato e ben vestito, caricò la sua valigetta in macchina e partì per la Valceresio. Quel giorno voleva fare solo incassi, avere a che fare cioè con donne già abituate a pagare e quindi a vederlo. In una visita nuova avrebbe trovato la solita dif-fidenza, che non sarebbe certamente stata di aiuto per un tentativo immediato.
Iniziò gli incassi nel primo paese della valle, Induno Olona, in abitazioni dove non aveva progetti, quindi si comportò normalmente. Gli capitò di passare anche da quella giovanis-sima e molto carina con un bambino appena nato. Si presentò come al solito, senza in-tenzione, né di trattenersi troppo, né di attaccare discorso: l'aveva già scartata durante la selezione. Nel salutarla tuttavia s'accorse che era piuttosto scontrosa e abbastanza avvili-ta, allora gli venne da chiederle:
- Signora, sono forse capitato in un momento poco opportuno? Vuole che ripassi un'altra volta?
- No, no! Ci mancherebbe altro. S'accomodi! Mi scusi se sono un po' nervosa, ma ho un diavolo per capello - rispose quasi per giustificarsi, mentre lo faceva entrare.
- Che cosa le è successo di tanto grave? - le domandò scherzosamente, così, per un atto di cortesia, mentre si sedeva e intanto pensava tra sé: "Questa adesso mi tiene qui un'ora a raccontarmi tutti i suoi guai".
Forse la signora aveva veramente voglia di sfogarsi. Tanto che si sedette al lato del tavo-lo, accanto a lui.
- Il fatto è - iniziò - che questa notte il bambino ha pianto sempre e non mi ha fatto chiu-dere occhio.
- La vedo molto stanca, infatti. Che cos'ha, è malato?
- No, malato no! Dev'essere qualche dentino. Ma ha continuato a lamentarsi e quello lì si fosse degnato una volta di alzarsi! Ha continuato a dormire come se il figlio non fosse anche suo.
Fu al sentire "quello lì", pronunciato con una punta di rancore che nella mente del consu-lente librario si accese una lampadina. Forse la signora aveva davvero bisogno di essere consolata.
- Non se la prenda, signora! A volte noi uomini siamo molto irresponsabili. Ma sa com'è? Va a lavorare, al mattino deve saltare presto dal letto, il lavoro comporta molti problemi e...
- Sì, però anche quando non lavora, a casa ci sta poco lo stesso. Preferisce andare al bar con gli amici, piuttosto che curarsi del bambino, che mi fa riposare solo qualche mo-mento di giorno, quando riesce a dormire. S'è addormentato poco fa e spero che mi fac-cia stare tranquilla almeno per un paio d'ore.
"Ecco perché non mi sposo!" - si disse tra sé Marcello, poi tentò il primo approccio:
- È un vero peccato che suo marito trascuri una bella donna come lei!
- Bella donna...! Non gliene frega più di tanto di me.
- Adesso non esageri! In fondo avete messo al mondo un bambino insieme.
- Giusto quella volta, e qualche altra, se non è troppo impegnato fuori di casa - sospirò. Lui capì che la faccenda si stava facendo interessante.
- Non mi dirà che suo marito la trascura anche in quel senso? Non è possibile avere ac-canto una splendida ragazza così e sentire il bisogno di andare al bar con gli amici!
- È possibile, è possibile, caro lei! Si vede che questa "splendida ragazza così" non gli fa molto effetto.
- Dev'essere proprio pazzo suo marito, signora! Fossi in lui non uscirei mai di casa.
Lo disse con voce carezzevole che lei percepì immediatamente, pur continuando a dare alla sua un tono di sfogo.
- Invece lui in casa non ci sta mai. Quando lavora, lavora. Quando non lavora, trova tutte le scuse per andarsene e mi lascia sempre sola. Mi scusi se mi sono confidata un po' con lei, signor Marcello, ma non ne posso più! Certe volte mi viene una gran voglia di piange-re... - e dall'accento come lo disse, capì che lo stava per fare.
- No, signora... - non ricordava neanche il suo nome e dovette dare una sbirciata alla scheda che aveva davanti. - No, signora Mirella! Lei, così dolce, così carina, non può piangere, non deve piangere!
Istintivamente le prese una mano e gliela strinse. Lei, come se fosse il segno di compren-sione di un amico, se la lasciò stringere e sbottò, lacrimando debolmente:
- Non ne posso più, Marcello! Non gliela faccio più a tirare avanti. Non so che cosa farei. A volte mi viene in mente di farla finita e se non fosse per il bambino...
Le passò un braccio dietro la schiena e la strinse a sé:
- Non devi dire così, Mirella! Certi discorsi non solo non li devi fare, ma neanche pensare. Hai capito? Una meravigliosa ragazza come te, deve essere solo felice!
Gli era venuto spontaneo darle del tu, come gli era venuto spontaneo cingerla con il brac-cio. Lei si lasciò stringere, appoggiò la testa alla sua spalla, poi alzò verso di lui gli occhi umidi.
- Scusami, Marcello, se mi sono fatta trovare in queste condizioni, ma non ne potevo pro-prio più.
- Ma che dici, Mirella! Ti sono grato che mi hai offerto le tue lacrime. È molto bello per me poterle asciugare! - e nel così dire, le sollevò e prese a baciarle delicatamente gli occhi. Lei si lasciava fare e sospirava e lui iniziò a baciarla sulle labbra, prima con bacini leggeri, poi con foga sempre maggiore, finché vi affondò completamente la bocca. Fu una reazione improvvisa. Lei gli avvinghiò le braccia intorno al collo e rispose a quei baci con inaudita passione.
- Marcello, - gli sussurrò, un attimo che tirava il fiato - non ho mai tradito mio marito, ma ho tanta voglia di farlo.
- Questo, Mirella, non è tradire - rispose lui. - Questo è un diritto che abbiamo tutti di es-sere felici! - e riprese a baciarla con foga e già si sentiva tutto eccitato e già le sue mani andavano alla ricerca dei luoghi del godimento. Anche lei faceva altrettanto, e cercava la sua pelle, cominciando a slacciare i bottoni della camicia.
Stettero lì qualche attimo stretti stretti e scomodi, quando lui, prendendosi una pausa, bisbigliò:
- Mirella, concediamoci un posticino più comodo - e si alzò in piedi, tirandosela su senza allentare la presa. Anche lei era molto eccitata e sembrava decisa a portarselo a letto, poi si bloccò.
- Non qui, Marcello! Qui non mi sentirei completamente a mio agio. Potrebbe svegliarsi il bambino da un momento all'altro. Non mi piace fare queste cose in fretta e con la tensio-ne.
Lui provò ad insistere, ma non ci fu verso. Si alterò un po'. "Tutte uguali queste donne - pensò tra sé. - Prima ti fanno salire il sangue in testa, poi ci ripensano".
Lei sembrò leggere nel suo pensiero.
- Non te la prendere, Marcello! - gli diceva, accarezzandolo dolcemente sul viso. - Qui a casa mia, nel mio letto, con il bambino che potrebbe svegliarsi da un momento all'altro, non mi sentirei a mio agio. Io invece vorrei godere con te tutto quello che non ho goduto in questi anni. Non potresti ospitarmi a casa tua? Hai detto altre volte che vivi da solo. O non è possibile? - e lo fissò negli occhi, piena di desiderio.
- Certo che è possibile! Ma ora come fai con il bambino?
- Non ora, Marcello! Ti va bene questo pomeriggio o domani mattina? O ti faccio perdere il lavoro?
- Se posso trascorrere qualche bellissimo momento con te, sai quanto me ne importa del lavoro! Per il lavoro c'è sempre tempo. Ma con il bambino, dicevo, come fai?
- Lo lascio a mia madre, non ci sono problemi.
- Solo che...
- Solo che? - e lo guardò dubbiosa.
- Temo che, passato questo attimo di... eccitazione, ti pentirai di averla provata e non verrai più.
- Ti giuro che verrò, Marcello. Dimmi quando: oggi pomeriggio o domani mattina?
- Allora t'aspetto oggi pomeriggio alle due. Ti va bene?
- Facciamo alle tre, così riesco a sistemare tutte le mie cose.
- D'accordo, Mirella, t'aspetto per le tre, ma non mi ingannare! Guarda, adesso non mi paghi neanche la rata. Me la pagherai oggi a casa mia, d'accordo? E se non vieni, la prossima volta che ritorno mi arrabbio, ci siamo capiti?
- Ci siamo capiti, Marcello! Ci siamo capiti. Ti prometto che non ti farò arrabbiare - e si strinse a lui.
Stettero ancora abbracciati stretti stretti, tanto che da come si sentiva eccitato, voleva godersela lì in cucina, in piedi così come si trovavano.
Ma in quel momento si sentì il bambino lamentarsi.
- Che cosa ti dicevo? - esclamò lei, staccandosi. - Non avremmo fatto neanche in tempo a cominciare. Ciao, Marcello! Ci vediamo oggi alle tre.
Un'altra stretta forte, un bacio veloce, poi lei si staccò del tutto e lui se ne andò, lancian-dole un sorriso mentre apriva la porta.
Quando Marcello uscì dalla casa di Mirella, guardò l'orologio. Erano le dieci e mezzo. Mancavano quattro ore e mezzo al suo primo incontro d'amore a casa sua con una donna sposata, ammesso che non si fosse pentita, come temeva, una volta passato il primo momento.
Ancora tutto eccitato, gli venne in mente di passare da Rosanna, per riuscire almeno a sfogarsi con lei, ma vi rinunciò subito e per due precisi motivi: era ancora tutto intriso del profumo della giovane signora e lei lo avrebbe avvertito immediatamente, poi abitava nel-lo stesso paese, situazione che aveva scartato in partenza. Si sarebbe rifatto al prossimo giro, se gli fosse andata male con Mirella.
Stette quindi un po' in forse, se continuare l'incasso o tornarsene a casa, anche perché doveva prepararsi da mangiare e voleva far trovare la casa bene in ordine. Pensò di gira-re ancora per un paio d'ore, tanto da levarsi di dosso l'eccitazione e poi pranzare in piz-zeria, così non gli toccava dover rimettere a posto la cucina. Quando tornò a casa erano le due. Pensò bene di farsi una bella doccia, di profumarsi e si rivestì normalmente. Non gli andava di farsi trovare in pigiama, anche perché aveva sempre il dubbio che non ve-nisse. "Se mi dai una fregatura - pensò - la prossima volta che vengo, mi ti faccio sul tavolo della cucina". Mancava ancora una mezz'oretta e si sentiva abbastanza emozionato. Per distrarsi, accese la televisione e si mise a guardare una videocassetta sugli animali, di cui era appassionato, tanto che non si rese conto dello scorrere del tempo e quando suonò il citofono, andò di scatto all'apparecchio.
- Chi è? - domandò.
- Sono la signora Mirella per la rata - si sentì rispondere.
- Venga! Terzo piano - disse lui. Poteva esserci qualcuno vicino al portone e non voleva che sentisse darle del tu.
Girò la maniglia, socchiuse uno spiraglio di porta e attese con l'orecchio il rumore dell'ascensore. Quando lo udì fermarsi al suo piano e schiudersi gli sportelli, aprì anche la porta.
- Buon giorno, signora Mirella - disse lui.
- Buongiorno, signor Marcello - rispose lei. - Disturbo?
- Nessun disturbo! - rispose e la fece entrare.
Era vestita normalmente anche lei, come se fosse andata a fare la spesa, senza un abbi-gliamento particolare, che tradisse un incontro.
- Temevo che non venissi - le sussurrò all'orecchio.
- Scusa, se devo pagarti la rata... dovevo pur venire, no? - gli sorrise fissandolo civettuo-la poi, notando il televisore acceso - Bella! Piacciono anche a me questi documentari su-gli animali - e sedette sul divano. Marcello sedette accanto a lei.
- Di quante ore disponi? - le chiese subito.
Lei lo guardò negli occhi, con uno sguardo molto loquace.
- Posso restare fino alle sette, se vuoi.
- Me lo domandi? - le circondò la spalla con un braccio e la strinse.
- Possiamo intanto guardarci un po' di documentario insieme?
- Certo che possiamo! Si sta così bene! - e la strinse di più.
- Si sta davvero bene! - confermò lei, addossandosi tutta a lui, come se fosse in confi-denza da sempre, poi pian piano, con una mano prese ad accarezzargli lentamente la gamba vicina, molto in su oltre il ginocchio. Cominciava a sentirsi eccitato da quella ca-rezza appena percettibile, ma molto comunicativa.
- Non senti caldo? - le fece, mentre l'accarezzava anche lui.
- Sì, un po' - rispose lei e si tolse la giacca del tailleur, rimanendo con le braccia scoperte fino alle spalle. Cominciò ad accarezzargliele e a baciarle con molta delicatezza.
- Hai la pelle morbida e vellutata - sussurrò lui.
- Se fai così, mi fai morire dalla voglia - sospirò lei.
Continuarono con le carezze e con i baci sempre più accaldati e, mentre si accarezzava-no e si baciavano, di tanto di tanto si alleggerivano l'un l'altro di qualche indumento. Quando ormai restava ben poco da togliere, ansando tutti e due sempre più dal piacere, lui mormorò:
- Ti va di andare in un postino più comodo.
- Mi va! - sospirò lei con voce tremula per il piacere che già era iniziato.
S'alzò e la prese per mano. S'alzò anche lei e, tenendosi stretti con passione, lui la guidò verso camera e, senza accorgersene, si ritrovarono dentro il letto a godere molto inten-samente, per la prima volta, quell'amore proibito e rubato.
E Mirella godette per la prima volta con tutto il corpo e con tutta l'anima.
Per la prima volta da che era sposata, provò molto piacere prima, un intenso godimento durante e tante tenerezze dopo. Fu davvero quella la prima esperienza per lei. Con il ma-rito il rapporto era molto frettoloso prima, discretamente piacevole durante e quasi niente dopo. Quello lì, come lo aveva chiamato lei, appena finito, sentiva il bisogno di scendere dal letto per accendersi una sigaretta, quindi le erano mancate anche le coccole del dopo che sono molto importanti. Con Marcello era stata una cosa tutta diversa, perché il dopo era durato molto di più del prima e del durante e glielo disse:
- Con te, tesoro mio, ho goduto moltissimo, ma soprattutto ti sono grata delle tue tante dolcissime carezze. Non ci ero abituata e te ne sono veramente riconoscente.
- Un corpicino come il tuo, Mirella, lo si deve godere in ogni particolare. Lo stesso ab-bracciarti, baciarti e accarezzarti è già un godimento indescrivibile. - rispose con un com-plimento che la fece sentire molto importante. Gliene fu davvero riconoscente. Quando poteva, appena poteva, gli telefonava e con una scusa o con l'altra si precipitava da lui per ripetere tutte le volte lo stesso piacere intenso.
Il marito, dei suoi incontri amorosi non ebbe mai sentore. Ebbe invece modo di rendersi conto che era diventata più serena e soprattutto più comprensiva nei confronti delle sue continue uscite di casa e ne fu contento.


E poi Rosaria

Marcello invece, fin dalle prime volte, ebbe la sensazione che Mirella, con quel suo corpi-cino favoloso e con la passionalità con cui si concedeva a lui, rischiava di farlo innamora-re pazzamente. Le conseguenze le poteva immaginare: prima o poi gli sarebbe venuta la tentazione di indurla a separarsi dal marito per convivere con lui. Era un'idea che, così a freddo, rifiutava categoricamente.
Allora cercò di premunirsi, creandosi altre alternative che gli impedissero di pensare in-tensamente a lei. Riprese perciò dopo qualche settimana l'elenco delle quattro casalinghe temporaneamente accantonate e si rimise all'opera. Intanto, dopo uno degli ultimi fre-quenti impetuosi incontri con Mirella, che ormai veniva quasi tutti i giorni a "pagare la rata", le disse:
- Non avertela a male, amore mio, se non possiamo vederci per qualche giorno. Sono rimasto un po' indietro con gli incassi e il capo mi ha brontolato. Guarda, una settimana al massimo! Non un giorno di più. Mi darò da fare il più possibile, poi ricomincerà tutto co-me prima.
Mirella acconsentì, anche se malvolentieri. Ormai non poteva più fare a meno di trascor-rere qualche ora intensa con Marcello. Aveva per questo inventato una scusa con il mari-to e con la madre, dicendo che si era iscritta ad un corso di palestra, tanto né a lei, né tanto meno a lui sarebbe venuto in mente di controllare.
Il venditore a domicilio la mattina dopo era già all'opera. Alle otto e mezzo era già pronto, ben vestito, lisciato e profumato come al solito. E voleva davvero approfittare per portare avanti gli incassi delle rate che in quelle due ultime settimane aveva trascurato un po'. Siccome era presto per presentarsi in casa della gente, questa volta cominciò al contra-rio. Puntò diritto verso Ponte Tresa, il paese più lontano, una ventina di chilometri da Va-rese e giunse che erano le nove passate.
Posteggiata la macchina, s'avviò subito verso la casa della donna selezionata, quella Ti-ziana, alta e mora, dolce e languida con qualche anno più di lui. Lungo il marciapiede, tutto per lui a quell'ora, immaginò come poteva trovarla. Magari ancora in pigiama e ve-staglia come gli era capitato altre volte, tutta indaffarata a sistemare la casa. L'avrebbe invitata a sedersi con la scusa di presentarle un'opera nuova e da lì avrebbe cominciato il discorsetto fatto di elogi per il suo darsi troppo da fare, con la conseguenza di trascurare se stessa, una così splendida donna e poi... tutto il resto sarebbe venuto da solo.
Raggiunse il portone e con una leggera agitazione allungò l'indice sul campanello. Nes-suna voce di risposta. Magari era in camera e non aveva sentito. Attese qualche istante e suonò nuovamente più a lungo. Ancora niente. Possibile che non aveva ancora sentito? Che era sorda? Mentre rimaneva lì incerto se chiamarla addirittura con il telefonino, s'affacciò una signora del piano di sotto.
- Cerca qualcuno? - si sentì domandare.
Avvertì subito l'accento meridionale. Guardò in su. Vide la testa di una donna con i capelli neri molto folti. Ci rimase un po' a disagio che altri mettessero il naso negli affari suoi.
- Dovrei andare dalla signora Tiziana per incassare la rata dei libri, ma non c'è - rispose di malavoglia.
- L'ho vista partire con la macchina mezz'ora fa - spiegò la donna.
- Non importa! - aggiunse deluso. - Passerò un'altra volta. Grazie! Buongiorno! - e se ne stava andando, quando lo raggiunse di nuovo la voce della donna:
- Deve pagare molto? Potrei anticiparla io la rata.
- Venticinquemila lire - rispose, voltandosi e guardando ancora in su.
- Per così poco! Salga. Gliela pago io, poi mi faccio ridare i soldi.
Avrebbe preferito tornarci di persona per poterla incontrare.
- Non importa, signora. Non vorrei disturbare. Tanto capito spesso da queste parti.
- Ma quale disturbo! Venga - insistette lei. - Perché deve tornare di nuovo? Vado ad aprirle il portone - e sparve dalla finestra. Rimase incerto. Anche lui, benché fosse del Centro, s'era fatto un giudizio negativo dei meridionali. Poco dopo udì lo scatto della ser-ratura e si decise ad entrare. "Visto che sono qui - pensò, mentre saliva con l'ascensore - approfitto per proporle l'acquisto di qualche opera. Con i meridionali è più facile vendere".
La signora l'accolse con la porta aperta.
- Buongiorno! - disse lui di nuovo, stendendole la mano. - Scipioni. Mi spiace disturbarla.
- Piacere! Rosaria - rispose la donna stringendogliela, notò, con molto calore. - Venga, s'accomodi, signor Scipioni! Quando si può fare un favore ad un'amica...
- La ringrazio, signora!
La guardò, sorridendole cordialmente e, nello stesso tempo, analizzandola con un inven-tario veloce: non molto alta, però ben fornita di curve che venivano evidenziate dal vestito abbastanza attillato. Lo sguardo vivo e penetrante, contornato da quella folta capigliatura nera.
- Si sieda - disse lei con lo stesso sorriso e gli indicò il divano. Si mise a sedere. La si-gnora sedette anche lei nella poltrona di fronte. Non fu molto sicuro se quella era stata una mossa spontanea o compiuta volutamente: nell'accavallare le gambe, aveva scoperto una discreta porzione di cosce, dove lo sguardo di Marcello penetrava furtivamente come alzava la testa per dire qualcosa.
- Mi sento quasi a disagio - cominciò - a farmi pagare da lei. Avrei preferito trovare la persona interessata.
- Non si crei problemi per questo, signor Scipioni! Io e Tiziana siamo amiche intime. Co-munque - aggiunse agitandosi un po' sulla poltrona e con quel movimento scoprì ancora di più la cosce - se vuole trovarla, non venga mai durante la mattinata.
- Perché? - chiese curioso.
- Così! Al mattino s'incontra... con qualcuno - rispose con un velato disagio.
- Qualcuno... l'estetista, il massaggiatore..?
- Sì, penso che qualche massaggio glielo faccia - esclamò con una risatina. Lui la fissò.
- Vuole dire che... - e batté assieme i due indici.
- Sì, in effetti è proprio così.
- Ah! - esclamò Marcello, rimanendoci quasi male.
- Non lo sapeva?
- Veramente no.
- Il mio non vuole essere un pettegolezzo, ma sa com'è, quando si sposa un uomo del Nord, freddo, interessato solo per i soldi e molto meno per quelle cose, una donna è co-stretta. Anch'io ho sposato uno del Nord e...
- Anche lei ha...? - e batté ancora assieme gli indici delle mani, sorridendo.
- Ancora no, ma se incontrassi un bell'uomo... uno come lei per esempio... Quant'è che le devo dare? - e si sedette accanto a lui sul divano, sfiorandogli la gamba con il suo sedere bello sodo.
Intuì che non c'era bisogno di aggiungere altre parole. Posò la borsa accanto ad una zampa del tavolinetto, vi mise sopra la cartelletta con le ricevute d'incasso che aveva in mano, si tolse la giacca, che adagiò sulla spalliera del divano e le passò un braccio dietro la schiena, stringendola a sé.
- Che cosa fa, signor Scipioni? - miagolò la signora con una vocina eccitata.
- Rosaria, mi chiamo Marcello - le disse e continuò a stringerla a sé, mentre con l'altra mano iniziava le carezze lungo quelle gambe abbastanza scoperte e così ben tornite.
- Cosa fai, Marcello? - sibilò ancora lei, stringendosi tutta a lui.
- Rosaria, fa' qualcosa anche tu, che piace tanto anche a me!
Non c'era bisogno dell'invito. Cominciò anche lei ad eccitarlo e ad eccitarsi. Non passò molto tempo che erano nudi tutti e due e un attimo dopo fu lei a prenderlo per mano e a condurlo in quel letto dove il marito settentrionale non faceva appieno il suo dovere. Fu un rapporto violento, di una tale foga che Marcello non aveva mai assaporato prima. Quella donna piccola e così piena di curve, lo fece spasimare e spasimò lei altrettanto, da rimanere tutti e due esausti, tanto che rimasero abbracciati, davvero come due soldati che avevano combattuta una terribile battaglia, con lei che, avvinghiandolo, baciandolo, acca-rezzandolo, eccitandolo ancora, sospirava:
- Marcello, non ho mai goduto così tanto come mi hai fatto godere tu. Non pensavo, non avrei mai creduto che con un uomo si potesse godere così intensamente.
- Con una donna piena di fuoco come te, Rosaria, non poteva essere altrimenti - rispose lui ormai sfinito.
Morale della favola, fu lei a dirgli:
- Vendimi qualcosa, che magari non costi molto, per avere la scusa di venirmi a trovare quando vuoi.
E così i desideri di Marcello si spostarono dal piano di sopra a quello di sotto. In seguito, tutte le volte che andava ad incassare, si soffermava meno da Tiziana e molto più da Ro-saria.



Infine le altre

E continuò le sue conquiste con le casalinghe che di solito non erano quelle che si era proposto. Infatti delle quattro selezionate, gli riuscì solo con Daniela di Viggiù, quella che aveva il marito camionista. Fece breccia su una delle due separate e si godette anche lei, stando alla larga da eventuali proposte di convivenza e, girando qua e là, gli riuscì anche con qualche altra.
La preferita comunque rimaneva Mirella, l'unica che accoglieva in casa. Intanto il tempo passava e il bambino cresceva. Fu portato prima all'asilo nido, poi alla scuola materna e gli incontri con la mamma continuarono. Poi successe quello che temeva. Tra un abbrac-cio e l'altro Mirella cominciò a prospettargli che voleva separarsi dal marito per venire a vivere con lui. Marcello però, che rifuggiva da una proposta del genere, sfoderò tutti gli argomenti per indurla a cambiare idea, per convincerla a non fare quel passo pericoloso: lasciare la famiglia, dividersi dal marito, è una frattura che crea sempre grossi problemi per la personalità del bambino stesso, che vedrebbe il papà da una parte e la mamma dall'altra. Poi, per il fatto che era lei a lasciare il marito, un giudice avrebbe potuto affida-re il figlio a lui, impedendole di vederlo. Infine, i parenti, la gente: sarebbe stata segnata a dito.
Chi glielo faceva fare? Era così bello continuare a vedersi in quel modo!
Mirella sembrava convinta e continuò a frequentarlo, però sempre con minore entusiasmo e più raramente. E ad un certo punto si trovò incinta di nuovo. Gli giurò che il bambino non era suo. Disse che si era fatta mettere incinta dal marito di proposito. E così, verso settembre, quando il primo bambino cominciò a frequentare le elementari, gli disse che non se la sentiva più di condurre quella doppia vita: tornò ad essere fedele al legittimo marito e non si fece più vedere. E dal momento che aveva finito da un pezzo di pagare l'opera acquistata, Marcello non ebbe altre occasioni per incontrarla e non la cercò più.
Per lui tuttavia, che con Mirella s'era creato un legame fisico e sentimentale piuttosto for-te, fu una separazione che gli pesò molto. Si consolò al solito modo: seppure dolorosa, era il prezzo della sua libertà e cercò di consolarsi con le altre che aveva già o con qual-che novellina che gli capitava di trovare, sempre sposata, sempre con figli grandi, sempre con il marito fuori per lavoro. L'ultima, una donna piccola, magrolina, con forse cinque o sei anni più di lui. La trovò sola, sorridente e abbastanza affascinante. In quel momento sembrava disponibile e ci provò. Sedette sul divano e con la scusa di farle vedere un'offerta nuova, l'invitò a sedersi vicino a lui. La guardò e le disse:
- Lei, signora Noemi, ha un sorriso e un modo di fare irresistibili. Suo marito dev'essere proprio fortunato ad averla sposata. M'immagino quali momenti d'intenso amore possiate vivere insieme.
- Le garantisco, signor Scipioni, che non è proprio così - rispose lei, quasi per confidarsi.
- In che senso? - domandò curioso.
- Nel senso che, contrariamente a quanto possa sembrare, io sono una donna frigida e con mio marito non riesco mai a provare piacere.
- Non ci posso credere! Con la poca esperienza che ho, le posso assicurare che a me lei sembra, al contrario, una donna molto calda, una donna che farebbe impazzire dal piace-re. Quindi trovo molto strano quello che mi sta dicendo.
- Mi spiace deluderla, ma non è così! - confermò di nuovo lei. - Per me quella cosa lì non ha proprio nessuna importanza. Non la desidero mai. Di tanto in tanto mi concedo a mio marito per farlo contento, ma proprio non m'interessa.
- Lo sa, signora Noemi, che faccio fatica a crederci? - insistette lui. - Non esiste essere vivente che non si senta coinvolto dal sesso. Forse non prova piacere con suo marito, perché s'è creato tra voi un muro di incomunicabilità e lei ha finito per rinunciare, ma le dico che non esiste una persona che non provi attrazione per il sesso. Mi dica, così, tanto per capire meglio: con suo marito, da quando siete sposati, non l'abbia mai provato?
- Se devo essere sincera, capitava qualche volta da fidanzati, forse perché era una cosa nuova. Da sposati è stato sempre poco, sempre più raramente e sempre meno, per finire del tutto. Per quanti forzi abbia fatto in questi ultimi tempi, non ci sono più riuscita. Per me diventa una vera fatica e spesso non ho voglia di affrontarla.
- Mi scusi ancora, signora Noemi - e la guardò sorridendo - come avviene il rapporto con suo marito?
- Come avviene! Penso che avvenga come capita a tutti. Ci si fanno due carezze in quei posti là e quando lui è eccitato abbastanza, si fa quella cosa.
Marcello si rese conto che quella donna non aveva mai saputo che cosa volesse dire do-narsi completamente anima e corpo e godere veramente e intensamente.
- Signora Noemi, lei m'incuriosisce sempre di più. Quando si compie un atto del genere in due, c'è un prima, c'è un durante e c'è un dopo. Mi scusi se glielo chiedo, ma mi de-scriva come avvengono questi tre momenti.
- Che cosa le devo descrivere? Il prima è qualche carezza in quel posto lì per eccitarsi, il durante si fa quella cosa e dopo ci si pulisce.
- M'è parso di capire che voi fate esclusivamente un atto sessuale nudo e crudo, alla svelta, senza preliminari e senza affettuosità, né prima, né durante, né dopo. Per esem-pio, durante l'atto, vi baciate, lei bacia suo marito?
- Lui, qualche bacio me lo dà. Io cerco di concentrarmi ed evito perfino di parlare e di farlo parlare per non perdere la concentrazione, per tentare di provare quel piacere anch'io, che non arriva mai.
- Signora Noemi, mi scusi, ma quale concentrazione deve perdere? Non c'è mica da concentrasi per provare piacere! Anzi, si deve essere molto rilassati. Deve venire sponta-neo. Non è una fatica. È soltanto un piacere. Ecco, io credo che in lei manchi il desiderio di farlo. Di farlo con suo marito, oserei dire, e allora si è convinta di essere una donna fredda. Io invece credo che sia una donna molto calda. Le manca soltanto lo stimolo per farlo. Suo marito, per esempio, non le prende mai una mano per accarezzargliela?
- Sì, a volte sì, ma a me non fa né caldo né freddo.
- Bisogna vedere come lo fa. Se, poniamo, le prende una mano così, - e gliela prese - poi l'accarezza dolcemente. Possibile che lei non provi proprio nulla? - intanto gliel'accarezzava.
- Sì, forse qualcosa provo, ma con mio marito, no. Mentre lo fa, già mi viene in mente che comunque non proverò quel piacere là.
- Ecco, vede, signora Noemi, quando suo marito le accarezza la mano così, lei non si deve preoccupare del dopo, ma del piacere che prova in quel momento. Il dopo viene per conto suo.
Si accostò di più a lei e le passò un braccio dietro le spalle, continuando ad accarezzarle leggermente la mano con le dita.
- Ma adesso cosa fa, cosa vuol fare? - si quasi risentì la donna.
- Non si preoccupi. Lei mi deve dire soltanto se prova piacere, un pochino di piacere.
- Sì, un pochino lo provo. Certo che lo provo!
- Ecco, vede allora che non è fredda? Ora mi dica se prova fastidio o piacere. Se prova fastidio, smetto immediatamente - e prese a baciarla, piano piano, prima sulla fronte, poi sulla bocca, poi sul collo, con la mani che l'accarezzavano con molta delicatezza.
- Basta, basta! - ansimava la donna.
- Perché basta, se è così bello? - rispondeva lui con voce eccitata.
Per farla breve, dal divano scivolarono sul tappeto e senza che lei opponesse resistenza, le tirò giù le mutandine, mentre la mano frenetica di lei andava alla ricerca della cintura e della cerniera dei pantaloni. Quando giunsero nel pieno dell'orgasmo, lei gridò addirittura dal piacere. Si era scatenato quel desiderio per lunghi anni sopito. Tornarono a sedersi sul divano, sempre stretti, sempre abbracciati e vi rimasero a lungo, senza che a lei ve-nisse il pensiero di pulirsi, come succedeva sempre con il marito.
- Questo è il dopo - le sussurrò Marcello, continuando ad accarezzarla e a baciarla, men-tre lei si abbandonava totalmente a lui. - Hai visto che non sei affatto una donna fredda?
- Mi hai fatto godere - sospirò la donna - come non mi è mai capitato in tanti anni di ma-trimonio. Non sapevo, non avrei mai creduto che si potesse godere così tanto. Ma allora mi dici perché con mio marito non riesco mai a provare?
- Devi sapere - spiegò Marcello - che io non mi sono comportato in modo diverso da co-me si comporta tuo marito. L'unica differenza è che con me ti sei lasciata andare comple-tamente, mentre con tuo marito sei restia, ti poni dei freni mentali che non ti permettono di godere. Suppongo che le cose stiano così, ma non ti saprei spiegare il perché. Forse per-ché lo hai sposato senza vero amore, ma ti sei soltanto lasciata infatuare da qualcosa di lui. È così?
- Non so, non credo.
- Prova a pensarci, poi la prossima volta mi dirai se è vero.
- La prossima volta quando? - chiese lei.
- La prossima volta che vuoi tu. Anche domani, se ti sta bene.
- Se sta bene a te, anche domani - rispose e si strinse a lui.
Perché non riuscisse a provare piacere con il marito non se lo chiese più, dal momento che... non c'era più bisogno di domandarselo.

Il destino in agguato

Marcello dunque aveva raggiunto i quarantacinque anni, quando un caso fortuito, contri-buì a cambiare completamente la sua vita. Egli, da persona corretta, di tutte le sue nume-rose conquiste non faceva cenno con nessuno, neanche con gli amici, che incontrava spesso al bar. E proprio perché essi non ne erano al corrente, lo prendevano in giro, lo sfottevano, lo deridevano, appena avevano modo d'incontrarlo.
- Ma insomma, che cosa aspetti a sposarti? - diceva uno. - Sempre solo come un cane. Quand'è che ti decidi a prendere moglie?
- Credi che le donne stiano tutte ad aspettare te? - aggiungeva un altro, sorbendo il caf-fè.
- Tutta invidia! - rispondeva Marcello. - Vi fa rabbia, perché voi ci siete cascati ed io no. Perché io sono libero e indipendente, mentre la vostra vita è una continua rottura di sca-tole con moglie e figli, che non fanno altro che chiedervi soldi. Solo io sono veramente un uomo libero. Posso fare quello che mi pare e posso andare dove mi pare. Quando mai voi sposati potete permettervi di andare in ferie a Parigi? Ditemelo! Quando mai ve lo potete permettere? Io invece a Parigi ci posso andare.
- Sì, tu vai a Parigi! Al massimo andrai a Riccione.
- Io invece, con tutta la vostra rabbia, domani mattina parto per Parigi e starò via due set-timane. E da Parigi vi manderò una bella cartolina. Ci vediamo al ritorno, gente. Vi saluto! - e se andò via, lasciandoli con un palmo di naso, a borbottare tra di loro che al massimo sarebbe andato in ferie a Riccione.
Era proprio così. Durante il mese d'agosto la sua Agenzia chiudeva e lui aveva prenotato due settimane a Parigi. S'era premunito di avvertire le sue donne, dicendo loro che la sua Ditta lo mandava in Francia in occasione di una fiera del libro. A ciascuna aveva promes-so di portare un souvenir.
Ritornò a casa soddisfatto e si mise in opera per la solita cena che si preparava da solo, a volte a base di scatolette. E dopo la cena il problema di sempre: uscire o restare in ca-sa. Di tornare al bar a sentire le solite storie dagli amici, non gli andava, di andare al ci-nema non aveva voglia. Decise di restare a casa per dare una rinfrescata al suo francese, perché qualche francesina voleva pur conquistarla e se non sapeva esprimersi bene, co-me faceva? Anzi, quel libro voleva portarlo con sé a Parigi per qualsiasi necessità.
S'avvicinò allo scaffale e ne sfilò uno, ma osservando il titolo, rimase deluso: "Che me ne faccio di questo?" - brontolò tra sé - " È quello di Diritto. Non è che mi sia servito molto in questi anni!"
Ricoperti tutti allo stesso modo con la copertina blu, non riusciva ad individuare il libro di francese. Erano passati molti anni da allora. "Più di venti" - gli venne da pensare. Decise che era giunto il momento di toglierle quelle copertine blu, ormai sbiadite dal tempo e co-minciò a strappare proprio quella del libro di Diritto. Ma il destino era proprio lì, in aggua-to. Infatti, mentre la sfilava per gettarla nel cestino, gli volò tra le mani un foglietto piegato, che andò a finire sotto una sedia. Lì per lì non gli diede importanza, ma nello spostare la sedia lo notò ancora. Per curiosità lo raccolse, lo aprì e prese a leggerlo: "Caro amore mio..." cominciava. S'incuriosì. "Qualcuno dei miei amori giovanili" - si disse e continuò la lettura:" ... ti prego di venire presto, perché ho urgente bisogno di te. Ho paura di essere rimasta incinta e sono tanto preoccupata. Se mio padre se ne accorge, per me sono guai grossi. Ti aspetto con ansia. Ti abbraccio forte, forte e ti bacio. La tua Gabriella".
Marcello rimase lì con il foglio in mano, poi si riprese, senza dare troppo peso a quella lettera improvvisa che era rispuntata dopo tanti anni. "Tutte uguali le ragazze" - pensò. - "Quando stanno per perderti, ti dicono di aspettare un bambino". E si chiedeva, tanto per curiosità, chi potesse essere quella Gabriella che gli aveva comunicato di aspettare un figlio da lui. Non ne aveva la più pallida idea. Con tutte le ragazze che aveva avuto come faceva a ricordarsene e dopo più di vent'anni? Anzi, erano addirittura ventidue, osservò, controllando la data sulla lettera. La ripiegò, la fece scivolare sulla scrivania e si diede a strappare le copertine dai libri di quand'era studente. Intanto che le tirava via però, il pen-siero gli rimuginava dentro, poi un flash gli attraversò la mente all'improvviso. "Ecco chi era Gabriella!" - si disse. - "Quella morettina che abitava nella casetta bassa vicino alla mensa degli studenti! E io, adesso mi viene in mente, infilai la lettera sotto la copertina del libro di Diritto, perché non la vedesse mia madre, sempre gelosa delle mie numerose ragazze".
Tra l'attonito e il divertito sedette sulla sedia che aveva acanto. A pensarci gli veniva da ridere. Se fosse stato vero, a quell'ora avrebbe un figlio di ventuno anni. Chissà che figlio poteva essere! E chissà che padre sarebbe stato lui. Tuttavia, anche se il pensiero, e con esso il dubbio, gli si stava insinuando dentro e cominciava ad avvolgerlo come le spire di un serpente, cercò di non pensarci e continuò a togliere le copertine tutte uguali dai suoi libri. Trovato finalmente quello di francese, prese a dare una ripassatina a qualche regola, alle parole più comuni da usare con la prima francesina che avesse incontrato, ma il pen-siero, sotto sotto, zitto zitto, continuava ad occupare tutto il posto tenuto prima dagli altri. E anche se aveva deciso di non pensarci, l'inconscio agì per conto suo in un sogno che lo turbò durante la notte.
Gli pareva di essere sposato e di avere appunto una moglie e un figlio. La moglie però non era la ragazza di tanti anni fa, di cui non ricordava nemmeno la faccia, ma Mirella, con la quale sospettava di aver concepito quel bambino che lei sosteneva essere di suo marito. Il sogno rappresentava una specie di sala da pranzo, senza sapere quale, dove tutti e tre stavano mangiando. Il figlio, seduto davanti a lui, già grande, insisteva con la solita richiesta:
- Papà, voglio la motocicletta?
- Voglio! - rispondeva lui. - Tu non vuoi proprio niente. Io non te la compero e basta!
Ma quel figlio lì non la finiva più.
- Perché, papà, non me la comperi? Ce l'hanno tutti i miei amici! Che figura ci faccio di fronte a loro?
- Ti ho detto di no! La motocicletta costa un sacco di soldi, poi è molto pericolosa. Appe-na avrai la patente, userai la macchina.
Intervenne la madre:
- Non essere così severo con lui! Perché non gliela compri? Almeno come premio perché è stato promosso.
Come si faceva a dire di no alla moglie, specialmente se quella moglie era Mirella? Sem-pre nel sogno, gli parve di vedere il figlio cavalcare la motocicletta nuova per la prima vol-ta e partire come un razzo. Forse i sogni rappresentano le proprie angosce, perché quel figlio, partito sparato con la moto, andò a sfracellarsi poco dopo contro un camion. Fece un urlo e quell'urlo che, forse aveva fatto davvero, lo svegliò all'improvviso e saltò su a sedere, sudato e ansante. "Meno male che è stato tutto un sogno!" - disse tra sé - "Ho preso uno spavento!" - e rimase seduto, al buio, a ripensare a quella terribile immagine che l'aveva angosciato. Provò a rimettersi giù, ma il sogno gli martellava nella testa, tanto che fu indotto ad alzarsi e a girare per casa, che era ancora notte fonda. " E se fosse ve-ro? Se questo figlio esistesse veramente?" - pensava - "Se si fosse trattato di un sogno premonitore? Il fatto è che ho prenotato l'albergo a Parigi, altrimenti..."
Si bevve un bicchierino, fumò una sigaretta e provò a rimettersi a letto, tentò di dormire, si girò e rigirò in tutte le posizione possibili, ma non ci fu verso, il sonno non volle ritornare. Ormai erano le cinque del mattino e cominciava a baluginare un leggero chiarore verso oriente. Si alzò di nuovo e andò a sedersi in cucina. "Ormai è fatta!" - pensò tra sé. - "Questo tarlo mi è entrato nella testa e non mi dà tregua finché non risolvo il problema". Decise tutto il suo progetto futuro. Intanto in mattinata avrebbe disdetto per telefono sia il posto sull'aereo che l'albergo a Parigi, poi sarebbe partito per Macerata. Anche se erano passati ventidue anni, anche se non vi era tornato molto spesso, ricordava benissimo dov'era quella via, di cui aveva però dimenticato il nome, come ricordava altrettanto bene la casetta bassa vicino alla mensa degli studenti, nella quale abitava Gabriella. Sicura-mente lei era sposata e quindi abitava da qualche altra parte, tuttavia qualcuno c'era di sicuro in quella casetta ad indicargli dove avrebbe potuto rintracciarla. Certo, non si sa-rebbe intrufolato a seminare zizzania nella sua famiglia. Non avrebbe mica detto aperta-mente al marito che quello era suo figlio! Non era da escludere che Gabriella poteva es-sersi fidanzata di nuovo subito dopo e convinto il suo uomo di aver concepito con lui. No, no! Tutto con molta discrezione! Prima era da scoprire dove abitava, poi accertarsi se aveva un figlio di ventuno anni, infine, se era possibile, contattarla privatamente, chieder-le scusa e farsi dire con certezza se quel figlio era veramente suo. Dopo di che era anche disposto a farle avere una certa cifra periodicamente, senza che venisse a saperlo il mari-to.
Ma se per caso lei avesse rimosso dalla mente il rapporto avuto con lui e si fosse convin-ta che quel figlio era di suo marito, perché costringerla ad un ricordo che per lei non esi-steva più? Anche questo era da tenere in considerazione. Niente! Avrebbe solo cercato di scoprire se questo figlio esisteva davvero, poi avrebbe agito con la massima prudenza e riservatezza.
Così, dopo aver telefonato prima all'aeroporto, poi a Parigi, non pensando ormai più a qualche francesina da conquistare, verso le dieci della stessa mattina era già pronto per la partenza. Mentre saliva in macchina, notò un jumbo che, decollato dall'aeroporto della Malpensa, con un ampio giro puntava in alto verso il cielo in direzione ovest, pensò tra sé: "Magari è quello che va a Parigi. Potevo stare lassù, invece sono qui, senza sapere da che parte cominciare".
Il viaggio, con tutto il traffico e qualche incidente che lo indusse a stare incolonnato a lun-go sotto il sole cocente, durò più del solito, per cui giunse a Macerata verso le cinque del pomeriggio. Cercò di orientarsi, con tutta la segnaletica cambiata e, a forza di girare, gli riuscì di raggiungere la piazzetta accanto alla casa di Gabriella. Ma nella piazzetta trovò il divieto di sosta, così fu costretto a uscire dalla città e lasciare l'auto lungo il giro delle mu-ra. Tornò su a piedi e imboccando la via puntò diritto verso la casa di Gabriella. Ma non gli riuscì di vederla. "Possibile che ho sbagliato?" - si chiese. Si guardò attorno, avanti, dietro. Eppure la via era quella. Ricordava benissimo la chiesetta, vicino alla quale era passato tante volte. Provò ad osservare meglio e capì: accanto alla mensa degli studenti, al posto della casetta bassa, si ergeva ora un palazzo di parecchi piani. Che fare? A chi domandare? Non ricordava nessuna persona di sua conoscenza, dopo tanti anni, anche perché di persone non ne aveva conosciute molte. Lì per lì gli venne un'idea: domandare al portinaio. S'avvicinò deciso e osservò i nomi sul campanello. Dove lesse portineria, schiacciò il pulsante. S'affacciò una donna.
- Il signore desidera? - gli domandò.
- Mi scusi, signora, se l'ho disturbata. Ho bisogno di un'informazione.
- Mi dica!
- Ecco io... - non sapeva come cominciare - ho studiato qui a Macerata, anche se vivo da molti anni in Alta Italia.
- Allora? - la donna lo guardava curiosa.
- Insomma, conoscevo una ragazza che abitava in una casetta bassa, qui dove ora c'è il palazzo.
- Casetta bassa? Mi dispiace! Io non ne so niente. Sono portinaia in questo palazzo da dieci anni, ma non ho idea di quello che ci fosse prima. Non sono di queste parti, quindi non saprei che cosa dirle. Ma se mi dice come si chiama, può darsi che...
- Purtroppo ricordo solo il nome: Gabriella. Ora potrà avere una quarantina d'anni.
- No, signore! Che io sappia, in questo palazzo non abita nessuna signora che risponde al nome di Gabriella. Mi dispiace! Non posso esserle utile. Non saprei proprio a chi do-mandarlo. Se potesse ricordare il cognome, si potrebbe tentare con l'elenco telefonico, ma senza il cognome...
- Purtroppo non me lo ricordo - sorrise. - Comunque la ringrazio ugualmente. Era solo a titolo di curiosità.
Da come la portinaia lo guardava, capì che lei era altrettanto curiosa di sapere per quale motivo un uomo della sua età andasse cercando una donna dopo tanti anni. E aveva ca-pito giusto, perché se n'era appena andato, che lei corse subito dal marito a chiedere se per caso aveva conosciuto una certa Gabriella che abitava nella casetta bassa dove ora c'era il palazzone.


In cerca di Gabriella

Marcello intanto, tornando verso la sua auto, cominciò a riflettere. Ormai erano quasi le sei e se questo figlio ventunenne c'era, poteva trovarlo ai giardini, dove anche lui a quell'età aveva trascorso tante delle sue ore. E se c'era e se era suo figlio, gli poteva so-migliare, quindi avrebbe dovuto riconoscerlo.
Appena scese gli scalini e s'internò tra la fila di corriere, si lasciò per un attimo distrarre dalla grandissima fontana circolare che non aveva mai visto, sicuramente costruita negli ultimi anni, una fontana attraversata per tutto il diametro da tanti zampilli che soffiavano l'acqua in su, per poi ricadere dentro, in tanti giochi di luce con il sole che s'era avviato lassù nella discesa verso le montagne lontane.
Ai giardini, in quella calda sera d'agosto, vi si era riversato un sacco di gente: anziani che discorrevano tranquillamente o che giocavano a bocce nel sentiero esterno, nonne e si-gnore giovani con le carrozzine, altre signore giovani e meno giovani sedute sui sedili a leggere, ad agucchiare o a ricamare. I giovani poi non si contavano: chi seduti attorno al laghetto, chi appartati a coppie, chi in gruppi separati, chi in gruppi misti, chi amoreggiava in silenzio, chi scherzava, chi rideva sguaiatamente alle stupidate che uno di essi aveva raccontato. Marcello, camminando lentamente, con la sigaretta tra le dita e gli occhiali scuri perché non si notasse la direzione del suo sguardo, fissava tutti quei giovanotti uno dopo l'altro, per cercare di intravedere in qualcuno di essi, la sua fisionomia di quand'era stato giovane, ma nessuno pareva ricordargli l'immagine della sua gioventù. E girava, girava sempre, continuando ad osservare. Girava attorno al laghetto, poi alla grande fon-tana, poi lungo i platani, poi vicino ai sedili, poi per la stradina dove i pensionati giocava-no a bocce. Girava e osservava, osservava e girava. Niente! Poi scorse una coppietta, che si avvicinava ad una panchina isolata. Rimase come fulminato. In quel ragazzo alto, ben fatto, da come camminava, da come si muoveva, da come gesticolava, gli parve pro-prio di rivedere se stesso da giovane. Si avvicinò deciso, si fermò a qualche passo di di-stanza, si tolse gli occhiali per guardare meglio e rimase lì incantato, come se fosse tornato indietro davvero di vent'anni. Era così insistente con lo sguardo, che il giovane se ne accorse perfino.
- Quello continua a fissarti - disse alla sua ragazza, stretta a lui.
- Ma dai, forse sta pensando a qualcosa.
- No, no, ti fissa proprio! - e glielo disse anche e ad alta voce. - Ohé, che cos'hai da guar-dare a quel modo la mia ragazza?
Marcello si scosse.
- Scusa! - rispose, avvicinandosi. - Scusa! ma io non sto guardando la tua ragazza. Sto guardando te.
- Dev'essere froscio e gli piaci - esclamò lei con un risolino.
Capì di avere esagerato e cercò di giustificarsi.
- Ragazzi, un momento, stiamo calmi. Non siamo arrivati a questo punto. Il fatto è che assomigli in modo straordinario a... a un carissimo amico, di tanti anni fa, che sposò una certa Gabriella. Che per caso tua madre si chiama Gabriella?
- Ma che cosa te ne frega di come si chiama mia madre? Semmai chiedimi come si chia-ma mio padre.
- Il nome di tuo padre non me lo ricordo. Sai, sono passati ventidue anni.
- Però ti ricordi il nome di Gabriella.
- Adesso ho capito - disse la ragazza, ridendo. - Quello lì va cercando questa Gabriella che mise incinta e crede che tu sia suo figlio.
- Davvero, babbino caro, hai combinato questo? - rise ironico il ragazzo.
- Ma che cosa vi viene in mente? Però puoi dirmelo se tua madre si chiama Gabriella.
- Non si chiama Gabriella - concluse il giovanotto. S'alzarono e se ne andarono.
Marcello rimase lì da solo, mortificato, ma con il suo dubbio, perché era sicuro che quel ragazzo gli somigliava molto. Quasi quasi, era tentato di seguirlo per vedere dove abita-va, però se ne sarebbe accorto e magari avrebbe preso un'altra strada per prenderlo in giro e in quel momento non gli andava proprio di essere preso in giro. "Eppure quello è il figlio di Gabriella e anche mio" - continuava a ripetersi. Camminava soprappensiero, che a momenti andava a sbattere contro alcuni avieri in libera uscita che passeggiavano an-che loro per i giardini, forse con la speranza di conquistarsi una delle tante ragazze. E osservandoli, gli venne da pensare: "Se questo ragazzo ha ventun'anni, è probabile che stia facendo il soldato anche lui e non posso certamente cercarlo qui a Macerata! Però potrei cercare lei. Potrebbe essere una delle tante donne sedute qui in giro. Ma come faccio a riconoscerla, se non ricordo nemmeno la sua faccia? Poi in ventidue anni sarà diventata grassa, si sarà trasformata. Come faccio a sapere qual è?" Ci pensò un po': "Sì, starà di sicuro seduta con qualche amica e prima o poi verrà chiamata per nome. Se qualcuna la chiama Gabriella, fissandola, forse riesco a riconoscere, da qualche partico-lare, se è lei. Come pure lei potrebbe riconoscere me". Detto fatto, si preparò per questa seconda missione, però non poteva mettersi in piedi così, vicino ad un gruppetto di signo-re in attesa che una venisse chiamata Gabriella. Ci voleva un diversivo. Andò a cercare una rivendita di giornali, acquistò una rivista e ritornò ai giardini. Facendo finta di leggere, con gli occhi sulla rivista, ma con le orecchie in attesa di sentir pronunciare quel nome, si mise a passeggiare lungo i sedili, soffermandosi, o sedendosi addirittura, dove notava un gruppetto di signore che potevano essere sulla quarantina. Stette lì, girò un po' qua, un po' là, di nomi ne sentì parecchi: Elvira, Luigia, Maria, Giuseppina e tanti altri, ma il nome Gabriella, non venne mai pronunciato.
Ormai stava scendendo la sera e la gente a poco a poco andava via. Decise di andarse-ne anche lui. Mentre si avviava, era incerto se abbandonare il progetto, che sembrava irrealizzabile e tornarsene a casa lassù a Varese la sera stessa o cercarsi un albergo per rimanere qualche giorno. Optò per la seconda soluzione. Ormai si trovava lì, tanto valeva fare qualche altro tentativo. Per intanto doveva cercarsi quest'albergo e un letto, perché si sentiva abbastanza stanco.
Non gli fu difficile trovare un posto per dormire. Macerata non è una città turistica e la gente in quel periodo era in ferie. "E se fosse in ferie anche Gabriella?" - pensò dopo ce-na, seduto nella hall, a fumarsi una sigaretta prima di andare a dormire, tra un viavai di gente che entrava e che usciva. All'improvviso fu colpito da una visione che lo fece sob-balzare. "Eccola, è lei!" - gli venne da dire forte, da far girare meravigliato chi gli stava seduto vicino e stava quasi per saltare dalla poltrona. Erano entrati in quel momento e s'erano avvicinati al portiere per chiedere le chiavi della camera, un signore di una certa età, preceduto da una bella ragazza vestita in modo molto discinto e in quella bella ra-gazza aveva riconosciuto Gabriella. Ma si trattenne subito, dicendosi per conto suo: "Marcello, sei proprio rimbambito! Ti rendi conto che Gabriella avrà più di quarant'anni, mentre quella lì ne avrà si e no una ventina? È una signorinetta che è in albergo con suo padre" - aggiunse tra sé, vedendoli prendere l'ascensore.


Rivelazione angosciosa

Benché fosse molto stanco, non gli fu facile prendere sonno. Si voltava e rivoltava senza riuscire a trovare la posizione giusta e mentre si agitava, gli venne da pensare: "Possibile che non riesca a ricordare almeno una persona che poteva conoscerla?" Si addormentò con quel pensiero in testa. La stanchezza prese il sopravvento e lo lasciò lì come un ma-cigno fino al mattino tardi. Lo svegliò il sole che filtrava attraverso le fessure delle tappa-relle e si tirò su. E mentre si metteva a sedere, gli ritornò il pensiero di quando si stava addormentando. L'inconscio, durante il sonno, aveva lavorato per lui. "Ecco chi è che la conosceva! - esclamò per conto suo. - La lattaia. L'accompagnai più volte a comprare il latte. Spero che sia ancora viva e che faccia ancora lo stesso mestiere. Non sarò mica così scalognato! A quel tempo avrà avuto una trentina d'anni".
Si presentò alla latteria tutto agitato. La lattaia era viva e faceva ancora lo stesso mestie-re.
- Signora Teresa, buongiorno! - le disse con entusiasmo. - Perché tu sei Teresa, non è vero?
- Certo che sono Teresa e tu sei..., sei quel giovane studente che capitava qui di tanto in tanto con Gabriella.
Gli si allargò il cuore. Lei se la ricordava e poteva dirgli dove poterla trovare.
- Sì, sì, sono proprio io - e le strinse calorosamente la mano. - Vedo, che hai un'ottima memoria.
- Come mai da queste parti? Com'è che ti chiami? Mica me lo ricordo.
- Marcello, Marcello Scipioni.
- Ah, sì, ecco: Marcello. Come mai da queste parti, Marcello? Non ti sei più fatto vivo.
- Eh sì, hai proprio ragione! Venni chiamato in Alt'Italia per fare il soldato, trovai lavoro e vi rimasi. Ora sto andando a trovare i parenti e passando di qui, mi sono detto: "Voglio andare a salutare Teresa".
- Grazie! Sei molto gentile!
- Che cosa mi stavi dicendo di Gabriella? Da allora non l'ho più vista.
- E quindi non sai niente.
- Perché? - chiese con una certa ansia. - Le è successo qualcosa?
- Ma non lo sai?
- Che cosa? - chiese con ansia crescente.
- Cominciò a fare... la vita, la prostituta, insomma.
- Ma davvero? E come mai? - non si accorse che gli tremava la voce.
- Rimase incinta e venne mandata via da casa, poi cominciò a fare quel mestiere. Si di-ceva in giro che lo faceva per mantenere la figlia.
Marcello fu preso da un presentimento e cercava di tenere a freno la voce che insisteva nel voler tremare.
- Per mantenere la figlia? Oh quanto mi dispiace!
- E ora la figlia, che avrà una ventina d'anni - continuò la lattaia, mentre lo fissava con uno sguardo indagatore, che lui intuì immediatamente - s'è messa a fare lo stesso me-stiere della madre.
- Pure la figlia!? Tutte e due sulla strada! Non me lo sarei aspettato!
- Ora solo la figlia. Gabriella non lo fa più. Cominciò a bere e diventò alcolizzata. È da tanto che non si vede in giro. Non so proprio che fine abbia fatto. La figlia, che tra l'altro, è anche una bella ragazza, di pomeriggio si mette lungo la statale tra Porto San Giorgio e Pedàso, mentre di notte riceve i clienti in qualche albergo. Si fa chiamare Susy. Qui in-torno la conoscono tutti. Sono in molti quelli che ci vanno.
La lattaia continuava a fissarlo per percepire le sue reazioni. Infatti Marcello aveva ab-bassato la testa, borbottando:
- Questa proprio non la volevo sentire!
Allora la donna sparò il colpo che s'era preparato:
- Non è per caso, Marcello, che sei tu il padre di quella ragazza?
- Io!? - rispose, facendo uno sforzo enorme per mantenersi normale. - Io che cosa c'entro? Purtroppo, anche se ci uscii qualche volta insieme, non mi diede mai la possibili-tà ad arrivare a concepire con lei.
- Scusa se te l'ho chiesto, ma l'età coincide. Sono passati una ventina d'anni e la ragaz-za ha proprio vent'anni.
Cercò di essere ironico, forzatamente ironico, quasi sprezzante, per nascondere il suo disagio.
- Si vede che, quando me ne andai, per il dolore, Gabriella se ne trovò subito un altro, che le fece quello scherzo. Io, purtroppo, quella cosa lì con lei non ebbi mai la possibilità di farla.
- A beh, certo, può essere andata così!
- Con tutto ciò - continuò Marcello che aveva ripreso un po' di finta disinvoltura - mi di-spiace lo stesso. In fondo tra noi c'era del tenero.
- Lo so, lo so! Me n'ero accorta che tra voi c'era del tenero.
- Comunque, Teresa, mi ha fatto un immenso piacere rivederti dopo tanti anni. Ti saluto e spero che non ne passino altri venti prima di rivederci di nuovo.
- Spero proprio di no - rispose la lattaia. Si strinsero la mano e lui se ne andò, seguito dallo sguardo indagatore della donna, che continuava a pensare: "Nessuno mi leva dalla testa che Susy è figlia sua e che è tornato proprio per questo".
Marcello, con tutto lo sforzo che aveva fatto per non darlo a vedere, era letteralmente di-strutto. La ragazza che aveva visto entrare in albergo con il signore maturo era lei, era Susy, era sua figlia, la sua giovane figlia che faceva la prostituta. Doveva assolutamente rivederla, doveva assolutamente parlarci, doveva assolutamente aiutarla e indurla a smet-tere.

Lungo la statale

Non ci pensò molto. Tornato in albergo, pranzò in fretta, poi salì in macchina e puntò di-ritto in giù verso la spiaggia. La lattaia aveva detto che si metteva lungo la statale tra Por-to San Giorgio e Pedàso. Prese la superstrada e si diresse verso Porto Civitanova, quin-di imboccò l'Adriatica in direzione Sud. Voleva percorrerla per un buon tratto. Poteva an-che trovarla prima. Quando giunse a Porto San Giorgio erano le due e mezzo. Forse era un po' presto, tuttavia continuò verso Pedàso e già lungo il tratto della statale meno abita-to, qualcuna delle venditrici di amore era già lì. Rallentò per fissarle bene, ma Susy non riuscì a vederla. Gli venne un dubbio: forse la lattaia gli aveva raccontato una frottola, perché si era accorta del suo interessamento. O magari non era ancora arrivata. Decise di aspettare. Si fermò all'inizio del paese ed entrò in un bar per prendere un caffè, poi tornò indietro, ma ancora non la vide. A Porto San Giorgio fece un'altra tappa per lasciar passare ancora un po' di tempo, però l'ansia era tanta, per cui, dopo pochi minuti partì di nuovo. Questa volta le prostitute erano più numerose e tra loro notò pure qualche uomo truccato esageratamente da donna. Poi la vide. Susy era seduta sul muretto, dall'altra parte della strada, tutta scosciata, con quella gonnellina corta che non copriva niente, in attesa del primo cliente. Marcello fece qualche centinaio di metri e appena trovò un posto adatto, girò la macchina e tornò subito indietro, prima che arrivasse qualche altro. Infatti fece appena in tempo. Si fermò con il cuore che gli batteva forte e, sforzandosi di mante-nersi calmo, abbassò il finestrino. Lì per lì non sapeva che cosa dire. Fu lei a scivolare dal muretto, ad avvicinarsi e a sporgere la sua testolina nel finestrino.
- Mi fai salire?
- Sali! - e le aprì la portiera. Gli si accovacciò accanto e, senza preamboli, buttò là la do-manda abituale, seria e disinvolta:
- L'albergo o la macchina?
- La macchina - rispose, sentendosi a disagio pure a guardarla. - Non ho molto tempo. E per la macchina quanto chiedi?
Lei lo fissò un attimo.
- Centomila. Va' laggiù a sinistra sotto il ponte dell'autostrada.
- Va bene! - rispose e partì, ma giunto alla deviazione, fece finta di non aver visto la stra-dina.
- È qui che dovevi voltare! Dove vai adesso?
- Scusa! Credevo che fosse più avanti. Ora giro e torno indietro.
Appena trovò uno slargo a destra, accostò e si fermò, poi tirò fuori il portafoglio e sfilò trecentomila lire.
- Queste sono per te - le disse.
Lei lo fissò di nuovo.
- Vuoi qualche servizio particolare?
- No! Devo solo chiederti alcune cose e siccome potresti perdere qualche cliente, consi-derati pagata.
- Che significa? Che cosa mi devi chiedere?
- Non ti allarmare! Solo qualche domanda.
- Sei venuto con me per fare domande? O sei capace soltanto di fare domande? - e ab-bozzò un risolino ironico.
- So fare anche altro, Susy, ma con te voglio solo parlare.
- Chi ti ha detto che mi chiamo Susy? Che per caso sei un poliziotto?
- Non sono un poliziotto. Vorrei qualche informazione.
- Informazione!? Insomma chi sei? Che cosa vuoi da me? - e già cominciava ad alterarsi.
- Una domanda sola: tua madre si chiama Gabriella?
- Adesso che c'entra mia madre? Mi dici che cosa vuoi? Guarda che mi metto a gridare!
- Come ti arrabbi subito! Ti ho chiesto soltanto se tua madre si chiama Gabriella.
- Insomma, sei venuto per me o per mia madre? Mi vuoi dire chi sei e che cosa vuoi?
Marcello tirò un sospiro.
- E va bene, Susy! Tanti anni fa, circa ventidue, conoscevo tua madre. Eravamo fidanzati e...
Lei lo fissò, abbassò gli occhi poi lo fissò ancora.
- E...?
Non aveva il coraggio di alzare lo sguardo.
- E... tua madre rimase incinta.
Non la guardava ancora e gli giunse la voce stridula e inviperita della ragazza.
- Brutto porco! E tu la piantasti! E ti ripresenti dopo tutto questo tempo?
- Il fatto è, Susy, che non lo sapevo. Sì, è vero, tua madre mi scrisse, dicendomi che era incinta, ma io la presi come la solita scusa per rivedermi. Nascosi la lettera sotto la coper-tina di un libro e mi passò dalla mente, poi andai a fare il soldato al Nord, trovai un lavoro e vi rimasi. L'altra sera, mentre cercavo un testo di francese, perché avevo prenotato due settimane a Parigi, è rispuntata fuori per caso, allora sono partito subito per venire a cer-care tua madre. Ero convinto di trovarla sposata, tuttavia mi piaceva sapere se il figlio c'era veramente, invece questa mattina ho saputo...
- Da chi l'hai saputo?
- Da Teresa la lattaia, dove spesso l'accompagnavo a prendere il latte.
- E che cosa hai saputo dalla lattaia?
- Che tua madre venne mandata via da casa e per mantenerti si mise a fare questo me-stiere. Ma dico io, perché non mi ha più scritto dopo? Perché non mi ha mai cercato? Eppure sapeva che ero andato a fare il militare a Varese, ne avevamo parlato tante volte, sapeva dove abitavano i miei, poteva scrivermi di nuovo, telefonarmi, farmi sapere che aveva una figlia. Io avrei fatto del tutto. L'avrei sposata e avrei provveduto a tutte e due.
- Te l'ha detto la lattaia che mi avresti trovato qui?
- Sì, me l'ha detto lei.
- E la lattaia ti ha anche detto perché la figlia sta facendo lo stesso mestiere della ma-dre?
- No, questo non me l'ha detto.
- Te lo dico io allora: mia madre fece la prostituta per mantenere me. Ora io faccio la pro-stituta per mantenere lei, perché la mamma ad un certo punto cominciò a bere e diventò un'alcolizzata. Ho dovuto farla ricoverare in ospedale e devo pensare a tutto io.
- Ma non potevi scegliere un altro mestiere? In questa zona di mare il lavoro non dovreb-be mancare.
- Secondo te, la figlia di una prostituta, che è cresciuta con una madre prostituta, che ha assistito spesso ai suoi incontri, poteva scegliere un mestiere diverso?
- Ora però, Susy, ci sono qui io. Sistemerò tutto io, penserò io a tua madre e a te.
- Che cosa vuoi pensare adesso? È troppo tardi per pensarci.
- No! Invece ci voglio pensare. Porterò te e tua madre in Alta Italia con me, dove nessuno vi conosce, farò curare Gabriella e troverò un lavoro… più adatto per te.
- Mi dispiace, ma sei arrivato troppo tardi. Quindi, ora che sai tutto, tranquillizzati e la-sciaci in pace. A mia madre continuerò a pensarci io. Tieniti i tuoi soldi, perché io non voglio l'elemosina. Mi faccio pagare esclusivamente per le mie prestazioni. O le vuoi an-che tu le mie prestazioni?
- Ma che cosa dici, Susy? Sono tuo padre!
- Già! Sei mio padre. E adesso riportami dove mi hai fatto salire.
- Susy, ti prego! Quanti clienti potresti avere in tutto il pomeriggio? Sette, otto, dieci? Ti do io i soldi - e mise mano di nuovo al portafogli. - Fa finta che ti abbiano pagato dieci clienti. Però, per favore, tornatene a casa! E dimmi, ti prego, dov'è ricoverata Gabriella. Vorrei andare a trovarla.
- Ti ripeto: tieniti i tuoi soldi! Dov'è ricoverata mia madre non te lo dico. Dovevi pensarci prima, ammesso che sia vero quello che mi hai raccontato. E riaccompagnami giù, altri-menti mi metto a gridare davvero.
- D'accordo, Susy, come vuoi. Però pensaci! Io mi chiamo Marcello Scipioni. Ho quaran-tacinque anni, non sono sposato e vorrei fare qualcosa per voi.
- È troppo tardi! - ripeté. - Dovevi pensarci prima. Al momento giusto. Prima che mamma fosse stata costretta a intraprendere la strada che ha preso e io a fare altrettanto. Ora questo è compito mio e non ho bisogno di te. E adesso andiamo.
La riportò dove l'aveva caricata. Mentre lei scendeva dalla macchina, le disse ancora:
- Pensaci, Susy! Alloggio nello stesso albergo dove sei stata ieri sera con un cliente. Pensaci! - ma non era neanche sicuro che lo avesse sentito.
Tornò a Macerata con i pensieri che si accavallavano ai pensieri. Voleva salvarle tutte e due, la madre dall'alcolismo, la figlia dalla strada. Ma come fare, se lei non voleva sentire ragioni e s'era perfino rifiutata di rivelargli dov'era ricoverata Gabriella. Decise che il gior-no dopo sarebbe tornato ancora lungo la statale per tentare nuovamente di convincerla. Voleva, voleva, non lo sapeva neanche lui che cosa voleva. Intanto ritornò in albergo, sperando che alla sera ricomparisse, per poterle parlare di nuovo. Dopo cena sedette nella hall in attesa, una lunga attesa fatta di un bicchierino dopo l'altro, di una sigaretta dopo l'altra.
E la vide ricomparire. Ancora con un cliente, che non era lo stesso della sera precedente. Nel vederla, s'alzò in piedi e la fissò. Lo fissò anche lei un attimo, ma continuò per la sua strada. Però, mentre entrava nell'ascensore, si voltò ancora, poi sparì dentro con il suo accompagnatore. Susy tuttavia, benché si fosse dimostrata inflessibile con lui, forse sen-tiva davvero il bisogno di un padre, di una persona fidata che la sostenesse nella sua fragilità di donna. Tanto che quella sera non le riuscì di essere la stessa di sempre. Infatti, mentre il cliente si stava già togliendo la camicia, lei rimase in piedi, a testa bassa, in at-teggiamento pensieroso.
- Beh, che fai? non ti spogli? - le disse lui, vedendola lì così.
- Scusami! Questa sera non mi sento in forma. Mi dispiace!
- Come sarebbe a dire non ti senti in forma? Ti ho pagata, ho pagato l'albergo, siamo venuti qui dentro... Che cos'è che non va? Forse mi trovi troppo vecchio?
- Non mi va! Tutto qui. Eccoti i tuoi soldi. - e gli restituì quanto s'era fatta dare in anticipo.
Marcello che era rimasto giù in apprensione, li vide uscire dall'ascensore qualche attimo dopo.
- Un'altra volta non far perdere tempo al prossimo - le disse scortese il mancato cliente e se ne andò lasciandola sola in mezzo alla hall. Susy fece un cenno a Marcello e uscì an-che lei. Marcello le andò dietro.
- Fammi salire nella tua macchina - disse lei. - Vorrei parlare un po'.
- È lì! - rispose.
S'avvicinò, aprì la portiera, la fece accomodare, poi girò intorno e le si sedette accanto.
- Hai visto che cosa mi hai combinato? - cominciò subito.
- Che cosa? - chiese lui con ansia.
- Questa sera, per colpa tua, non sono riuscita a combinare nulla.
- Se questa è la mia colpa, - rispose con sollievo e un sorriso - sono contento di averla commessa. Dimmi quanto avresti guadagnato e i soldi te li do io.
- Ti ho già detto che non li voglio.
- Vuol dire che ti farò un prestito. Quando lavorerai me li restituirai.
- Invece mi vuoi fare un grande favore?
- Qualsiasi cosa!
- Tornatene da dove sei venuto e lasciaci in pace.
- Susy, perché non lo vuoi capire? Ora che so, non posso tirarmi indietro.
- Mi hai raccontato che lo sapevi. Però allora ti tirasti indietro, anzi, non ti facesti sentire affatto.
- Susy, te l'ho già detto ieri: avevo vent'anni, ventitré per la precisione e a quell'età si è molto superficiali, non si pensa alle conseguenze delle proprie azioni. Senti, Susy, io im-magino quanto abbiate sofferto tu e la mamma in tutto questo tempo per colpa mia. E an-che se ho commesso una colpa senza rendermene conto, ora che so, voglio riparare. Quindi ho deciso di portarvi tutte e due con me a Varese, dove nessuno vi conosce, dove potrete ricominciare una vita nuova senza problemi. Ho intenzione di sposare Gabriella e prendermi cura del tuo futuro.
Sposare Gabriella. Quella battuta gli era sfuggita così, istintiva, spontanea, senza valu-tarne appieno il concetto. La ragazza fu più realistica.
- A parte il fatto che non sono del tutto sicura che tu sia veramente mio padre, devo co-statare che parli senza sapere quello che dici.
- Perché, scusa?
- Perché tu hai detto di avere quarantacinque anni e sei ancora molto giovanile...
- E con questo? Gabriella, se ricordo bene, ha quarantadue anni. Dunque dov'è il pro-blema?
- Il problema sta nel fatto che mia madre ha sì quarantadue anni, ma da come si è con-ciata, sembra che ne abbia sessanta. Non è più la ragazzina che conoscesti tu. E una donna così ridotta, con la vita che ha fatto, tu non la sposeresti mai.
- Ma che dici, Susy?
- Dico quello che ho detto. Comunque, siccome voglio accertarmi che tu sia veramente mio padre, ho deciso di accompagnarti dalla mamma.
- Questo mi fa davvero piacere, Susy! - esclamò stringendole le mani. È la proposta che mi aspettavo da te.
- Allora domani mattina trovati pronto per le nove.
- Una domanda: possibile che Gabriella non ti abbia mai detto chi è tuo padre, possibile che tu non gliel'abbia mai chiesto?
- Certo che gliel'ho chiesto. Sapessi quante volte!
- E la risposta?
- Non me l'ha voluto mai dire. Spesso rispondeva: non lo so, non ho idea. Ne ho avuti tanti di uomini!
- Non può essere, Susy! Una donna sa sempre chi è l'uomo con cui ha concepito. Poi, vediamo subito se i conti tornano. Io con tua madre ho avuto un unico bellissimo rapporto il giorno del mio compleanno. Era il 12 giugno del 1976, l'anno in cui mi sono diplomato, quindi tu dovresti essere nata... dunque... - fece un breve conteggio con le dita - giorno più, giorno meno, verso la metà di marzo del 1977.
- Infatti sono nata il 15 marzo.
- Vedi bene che non ti sto dicendo una cosa per un'altra.
- D'accordo! Domani sentiamo lei.
- Guarda, Susy, ho una cosa che volevo consegnare a tua madre stessa, ma siccome vedo che sei giustamente diffidente, la do a te.
- Che cos'è?
Sfilò la lettera dal portafoglio e accese la lampada di servizio.
- Vedi se riconosci la scrittura, se questa è di tua madre.
Susy aprì il foglio, lesse e rimase un attimo soprappensiero.
- È questo che mi fa rabbia. Sapevi e non ti sei fatto vivo.
- Te l'ho già detto. Solo ora, ripensandoci, mi sono ricordato di tutto. Allora ero giovane e credevo si trattasse di una ragazzata.
- Purtroppo non lo era, con tutto quello che è venuto dopo.
- Ormai è andata così e cerchiamo di rimediare almeno dopo vent'anni. E ora, Susy, non ti offendere se te lo dico, ma vorrei chiederti un favore.
- Che favore?
- Se ti è possibile, domani vestiti... in modo normale.
- Ma certo! Mica vuoi che vada a trovare la mamma così!
Indossava la solita gonnellina cortissima e leggera che metteva tutto in mostra, con una camicetta senza maniche, esageratamente scollata, sotto alla quale si notava benissimo che non c'era il reggiseno. E al padre, ora che l'aveva ritrovata, questo non piaceva per niente.
- Non hai la macchina? Ti posso accompagnare a casa?
- Anche se non è molto lontano, mi farebbe piacere.
- Dove abiti?
- In un appartamentino lungo il giro delle mura, poco lontano dallo Sferisterio.
Strada facendo, le chiese ancora:
- Scusa se te lo domando. Così, tanto per sapere. Di solito torni a casa a piedi?
- No! Mi faccio accompagnare dall'ultimo cliente.
- E non corri qualche rischio? Non succede che qualcuno approfitti, per toglierti... gli in-cassi della giornata?
- Una volta mi è successo, ma mi sono messa a gridare e mi ha lasciato stare.
Marcello tirò un sospiro e non aggiunse altro.
Quando arrivarono lei gli disse:
- Non avertene a male se non ti faccio entrare. Non vorrei che qualcuno mi vedesse ve-stita così con te.
- Hai ragione, Susy! Passo a prenderti domani mattina alle nove. Buonanotte!
- Buonanotte! - rispose lei e sparì dentro il portoncino.


Ricordi che riemergono

La ragazza s'infilò nel letto, ma non riuscì a prendere sonno subito. Ripensava a quell'uomo che si era fatto vivo solo ora, dopo ventidue anni, quando ormai la mamma, prostituta per necessità, si era poi data all'alcool, non sopportandone il pesante disagio e anche lei, da quasi un anno e mezzo faceva lo stesso mestiere, per lo stesso motivo. Non lo avrebbe fatto la mamma, come non lo avrebbe fatto lei, se il padre si fosse presentato al momento opportuno, un padre che aveva sempre sognato, sempre desiderato. Senza il suo appoggio, la mamma vi era stata costretta e anche lei vi era stata costretta. Ricorda-va benissimo la data e l'ora. L'aveva registrata con precisione nel suo diario. Erano le nove e mezzo di un sabato sera del 27 aprile 1996. Aveva 19 anni, un mese e 13 giorni. Non è che non avesse mai fatto sesso. Un po' per curiosità, un po' per piacere, era stata con qualche ragazzo incontrato in discoteca o con l'occasionale fidanzatino. Ma l'aveva fatto per il gusto di farlo, per stare insieme ad un ragazzo, per sentirsi abbracciata, bacia-ta, stretta, posseduta, per godere insieme della loro giovinezza. E s'era abituata ad avere nella borsetta la busta dei profilattici. Con tutte le malattie che erano in giro, specialmente l'aidiesse, voleva usare tutte le precauzioni. Poi non le andava di rimanere incinta come era successo a sua madre.
Quella sera invece fu tutt'altra cosa: una costrizione, un atto di pietà verso la mamma. Già da diverso tempo si era accorta che aveva forti dolori al fegato e qualche volta era anche stata ricoverata per improvvise coliche. Ma lei continuava a bere, a bere sempre molto e alcolici sempre più forti. La ragazza aveva capito da tempo che lo faceva per dimenticare la sua situazione, perché lei non era nata per fare la prostituta. Ci era stata indotta dalle necessità della vita e, incurante del fegato, continuava a bere, specialmente alla sera, quando arrivavano in casa diversi uomini per chiedere le sue prestazioni. Susy allora si tappava nella sua cameretta per non essere infastidita, perché quelli che aspettavano il loro turno, allungavano le mani e le facevano proposte oscene. Se aveva occasione usci-va: andava a trovare un'amica o al cinema con qualche ragazzo. Quella sera era restata: si era accorta che la mamma, pur soffrendo molto, non si era voluta sottrarre ai suoi im-pegni, e per sentirsi più euforica, si era attaccata ancora alla bottiglia. E si presentarono in cinque che, come al solito, si sbracarono nel salottino, fumando, chiacchierando e be-vendo anch'essi, in attesa di entrare, uno alla volta, nella camera di Gabriella.
Ma come entrò il primo, uscì quasi subito.
- Questa qui si sente male - esclamò preoccupato. - Come la tocchi poco poco, comincia ad urlare. È meglio lasciarla perdere.
- Chiama la figlia - suggerì uno. - Va a finire che ti muore sotto e si rischia pure di finire in galera.
Bussarono alla porta di Susy, la quale capì subito la situazione e diede immediatamente alla madre qualche pastiglia di analgesico, lasciandola per ora riposare, ma sapeva che avrebbe dovuto ricoverarla all'ospedale e, per quanto fosse gratuito, correvano sempre le spese. Poi c'erano affitto e condominio da pagare, oltre a tutto il resto. Uno disse:
- Noi ce ne andiamo! Torneremo quando starà meglio, anche se non ci contiamo troppo.
La ragazza prese la decisione immediata. Li guardò tutti e cinque, fece subito un calcolo mentale e propose:
- Se vi vado bene anch'io, sono a vostra disposizione. Però con me non bastano trenta-mila lire. Ce ne vogliono almeno cinquanta.
- Con te anche cento! - esclamò un altro.
- D'accordo! Facciamo cento. Vado di là e mi preparo. Appena sono pronta vi chiamo.
Qualcuno brontolò a quello che aveva fatto l'offerta:
- Sei proprio uno scemo! Potevamo cavarcela con cinquanta. Perché ne hai offerte cen-to!
- E dai! Con una ragazzina così giovane e fresca, vale anche la pena di pagarne cento, no?
Intanto Susy andò a lavarsi in bagno, poi entrò nella cameretta e si spalmò ben bene con la vaselina. Sapeva che quelli erano grossolani e le avrebbero fatto male. Quindi, tirò fuo-ri dalla borsetta la busta dei preservativi, la mise sul comodino e s'affacciò.
- Con vostro comodo, sono pronta.
Tutti volevano andare per primi e presero a discutere.
- Fate piano - li rimproverò la ragazza - che svegliate la mamma. Vuol dire che il primo ne paga centocinquanta.
Smisero di litigare e alla fine uno si decise. Non collaborò molto Susy. Si limitò a mettergli il cappuccio e lo lasciò fare. A collaborare era sufficiente la sua giovinezza.
Quello fu abbastanza violento, ma con la pomata che s'era messa, non provò eccessivo dolore. Nell'arco di un'oretta li aveva sistemati tutti e cinque e si ritrovò tra le mani per la prima volta cinquecentocinquantamila lire. Ne concluse che doveva continuare. Si lavò di nuovo con molta energia per togliersi di dosso la puzza di sudore di quelli là, poi controllò la mamma e vide che dormiva abbastanza tranquilla. Andò a dormire anche lei, però il mattino dopo la fece ricoverare in ospedale e continuò al posto suo. Tuttavia, stare con quegli uomini rozzi e grossolani, gli dava fastidio. Preferì sceglierli lei stessa coloro che volevano le sue prestazioni, così decise di non ricevere più in casa. Si spostò sulla stata-le lungo mare, accompagnata in macchina da una collega, che ricompensava di tanto in tanto con qualche regalino e chi voleva il servizio in un letto, doveva pagare il doppio e accollarsi pure le spese dell'albergo.
Ora, dopo quasi un anno e mezzo, si trovava davanti quell'uomo che asseriva di essere suo padre e forse lo era sul serio. Pensò che se fosse stato vero, i suoi guai e quelli di sua madre sarebbero finiti, però la preoccupava la delusione che lui avrebbe provato, vedendo la mamma ridotta in quelle condizioni.
Anche Marcello stentò a prendere sonno. Gli martellavano in testa le parole di Susy: " Ha quarantadue anni, ma da come si è conciata, sembra che ne abbia sessanta". E poi era stata con un sacco di uomini. Forse, con tutte le sue buone intenzioni, con tutto il suo slancio iniziale, non avrebbe mai avuto il coraggio di sposarla. "Tutto per colpa mia!" - andava ripetendo. - "Perché io, invece di accertarmi se era vero, partii, senza neanche farmi vivo. Ma chi avrebbe avuto il coraggio di farlo sapere a papà e a mamma? Soprattutto alla mamma, così gelosa, che mi stava sempre alle costole". E anche il suo pensiero, come quello della figlia, ritornava al passato, un passato più bello e più lontano, il giorno del suo primo e unico rapporto con Gabriella. Erano ricordi che, a poco a poco si rischiaravano nella mente come una montagna che, a partire dalla cima, viene illuminata un po' alla volta dalla luce del sole, man mano che si tira su dall'orizzonte.
E ricordò tutto, in ogni dettaglio. L'ultimo periodo dell'anno scolastico, dato che era quello degli esami di maturità, pur venendo da Tolentino in vespa, si fermava spesso a pranzo alla mensa degli studenti. Così aveva avuto modo di incontrare quella ragazza, piccola, mora, molto carina, che spesso usciva dalla casetta bassa, da sola o con le numerose sorelle, chi più grandi, chi più piccole di lei. Gli era piaciuta e aveva subito preso a cor-teggiarla. Si vede però che anche lui era piaciuto a lei, perché si era lasciata corteggiare, anche se lontano dagli occhi dei genitori e del padre in particolare che, essendo un po' all'antica, non permetteva amori furtivi alle sue figlie. Doveva essere tutto sotto controllo. Ma Gabriella, che aveva solo ventuno anni, voleva conoscere bene il suo fidanzato, prima di presentarlo ai genitori, anche perché temeva che, essendo ancora studente, quindi senza un futuro economico certo, non le avrebbero permesso di farsi frequentare. Questo lui lo sapeva, quindi si vedevano solo di nascosto, con qualche breve passeggiata ai giar-dini Diaz o in un luogo più appartato, ma sempre di sfuggita, per cui Marcello, pur de-siderando un incontro… più approfondito, non ci era mai riuscito. Tuttavia quel giorno, il 12 giugno 1976, era un giorno particolare. Pur essendo periodo d'esami, aveva il pome-riggio libero, era una bellissima giornata ed era il suo ventitreesimo compleanno.
- Gabri, ti va di fare una passeggiata con me in vespa? - le aveva chiesto.
- Però non troppo lontano. Non posso restare via da casa per molto.
- Vorrei portarti alla riserva Bandini.
- Così lontano?
- Capirai! Saranno sì e no una decina di chilometri.
- Che ci andiamo a fare alla riserva Bandini?
- Così! Mi piacciono gli animali. Magari riusciamo a vedere qualche capriolo.
- Va bene, però non ci dobbiamo trattenere a lungo.
- Un paio d'ore al massimo.
La riserva Bandini che, alcuni anni dopo si chiamerà Riserva naturale regionale dell'Abbadia di Fiastra sotto l'egida del WWF, è un vasto territorio nei comuni di Tolen-tino e di Urbisaglia con una selva di almeno cento ettari, popolata da caprioli, lepri, fagia-ni, tassi, volpi, faine e tanti altri ancora, sui cui alberi nidificano sparvieri, civette, allocchi, compresa tutta l'avifauna comune, ma è anche un luogo d'incontro per chi non vuole farsi vedere dagli altri. Quella era anche l'intenzione di Marcello e quell'intenzione l'aveva si-curamente capita anche Gabriella. Infatti, appena si addentrarono tra il folto del bosco per angusti sentieri, dove la vespa poteva muoversi appena, il giovane la posteggiò in un pic-colo slargo e s'avviò a piedi, stringendosi a sé la ragazza.
- Oggi, amore, è il mio compleanno - le sussurrò - e vorrei che tu mi facessi un regalo.
- Davvero è il tuo compleanno? I miei più fortissimi auguri! - e lo abbracciò lì lungo il sen-tiero. - Che regalo vuoi, amore mio?
- Ecco... mi piacerebbe se mi facessi... il dono ti te stessa. Lo desidero tanto, sai?
- Anche a me piacerebbe, tesoro mio! Se poi succede qualcosa?
- Che cosa deve succedere? Staremo attenti e faremo in modo che non succeda niente.
Non aggiunse altro. Sentì dallo sguardo e dalla stretta che anche lei era d'accordo. Una ragazza è sempre d'accordo, quando è innamorata del suo fidanzato e si trova con lui in un posto tranquillo. S'incamminarono tra i fitti cespugli, cercando di piegarsi di tanto in tanto per non essere colpiti dai rami bassi. Allontanatisi discretamente dal sentiero e tro-vata una stretta radura, lui disse:
- Fermiamoci qui!
- Marcello, non abbiamo niente da mettere per terra. Non ci sarà qualche vipera?
- Ma quale vipera! - rispose e con le scarpe cercò di grattare via i ramoscelli secchi e qualche sasso che si trovava lì in mezzo. L'erbetta fresca, così raspata, sembrava fosse stata ripulita con il rastrello.
- Adesso possiamo sederci - disse. Si sedettero. Lui le passava un braccio dietro la schiena e la stringeva a sé.
- Amore, - bisbigliò lei - io non l'ho fatto ancora con nessuno. Tu sei il primo. Vorrei che fosse una cosa molto bella.
- Sarà bellissima, tesoro mio. Vedrai!
Lei si lasciò fare e fece anche lei qualcosa.
Prese a baciarla, presero a baciarsi, ad accarezzarsi, a spogliarsi, tanto in quel posticino così nascosto non sarebbe capitato nessuno. Era bello sentire l'arietta fresca sulla pelle e gustare le carezze delle mani sulla pelle. Le mani di lei accarezzavano, le mani di lui ac-carezzavano e i baci diventavano sempre più focosi. Lei finì di togliersi quello che le ri-maneva, le mutandine, e lui finì di togliersi quello che gli rimaneva, le mutande, che sta-vano per esplodere sotto la spinta dell'eccitazione.
Così nudi com'erano, così eccitati com'erano, i loro sessi sembravano fatti apposta per essere contenuti l'uno dall'altra, tanto che lei provò solo un briciolo di dolore, quando sen-tì quel fuoco penetrarle dentro e godettero tanto, godettero immensamente. Rimasero lì abbracciati a lungo e sembrava loro di aver raggiunto un paradiso indescrivibile di beati-tudine. Non si resero conto del tempo che era passato. Il tempo in quei momenti non esi-ste.
Quando tornarono a casa, lei dietro sulla vespa, si stringeva fortemente a lui, quasi da fondersi con quel ragazzo che era diventato parte di se stessa. E continuarono ad amarsi con passione, seppure senza avere più modo di andare alla selva della riserva Bandini. Poi finirono gli esami, lui tornò a Tolentino, sapendo che da lì a un paio di mesi sarebbe dovuto partire per fare il soldato su a Varese, una città che sembrava tanto lontana, quasi irraggiungibile. Come aveva l'occasione, si faceva i suoi venti chilometri in vespa per an-dare a trovarla e appena potevano appartarsi, si baciavano si abbracciavano, si stringe-vano, si amavano. Ma non capitò più che potessero donarsi reciprocamente e totalmente. Quella del giorno del suo compleanno era stata l'unica volta, bellissima, indimenticabile.
Fu pochi giorni prima di partire per il soldato (nell'ultimo periodo, per impegni contingenti, s'era fatto vedere più raramente), che gli giunse la lettera. Notando la mamma che sbir-ciava con insistenza, letta in fretta e furia, andò a nasconderla dentro la copertina del li-bro di Diritto, dove venne dimenticata. E con essa, anche Gabriella. La paura delle con-seguenze aveva bloccato in lui il pensiero di lei.



L'incontro

Alle nove Marcello era già lì e la trovò davanti al portoncino in attesa. A differenza del giorno prima, indossava un paio di pantaloni non troppo attillati e una camicia a mezze maniche, allacciata quasi fino in cima, che non mostrava proprio niente.
La fece salire e s'avviarono. L'ospedale non era molto lontano.
- Aspettami qui - gli disse al parcheggio. - È bene che io prepari la mamma a poco a po-co.
- Hai ragione, Susy - rispose lui. - Quando credi che sia pronta, vieni a chiamarmi.
Salì la rampa di scale ed entrò nella cameretta che Gabriella divideva con altre due don-ne, le quali in quel momento passeggiavano lungo il corridoio chiacchierando. La trovò seduta su una sedia, sola, in silenzio e pensosa. Quando vide la figlia, le si illuminò lo sguardo.
- Susanna, - le disse, alzandosi in piedi - sono veramente contenta che sei qui. Come mai una visita così inaspettata?
Piccola, magra, pallida, con la pelle sfatta e i capelli quasi tutti bianchi, pareva davvero una sessantenne.
- Avevo voglia di vederti, mamma e di parlare con te. Sediamoci ancora un po'.
- Mi vuoi raccontare della misera vita che sei costretta a fare per me, vero? - le chiese la madre, sedendosi di nuovo. Lei accostò un'altra sedia e le sedette accanto.
- No, mamma! Ho quel chiodo fisso che mi martella sempre nella testa, al quale non hai mai dato una risposta precisa.
- Quale chiodo fisso?
- Voglio che tu mi dica finalmente chi è mio padre.
Abbassò la testa un attimo e fece un sospiro.
- Figlia mia, mi hai fatto mille volte la stessa domanda e io mille volte ti ho risposto: fa-cevo il mestiere che tu fai adesso, purtroppo, e venivano tanti uomini da me. Io allora ero carina come te adesso, lo sai?
- Lo so, mamma, che eri molto carina. Ma non può essere successo di essere rimasta incinta, per esempio, prima di iniziare questo mestiere? Non ti può essere capitato con un giovanotto, che poi si è completamente dimenticato di te?
La madre la fissò.
- Adesso come ti viene in mente questo discorso? Non me lo hai mai fatto prima.
- Rispondimi: è così o no?
La madre la fissò di nuovo.
- Che differenza fa? L'uno o l'altro, sono rimasta sola e siamo rimaste sole.
- Però non hai risposto alla mia domanda.
- Perché vuoi proprio saperlo?
- Perché è ora che io sappia chi è mio padre.
- E quando l'hai saputo, che cosa hai risolto?
- Parlamene lo stesso.
La mamma tirò un sospiro.
- E va bene! Se proprio vuoi saperlo, è così. Ero fidanzata con uno studente e facemmo quella cosa. Eravamo molto innamorati e anche molto inesperti - sorrise - che non ba-dammo alle conseguenze.
- Ma tu, a questo studente, non facesti sapere nulla, non lo cercasti, non gli scrivesti?
- Sì, gli mandai una lettera, ma probabilmente non la prese sul serio, poi andò a fare il soldato lontano, vi rimase per lavorare e non volli coinvolgerlo.
Stava per dirle: "È questa la lettera che gli scrivesti?", ma capì che era ancora presto.
- E, come si chiamava questo studente?
- O Susanna, sono passati più di vent'anni. Non me lo ricordo.
- Ma si che te lo ricordi, dai!
- Che t'interessa il nome, scusa?
- Mi piace sapere come si chiama mio padre.
- Si chiama... si chiama... mi pare... Marcello.
- E il cognome?
- Il cognome non me lo ricordo proprio.
- Su, fa' un piccolo sforzo.
- Susanna, non me lo ricordo.
Non resistette.
- È Scipioni, per caso?
La madre saltò su.
- E tu come lo sai?
- Lo so! È questa la lettera che gli scrivesti?
Le bastò uno sguardo.
- Oddio! Come hai fatto ad averla? Non mi dire che è stato con te!
- No, mamma! È venuto a cercare te e per caso ha incontrato me.
- E dov'è adesso?
- È qui fuori in macchina.
- No, Susanna, non voglio vederlo! Non voglio che mi veda in queste condizioni.
- No ti preoccupare, mamma, sa tutto.
- Tutto tutto?
- Tutto tutto!
- Gliel'hai detto tu?
- No! La lattaia dove andavate a prendere il latte insieme.
- Teresa! Io la strozzo, quella lì!
- È meglio che abbia saputo. Ha detto che ci vuole portare in Alta Italia con lui. Io potrò smettere questo mestiere e tu potrai guarire.
- Non me la sento di vederlo, Susanna. Mi vergogno da morire.
- Tanto, prima o poi deve succedere. In fondo vuole riparare al male che ti ha fatto. Vado a chiamarlo?
- No, ancora no! Fammi almeno presentare in modo decente.
La figlia l'aiutò a presentarsi in modo decente: le aggiustò i capelli con il pettine, le passò un po' di colore sulla faccia, una punta di rossetto sulle labbra.
Marcello in quella lunga attesa s'era già fumato tre o quattro sigarette, passeggiando per il posteggio e s'era appena riseduto in macchina quando vide avvicinarsi Susy. Lei ap-poggiò una mano sul ripiano del vetro abbassato, si sporse con la testa e gli disse con un sorriso:
- Papà, la mamma ti aspetta.
Per Marcello, a sentirsi chiamare papà, fu come un colpo al cuore. Posò le mani su quella della ragazza, vi appoggiò la testa e scoppiò a piangere di un pianto dirotto. Lei lo lasciò sfogare, accarezzandogli di tanto in tanto i capelli, poi prese un fazzoletto dalla borsetta e glielo porse.
- Asciugati gli occhi. La mamma non deve vederti così.
Salì la rampa di scale dietro a lei con un turbinio di pensieri nella mente e se la vide da-vanti. Forse, così ben truccata, con quella vestaglia rosa a fiori che le giungeva fino ai piedi, gli fece meno impressione di come se l'era immaginata. Effettivamente mostrava molto più dei suoi quarantadue anni, ma il viso, sia pure con la pelle non più così liscia come una volta, esprimeva ancora un che di quel fascino che lo aveva avvinto ventun anni prima.
- Ciao, Gabriella, come stai? - le fece, quasi mortificato e stese la mano con una certa titubanza. - Sono felice di rivederti.
- Ciao, Marcello! - fece lei e gliela strinse debolmente - sono felice anch'io.
La guardò con dolcezza.
- Ma perché non mi hai fatto sapere più niente in tutti questi anni?
Lei non rispose subito. L'emozione le aveva tolto la parola e gli occhi le si stavano inumi-dendo.
- Sai, mi son trovata sola, - rispose lentamente e a voce bassa - tu eri lontano, avevi i tuoi problemi, credevo di farcela, poi dopo..., non ho avuto più il coraggio di cercarti. Ma, sediamoci e raccontami quello che hai fatto in questi anni.
Sedettero tutti e due su quelle sedie vicine come due vecchi amici, mentre la ragazza per lasciarli conversare da soli, stava affacciata alla finestra.
- Io, niente di particolare. Andai a fare il militare a Varese, come sapevi, trovai lavoro e ci rimasi. Ma ti giuro che, come raccontavo a Susy...
Lei gli sussurrò all'orecchio:
- Chiamala Susanna. Susy era per quella gente là e ora che ci sei tu, spero che non ne abbia più bisogno. Ecco, vorrei chiederti solo questo, Marcello - continuò con la voce normale. - Ormai di me non me ne importa più niente, ma fa' in modo che lei non sia più costretta ad andare sulla strada come ero costretta io. Ti prego, almeno questo favore, per nostra figlia, me lo devi fare.
- Gabriella - le rispose risoluto - ora che vi ho ritrovate, farò tutto quello che è possibile, per te e per Susy... per Susanna. Verrete a Varese con me, ti farò curare a dovere, le tro-veremo un lavoro onesto e quando sarai guarita del tutto, ci sposeremo. Questi anni do-vranno scomparire dalla vostra memoria e dalla mia.
- Io, Marcello... - poi si girò verso la figlia. - Susanna, mi vai a comprare una bottiglia d'acqua per favore.
La ragazza capì. Capì che voleva restare sola con lui.
- Va bene, mamma. Hai bisogno di qualcosa anche tu..., papà.
Gli venne nuovamente un nodo alla gola e venne anche alla madre.
- Io no, grazie, Susanna!
Lei uscì e Gabriella continuò.
- Io, Marcello, ho condotto una brutta vita, anche se non l'ho scelta di proposito e, natu-ralmente non te ne voglio fare una colpa, però le cose le capisco benissimo. Ci dividono vent'anni di vita, gli anni più importanti della nostra vita. Tu, anche se non ti sei sposato, avrai vissuto la tua vita, avrai sicuramente persone con cui godere la tua vita. Io nel frat-tempo mi son dovuta dare a tanti uomini e questa è una barriera che si separa per sem-pre.
- Ma che dici, Gabriella?
- Ti prego, lasciami continuare. Io queste cose le capisco e so accettare la realtà. Quindi, te ne sono grata, te ne siamo grate se farai qualcosa per noi e soprattutto per lei, che è ancora giovane, ha appena iniziato e farà in tempo a tornare indietro. Se ci fai venire a Varese con te ne sono felice soprattutto per Susanna. In un ambiente dove nessuno la conosce, può trovare un lavoro onesto, come dicevi tu. Anch'io, appena guarita del tutto, potrò fare un lavoro, magari i servizi in qualche famiglia, però di questo discorso, anche se te ne sono grata che me lo hai fatto, preferirei non parlane più.
- Va bene, ci sarà tempo per riprenderlo. Per ora quello che conta è risolvere i problemi più importanti. Allora, se sei d'accordo, chiediamo al primario di farti uscire per ricoverarti in un ospedale di Varese e domani partiremo tutti e tre per la nuova destinazione. Io vivo da solo e ho una casa abbastanza grande. Tu e Susanna dormirete in camera mia e io nel divanoletto in sala, poi vedremo di trovare un appartamento adatto per tutte e tre. Il resto si vedrà in seguito. Sei d'accordo?
- Per me va benissimo! Spero che sia d'accordo anche Susanna.
- Di che cosa dovrei essere d'accordo? - chiese lei entrando. Era rimasta da un po' dietro la porta per lasciarli conversare da soli.
- Marcello stava dicendo che domani vuole portarci tutte e due a Varese.
- Certo che sono d'accordo! - rispose con un sorriso di soddisfazione.



Ritorna il passato

Dopo aver parlato con il primario, salutarono Gabriella. Lei li seguì con un sorriso mesto finché poté, anche attraverso i vetri della finestra e, quando li perse di vista, sedette di nuovo, molto pensierosa e, in quel groviglio di sentimenti contrastanti, si lasciò sfilare nel-la memoria il ricordo degli avvenimenti da quando aveva scritto a Marcello di essere ri-masta incinta.
Lui non si faceva vivo e non rispondeva, il tempo passava e quando capì che ormai era partito per fare il soldato e ne avrebbe avuto per più di un anno, si rese conto che doveva risolvere da sola il suo problema. Non le passò minimamente in testa di abortire, anche perché per abortire ci volevano soldi che lei non aveva e che avrebbe dovuto chiedere al padre. Ma lei non voleva nel modo più assoluto che né il padre, né la madre e nemmeno le sorelle venissero messe al corrente del suo stato. Come fare per nascondere un tale segreto che, col tempo che passava, diventava sempre meno segreto? Fuggire da casa? Ma andare dove? Non aveva zie comprensive a cui potersi rivolgere. Le venne in mente di andare a servizio presso una qualche famiglia, che l'avesse accolta, dove avrebbe po-tuto lavorare, e che le avrebbe dato anche la possibilità di partorire. A forza di informarsi, a forza di sentire qua e là, riuscì a trovarne una proprio di Macerata: erano moglie e mari-to sulla cinquantina, senza figli. Lui lavorava mezza giornata e lei tutto il giorno, per cui occorreva una donna in casa che facesse le faccende. Tutto a posto, tutti d'accordo, ave-va trovato proprio quello che andava cercando. E i due signori di mezza età presero an-che a cuore il suo problema della sua gravidanza: promisero che l'avrebbero aiutata. In mancanza di figli sentivano davvero la necessità di un pargoletto in casa a movimentare le loro noiose serate. Gabriella si sentì più tranquilla. Si scatenò il putiferio invece, quan-do venne a saperlo suo padre, il quale già si era meravigliato per la decisione improvvisa della figlia di andare a servizio. Prima pretese che abortisse, ma dietro al suo deciso rifiu-to, le disse chiaro: "Se ti sei comportata male, è peggio per te! Io voglio salvaguardare l'onore delle tue sorelle. Perciò in casa mia non devi mettere più piede. Per me è come se fossi morta!" - e non volle saperne più nulla.
Ci rimase molto male la ragazza, ma si consolò per l'affetto che le dimostravano i due si-gnori dov'era a servizio. Cosicché portò avanti la sua gravidanza senza ormai più pensa-re a Marcello e quando le nacque una splendida bambina, volle chiamarla Susanna, co-me segno di riconoscenza verso la sua padrona che si chiamava in quel modo. Se fosse nato un maschio, e glielo disse chiaro, l'avrebbe chiamato Cornelio, che era il nome del marito.
Il tempo passava, la bimbetta cresceva e ormai cominciava a gattonare, con la mamma che badava alle faccende, spesso aiutata dal padrone, che durante il pomeriggio stava a casa. Gabriella, dopo il parto, mese dopo mese, benché durante la gravidanza si fosse un po' sformata, si fosse anche inciccita, ritornò ad essere una ragazza molto bella, anzi più bella di prima, un po' più arrotondata di seno e di fianchi, che la rendevano molto deside-rabile. E anche il cinquantenne padrone cominciò a desiderarla. Dapprima si limitava a guardare, la spiava nel bagno quando si lavava, a volte entrava addirittura per vederla nuda con la scusa che la bambina gli era sfuggita di mano, da farla rimanere molto male. Poi nei momenti in cui Susanna dormiva, iniziava a lodarla, ad elogiare la sua bellezza, ad allungare le mani. La ragazza si scherniva, minacciava di raccontare tutto alla padrona e per un po' s'avvide che funzionava. Però un pomeriggio, mentre stava stirando e la bambina al solito dormiva, si sedette lì accanto e prese a dirle in tono serio:
- Senti, Gabriella, tu sei una bellissima ragazza e mi piaci molto. Ormai per me sei diven-tata un pensiero fisso. Facciamo così, da buoni amici. Io di nascosto di mia moglie ti rad-doppio la paga e tu mi dai qualche piccola soddisfazione. In fondo che ti costa? L'hai fatto con gli altri e puoi farlo anche con me.
- Ma che stai dicendo? - lo redarguì la ragazza. - Che mi hai preso per una puttana? L'ho fatto con un ragazzo che mi piaceva, mica vado con il primo che incontro.
- Si dà il caso - incalzò ancora Cornelio - che questo primo che incontri, è uno che ti ha accolto in casa, che ti ha dato un alloggio, mentre la tua famiglia ti ha cacciato via. E poi che sarà mai? Ti ho detto che ti raddoppio la paga. Come lo hai fatto una volta, puoi farlo altre volte. Si fa sempre allo stesso modo, mica in modo diverso. Dai, vieni - e la prese per un braccio - andiamo un momento in camera, mi fai godere un po' e ti ritrovi con il doppio dei soldi. Non c'è mica niente di male!
- Cornelio, levati, perché ti sbatto il ferro sulla faccia! - fece la mossa e a momenti glielo sbatteva davvero.
Quello s'innervosì.
- È così che rispetti il tuo padrone? Che rispetti chi ti ha offerto una casa e un posto per crescere la tua bambina? Bene! Dico a mia moglie che continui a provocarmi e ti faccio mandare via. Poi vedi se la trovi un'altra famiglia che ti ospita, lo vedi se non sei costretta a fare la puttana davvero per mantenere tua figlia.
Quella minaccia cominciò a preoccupare Gabriella e lui che la vedeva preoccupata, tor-nava alla carica. Per cui, martella, martella, alla fine fu costretta a cedere al suo padrone, il quale le raddoppiò davvero la paga. Non durò molto, però. In quella situazione non an-dò avanti neanche un mese. Le si leggeva in faccia e di fronte alla padrona si sentiva a disagio, aveva perso nei confronti di lei la spontaneità di sempre. E la padrona forse intuì. Un pomeriggio tornò a casa prima del solito e li beccò. Non valsero le lacrime e tutte le motivazioni addotte da Gabriella. La signora fu inflessibile.
- Per l'amore che porto alla bambina - le disse con durezza - ti do una settimana di tem-po. Altrimenti ti sbatterei subito fuori di casa a calci.
In una settimana non è facile trovare un'altra sistemazione.
- Vedi, brutto porco, che cosa mi hai combinato? - si sfogò con lui, appena l'ebbe davanti da solo.
- Ci penso io! - rispose lui.
- A che cosa pensi adesso? A che cosa pensi che tua moglie, per colpa tua mi caccia via?
- Ti trovo un appartamentino in affitto.
Ci pensò davvero e gliene trovò uno, piccolo, ma ammobiliato nella periferia della città. Gabriella si vide costretta ad accettare. Naturalmente non l'ebbe gratis. Cornelio di tanto in tanto l'andava a trovare, e in cambio delle sue prestazioni, le lasciava una discreta somma di denaro per poter pagare l'affitto e comprarsi anche da mangiare per la bambina e per sé.
Gabriella tuttavia si rese subito conto che non poteva farci troppo affidamento con un uo-mo solo, ma senza che ci pensasse lei, la notizia si diffuse da sola, per cui, di tanto in tanto, capitava qualche altro a bussare alla sua porta. Oggi uno, domani un altro, diven-nero molto numerosi e non trovò di meglio di inventare con la bambina che andavano da lei per farsi le punture. Ma si sa che i bambini fanno in fretta a capire le cose e anche Su-sanna capì. Questo la indusse la donna ad uno stato di depressione tale, che la portò a bere, a bere sempre di più, fino al giorno in cui dovette essere ricoverata all'ospedale e la figlia fu costretta a prendere il suo posto.
Mentre Gabriella ripercorreva i suoi ricordi, Marcello e Susanna, andavano alla ricerca di un posto per mangiare. Durante il percorso Marcello le disse:
- Vorrei andare in un ristorante dove nessuno ti conosca come Susy. Sei d'accordo?
- Mi sta bene! - rispose la ragazza. - Se ti va, possiamo arrivare ad Urbisaglia. Lì credo che non mi conosca proprio nessuno.
- D'accordo! Vada per Urbisaglia.
Passando vicino all'Abbazia di Fiastra, Marcello indicò alla figlia tutta la selva che si e-stendeva sulla sinistra.
- Se la cosa ti può interessare - le disse - tu fosti concepita là dentro.
- Ah, è là che conducesti la mamma? Suppongo che non lo facesti con la forza.
- No! Venne di sua spontanea volontà, perché eravamo molto innamorati.
- Molto innamorati e molto inesperti, mi è sembrato di capire.
Marcello la guardò e sorrise.
Mentre mangiavano, le chiese di nuovo:
- Sei contenta davvero di venire con me a Varese!
- Sono contentissima, se vuoi saperlo.
- Però sia chiaro, che...
- Che non dovrò più essere Susy per nessuno.
- Appunto.
- Me lo sono già ripromesso ieri sera, papà.
- Questo mi fa molto piacere. Devi sapere che per tutti e tre da domani comincia una nuova vita. Il passato non esiste più.
- Anche tu rinunci a tutto il tuo passato? - gli domandò con un risolino malizioso.
- Certo! - rispose, benché avesse capito che cosa volesse intendere la ragazza.
- Proprio a tutto? - insistette.
- Che cosa vuoi dire, scusa? - fece finta di non capire.
- Senti, papà, un po' di vita la conosco anch'io. Non sei sposato e sei ancora un bell'uomo. Non dirmi che hai fatto il voto di castità.
- Questo proprio no.
- Quindi mi pare logico che tu abbia un'amante o più di una.
- Ma che dici, Susanna?
- Dai, che li conosco gli uomini. Allora ce l'hai?
- Beh, insomma, qualche volta capita. Però ora che c'è tua madre...
- Senti, papà, io non sono stupida: te l'ho già detto e l'hai visto come s'è ridotta la mam-ma, quindi volerla sposare per riparare ad un errore di vent'anni fa, mi sembra una forza-tura, una forzatura che non ha senso.
- Sì, questo me l'ha detto anche lei. Vedremo con il tempo quello che succederà. Intanto risolviamo il primo problema, il tuo e il suo, che è già tanto. Il resto si vedrà.
- Ecco, questo mi sembra ragionare.
Tutto secondo i progetti. Durante il restante pomeriggio, la ragazza, aiutata da Marcello, aveva disdetto e risolto il problema dell'affitto con il proprietario e aveva preparato le vali-ge. Così, il mattino del giorno dopo, verso le otto, passò di nuovo da Susanna, caricarono le valige e partirono alla volta dell'ospedale. Lì, presi tutti gli incartamenti per il nuovo ri-covero, fecero salire Gabriella, che sedette accanto a Marcello per potersi sdraiare con il sedile reclinato e iniziò il viaggio verso la nuova destinazione.

La nuova destinazione

Era passata una settimana da che Marcello aveva accolto in casa le due donne. Gabriella non venne ricoverata subito. Si preferì darle qualche giorno di tranquillità e di adattamen-to. Come già progettato, esse dormivano nel suo letto e lui nel divano in sala da pranzo. Fu lui che fece più fatica ad adattarsi alla nuova situazione. Abituato a vivere da solo, a stabilire i momenti della propria vita, provava un certo disagio a doverli confrontare con quelli delle due donne. Susanna si affezionava sempre di più a lui, che ormai considerava davvero suo padre, era felicissima di averlo ritrovato, soprattutto perché le aveva dato la possibilità di cambiare vita. Gabriella un po' meno. Già presa dalla sua sofferenza per il fegato che le dava parecchi disturbi, non riusciva a vedersi inserita appieno in quella ca-sa, si sentiva quasi un'intrusa. Da donna intelligente qual era, capiva benissimo che, per lo stato di salute attuale, per il fatto di aver distrutto il suo fisico con l'alcool, per il fatto di aver esercitato la prostituzione per tanto tempo, Marcello non sarebbe mai stato disposto a sposarla. Quindi che cosa ci faceva in quella casa? Era abbastanza triste e ripeteva spesso che avrebbe preferito farsi ricoverare.
Marcello, da parte sua, per certi aspetti, temeva che questo avvenisse. Si rendeva conto che la paternità appena acquisita non era penetrata così a fondo nel suo intimo e aveva paura che, trovarsi solo in casa con quella ragazza così bella ed esuberante, che gli elar-giva frequenti effusioni affettive con abbracci e baci, potesse scatenare in lui qualche im-pulso irrefrenabile, cosa che voleva del tutto evitare, perché avrebbe distrutto in un mo-mento solo il suo futuro e quello della ragazza stessa. Perciò si prefisse subito due pro-getti: primo cercare un lavoro per la ragazza, in modo che fosse impegnata e fuori di casa più tempo possibile, poi di trovare una scusa per parlare con una delle sue donne. Cercò di riflettere prima a chi poteva confidare il suo grosso problema, a una che fosse stata in grado di capirlo e di consigliarlo. Delle cinque che gli si concedevano, scartò subito Rosa-ria, la meridionale focosa, perché sarebbe stata presa da gelosia. Già, anche se scherzo-samente, l'aveva minacciato più volte: "Se ti vedo o so che vai con un'altra, prendo le for-bici e zac!" Dunque neanche accennarglielo. Semmai il problema futuro, poteva essere come lasciarla, senza conseguenze. Daniela di Viggiù era ancora troppo giovane e non poteva capire certi problemi. Una delle separate, che si chiamava Simona, già aveva pro-blemi per proprio conto e non si poteva interessare ai suoi. L'altra casalinga, una delle ultime conquiste, Rita, così bella carnosa, aveva voglia di sesso, ma non era sufficiente-mente intelligente per prestarsi alle sue confidenze. L'unica con cui si poteva confidare era Noemi, quella che aveva cinque o sei anni più di lui. Anche se con Marcello aveva riscoperto il desiderio sessuale con godimenti che non si sarebbe mai aspettata, era ab-bastanza matura e intelligente per poterlo capire e all'occorrenza dargli qualche consiglio. Si convinse che era lei la persona giusta. Così, una di quelle sere, durante la cena, disse:
- Mi dovete scusare, però purtroppo devo continuare il mio lavoro e domani mattina mi tocca fare il solito giro.
- Papà, - chiese subito Susanna - in questo mese di agosto non è in ferie la tua Agenzia?
- L'Agenzia sì, ma io no - rispose, sorridendo. - Ci sono molti clienti che non hanno anco-ra pagato la rata ed io, per i primi di settembre devo consegnare tutti gli incassi del mese.
- Non puoi rimandare di qualche giorno?
- Perché, Susanna, insisti? - intervenne la madre. - Se questo è il suo lavoro, non può mica trascurarlo!
- È che, con questo bel tempo, mi piaceva andare un po' in giro, conoscere le bellezze di Varese, i laghi, il monte lassù. Com'è che si chiama?
- Sacromonte - spiegò. - Senti, Susanna, - aggiunse - facciamo così. Domani mattina fac-cio un giretto di un paio d'ore e cerco di portarmi avanti, poi nel pomeriggio vi porto al lago. Va bene?
- Benissimo, papà! - rispose la ragazza con entusiasmo.
- Per il pranzo - domandò - riporto un paio di pizze o vi arrangiate voi?
- Ma quali pizze? - rispose prontamente la ragazza. - Lo preparo io. Vedrai come so cu-cinare bene!
Stabiliti gli accordi, al mattino si alzò al solito verso le otto e per le nove era già pronto per uscire. Appena partito con la macchina, prese il telefonino e chiamò Noemi. Era sempre il mese di agosto e il marito poteva essere in ferie o poteva essere andata in ferie lei stes-sa. Invece niente di tutto questo.
- Ciao, amore mio! - fu la risposta calorosa della donna, appena riconobbe la sua voce. - Se mi dici che stai venendo, ti aspetto con ansia e ti aspetto pronta.
- Sto venendo! - rispose lui, cercando di mostrare entusiasmo, anche se non ne aveva molto.
- Come mai così presto di ritorno dalla Francia?
- Ho avuto un contrattempo e sto venendo per parlartene.
- Spero, non solo per parlarmi.
- Non solo per parlarti - rispose.
- Allora possiamo discutere in un posticino che so io?
- Certo, certo! Sarò lì tra pochi minuti - sorrise.
- E io ti aspetto.
Quando arrivò l'aspettava davvero. Era in vestaglia e si notava benissimo che sotto era tutta nuda. Lo abbracciò con forte calore, strofinandosi tutta a lui che, sia pure con i suoi problemi, si sentì molto eccitato.
- Siamo fortunati - gli sussurrò, mentre continuava a premersi tutta e già aveva intuito la sua eccitazione. - Mio marito è dovuto andare via per un paio di giorni, quindi abbiamo campo libero. Non perdiamo tempo che ho tanta voglia di te!
- Se lo portò in camera, lo svestì in una attimo, si tolse la vestaglia e, nudi tutti e due, s'avvinghiò nuovamente a lui, rovesciandosi sul letto.
Le preoccupazioni di Marcello scomparvero in un attimo e, proprio per dimenticarle del tutto, si tuffò in quell'amplesso focoso che lei attendeva dalla sua partenza.
Dopo che ebbero goduto molto intensamente e lei placò i suoi bollori, mentre lo baciava ancora e continuava ad accarezzarlo, sospirando di tanto in tanto:
- Io, amore mio, non so più stare senza di te - si accucciò tutta vicina a lui e aggiunse: - Ora dimmi quali problemi hai.
- Sono problemi grossi, Noemi! - sospirò.
Lei si tirò su a sedere e altrettanto fece lui. Lo guardò seria:
- Che tipo di problemi?
Tirò ancora un sospiro.
- È proprio con te che non dovrei parlarne. Ma ci sei solo tu con cui mi possa confidare.
Cominciava ad essere preoccupata.
- Che ti è successo? Dimmi!
- Ti racconto tutto in due parole: mentre stavo preparando le mie cose per andare Parigi, mi venne in mente di cercare un libro di francese per ripassare un po' la lingua.
- Allora?
- I libri avevano ancora tutte le copertine ormai sbiadite di quand'ero studente e pensai di toglierle. Mentre ne stavo togliendo una, venne fuori una lettera che vi avevo nascosto tanti anni fa e del tutto dimenticata.
- Che lettera?
- La lettera di una ragazza con cui filavo, che mi diceva di essere rimasta incinta.
- E tu che cosa hai fatto?
- Che cosa dovevo fare? Ho avvertito l'Agenzia e invece di partire per Parigi, sono anda-to a Macerata, dove studiavo e dove abitava la ragazza, per accertarmi se questo figlio esistesse veramente.
- E l'hai trovato?
- Sì! È una figlia.
- Quanti anni ha?
- Venti!
- Ah! E la madre?
- Ho trovato anche la madre.
- E ora?
- E ora sono a casa mia tutte e due.
Noemi lo guardò triste.
- Mi sembrava che ci fosse qualcosa! Quindi questa è l'ultima volta che abbiamo fatto all'amore.
- Non è detto.
- Come non è detto? Se le due donne sono a casa tua...
- Comunque non è questo il problema.
- Ah, noo? E qual è allora?
- Il fatto è, Noemi, e scusami se ne parlo proprio con te...
- Ma ti figuri! Va' pure avanti.
- Il fatto è che... - e stava per dirle che la madre e la figlia erano prostitute, ma si tratten-ne. Era un segreto che voleva mantenere con tutti nel modo più assoluto. - Il fatto è che la madre, forse per i problemi che aveva, cominciò a bere, è malata e devo ricoverarla all'ospedale.
- È grave?
- Non eccessivamente. È molto conciata come donna e credo che non avrò mai il corag-gio di sposarla. Anche se ha solo quarantadue anni, sembra una donna di sessanta e tu di fronte a lei sembri una diciottenne.
- Ti ringrazio per il complimento! Ma allora che te la sei portata a fare?
- Dovevo pur riparare in qualche modo. Ma il problema, ti dicevo, è un altro.
- Un altro? E quale?
- La figlia.
- È malata anche lei?
- No, lei sta bene ed è una bellissima ragazza, ma ho paura di me.
- In che senso?
- Nel senso che si sta legando a me in modo morboso.
- La posso capire. È vissuta per tanti anni senza un padre.
- Il fatto è che verso di me è anche molto espansiva. E tra qualche giorno, quando la ma-dre sarà ricoverata e rimarrò solo con lei...
- Ho capito. Temi che l'istinto, la tentazione possano prevalere.
- Sì, infatti è di questo che ho paura, perché finirei per sfasciare del tutto quel poco che sto ricostruendo.
- E qui hai ragione! Senti, Marcello, io con te sto molto bene. Anche se torna mio marito, di mattina e di pomeriggio è impegnato con il lavoro. Lui prende le ferie a settembre, per l'apertura della caccia. Quindi, se vuoi, posso aiutarti ancora in questo senso. Sono convinta che quando sei stato con me, ti senti più forte per resistere alla tentazione. Anzi, se vuoi riprovare.
- Che farei, amore mio, senza di te? - le sussurrò Marcello. L'abbracciò, se la strinse ac-canto e il resto venne per conto suo.
Quando tornò a casa, che era ormai quasi l'una, sorridente e soddisfatto, anche se un pelino a disagio, trovò la tavola apparecchiata con la pastasciutta fumante sul tavolo, mentre Gabriella aveva davanti a sé un piattino di riso in bianco.
Fu contento di trovare tutto pronto e si sentì in dovere di abbracciarle tutte e due, escla-mando:
- E brave le mie donne! Nel pomeriggio si fa un giretto al lago.

Timori

Arrivò anche il giorno del ricovero per Gabriella. Sembrava che Susanna ci tenesse che la madre venisse ricoverata prima possibile.
- Vedrai, mamma, che guarirai bene, poi potremo stare a casa tranquilli tutti e tre - le a-veva detto.
Forse a Gabriella passò per la mente il motivo di questa eccessiva premura della figlia. Tutto sta che una mattina, dopo averla aiutata a farsi la doccia, che faceva quasi fatica a reggersi in piedi, e averle dato una mano a vestirsi e a profumarsi, l'accompagnò, dando-le il braccio fino alla macchina. In pochi minuti giunsero all'ospedale del Ponte, dove già Marcello aveva prenotato un posto letto.
Susanna fu anche molto affettuosa nel salutarla.
- Mamma, domani mattina verremo ancora a trovarti - le disse con un bel sorriso e la ba-ciò con affetto. La mamma rimase un attimo seria e forse le tornò alla mente lo stesso pensiero. Tornarono a casa che erano quasi le undici.
- Adesso, papà, va' pure a riposarti che la tua Susanna ti prepara un bel pranzetto e lo abbracciò con grande effusione.
- Visto che sei così brava, - le rispose il padre - finché cucini, preparo il mio lavoro per il pomeriggio.
- Vuoi lasciarmi sola tutto il pomeriggio? - gli disse con delusione.
- Eh sì, ragazza mia! Adesso che anche la mamma è all'ospedale, devo cercare di gua-dagnare qualcosa di più. Con questo lavoro, lo stipendio me lo costruisco da solo, sai? Più lavoro, più guadagno.
Lei si mise a cucinare. Preparò una pastasciutta al sugo, discretamente piccante, due buone bistecche e un po' d'insalata. Quando tutto fu pronto e anche i piatti eran fatti, an-dò a chiamarlo in sala e, abbracciandolo di nuovo, gli disse con slancio:
- Il signore può accomodarsi! Il pranzo è servito - e mentre si alzava in piedi dalla sedia, lo abbracciò di nuovo stretto stretto, mormorando - Papà, ti amo tanto!
- Anch'io, figlia mia, ti voglio tanto bene! - e si staccò da lei, per andarsi a sedere al tavo-lo. Gli sembrava molto strano o forse non lo era affatto. Quando si sentiva addosso quel corpicino giovane e sodo della figlia, provava una forte eccitazione, a fatica nascosta. Ed era quello che non avrebbe voluto mai, ma la figlia con i suoi strofinamenti, pareva faces-se apposta ad eccitarlo. A tavola cercò di parlare d'altro.
- Ti avevo detto, Susanna, che tra i miei clienti ho il direttore di un grosso supermercato. Non so se la cosa ti può far piacere, ma ci ho parlato e mi ha garantito quasi con certezza un posticino per te. Che mi dici?
Lei, che gli stava seduta vicino, lo abbracciò di nuovo.
- Ne sono felicissima e te ne sono grata, papà. Potrò contribuire anch'io e non dovrai la-vorare da solo.
- Non so - continuò lui - se la cosa ti può star bene. Per ora dovrai iniziare facendo la commessa, poi, pian piano, man mano che prendi pratica, che ti fai stimare, che dimostri di essere una ragazza capace, potrai passare alla cassa.
- Non m'interessa, papà, quello che devo fare. L'importante che possa lavorare.
- Sono molto felice, Susanna, di sentirti parlare così! Ne sono molto felice.
- Ed io, papà, te ne sono infinitamente grata! - e lo abbracciò ancora e si strinse a lui con la spalla e si soffermò a lungo, come se si trovasse bene in quella posizione. Lei si era già resa conto che il padre, pur senza darlo a vedere, poneva una certa resistenza alle sue eccessive effusioni e forse ne capì anche il motivo, tuttavia, le sembrava molto natu-rale che dovesse mostrare tutto il suo affetto a quel padre che aveva ritrovato a vent'anni.
Quando lo vide partire per andare a lavorare, mostrò ancora la sua delusione.
- Papà, mi dispiace che mi lasci ancora sola. Ma capisco che lo fai per noi e te ne siamo grate. Grazie, papà, torna presto! Ti aspetto - e così in piedi com'era, gli si avvinghiò con le braccia al collo, di nuovo, a lungo, con molto trasporto e lo baciò con passione sulla bocca.
- A stasera, Susanna! - e cercò di staccarsi, perché si sentì ancora fortemente eccitato e lei forse avvertì la sua eccitazione.
- A stasera, papà! Ti aspetto con ansia e ti faccio trovare una bella cenetta - gli disse ancora mentre si allontanava, salutandolo con la mano. Marcello capì che la situazione era pericolosissima, quindi, la prima cosa che fece fu quella di chiamare Noemi con il suo cellulare, sperando di trovarla. Invece Noemi non c'era. Il telefono squillò a lungo senza risposta. Dove poteva essere andata? Forse a casa di un'amica, forse a fare la spesa, forse a fare una passeggiata. Chi lo sa?
Ma lui aveva assolutamente bisogno di sfogarsi ancora con una donna. Sapeva bene qual era il pericolo che incombeva a casa. E voleva evitarlo a tutti i costi. In quel periodo di ferragosto, molti erano in ferie. Chissà se qualcuna delle altre donne era in casa? E chissà se era in casa anche il marito? Doveva tentare. Doveva fare del tutto per scaricare la sua eccitazione. E se avesse risposto uno dei mariti, quale scusa poteva inventare? Ci pensò un po'. Sì, avrebbe risposto in quel modo. Avrebbe detto che, siccome nel mese di settembre doveva assentarsi per motivi familiari, chiedeva se potevano pagare in anticipo la rata. Gli sembrò una motivazione più che sufficiente.
Cominciò con il chiamare quelle più vicine. Simona, quella separata non c'era neanche lei, ma già sapeva che sarebbe andata al mare con la figlia. Appena sentì squillare il tele-fono a vuoto, si rese conto che era stata comunque una telefonata inutile: in quel periodo di vacanze, la figlia era a casa con lei e quindi non avrebbe potuto combinare nulla. Ma tutte le mamme giovani ormai avevano i figli a casa. In ogni modo valeva lo stesso la pe-na di tentare e doveva tentare. Provò a chiamare Daniela di Viggiù, la moglie del camio-nista e a rispondere fu proprio lui. Rispose seccamente che non aveva intenzione di pa-gare la rata in anticipo. Poteva passare a ottobre e ne avrebbe pagate due. Si scusò e chiuse la comunicazione scocciato, non tanto per la rata che era una balla, quanto per aver ancora telefonato a vuoto. Non gli restavano che Rosaria, la meridionale e Rita, la casalinga cicciottella, tanto vogliosa di sesso. Rita gli rispose con tono apparentemente freddo, dicendo di dover portare fuori bambini, invitandolo a ripassare la mattina dopo. Capì che in casa c'era qualcuno. Si limitò a dire: "Va bene, signora Rita, ci vediamo do-mani!", poi se non fosse potuto andare, poteva sempre avvertirla con una scusa. Comin-ciava a sentire ansia. Se non trovava neanche Rosaria, si sentiva fregato e disarmato nei confronti della figlia e questo non lo voleva nel modo più assoluto. Chiamò.
- Dove sei, tesoro bello? - si sentì rispondere. Si tranquillizzò.
- Sto venendo da te, amore mio, se sei sola - aggiunse.
- Sono sola e tutta per te fino alle sette - fu la conferma.
Dopo un quarto d'ora era da lei. Non gli fece perdere tempo. Si era già preparata.
- Ti sento tutta profumata! - fu il suo complimento.
- Mi sono profumata per te - fu la risposta. Vieni a godere del mio profumo. I figli sono al mare dai nonni e mio marito torna non prima delle sette. Voglio godermi con te queste quattro ore, poi partiamo anche noi e non ti rivedrò per venti giorni.
E lo fece godere sul serio e cercò di ripetere il suo godimento in tutte le sue manifesta-zioni, per potersi controllare meglio al suo ritorno a casa.
Infatti trovò la figlia radiosa e lo abbracciò con grande entusiasmo.
- Papà, ti ho preparato una cenetta speciale - le disse sorridente.
Mangiarono ed era una cena veramente gustosa. Poi si sedette a guardare la televisione. Lei gli preparò il caffè, glielo portò e si accoccolò accanto a lui, aggrappandosi al suo braccio. Ogni tanto lo baciava. Lui rispondeva ai suoi baci con un certo distacco. Lei se ne avvide di nuovo e di nuovo capì. Poi si diedero il bacio della buona notte, lei lo baciò ancora con una certa passione sulla bocca ed andò a dormire. Lui, tranquillizzato, si pre-parò il letto nel divano, infilò il suo pigiama estivo, si sdraiò e prese a fare le parole cro-ciate, tanto per rilassarsi come faceva di solito. Non era lì da un quarto d'ora, quando la figlia si affacciò. Lui la fissò. Aveva un pigiamino a pantaloncini corti, con una camicetta senza maniche molto attillata. Si capiva che sotto non aveva altro. Già a vederla così, si sentì un po' scombussolare.
- Che cosa c'è Susanna? - le chiese.
- Papà, - disse lei con una vocina dolce dolce - da sola mi sento a disagio, ho paura. Posso dormire vicino a te?
- Ma qui siamo troppo stretti, Susanna! Già sto male anche da solo.
Gli si avvicinò e lo prese per mano.
- Allora, dai, vieni di là con me a farmi compagnia. Da sola ho paura!
Cercò di sorridere.
- Hai paura, Susanna? E di che cosa? Ci sono io qui!
- Dai, papà, ti prego! Senza la mamma mi sento a disagio. Vieni a farmi compagnia! Con te vicino mi sento più tranquilla.
- Ma su, che cosa dici?
- Papà, ti prego! Non riesco a dormire da sola - e lo tirava a sé con tutta la forza delle sue manine. - Su, vieni! Semmai, quando mi sono addormentata ritorni qui. Ti prego, pa-parino mio, vieni!
Capì che era un momento terribile. Tuttavia non voleva farsi vedere scortese. Forse ave-va paura sul serio. Si alzò e preceduto da lei entrò in camera sua, dove non dormiva da quando erano arrivate loro. Lei s'infilò da un lato e lui dall'altro.
- Buona notte ancora, Susanna! - le disse. Spense la luce e si mise giù supino.
- Grazie, papà, che sei venuto! - fu la sua risposta. E lo abbracciò di nuovo e si buttò su di lui con un tale slancio che non si sarebbe aspettato e prese a baciarlo con forte pas-sionalità. - Grazie, papà! - continuò, sempre stringendosi di più a lui e baciandolo. - Ti amo tanto papà. Ho tanta voglia di stare con te.
A sentirsi stretto a lui quel corpicino quasi nudo, sodo e giovanile, che gli si aggrappava con tanta passione, benché nel pomeriggio si fosse sfogato ben bene con Rosaria, ma erano già passate più di sette ore, si sentì improvvisamente eccitatissimo, con le mani esperte di lei che avevano cominciato a frugare e ad accarezzare. Era lì per cedere, stava per frugare anche lui con le sue ed era arrivato molto vicino a perdere ogni controllo, quando, con uno sforzo sovrumano, da sentirsi quasi male, afferrò con le sue quelle ma-nine così frenetiche che lo eccitavano in modo furibondo ed ebbe la forza quasi di grida-re.
- No, Susanna, no, ti prego! Non possiamo e non dobbiamo!
- Papà, lo desidero tanto! È così bello stare con te! Per una volta sola...
- No, Susanna, no! - riuscì a dire ancora, cercando di tenere a freno quelle mani che non volevano sentire ragione.
- Papà, questa volta e mai più! - insisteva lei. - L'ho fatto tante volte per soldi, senza de-siderio. Voglio farlo una volta per amore. Ti amo tanto, papà! Sono pazzamente innamo-rata di te.
Accese la luce, si tirò su a sedere e fece sedere anche lei.
- Susanna, sarebbe bellissimo anche per me, che cosa credi? Ma rovineremmo tutto il poco che abbiamo costruito. Ci porteremmo dentro un rimorso per tutta la vita.
Lei lo guardò serio:
- Papà, non è che non vuoi, perché sono stata con tanti uomini?
- No, Susanna! Non voglio, e sapessi che fatica ho dovuto fare, solo perché sei mia figlia. È soltanto per questo. Mi devi credere, Susanna. Altrimenti sarebbe stato bellissimo. Solo perché sei mia figlia!
- Scusami, papà! - mormorò con molto disagio. - Sarebbe stato molto bello.
- Sarebbe stato molto bello, Susanna, ma avremmo rovinato il nostro futuro. - Buonanot-te, Susanna! - e la baciò sulla guancia.
- Buona notte, papà, e scusami! - fu la sua flebile risposta.
- Di niente! Ne parliamo domani con calma - rispose lui con un sorriso. Si alzò, uscì e chiuse la porta. Andò subito a farsi una doccia fredda e, tornato a letto, benché si fosse calmato, non gli riuscì di dormire molto.


Un passato da dimenticare

Marcello si alzò appena giorno, si vesti, si fece la barba, poi preparò il caffè, mise a scal-dare il latte e apparecchiò la tavola.
Forse neanche Susanna aveva dormito tranquillamente, tanto che al rumore si affacciò dalla camera che era già tutta vestita.
- Buongiorno, Susanna! La colazione è pronta - fece lui.
- Buongiorno, papà! Grazie! - Si avvicinò al tavolo a testa bassa e continuò a rimanere a testa bassa, anche mentre intingeva lentamente i biscotti nel latte e altrettanto lentamente li allungava tra le labbra.
Marcello capì il suo disagio.
- Susanna, vogliamo parlarne? - le chiese con voce tranquilla.
- Se vuoi, parliamone e scusami ancora.
- Niente scuse. Io ti capisco benissimo, sai?
- Capisci che non mi doveva venire in mente una cosa del genere.
- No! Capisco che è una cosa normale che una figlia desideri il proprio padre.
- Una cosa normale? - e alzò gli occhi.
- Sì, perché tu, purtroppo hai conosciuto tuo padre solo a vent'anni. Ogni bambina, fin da piccola si innamora del proprio padre e pensa di volerlo sposare da grande, ma a quell'età sfoga il suo desiderio sessuale, diciamo così, in baci e abbracci. Tu non hai fatto altro che desiderare le carezze e i baci di tuo padre, che ti sono mancati da piccola. Solo che, avendo vent'anni, hai desiderato uno sfogo sessuale normale. E questo mi fa capire il motivo per cui preferivi andare con uomini di una certa età. Perché in essi, nel tuo in-conscio, rivedevi quel padre che ti era mancato. Se ti va di parlarne, ben inteso.
- Sì, con te, mi va di parlarne, papà - rispose con meno disagio.
- Allora è così? Ma forse non te ne sei mai resa conto.
- Effettivamente non me ne sono mai resa conto. Ai giovani preferivo gli uomini molto ma-turi perché, oltre a disporre di più soldi - precisò con un sorriso - erano molto più carini con me, non mi trattavano come una prostituta, ma come una vera donna. Prima di rag-giungere l'atto finale, mi riempivano di tenerezze, di coccole, mi sussurravano tante paro-le gentili e mi confessavano che il loro desiderio di affettuosità era dovuto alla mancanza di quelle premure da parte delle mogli, mogli sempre stanche, sempre con qualche dolore addosso, mai con un guizzo di vitalità da farli sentire importanti, da farli sentire desiderati. E tutto questo mi faceva quasi provare piacere.
- Eh sì, è così! Questo lo posso capire! Con i giovani invece?
- Con i giovani invece niente di tutto questo. I giovani sono più frettolosi, più sbrigativi, quasi violenti direi, dai quali mi sentivo solo posseduta e quindi infastidita per il loro com-portamento.
- Anche questo lo posso capire. Senti, Susanna, visto che siamo in argomento, se la co-sa non ti disturba, mi puoi raccontare come hai cominciato?
- Papà, a parlarne con te non mi disturba. Niente! Sono vissuta fin da bambina con quel-lo che faceva mamma.
- Perché, ne eri al corrente? Lo faceva di fronte a te?
- No, di fronte a me no! Andava in camera. Io vedevo che tutti i giorni venivano in casa alcuni uomini diversi e glielo domandavo.
- E lei che cosa ti rispondeva?
- Diceva che venivano da lei per farsi fare le punture, perché lei guadagnava i soldi fa-cendo le punture agli uomini. Se io le chiedevo: "Perché vi chiudete in camera?", lei ri-spondeva: "Perché si vergognano a farsi vedere il sederino da te". E io per diversi anni ci ho creduto. Credevo davvero che la mamma facesse le punture agli uomini.
- Poi?
- Poi cominciai ad andare a scuola e, andando avanti nelle classi, quando raccontavo alle compagne che la mamma faceva le punture agli uomini, quelle si mettevano a ridere e finalmente una me lo disse.
- Che cosa ti disse?
- Mi disse che la mamma dava la sua passerina a tutti quegli uomini per farsi pagare. Io non ci volevo credere, così un giorno, quando tutti erano andati via e c'era rimasto solo l'ultimo che era in camera con lei, provai a guardare dal buco della chiave e vidi che era-no nudi tutti e due con lui che si agitava sopra la mamma. Durante il pranzo le chiesi per-ché faceva queste cose.
- E la mamma?
- La mamma mi rispose che queste cose piacevano agli uomini e siccome la pagavano per farlo, noi con quei soldi potevamo mangiare, pagare l'affitto e permetterci tutte le al-tre spese. Ci deve essere rimasta molto male che io ne fossi venuta a conoscenza, per-ché da allora cominciò a bere.
- Capisco che sei cresciuta con quell'atteggiamento mentale. E tu quando hai cominciato e come?
- Io vedevo la mamma sempre stanca e sempre più malata, tutte le sere chiusa in came-ra con gli uomini e una sera che si sentì veramente male, decisi di lavorare al suo posto.
- Quanti anni avevi?
- Diciannove e mezzo.
- Quindi è da poco?
- Dall'aprile dell'anno scorso. Finché, per fortuna, sei arrivato tu.
- Purtroppo sono arrivato troppo tardi.
- Ma almeno qualcosa sei riuscito a salvare.
- E ancora una domanda, Susanna: tua madre invece come ha cominciato? Te lo ha mai detto?
- Sì, certo che me lo ha detto.
- Come successe?
- Successe che si accorse di essere incinta. Allora, per tenerlo nascosto a casa, perché mio nonno era molto rigido, trovò di andare a servizio presso una famiglia, moglie e mari-to senza figli. Siccome la moglie lavorava tutto il giorno, mentre il marito al pomeriggio era a casa, dopo che nacqui io, cominciò a insidiare la mamma, minacciandola di mandarla via da casa e lei, con me di pochi mesi, fu costretta a cedere. La moglie se ne accorse e ci cacciò via lo stesso. Mia madre trovò un appartamentino in affitto e, per potersi pagare tutte le spese, non poté fare altro che continuare.
- Tutto questo non sarebbe successo - continuava a ripetersi Marcello - se avessi preso sul serio la lettera. Avrei sposato tua madre, che era effettivamente una bella ragazza e mi piaceva moltissimo e non sarebbe successo quello che è successo.
- Comunque, papà, è successo. L'importante è che sia finita. Ora ti rifaccio un discorso che ti ho già fatto.
- Quale discorso?
- Questo. So bene che tra te e la mamma si è creato un muro invalicabile.
- Adesso non esagerare!
- Lo so che è così, papà, perché ti capisco. Capisco che hai fatto qualcosa per noi, per-ché te ne sentivi responsabile, ti sentivi in dovere di riparare e anche se hai accettato molto volentieri e molto fermamente una figlia (me ne sono resa conto ieri sera), forse non te la sentiresti di fare altrettanto con la mamma.
- Perché dici così, Susanna?
- Lasciami esprimere il mio pensiero, ti prego. Te l'ho già detto, tu sei ancora un uomo molto affascinante, mentre la mamma ormai è una donna finita, in più con tutto il suo pas-sato, che contribuisce maggiormente a separarla da te.
- Ti garantisco, Susanna, che non è così! Appena sarà guarita, tornerà a rifiorire anche lei come rifiorisce a primavera un ramo appassito.
- Ammesso che succeda, le mancherebbe la forza interiore per continuare, perché lei sente la differenza che c'è tra te e lei. Ha accettato di venire per il mio bene, però lei si sente a disagio con te. Ora io immagino, te l'ho già detto, che sicuramente non hai fatto il voto di castità e avrai le tue donne con cui passare il tempo di tanto in tanto e sono con-vinta che non sono quelle che si fanno pagare.
- Ma dai, Susanna!
- Non pretendo, papà, che tu me lo dica, anche se comincio ad essere un po' gelosa, ma sono sicura che è così.
- Insomma, andando in giro, a volte può capitare, però non è detto....
- Ecco! È questo il favore che ti chiedo. Se ti è possibile, magari fingendo, se puoi, mo-stra un po' di affetto anche alla mamma. Altrimenti non guarisce. Credimi! La mamma non può sentirsi che è stata accolta solo per carità. Deve vedere in te, come lo vedo io, un sostegno, non solo fisico, per il resto della vita.
- Ascoltami, Susanna! Intanto sono fiero di te, che ti poni questi problemi. Poi, credimi! Vedrai che con la mamma, a poco a poco, ricomincerà tutto come prima. Ho deciso, ho promesso a me stesso, che questi venti anni di sofferenze e di umiliazioni, devono sparire dalla sua mente e dalla tua, devono essere cancellati come una spugna cancella lo spor-co dove strofina. Quella spugna sarà l'amore capace di rinnovare il rapporto tra noi. Mi sono fatta questa promessa, Susanna, e sono deciso in tutti i modi a mantenerla. Credimi!
- Ti ringrazio, papà! - lo abbracciò e lo baciò di nuovo teneramente, questa volta da figlia. Lui se ne accorse e ne fu contento.



Il diario di Susanna

Con il mese di settembre cambiarono molte cose in casa di Marcello. Intanto Susanna venne assunta come commessa al supermercato. Si comportò da brava ragazza, non diede adito a pettegolezzi e siccome nessuno sapeva nulla della sua vita passata, venne presa in considerazione e stimata. Fu proprio quella mattina che, prima di farsi accompa-gnare al lavoro, lei gli disse:
- Papà, vorrei darti qualcosa.
- Che cos'è?
- È il mio diario, il segreto della mia vita. Non lo ha letto mai nessuno. Sei tu il primo. Vi ho scritto le mie esperienze e i miei problemi fin da quand'ero bambina - e gli porse in mano un grosso quaderno di quelli di una volta con la copertina nera. - Però devi leggerlo soltanto quando sei da solo - aggiunse. - Proverei un po' di disagio se lo leggessi davanti a me. E un'altra cosa.
- Dimmi!
- Dopo che lo hai letto, distruggilo! Come hai detto tu, non deve rimanere traccia del no-stro passato.
- Certo, Susanna, farò così! Grazie! Ti sono grato della tua fiducia! Adesso lo metto qui. Al ritorno comincio a leggerlo.
L'accompagnò al supermercato, la presentò al direttore che era un suo cliente e tornò a casa. Quella mattina non voleva andare a lavorare. Ci teneva a far trovare il pranzo pron-to, quando sarebbe tornata la figlia. Così, siccome erano appena le nove e mezzo, prese il quaderno, si sedette sul divano, aprì la copertina nera e lesse:

DIARIO SEGRETO
di
Cingolani Susanna

Voltò e iniziò: "15 marzo 1987: Caro Diario, oggi faccio 10 anni e vado per gli 11. Non è stato un bel compleanno per me. Non si è ricordato nessuno di farmi gli auguri. Neanche la mamma, che è molto impegnata con il suo lavoro. Allora me li sono fatti da me. Mi so-no messa davanti allo specchio del comò, ho fatto un bel sorriso e mi sono detta: "Tanti auguri, Susanna!" Almeno qualcuno si è ricordato di farmi gli auguri. Mi sono sentita me-glio. E adesso che mi sento meglio, caro Diario, ti voglio raccontare tutto quello che suc-cede in questa casa, che non mi fa sentire felice, ma tanto triste. Ti dico che, a differenza di tutte le compagne si scuola, che hanno un papà e una mamma, io il papà non ce l'ho. Non perché è morto. Oddio! Non lo so se è vivo o morto. Non lo conosco. Però quanto vorrei che fosse vivo e quanto vorrei conoscerlo!" "Povera bambina mia! Già pensava a me!" - venne da sospirare a Marcello e continuò la lettura:" Tu mi domanderai: "Come mai non conosci il tuo papà?" Te lo dico subito. Mia madre fa un mestiere brutto, tanto che mi vergogno pure a dirtelo. Sì, perché riceve a casa gli uomini e fanno quella cosa. Lei dice che il mio papà è stato uno di quegli uomini, ma non sa quale. Io alle volte li guardo uno a uno e cerco di capire chi di essi può essere mio papà, ma non è nessuno di essi, perché mi fanno schifo. Io alle volte il mio papà me lo immagino. È un bell'uomo, un pochino più alto della mamma, con i capelli neri come i miei, dolce e gentile che mi fa tante carezze. Qualche volta ci parlo con questo papà della fantasia e racconto a lui tutte le mie tristezze" . "Povera bambina mia! Se lo avessi saputo! - sospirò di nuovo Marcello e andò avanti: "Ora, caro Diario, ti voglio raccontare come ho fatto a scoprire che la mamma fa certe co-se. Fin da quando ero piccola, vedevo molti uomini girare per casa e uno alla volta si chiudeva in camera con lei. Io spesso glielo chiedevo a mamma: "Perché ti chiudi in ca-mera con un uomo alla volta?" La mamma mi rispondeva: "Sono uomini che stanno male e vengono da me per farsi fare le punture. Ci chiudiamo in camera, perché si vergognano a farsi vedere il sedere dagli altri". Mi sembrò normale e ci credetti. Però la settimana scorsa, mentre raccontavo a Silvia, la mia più cara amica e anche compagna di scuola, che mia mamma fa le punture agli uomini, lei mi ha guardato seria, poi mi ha spiegato che mamma fa un'altra cosa con gli uomini. Tu mi capisci, senza che mi spiego, vero? Sapes-si, Diario mio, come ci sono rimasta male! Non ci volevo credere, poi l'altro ieri ho voluto rendermene conto. Mi vergogno tanto a raccontartelo, Diario mio! Ho fatto così! Quando l'ultimo uomo è entrato in camera e gli altri erano andati via, ho messo l'occhio nel buco della chiave. Devi sapere che la chiave non c'è nella porta della camera. Si chiude con un gancetto e dal buco ho potuto vedere tutto. Mi ha fatto tanta impressione, Diario mio! Mia madre si è tirata su la gonna e si è sdraiata sul letto. Sotto era tutta nuda. L'uomo si è tol-to i pantaloni e le mutande e si è sdraiato vicino a lei. Visto dal buco della chiave, sembra-va quasi come una donna anche lui. Poi mia madre ha cominciato ad accarezzarlo lì in mezzo e all'improvviso si è alzato un grosso salsicciotto, come una di quelle salsicce di carne che compriamo dal macellaio. Allora mia madre glielo ha infilato dentro una specie di budelletto, poi l'uomo si è coricato subito sopra di lei a bocca in giù e ha cominciato a dondolare quel sedere nudo, che mi faceva pure schifo e ho smesso di guardare. Quando gliel'ho detto c'è rimasta molto male e mi ha risposto che lo fa per i soldi, perché lei può fare solo quel mestiere. Non sai come ci sono rimasta, Diario mio!"
" 25 aprile 1987: Oggi, caro Diario, sono in vacanza e ti posso dedicare qualche momen-to. Mi sono accorta che la mamma, da quando ho scoperto che fa quella cosa, ha comin-ciato a bere...!"
Marcello dovette interrompere la lettura per rispondere al telefono. "Chi è che mi chiama? - si chiese e gli venne subito in mente la figlia.
- Pronto! - rispose.
- Parlo con Marcello Scipioni? - chiese una voce di donna, che riconobbe subito.
- Certo che sono io, splendida Daniela! Sono contento che mi hai chiamato.
- Ho tanta voglia di vederti, Marcello - disse lei con una voce dolce, che gli parve poco spontanea.
- Anch'io, mia Daniela, ho tanto voglia di vederti. Questa mattina però, purtroppo non posso venire.
- Ti aspetto con ansia! Vieni oggi pomeriggio alle tre - aggiunse con la solita voce.
- Certo che vengo, mia cara Daniela!
- Ti aspetto! - concluse lei. - Ho una sorpresa per te. Mi raccomando
di essere puntuale. Alle tre.
- Certo che sarò puntuale! Aspetto anch'io quel momento con ansia. Ciao, tesoro bello!
- Ciao, amore! - e interruppe la comunicazione. Ancora una volta notò quel tono di voce.
Marcello chiuse il telefonino e, con il dito dentro al diario della figlia, prese a riflettere. Non gli aveva mai telefonato per invitarlo a casa e aveva notato quel tono di voce che non era il solito. Inoltre l'orario preciso ripetuto due volte, quando lei era a casa sola tutto il pomeriggio. Non poteva quindi non venirgli qualche sospetto. "Vuoi vedere - gli venne da pensare - che la bella Daniela ha raccontato tutto al marito e quello ha intenzione di farmela pagare! Oh, senti, buon uomo, se tua moglie c'è stata, sono affari suoi! Non l'ho mica costretta! Veditela con lei! Camionista com'è, non vorrà mica darmi una botta in te-sta? Oh! In fondo sono abbastanza robusto per difendermi. Se c'è da affrontarlo, è inutile rimandare! Ma forse è niente di tutto questo. Solo che, proprio adesso che ho le donne a casa, non vorrei avere qualche guaio. Ci penserò dopo". Visto che ormai erano le undici, mise via il diario e si mise a cucinare.
Verso le due e mezzo, riaccompagnò la figlia al lavoro e si diresse verso Viggiù, per sco-prire la sorpresa. Posteggiò la macchina e suonò deciso il campanello.
- Chi è? - sentì la voce di Daniela al citofono.
- Sono Scipioni - rispose. Allo scatto della serratura, aprì il portone e salì abbastanza in fretta le due rampe di scale. Davanti alla porta aperta c'era lei ad attenderlo.
- Buongiorno, signora Daniela - disse con un tono a fatica spontaneo, mentre la guarda-va negli occhi.
- Entra - rispose lei, senza mostrare nessun segno particolare di affettuosità.
- Allora, dov'è la sorpresa? - domandò subito.
- Prego! Accomodati! - e gli spalancò la porta della sala. Lui, come si affacciò, da lieve-mente preoccupato che era, si sentì rilassato.
- Oh, ecco le mie donne! - esclamò con un largo sorriso. - Ero convinto che avessi rac-contato tutto a tuo marito.
Sedute dall'altra parte del tavolo, che lo fissavano imbronciate, c'erano Simona, la donna separata e Rita, quella così carnosa, tanto amante di sesso.
- Quindi non ti fa neanche impressione a vederci qui tutte e tre? - lo assalì subito Danie-la. - Non provi un po' di scrupolo ad averci prese in giro tutte e tre?
- Senti, Daniela, mi offri un caffè, per favore, che non ho fatto in tempo a prenderlo a ca-sa, poi parliamo con calma?
- Il veleno sarebbe da offrirti! - saltò su quella cicciottella, facendo ballare tutte le sue formose curve.
- Ma sì, offrigli pure il caffè al signorino, - aggiunse Simona - poi sentiamo come si giusti-fica.
Le due restarono a testa bassa senza rivolgersi più a lui, scambiandosi qualche parola tra di loro, finché non fu pronto il caffè. Daniela apparecchiò le quattro tazzine, si sedette accanto a loro dall'altra parte del tavolo e disse:
- Parla!
- Allora: tu, Daniela, mi sei piaciuta, perché sei molto dolce. Con te è stato moto riposan-te fare l'amore. Ti ho fatto capire che mi piacevi, ci sei stata, ci siamo stati. Mentre face-vamo l'amore, tu eri tutta per me, io ero tutto per te. Per me non esisteva nessun'altra e per te non esiste nessun altro. Tu, Rita, con il tuo corpo così carnoso, avevi bisogno di un sesso un po' vivace. Con te sono stato bene, tu con me sei stata bene. Mentre facevamo l'amore, tu eri tutta per me, io ero tutto per te. Voi avevate i vostri mariti e io non vi ho chiesto mai nulla. Tu, Simona, avevi bisogno di scaricare le tue tensioni, avevi bisogno di sentirti protetta ed io ti ho dato questo. Con me ti sei sentita a tuo agio, hai provato per un momento protezione e affidamento. Certo, sei l'unica senza marito, ma io non ti ho mai promesso che ti avrei sposata, che avremmo vissuto insieme.
- E adesso come dovrei sentirmi, secondo te? - fu proprio Simona a parlare. - Adesso da chi dovrei sentirmi protetta?
- Noi ci siamo fidate di te... - continuò Rita...
- E tu ti sei comportato da porco - concluse Daniela.
- Ragazze! Le solite parole delle donne che si sentono vittime per giustificarsi. Io vi ripe-to: ho trovato tutte e tre bisognose di amore e di affetto ed ho dato a tutte e tre amore e affetto. Naturalmente finché ero con ciascuna di voi. Quando non c'ero, quando ero con una, per le altre due non esistevo. Quindi quello che ho fatto, non conta.
- Secondo te non conta ingannare tre donne contemporaneamente? Quante ne hai anco-ra in questi paesi, dove vai a lavorare? Perché non ce lo dici? - si capiva che la più infu-riata era proprio Daniela. - Quante altre ne stai ingannando allo stesso modo?
- Si dice che per ogni uomo ci sono sette donne. Facci sapere il nome delle altre quattro - intervenne Rita con meno veemenza.
- Eh sì, lui si sente un conquistatore. Quindi deve avere per forza tante donne - aggiunse Simona ironica.
- Allora, ragazze, vi ripeto: quand'anche ne avessi cinquanta, io non inganno nessuno, perché mentre sto con una donna, penso solo a lei e i miei pensieri sono tutti per lei. Però d'ora in avanti di donne potrò averne solo una.
- Di noi, scordatene! - fu la battuta di Daniela.
- Ma lui ce ne ha già pronta un'altra, cosa vi credete! - ribatté Simona.
- E questa chi sarebbe? - chiese con disagio Rita, alla quale dispiaceva perdere un uomo con il quale aveva goduto in modo così intenso.
- Allora ve lo dico, così potete tranquillizzarvi e pensarmi in futuro senza rancore.
- Senza rancore!? - sbottò Simona.
- Sentiamo! - continuò Daniela, sempre inviperita.
- Dunque anch'io sono stato giovane e anch'io ho avuto le mie ragazze da giovane.
- Non ne dubitiamo affatto - esclamò Simona.
- Ventuno anni fa, l'ultimo anno di studi, ero fidanzato con una ragazza, poi venni a fare il militare a Varese, trovai lavoro e vi rimasi.
- Questo lo sappiamo! - lo interruppe Daniela. - Allora?
- Se mi lasci continuare... Pochi giorni prima di venire a Varese ricevetti una lettera da questa ragazza, che mi diceva di essere rimasta incinta da me. Io presi la notizia come la solita scusa per rivedermi, non le credetti, nascosi la lettera sotto la copertina di un libro e me ne dimenticai del tutto.
- Volete vedere che si è ritrovato un figlio di vent'anni! - esclamò Daniela.
- È una figlia - rispose Marcello.
- Una figlia! - dissero insieme Rita e Simona.
- E la madre? - chiese Daniela.
- Anche la madre - rispose.
- E ora dove sono? - chiesero tutte e tre insieme.
- A casa mia!
- Ti sta bene! Così impari a prendere in giro il prossimo! - saltò su la solita Daniela.
- Quindi non ti farai vedere più? - chiese quasi con dispiacere Rita.
- Perché, tu vorresti vederlo ancora? - la rimproverò Daniela.
- Se è come ha detto lui, che quando sta con una è tutto per quella...
- Comunque, ragazze - continuò Marcello - mi dispiace lasciarvi, perché per quanto vi possa sembra strano, per me siete state molto importanti. Ma ormai sono diventato capo famiglia e devo pensare alla famiglia. E vi voglio dire l'ultima. Volete sapere perché, dopo essere stato fidanzato qui a Varese con diverse ragazze, ho deciso di amare donne spo-sate?
- Questa è interessante! Diccela! - domandò ancora Daniela.
- Perché una donna sposata non ti chiede mai di volerti sposare, perché io ho sempre fatto del tutto per rimanere scapolo, per non avere problemi con la famiglia. E invece, all'improvviso, mi ritrovo con una famiglia a carico dentro a quella casa dove avevo deci-so di vivere da solo.
- Io un pensierino ce l'avevo fatto con te - sorrise Simona - ma sono arrivata troppo tardi.
- Purtroppo sì, Simona!
- Non ti avrebbe sposato - ribatté Daniela.
- Ed ora che vi ho raccontato le mie cose, me la togliete una curiosità?
- Vuole sapere come abbiamo fatto a incontrarci - spiegò Daniela.- Te lo dico io. Per puro caso siamo capitate sedute vicine al ristorante in occasione di un pranzo di nozze. Par-lando di ricette di cucina, io ho detto di averle comprate da un certo venditore, anch'esse avevano fatto acquisti dallo stesso bellimbusto e... parlando, parlando, è venuto fuori che te la facevi con tutte e tre.
- A pensare - sorrise Marcello - che avevo fatto del tutto per sceglierne una in un paese diverso dall'altra.
- Il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi - sentenziò Rita.
- Questo però me lo devi dire, Marcello - chiese a sua volta Simona.- Per quale motivo hai sentito il bisogno di tante donne. Non te ne bastava una? Una sola non ti avrebbe sa-puto dare tutto quello che desideravi?
- Per difesa, Simona - rispose.
- Per difesa? Che cosa significa?
- Significa che anch'io ho un cuore.
- E allora? - ribatté Daniela.
- Da esperienze precedenti, mi sono accorto che, amando una sola donna, mi sarei in-namorato pazzamente da indurla a vivere con me.
- E siccome tu volevi star solo....
- E adesso come farai? - chiese Simona.
- Ora non posso fare altrimenti.
Quando Marcello le lasciò, anche se volevano fare le dure, specialmente Daniela, gli la-sciarono intendere che per lui erano ancora disponibili e se avesse voluto...
- Vi amo allo stesso modo tutte e tre e non vi dimenticherò tanto facilmente - sorrise Mar-cello e le lasciò con un bacino delicato sulle labbra. Tutte e tre avrebbero voluto che quel bacino durasse più a lungo possibile.

Il dubbio

La mattina dopo, accompagnò ancora una volta la figlia al lavoro poi, come capitava di frequente, andò all'ospedale a trovare Gabriella. Lei fu molto contenta di vederlo e gli chiese al solito notizie di Susanna. Quando seppe che le aveva trovato un posto e aveva già cominciato a lavorare, si commosse fino alle lacrime. Stringendogli forte una mano, gli disse:
- Io, Marcello, ti sono veramente grata di quello che stai facendo per nostra figlia. Ormai di me non me ne importa più niente, ma ti sono riconoscente che l'hai tolta dalla strada che aveva intrapreso per colpa mia e le hai dato un'opportunità di rifarsi la vita.
Marcello si sedette accanto a lei, le strinse entrambe le mani e le sussurrò.
- Senti, Gabriella, gli errori in passato li abbiamo commessi tutti. Però, ti ripeto, questo passato, deve sparire dalla memoria di tutti e tre, deve essere cancellato. Qualsiasi cosa possiamo avere commesso, come dicevo con Susanna, il nostro amore deve essere come una spugna, che pulisce e fa sparire ogni macchia. Deve ricominciare per tutti e tre una vita nuova. Tu vedo che ti stai rimettendo a poco a poco. Tra non molto sarai guarita e presto potrai tornare a casa, nella tua casa. E sappi che, appena starai bene, ci sposere-mo e darò il mio cognome anche a Susanna.
Gabriella lo fissò negli occhi con il suo sguardo ancora smorto.
- Marcello, ti prego, non prenderti gioco di me! Lo so bene che, con la vita che ho fatto, anche se vorrei che non fosse mai successo, tu non saresti mai disposto a sposarmi. Pe-rò ti ringrazio ugualmente e te ne sono grata.
- Gabriella, - insisté lui - ti ho già detto che il passato non esiste più. Per noi ricomincia una vita nuova. Quindi ti giuro che appena starai bene del tutto e potrai tornare a casa, ci sposeremo e vivremo uniti per sempre tutti e tre.
Lei gli appoggiò le guance rigate di lacrime sulle mani.
- Marcello, non ci posso credere. Non ci crederò mai!
- Invece, Gabriella, ci devi credere, perché è così. Per ora ti lascio. Vado a casa, perché devo preparare il pranzo per Susanna. Tornerò a trovarti presto.
Gabriella lo fissò nuovamente e nel suo sguardo smorto traspariva un dubbio, quel dub-bio silenzioso che lui aveva notato più volte nei suoi occhi.
- Marcello!
- Dimmi, Gabriella.
- Ti faccio una domanda, una domanda che non ho mai avuto il coraggio di farti tutte le volte che sei venuto a trovarmi. Vorrei che mi rispondessi onestamente e sinceramente.
- Perché non dovrei essere onesto e sincero con te? Che cosa mi devi chiedere? - ma aveva già intuito quale poteva essere il timore della donna.
- Prima di farmi ricoverare, mentre eravamo a casa tua, ho osservato più volte nostra fi-glia e ho notato che aveva preso un forte attaccamento per te. So bene che ha avuto una giovinezza sbandata...
Marcello la fissò anche lui. Aveva capito perfettamente.
- Gabriella, non aggiungere altro! So bene quello che mi vuoi domandare. Ti pare che mi sarei dato da fare tanto, per rovinare tutto in un attimo?
Lei lo fissò più intensamente.
- Marcello, me lo giuri?
- Te lo giuro, Gabriella! Tranquillizzati e guarisci presto.
- Grazie, Marcello!
In quel momento sparirono molte incertezze dal suo sguardo e si sentì meglio.
- Grazie, Marcello! - ripeté ancora, stringendogli le mani.
- Ciao, Gabriella! Cerca di guarire e presto saremo ancora tutti insieme. Domenica porto anche Susanna. Ciao! - e le sfiorò le labbra con un bacino. Era la prima volta, da quando l'aveva ritrovato e si sentì intenerita. Lo seguì con lo sguardo, mentre usciva e gli occhi le si riempirono nuovamente di lacrime.
Marcello, prese a riflettere che se quella sera non si fosse violentato in quel modo, avreb-be davvero rovinato tutto.
A casa, visto che erano solo le undici e mezzo, decise di riprendere il diario della figlia dal punto dove era stato interrotto dalla telefonata di Daniela: "25 aprile 1987: Oggi, caro Dia-rio, sono in vacanza e ti posso dedicare qualche momento. Mi sono accorta che la mam-ma, da quando ho scoperto che fa quella cosa, ha cominciato a bere...! E quando dico bere, non intendo quel paio di bicchieri di vino che si fa a pranzo e a cena. No, si è messa a bere il mistrà e ne beve parecchio. Mica perché si fa vedere da me, ma io me ne sono accorta lo stesso. Intanto, tutte le volte che andiamo a fare la spesa, ne compra un paio di bottiglie e io spesso mi accorgo che il giorno dopo quelle bottiglie sono vuote. Prima pen-savo che volesse offrire da bere agli uomini che vanno con lei, perché si tiene sempre una bottiglia in camera, poi però ho provato a controllare. Ho fatto così. Andato via l'ultimo uomo, guardo la bottiglia di nascosto e vedo che è quasi piena, vado a dare una sbirciati-na prima di andare a scuola la mattina dopo e vedo che non è neanche mezza. Quindi vuol dire che ha bevuto lei, non so se alla sera prima di andare a dormire, non so se du-rante la notte, non so se al mattino appena si alza. La cosa brutta è che ha cominciato a bere molto. A dire la verità ubriaca non l'ho mai vista, però durante la mattina è magari molto nervosa, poi al pomeriggio, quando vengono gli uomini è tutta allegra e sorridente. Forse si sente triste per quello che fa e cerca un po' di allegria nel mistrà. Ti devo dire, caro Diario, che mi fa una brutta impressione vedere quegli uomini seduti davanti alla ca-mera di mamma, in attesa di entrare uno alla volta, come quando si va dal dottore. Ma dal dottore si va per visitarsi, invece essi entrano in camera di mamma per fare con lei quella brutta cosa. Se con noi ci fosse il papà, queste cose non succederebbero". " Eh no che non sarebbero successe, figlia mia, non sarebbero successe davvero, ma purtroppo non ne sapevo nulla - commentò Marcello, rattristandosi dentro di sé e continuò: "3 giugno 1987: Caro Diario, vedi bene che, per studiare con questo caldo, sono venuta qui ai giar-dini. La maestra mi ha detto di ripassare bene la storia di Cavour, quando mandò i soldati in Crimea per poter sedere al tavolo della pace, ma a me, se vuoi saperlo, di tutte queste cose successe tanti anni fa, proprio non me ne importa niente. Preferisco osservare i pe-sci rossi che guizzano dentro a questa grande vasca che noi chiamiamo laghetto e saltano a galla per beccare qualcosa che è caduto dentro. Mi diverto di più ad osservare le corrie-re che arrivano o che partono e la gente che sale e che scende. Chissà da dove viene e dove va? Allora provo ad immaginare, perché da dove sono seduta non riesco a leggere la tabella davanti alle corriere e mi dico: "Quella forse viene da Tolentino oppure da Sar-nano. Quella che sta partendo adesso va a Civitanova oppure ad Ancona e immagino di viaggiare con loro e di vedere tanti paesi e tante città, invece mi tocca a stare qui a studia-re Cavour che mandò i soldati in Crimea per poter sedere al tavolo della pace. Ma sai quanto me ne importa di questo Cavour?" "Certo! - commentò Marcello di nuovo. - Con tutti i suoi problemi, povera bambina, della scuola non gliene poteva importare niente davvero!" Guardò l'orologio e vide che mancava poco a mezzogiorno, allora decise di smettere per cominciare a cucinare. Mentre mangiavano, glielo disse alla figlia.
- Susanna, ho cominciato a leggere il tuo diario e sto vedendo quanto hai sofferto e quanto avete sofferto. Tuttavia ormai è finita.
- Grazie a te, è finita davvero, papà!
- Questa mattina - continuò Marcello - sono andato a trovare la mamma ed è stata con-tenta di sapere che adesso lavori.
- Mi fa piacere, papà che ci sei andato. Come sta?
- Comincia a stare sempre meglio e le ho detto che appena è guarita, ci sposiamo e vo-glio dare anche a te il mio cognome. Ti va di chiamarti Scipioni, o vuoi continuare a chia-marti Cingolani.
- Voglio il tuo cognome, papà. È l'ultimo neo che potrebbe ancora far dubitare del mio passato e io non voglio pensarci più e non voglio che qualcuno sospetti nulla.
- È così che mi piace sentirti parlare, figlia mia!
- E per la tua promessa, come l'ha presa mamma?
- È convinta che io lo dica tanto per consolarla e non ci vuole credere.
- Tu invece come sei convinto? - le chiese guardandolo.
- Come vuoi che sia convinto? Sono convinto e basta! E tu, Susanna, non devi pensare che lo faccia per pietà o per riscattare la mia colpa. Lo faccio semplicemente perché lo ritengo giusto.
- Però, papà, ci vorrebbe anche un po' di sentimento.
- Ti ho forse detto che il sentimento non c'è? Non sai come si è commossa, quando le ho dato un bacino sulle labbra!
- Le hai dato un bacio sulle labbra?
- E perché non avrei dovuto? Ci siamo baciati tante volte, quando eravamo giovani.
- Ti ringrazio, papà! - l'abbracciò, lì seduti com'erano davanti al tavolo e gli stampò un grosso bacio su una guancia. Veramente Grazie, papà! È la cosa più bella che ho sentito oggi.
- O senti questa! - esclamò lui. - Non posso dare una bacio sulle labbra alla madre di mia figlia!
Lei lo fissò, prima sorridente, poi si fece seria.
- Non è che per caso le hai raccontato...?
- Che mia figlia voleva fare la civettuola con me, perché sono ancora un bell'uomo? - ri-se, poi si fece serio anche lui. - Queste cose, Susanna, non pensarle neanche per scher-zo. Lei tuttavia aveva intuito che eri diventata un po' troppo espansiva con me, ma io l'ho tranquillizzata nel modo più assoluto e lei si è rasserenata molto.
- Grazie ancora, papà! Ma come ha fatto ad accorgersene?
- Intuito di donna, Susanna! Dovresti saperlo. Lei, entrando in questa casa, si è sentita in second'ordine, quasi una colpevole e vedeva emergere te in simpatia nei miei confronti. Comunque è passato anche questo. Le ho detto che sabato o domenica vai a trovarla anche tu. Hai impegni particolari, no?
- Che impegni vuoi che abbia? Ci andiamo e come!
Infatti ci andarono e si presentarono all'ora delle visite con un grosso mazzo di rose ros-se. Gabriella, in quei momenti, era facile alla commozione e si commosse ancora una vol-ta. Abbracciò la figlia con le lacrime agli occhi e strinse le mani a Marcello.
Lui capì che doveva lasciarle sole.
- Gabriella, hai bisogno di qualcosa? - le chiese.
- Ho la bottiglia dell'acqua quasi vuota e mi occorrerebbe un pacchetto di fazzolettini.
- Vado io, mamma - esclamò subito lei.
- Ma che vai tu? Vado io. Falle un po' compagnia, che non ti vede mai.
Capì anche lei che voleva lasciarla sola con la mamma e non insistette.
- Allora, come ti va, figlia mia? Mi ha detto tuo padre che ti ha trovato lavoro. Ti piace? Sei contenta?
- Mi piace moltissimo, mamma, e sono molto contenta. Ci sono un sacco di amici, che mi stimano e mi vogliono bene. Sono proprio contenta.
- Con il papà, va tutto bene, vero?
- Va benissimo, mamma! È un uomo straordinario! Si preoccupa molto di te e di me. A-vrei voluto saperlo prima, che ci avrei pensato io a ritrovarlo, ma tu non me l'hai mai vo-luto dire.
- Ormai è passato, figlia mia. Il peggio è passato. Solo che io mi sento molto a disagio. La mia colpa, Susanna, mi pesa molto e credo che pesi molto anche a lui. Per consolarmi dice che mi vuole sposare, ma io non ci crederò mai. Non può sposare una che ha fatto quella vita.
- Perché, mamma, continui a crearti questi problemi? Se dice che ti vuole sposare, è sin-cero. Per amore si può anche dimenticare.
- Non questo si può dimenticare, figlia mia. È troppo grave. Perciò mi chiedo: come farò a vivere in quella casa con lui? Mi sento troppo in imbarazzo. Mi sento un'intrusa. Una che non è né carne né pesce. Una che non è né moglie, né amante, né donna di servizio. Questa situazione mi fa soffrire troppo, Susanna. Alle volte penso che forse avremmo fat-to meglio a restare dove eravamo. Sono molto contenta per te, Susanna, ma io non mi sento contenta per niente - e riprese a lacrimare.
- O mamma! Devi avere un po' di fiducia nel prossimo. Dai, smetti di piangere. Non fare così. Non farti vedere da papà che stai piangendo.
Ma non ne fu capace, era troppo grosso il macigno che le pesava dentro.
Infatti quando tornò Marcello, stava ancora piangendo, anche se cercò in fretta di asciu-garsi gli occhi. Lui le si avvicinò tutto amorevole.
- Che c'è, Gabriella?
Scosse la testa senza rispondere e rispose la figlia al suo posto.
- È molto depressa, papà! Non crede che tu possa... dimenticare e si sente a disagio per quando deve ritornare a casa.
Lui si sedette sul letto e prendendole il viso tra le mani, le sussurrò:
- Tu, Gabriella, questa testolina qui, devi farla lavorare di meno e ti devi abituare ad ave-re un po' più fiducia in chi ti sta vicino. Mi sono spiegato bene, Gabri? - A sentirsi chiama-re Gabri, si sciolse ancora di più. - Adesso perché fai così? Mi dispiace però che non hai fiducia in me!
Prese a scuotere un po' la testa, poi riuscì a parlare.
- Il fatto è che... solo tu mi chiamasti così. Ci furono quei bellissimi momenti, poi... tanto male in mezzo. È troppo, è stato troppo.
- In fondo fu anche colpa mia... Comunque senti, Gabriella, l'ho detto e l'ho ripetuto tante volte, sia a te che a Susanna. E te lo ripeto per l'ultima volta. Il nostro passato, il passato di tutti e tre, comincia da quando siete venute ad abitare a Varese. Quello che c'è stato prima non esiste e non se ne deve più parlare. Chiaro?
- Ha ragione, mamma - intervenne Susanna avvicinandosi (si era un po' scostata per la-sciarli parlare da soli). - Se papà, ti dice così, ci devi credere.
- Non è facile, figlia mia - rispose, asciugandosi gli occhi. - Non è facile!
- Invece lo deve essere. Punto e basta - continuò deciso Marcello . - E ora, testolina, guarisci presto e non pensarci più. D'accordo? - le sussurrò, sollevandole il mento con una mano.
Lei fece un breve cenno con la testa ad occhi socchiusi, ancora umidi di lacrime. Lui allo-ra le sfiorò le labbra con un bacio. Ciao, Gabri! - e sorrise. Tentò di sorridere anche lei.
- Ciao, mamma! - anche Susanna l'abbracciò e la baciò con forte calore.
- Ciao, figlia mia! - rispose lei con un sorriso appena accennato.
- Bisogna capirla - diceva Marcello in macchina. - Bisogna capirla, perché credo che i ricordi le pesino davvero molto.
- Noi, però, papà, cercheremo di farglieli dimenticare.
- Faremo del tutto, Susanna! Faremo del tutto!


Le ultime volte

Ormai Marcello, tutte le volte che aveva qualche momento libero ed era solo in casa, ri-prendeva la lettura del diario di Susanna. Voleva conoscere, dalle descrizioni spontanee e particolareggiate, tutti i patimenti della sua infanzia e della sua adolescenza, che l'avevano indotta a intraprendere quel mestiere. Così fece anche quel pomeriggio prima di andare al lavoro. "5 luglio 1987: Caro Diario, ti do una brutta notizia: sono stata bocciata e mi tocca ripetere la quinta. Lì per lì ci sono rimasta malissimo, anche se quasi lo sape-vo, perché la maestra mi continuava a predicare tutte le volte di impegnarmi, di darmi da fare a studiare la storia, la geografia, le scienze, a fare bene i problemi e i temi. Come vuoi che potevo impegnarmi, Diario mio, con tutto quello che ero costretta a vedere in casa, con tutti gli uomini che stavano sempre a chiacchierare e a ridere, con mamma che conti-nuava a bere sempre di più e qualche volta alla sera era proprio ubriaca e si buttava sul letto senza neanche mangiare. Gliel'ho detto tante volte: "Mamma, se continui a bere e a non mangiare, finisci per ammalarti". La mamma mi guardava seria e mi sembrava anche triste, poi invece di rispondermi, abbassava la testa. Per tutto questo dunque non ho mai avuto tanta voglia di star lì a pensare ai libri. Certe volte mi veniva in mente che devo sbri-garmi a crescere, così aiuto mamma nel suo mestiere e la faccio riposare." " Povera figlia mia, certi pensieri le passavano per la testa fin da allora! - sospirò Marcello e continuò a leggere. "Certo, avrei dovuto impegnarmi, ma con questo casino che c'è in casa, non ne avevo proprio voglia. Qualche volta, durante l'anno, sono andata a studiare da Silvia, quell'amica mia che mi aveva spiegato di mamma, poi però ho capito che sua madre non era contenta e non ci sono più andata.
"20 luglio 1987: Sono riuscita a convincere mamma di smettere per un po' di giorni il suo lavoro e di andarcene una settimana al mare a Porto Civitanova, così ci alziamo al mattino presto, prepariamo alcuni panini e qualche bibita, prendiamo la corriera ai giardini e an-diamo al mare. Finalmente posso stare tutto il giorno sdraiata sulla sabbia a prendere il sole e non vedermi attorno tutti quegli uomini di quando sono a casa. Mi sono fatto pro-mettere dalla mamma di non farseli venire anche lì alla spiaggia e mi ha dato retta. Così al mare sembriamo come tutti gli altri. Un po' prendiamo il sole, un po' facciamo il bagno e verso le sei ritorniamo a casa contente e soddisfatte. Anche la mamma è contenta e ho visto che da quando andiamo al mare, beve di meno. Solo che ho preso troppo sole e mi si è bruciata la schiena. La mamma, prima di andare a letto, mi ci mette un po' di chiara d'uovo sbattuta con il limone. Ieri sera, mentre mi spalmava la schiena mi ha dato una bella notizia. Dice: uno di quegli uomini mi ha detto che mi aiuterà a trovare un apparta-mentino un po' più grande di questo, così avrai una cameretta tutta per te. Sono stata molto contenta: andare a dormire con la mamma e sentire nel naso l'odore di tutti quegli uomini che sono stati con lei, mi fa proprio schifo".
"5 settembre 1987: Caro Diario, tra pochi giorni ricomincerà la scuola e io, come sai, dovrò ripetere la quinta. Se fossi del tutto sincera, devo dire che non mi dispiace poi tanto. Cam-bierò maestra, così non dovrò sentire le solite prediche, conoscerò compagne di scuola nuove e soprattutto ripeterò le stesse cose dell'anno scorso. Insomma! Qualcosina mi ri-cordo, qualcosina cercherò di stare attenta e l'anno che viene sarò promossa di sicuro"
"Vedo che era già una bambina giudiziosa" - commentò Marcello.
"15 ottobre 1987: Ormai da parecchi giorni mi trovo in una classe con quindici compagni di scuola: sei maschietti e otto femminucce. Io sono la più grande, perché sono l'unica che ha ripetuto due volte. Questo non te l'ho detto, ma mi hanno fatto ripetere anche la se-conda. Ho fatto subito amicizia con tutti, soprattutto con le bambine, che mi vogliono bene e siamo diventate subito amiche. Anche se sanno quello che fa mia mamma, mi sono a-miche lo stesso, anzi, convinte che io sappia molte cose più di loro, a volte mi fanno delle domande che hanno a che fare con quelle cose lì e io glielo spiego. Come rimangono a bocca aperta, quando gli dico certe cose che esse non sanno! Per esempio non sapevano che i bambini nella pancia della mamma ci crescono, perché hanno fatto quella cosa con il loro papà, che ha messo il suo semino nella passerina e che quando è ora il bambino vie-ne fuori proprio da lì" - "Adesso le tocca fare anche da maestra alle proprie compagne" - concluse Marcello e interruppe la lettura, perché, osservando l'orologio, notò che erano le quattro e mezzo ed era ora di fare il solito giro.
Partendo per la Valceresio, sapeva che sarebbe dovuto passare anche dalle "sue" donne: doveva andare anche da loro per la rata di settembre. Esclusa Daniela, per la quale a-vrebbe dovuto deviare, le altre le aveva tutte lungo la Valle, proprio una per ogni paese: Simona la divorziata, ad Arcisate, Noemi a Bisuschio, Rita a Porto Ceresio e Rosaria a Ponte Tresa. Simona l'avrebbe accolto freddamente. Lo deduceva dal modo come s'era mostrata adirata nell'incontro a tre. O forse quella era stata tutta una scena per essere solidale con le altre e a tu per tu si sarebbe dimostrata desiderosa di un po' di calore come tutte le altre volte. Poteva anche succedere. Di Rita era sicuro al cento per cento che lo sarebbe portato subito a letto per rifare pace. L'unica che non era al corrente di nulla e l'unica con la quale avrebbe avuto più difficoltà a rompere il rapporto, per il lega-me morboso che s'era creato con lui era Rosaria.
Bisogna dirlo: ora Marcello non provava più quel desiderio spasmodico verso di loro. Do-po che si era portato a casa le due donne, dopo che Susanna aveva detto, anche se forse scherzando, che cominciava ad essere gelosa, dopo che s'era messo in testa di far co-minciare una nuova vita a Gabriella, provava quasi uno scrupolo di coscienza a compor-tarsi da donnaiolo come prima. Perciò doveva farlo sapere anche a Rosaria per iniziare a fare marcia indietro a poco a poco. Ancora una volta pensò di cominciare gli incassi dall'ultimo paese, da Ponte Tresa e ancora una volta decise di cominciare da lei, come la volta precedente aveva voluto iniziare da Tiziana che abitava nello stesso palazzo. E do-veva dirglielo. Con il suo carattere così possessivo, rischiava che, se lui non si fosse fatto vedere o sentire per molto tempo, quella era capace addirittura di telefonargli con il ri-schio che andasse a rispondere Susanna o, peggio ancora, capitargli a casa e vedersi davanti una bella ragazza: sarebbe esplosa la sua ira e avrebbe fatto qualche scenata, da metterlo a disagio di fronte alla figlia stessa. Ma che cosa dirle? Come cominciare il discorso? Dirle la verità o inventare una balla? La distanza tra Varese e Ponte Tresa è così poca e lui un domani sarebbe potuto capitare al lago con Gabriella e la figlia e lei avrebbe potuto incontrarli. Era davvero un bel problema! Non c'era altra strada che dirle esattamente la verità. Se capiva, capiva, se non capiva, pazienza! Tuttavia non era inten-zionato a litigare e onestamente sperava di non trovarla in casa. Invece c'era e l'accolse con più passionalità del solito: era da troppo tempo che non stava con lui. Non gli fu pos-sibile neanche opporre resistenza, perché Rosaria se lo portò immediatamente a letto. Però, pur godendoselo intensamente, s'accorse che la partecipazione di lui non era totale e spontanea come le altre volte, ma un po' forzata e a lavoro concluso, glielo chiese:
- Che cos'hai, amore mio? Non ti vedo appassionato come sempre. C'è qualche proble-ma? - e lo guardò fisso. - Non è per caso che ti sei fatta un'altra amante?
La fissò anche lui.
- Rosaria, sono costretto a sposarmi!
- E con chi? - domandò lei, guardandolo seria.
Si tirò su a sedere sul letto e lei fece altrettanto.
- È successo che… - e le raccontò della lettera venuta fuori, dei suoi dubbi, della sua ricerca e di aver rintracciato la donna con una figlia di vent'anni.
Per un po' Rosaria rimase silenziosa e a testa bassa, poi gli premette la testa contro la spalla, circondandolo stretto con le sue braccia.
- Marcello mio, - esclamò - anch'io sono sposata e sto tanto bene con te! Quando sarai sposato, staremo ancora meglio. Sposati e vieni a trovarmi spesso, perché questo tuo coso qui mi piace da morire - e prese a frugare con una mano sotto il lenzuolo. Conseguenza, fu indotto a ripetere l'operazione e quando uscì da quella casa erano ormai le sei. Era abbastanza stanco e anche un po' avvilito. Avvilito perché quella lì, invece di odiarlo, s'era maggiormente appiccicata a lui e diventava sempre più difficile allontanarla da sé. Tanto che gli era andata via la voglia di fare incassi e se ne tornò a casa, dicendosi: "Questo sì che ora è un vero problema!"
Ora che aveva trovato un scopo nella vita, era intenzionato, come si suol dire, mettere la testa a posto. Desiderava in definitiva tagliare ogni rapporto con le "sue donne" per dedi-carsi completamente a quelle che aveva ritrovato dopo tanto tempo. Tuttavia voleva farlo in modo elegante, senza farle sentire umiliate. Già con tre, per l'incontro preparato da Daniela, ci era in parte riuscito.
Mentre era lì che rifletteva, gli venne in mente che per non doverle incontrare più e quin-di non essere indotto a continuare, doveva cambiare mestiere. E pensò a quel direttore suo cliente che poteva trovargli un posto all'interno del Supermercato. Ormai da più di una decina d'anni continuava la sua attività di venditore a domicilio e cominciava anche ad essere stufo. Avrebbe preferito trovare un lavoro fisso, a orari precisi e sentirsi libero tutte le altre ore, senza dover pensare alla ricerca di nuovi clienti, senza dover star lì alla sera dopo cena con lunghe ed estenuanti telefonate, molte delle quali a vuoto, per la dif-fidenza della gente, che gli sbatteva giù il telefono, senza neanche farlo parlare. Quindi decise che il mattino successivo (in quel momento non si sarebbe sentito troppo all'altezza della situazione, qualora qualcuna lo avesse indotto a cedere) dopo aver ac-compagnato la figlia al lavoro, avrebbe fatto il solito giro per dare garbatamente un addio definitivo a tutte. E così fece. La prima tappa fu da Noemi.
- Finalmente ti sei fatti vivo! - gli disse abbracciandolo. - Come mai non sei più venuto? Come è andata con tua figlia?
- Tutto bene! - le sorrise. - Era stata solo la mia paura. Tutto bene! Non è successo nien-te.
- Sono contenta per te, Marcello! E la madre?
- È ancora ricoverata all'ospedale.
- Si vede che queste donne ti danno un sacco di pensieri - aggiunse con una sottile iro-nia - perché mi sono accorta che non hai avuto più bisogno di me!
- Hai veramente ragione, Noemi! Effettivamente ho avuto davvero un po' da fare. Ho tro-vato un lavoro alla ragazza...
- Ah sì! E dove?
- Commessa ad un supermercato. Sai, il direttore è un mio cliente.
- Quindi - e lo guardò maliziosa negli occhi - io non ti interesso più.
- Ma che dici, Noemi! Sei sempre nei miei pensieri.
- Infatti sei stato quasi un mese senza venire. Si vede che t'interesso solo con il pensie-ro.
- No, Noemi! Tu m'interessi per come sei, per come ti sai donare a me, per come mi fai sentire importante quando sto con te, per la passione con cui mi ami e ti fai amare da me. Per tutto questo m'interessi.
Per non deluderla, si era sbilanciato un po' troppo in elogi ed ora gli restava una certa fatica a tirarsi indietro e infatti non si tirò indietro quando lei, dopo avergli stampato un forte bacio sulla bocca, lo prese per mano e se lo trascinò di là, dove era stato tante altre volte. Si amarono ancora, molto appassionatamente, forse perché entrambi, inconscia-mente, si resero conto che quella era l'ultima volta. Infatti, dopo aver amoreggiato a lun-go, dopo aver prolungato la passione in forti abbracci, in tenere carezze e in dolci baci, lei gli sussurrò:
- Amore mio, mi rendo conto che questa è stata veramente l'ultima volta e mi dispiace, sai? Perché con te mi sono trovata molto bene. Con te mi sono sentita veramente donna, con te ho capito che cosa significa godere a fare l'amore.
- Anch'io sono stato molto bene con te, Noemi, che cosa credi?
- Quindi è davvero l'ultima volta!
Marcello fece un sospiro.
- Io, Noemi, non avrei voluto. Ma ora che è successo quello che è successo, non posso avere in casa due donne e tradire la loro fiducia. Tu mi capisci.
- Certo che ti capisco, amore mio! Adesso che farai? La sposerai?
- Credo proprio di sì, Noemi. Mi sembra la cosa più giusta. In fondo ha sofferto molto a tirare avanti la figlia tutta da sola.
- Ma tu, Marcello, quella donna la ami?
- L'ho amata una volta e credo che saprò amarla ancora e ho deciso che non dovrò più tradirla.
- Sii felice con lei, Marcello - e lo abbracciò e le veniva quasi da piangere. Stettero anco-ra un po' a letto abbracciati e Marcello cercava di consolarla con le carezze, con i baci delicati.
Quando stava per andarsene, lo abbracciò ancora stretto stretto e gli bisbigliò:
- Io, Marcello, ti auguro tanta tanta felicità, ma se dovessi avere qualche problema, sappi che io ci sono ancora.
- Te ne sono veramente grato, Noemi. Non ti dimenticherò mai - e se ne andò che si sen-tiva commuovere anche lui e si rese conto che in ogni rapporto, anche se solo sessuale, si lascia sempre un pezzo di anima e quando si rompe, fa male. Finalmente aveva capito che non si può scherzare con i sentimenti.


Verso nuovi traguardi

Ormai il mese di settembre volgeva al termine e lui aveva due problemi importanti da ri-solvere: recarsi dal direttore del Supermercato per chiedere un posto di lavoro, poi licen-ziarsi dall'Agenzia.
Così una di quelle mattine, dopo aver accompagnato la figlia, si fece annunciare al diret-tore, che lo accolse con un sorriso:
- Scipioni, non mi dirà che vuole i soldi un'altra volta? S'accomodi!
- No, direttore, vengo per chiederle un favore. Un altro favore - rispose, sedendosi.
- Mi dica! Di che cosa si tratta?
- Intanto non so come ringraziarla per mia figlia: si trova bene ed è molto contenta.
- In fondo è una brava ragazza e s'impegna, quindi anch'io sono contento di lei. Ma mi dica quale altro favore desidera.
- Ecco, sono una decina d'anni che vado correndo da una parte all'altra con questo lavo-ro di venditore a rompere le scatole in casa della gente e a essere sincero comincia a pesarmi. Quindi vengo subito al dunque: ho il diploma di ragioniere, anche se ho esercita-to per pochi anni. E la domanda è questa: al Supermercato ci sarebbe da lavorare anche per me?
- Ho capito! Vuole mandare un'altra persona ad incassare le rate? Ma sarà una persona seria come lei? Credo di sì, naturalmente! Vengo alla sua domanda. Qui, in questo Su-permercato attualmente no. Però, nell'altro che abbiamo aperto da qualche mese, ci oc-corre un caporeparto. Con gli impiegati, purtroppo siamo al completo.
- Non ci sono mica problemi! Ho parlato del diploma per dire che ho un titolo di studio, ma, come ho fatto fino ad ora, so adattarmi a qualsiasi altra cosa. In che cosa consiste-rebbe il lavoro?

- Le spiego! Sono stati assunti parecchi ragazzi e ci vuole una persona matura in grado di guidarli. Se la sentirebbe? Uso il condizionale, perché non so se nel frattempo la per-sona è stata trovata.
- Per me, direttore, andrebbe benissimo!
- Allora m'informo e, se la risposta è positiva, glielo faccio sapere tramite sua figlia.
- Io la ringrazio moltissimo, direttore. E, così, tanto per sapere, in caso positivo quale sa-rebbe la mia mansione specifica?
- Programmare il servizio per i ragazzi, i quali, a turno, possono essere messi a sistema-re e a rifornire gli scaffali oppure alle casse.
- Se è per così poco, mi pare di non fare niente.
- Va bene, Scipioni, tra qualche giorno le faccio sapere. Ci terrei che venisse assunto lei perché la conosco da molto tempo e so che è una persona seria. Quindi abbia pazienza per qualche giorno.
- Ci mancherebbe! Con tutto il suo comodo. Così, se per caso la risposta fosse positiva, potrei avvertire il titolare dell'Agenzia, perché abbia modo di sostituirmi. Non posso anda-re via all'improvviso senza dirgli niente.
- Mi pare molto giusto. E non vuol sapere quanto...?
- Non è questo il problema che mi pongo. Credo comunque che sia uno stipendio abba-stanza buono.
- È abbastanza buono infatti. Tuttavia non mi sembra corretto che glielo dica io. È oppor-tuno che di questo eventualmente parli con il direttore dell'altro supermercato.
- Mi sembra ovvio. Senta, direttore! Io mi scuso per il disturbo e non so come ringraziar-la!
- Niente ringraziamenti! Farò quanto mi sarà possibile.
Si strinsero calorosamente le mano e Marcello se ne andò via piuttosto soddisfatto. Era convinto che, se quel posto era ancora disponibile, il direttore l'avrebbe affidato a lui. Ma invece di tornare a casa, dato che la figlia quel giorno doveva trattenersi più a lungo e avrebbe pranzato al Supermercato, pensò di andare a trovare Gabriella. Erano due giorni che, corri di qua, corri di là, non era riuscito ad andarci. La trovò che passeggiava con qualche altra paziente lungo il corridoio.
- Ciao, amore! - le disse lui e le diede un bacino sulle labbra, che la fece lievemente ar-rossire.
- A più tardi, Gabriella - fece la donna. - Adesso goditi un po' tuo marito.
- Grazie! - rispose Gabriella e arrossì di nuovo.
- Hai sentito che cosa ha detto quella donna? - fece lui.
- Ho sentito! - rispose lei abbassando gli occhi.
- Ora, mia cara, ti ci dovrai abituare - continuò Marcello, prendendola sottobraccio - per-ché appena potrai tornare a casa, andremo a sposarci.
- Tu, Marcello, continui a ripetermelo, - sospirò lei - ma credo che non sia giusto! Ci divi-dono troppi anni e troppi fatti spiacevoli.
- Senti, Gabri! - e si sedettero su due sedie, un po' spostate da altri malati e parenti. - Non farmi ripetere il discorso dell'altro giorno. Io a poco a poco ho ricominciato ad amarti, come a poco a poco ho cancellato dalla memoria tutto quello che è successo. Perciò dimmi chiaro e tondo: mi vuoi sposare o serbi nei miei confronti il rancore di allora, perché non mi feci vivo e fosti costretta a fare la vita che hai fatto? Dimmelo con molta chiarezza, Gabriella! - e la fissò.
- Ma quale rancore, Marcello? Io non ho mai avuto rancore nei tuoi confronti. Solo che...
- Solo che?
- Dai, non farmelo ripetere. Il passato c'è e non si può cancellare.
- Senti! Ascoltami: se questo passato non ci fosse, mi sposeresti?
- Sì, certo! Ma il passato...
- Il passato non esiste. Punto e basta! E non ne parliamo più. Allora siamo d'accordo?
Lei lo fissò e rimase in silenzio.
- Dunque, mi vuoi rispondere?
- Tu sei sicuro, Marcello, che con il tempo, nei momenti in cui potremo anche litigare, non me lo rinfaccerai?
- Ti ho già detto che l'ho cancellato dalla mia memoria e ti giuro che non lo farò mai, an-che se dovessimo litigare da menarci.
- Sarebbe troppo bello se fosse vero!- sospirò ancora.
- Gabri, ti giuro che è vero. Allora, te lo ripeto: mi vuoi sposare?
Lei si aggrappò al suo braccio.
- Come pensi che possa dirti di no.
- Grazie, amore mio! - la strinse a sé e la baciò appassionatamente sulla bocca.
- Ma che fai? - si ritirò lei piena di rossore. - Ci guardano tutti!
- E lascia che guardino! Non posso baciare la mia futura moglie? Ciao, Gabriella! Non immagini quanto mi abbia fatto felice la tua risposta.
- E tu non immagini quanto ha fatto felice me - rispose fissandolo con gli occhi luminosi.
- Allora cerca di guarire presto! Verrò a trovarti anche domani.
- Guarirò presto! Vedrai! - rispose lei, accompagnandolo al pianerottolo delle scale. Si strinse un attimo a lui e gli diede un veloce bacio sulla bocca, mormorando:
- Mi hai fatto veramente felice, Marcello! Torna presto!
Tornò a casa ed era felice anche lui. Siccome doveva cucinare solo per sé, pensò che non ne aveva proprio voglia. Avrebbe mangiato un paio di panini. Decise di riprendere la lettura del diario, di terminarlo in fretta e poi distruggerlo, come gli aveva detto la figlia. Il passato non doveva esistere più.
"4 luglio 1988: Finalmente ho ritrovato il mio diario. Quanto sono stata in pensiero tutti questi mesi..." "Quanti mesi sono passati? - si chiese Marcello e andò a controllare la data precedente che era del 15 ottobre dell'anno prima. - Eh già! Sono passati nove mesi. Come mai? Beh, basta continuare - si disse e riprese a leggere: "Ero convinta che me lo avesse rubato qualche compagna di scuola o che l'avessi perso per la strada. Che vergo-gna! Temevo che tutti ormai sapessero di quello che fa mamma. Invece che cosa era successo? Durante il trasloco lo avevo nascosto dentro una scatola di scarpe, perché non lo vedesse neanche mia madre e non me ne sono più ricordata. Proprio ieri che sono andata a cercare il paio di scarpe estive per andare al mare, mi sono accorta che il diario era in fondo alla scatola. Sono stata davvero felice! Ma voglio raccontare tutto dal princi-pio. Intanto dal mese di ottobre scorso abitiamo in un appartamentino più grande, dove c'è una cameretta tutta per me. Di questo sono veramente contenta. Quando ci sono uomini in giro per casa, mi chiudo a studiare nella mia cameretta ed è come se non ci fosse nes-suno. A proposito di studiare, devo dire che, forse perché ho la mia cameretta, forse per-ché molte cose le sapevo già, sono stata promossa e sulla scheda ho avuto giudizi abba-stanza buoni.
In questi ultimi mesi mi sono successi due fatti strani, uno mi ha un po' infastidita all'inizio e l'altro spaventato, poi però mi sono tranquillizzata. La prima è che mi sono cresciuti due bozzetti sul petto e all'inizio quasi mi vergognavo a farmi vedere, poi mi ci sono abituata e la mamma mi ha fatto mettere il reggiseno. Quanto mi sento ridicola con quell'affare che mi stringe tutta! L'altra cosa mi ha fatto davvero spaventare. Verso Pasqua, una mattina sono andata a fare la pipì e mi sono accorta che le mutandine erano sporche di sangue. Non solo. Un po' di sangue mi usciva anche dalla mia cosina. Mi sembrava di essere feri-ta. "Oddio!" - ho gridato. La mamma si è affacciata e a vedermi così spaventata, si è spa-ventata anche lei. "Che ti è successo, Susanna? - mi ha chiesto. "Mamma sono ferita lì! - le ho detto piangendo. "Come ti sei ferita? - ha domandato. - Fammi vedere!" Allora ho visto che si è messa a ridere. Io l'ho guardata storta. "Come! Io sono ferita e tu ridi?". "Non sei ferita, signorinetta mia - mi ha spiegato. "Come non sono ferita? Allora il sangue?" . "No che non sei ferita. Ti è venuto il marchese".
" Che cos'è questo marchese? - ho chiesto io. Allora mi ha spiegato che quando una da bambina diventa donna, si forma dentro nell'utero come un uovo e, se non c'è il seme dell'uomo a farlo diventare bambino, si rompe e esce fuori quella specie di sangue. Mi ha aggiunto che succederà così una volta al mese e che quando viene, devo mettermi un pannolino per non sporcarmi e che quell'uscita durerà qualche giorno. "Anche a te viene?" - le ho domandato. "Certo! - mi ha risposto. -Tutti i mesi. Mi ha smesso quando ero incinta di te, poi ha ricominciato".
Mi sono tranquillizzata e mi sono detta: "Anche questa è una bella scocciatura, ma è quel-lo che si paga a diventare donne".
"Almeno ha imparato qualcosa direttamente dalla sua mamma, senza doversi rivolgere a qualche amica" - pensò Marcello.
" 11 luglio 1988: È già una settimana che io e mamma andiamo al mare a Porto Civitano-va. Mi piace andare al mare, mi piace prendere il sole, però mi sento un po' a disagio quando qualche ragazzo mi guarda. Vestita così in due pezzi, mi sembra di essere nuda. E forse capisco perché qualche ragazzo mi guarda. Quando al mattino metto il costumino e mi guardo allo specchio, mi accorgo che anche il culetto mi è un po' cresciuto e sta di-ventando bello rotondo. La mamma mi ha detto: "Sta' attenta, perché se vai adesso con gli uomini, puoi rimanere incinta". Io le ho risposto: "Mica sono scema!", poi le ho doman-dato: "E tu come mai non rimani incinta?". "Perché io gli faccio mettere come un sacchet-tino che si chiama preservativo". "Ah!" - ho esclamato, perché mi sono ricordata di quella volta che guardai dal buco della chiave.
" 24 luglio 1988: Adesso che non andiamo più al mare, la mamma ha ricominciato..." - Marcello chiuse immediatamente il diario. "Come posso dimenticare - si disse - se, leg-gendo queste cose, continuo a rivangare il loro passato. Non faccio altro che condizio-narmi mentalmente e questo non contribuisce di certo a farmi avvicinare sempre di più a loro. No! Questo passato non deve esistere più! Non voglio più leggerlo io e non deve leggerlo più nessuno. Si alzò deciso, lo mise dentro alla stufa, prese l'accendino e lo ac-cese. Mentre lo vedeva bruciare, mormorò tra sé: "Quel passato non esiste più! Per nes-suno!"

Fine del passato

Marcello non aveva voglia di mettersi a cucinare. Si preparò due panini, riempì un bic-chiere di vino e si mise a consumare quel pranzo da poco. In fondo andava bene lo stes-so per riempire lo stomaco. Quindi bevve il solito caffè, fumò la sua brava sigaretta e si stese un'oretta sul letto. E mentre rimaneva lì supino senza addormentarsi, il suo pensie-ro ritornava al come dare un addio definitivo alle "sue" donne sparse per la valle. Ormai che il suo cuore si stava legando sempre di più a Gabriella, aveva deciso, come s'era ri-petuto più volte, di tagliare definitivamente con tutte. Si sarebbe sentito veramente a di-sagio, ora, a tradire la fiducia di Gabriella. Con Noemi si era spiegato, Daniela, Rita e Si-mona sapevano e sarebbe riuscito, magari con un ultimo incontro, a dirsi addio definiti-vamente. La più difficile rimaneva sempre Rosaria. Si augurava soprattutto di riuscire ad ottenere il posto di caporeparto al Supermercato, per non avere più modo di incontrarle, tuttavia doveva comunque fare l'ultimo giro. Allora decise di andare quel pomeriggio stes-so. Così, si alzò, si lavò, si preparò, salì in macchina e partì. Pensò comunque di perdere poco tempo con loro, perché doveva portarsi avanti con gli incassi, dal momento che era rimasto davvero indietro. E ancora una volta cominciò dal posto più lontano, da Ponte Tresa e ancora una volta cominciò da Rosaria. Era deciso a chiudere definitivamente an-che con lei e se ci fosse uscito ancora un rapporto, giurò a se stesso che sarebbe stato l'ultimo. Suonò il campanello e attese. Dovette attendere diversi secondi, tanto che stava per suonare quello di Tiziana nel piano di sopra. Poi udì il rumore del citofono sollevato e gli giunse la voce un po' incerta di Rosaria. Pensò che avesse qualcuno in casa, forse il marito, allora diede alla voce un tono normale:
- Buongiorno, signora! Sono Scipioni per l'incasso della rata.
Passò qualche altro secondo prima di ricevere la risposta.
- Venga! - rispose e notò nella voce un discreto disagio.
"C'è sicuramente il marito" - stava pensando Marcello, quando gli giunse, attraverso il citofono, la voce un po' distante di un uomo che chiedeva piano: "Chi è?" e udì anche una parte delle parole di Rosaria, mentre rimetteva giù il citofono: "Il solito rom…!" "Allora non è il marito!" - pensò tra sé. Salì e Rosaria lo accolse molto fredda e sbrigativa. Aveva già preparato il soldi per la rata e volle precisare subito:
- Mi scusi, signor Scipioni, ma oggi ho proprio da fare.
- Non ci sono problemi, signora - rispose e da uno sguardo veloce, notò una borsa sul tavolo, una borsa da venditore e lei stessa sembrava che si fosse rivestita alla svelta.
"Brutta troia! - gli venne da pensare, mentre saliva le scale per andare da Tiziana. - Sem-brava che non potesse fare a meno di me, invece mi ha già trovato il sostituto. D'altra par-te - si aggiunse per conto suo - ha fatta la stessa identica cosa che ho fatto io, che ne avevo altre quattro oltre a lei". Con la sua mentalità maschilista, lì per lì ci rimase un po' male, ma fece in modo di farsela passare subito. Continuò gli incassi, cercando di sbri-garsi, senza più pensare alle "sue" donne. Anzi dalle tre che aveva lungo la strada, non andò affatto. Se gli riusciva di trovare il posto al Supermercato, sarebbe andato il suo so-stituto. Per cui, per quando giunse la sera, aveva quasi recuperato tutto il tempo perso durante il mese. A cena si consolò parlando con la figlia dei suoi progetti futuri.
- Questa mattina, Susanna, ho chiesto alla mamma se mi vuole sposare.
- Sono davvero contenta, papà! E lei che cosa ti ha risposto?
- Ebè, ci ha messo un po' a rispondermi. Ha paura che, una volta sposati, in un momento di rabbia, le possa rinfacciarle il suo passato.
- Ma tu non lo farai mai, vero?
- Gliel'ho giurato, Susanna. Non lo farò mai!
- Grazie, papà! Ti voglio ancora più bene.
- Poi c'è un'altra cosa. Questa mattina ho parlato con il tuo direttore...
- Che cosa ti ha detto di me? - chiese subito, ansiosa.
- Mi ha detto che sei una brava ragazza e t'impegni e io sono veramente fiero di te. Ma non sono andato per chiedere del tuo lavoro. Gli ho chiesto invece se al Supermercato c'è un posto anche per me, perché voglio smettere ad andare in giro tutto il giorno. Desi-dero anch'io un posto fisso, con orario fisso, senza essere impegnato a tutte le ore della giornata.
- E che ti ha detto? C'è?
- Non lì, ma nel supermercato nuovo. Forse c'è un posto di caporeparto. Parlerà con l'altro direttore e se il posto è disponibile, è sicuramente mio. Lui mi conosce da diversi anni e mi stima molto. Quindi, appena sa qualcosa, me lo fa sapere attraverso te.
- Sono davvero contenta, papà!
- Ed ora un'altra cosa, Susanna.
- Dimmi!
- Stavo leggendo il tuo diario. Ero arrivato a quando siete andare ad abitare nel nuovo appartamento, con tutti i tuoi problemi, che sono i problemi di ogni ragazza che cresce, quando ti si è sviluppato il seno e quando hai avuto la prima mestruazione...
- Chissà quante risate ti sarai fatte!
- Non ho riso per niente, Susanna. La ritengo una cosa molto seria. Poi ho cominciato a leggere qualcosa che riguardava la mamma, allora mi sono detto: "Se voglio dimenticare davvero il passato di Gabriella, non devo più sapere nulla, altrimenti mi condiziono da solo e finisco per farmi coinvolgere". Quindi, Susanna, seguendo il tuo consiglio, ho mes-so il diario nella stufa e l'ho bruciato.
- Hai fatto bene, papà. Forse avrei dovuto capirlo prima e dovevo distruggerlo io senza fartelo leggere.
- No, no, Susanna! Quello che ho letto, riguardava quasi sempre la tua infanzia e la tua adolescenza e mi ha fatto piacere saperlo, come mi ha fatto molto piacere sentire all'inizio, che cercavi il tuo papà.
- Che finalmente ho trovato! Ed ora devo darla io una notizia al mio papà.
- Che notizia?
- C'è un ragazzo che mi sta dietro e...
- E tu ti lasci stare dietro. Va benissimo! Chi è?
- È uno che lavora con me. Mi sembra un ragazzo serio e...
- E ti piace. Sono molto contento per te, Susanna! Finalmente puoi amare davvero e se dovrai darti a lui, lo farai per amore. A proposito: il tuo passato, Susanna, comincia da quando sei arrivata a Varese. Chiaro? Quello di prima non esiste più, né per te, né per me, né per il tuo ragazzo, né per nessun altro. Siamo intesi?
- Non dovrei dirglielo mai?
- Mai, Susanna! Quel passato non è mai esistito, quel passato non c'è mai stato, quel passato apparteneva ad un'altra ragazza. Anzi, da questo momento, non ne dobbiamo parlare mai più, non ne devi parlare mai più! E ora dimmi: com'è questo ragazzo?
- È alto, capelli castani, leggermente mossi, ha venticinque anni, è un bravo lavoratore e... mi piace tanto.
- È questo quello che volevo sentire. Amatevi, Susanna, e siate felici!
- Quindi, se qualche sera mi chiede di uscire con lui, mi lasci?
- Non sono io che devo darti il permesso. Sei tu che devi decidere, quando vuoi e come vuoi. Sei abbastanza matura da essere in grado di prendere le tue decisioni da sola. Cer-to, se mi chiedi un consiglio, sarò ben felice di dartelo, ma per il resto sei padrona della tua vita.
- Grazie, papà. Mi piace sentirti parlare così, perché ti posso considerare quasi un amico.
- Puoi dire un amico, senza quasi.


Nuovo lavoro, nuova vita

Il direttore del supermercato mantenne la parola data. Infatti dopo un paio di giorni, man-dò una lettera a Marcello tramite la figlia, nella quale gli diceva di presentarsi all'altro su-permercato alle nove del giorno dopo. E Marcello si presentò puntuale con una certa tre-marella dentro. Questo direttore lo accolse con molta cordialità, segno evidente che era stato raccomandato dall'altro. Gli espose brevemente il programma del suo lavoro, gli chiese se era disposto ad accettare e a risposta affermativa, gli disse che avrebbe potuto cominciare il lunedì pomeriggio della settimana successiva, quindi fra quattro giorni. Ov-viamente erano necessari tre mesi di prova, ma era sicuro che li avrebbe superati con esito positivo. Ne era convinto anche lui. Marcello trovò corretto comunicare questa noti-zia all'agente della Casa Editrice dove lavorava. Naturalmente costui, che lo considerava un amico, ne fu molto dispiaciuto e glielo disse:
- Non mi puoi abbandonare qui su due piedi! Adesso dove la trovo una persona che ti sostituisca in quattro e quattro otto? Poi, scusa, come mai questa decisione così improv-visa? In fondo sai lavorare, il lavoro ti rende molto bene. Perché vuoi andare a chiuderti dentro un supermercato a sistemare scatoloni? Non credi che ti dia più soddisfazioni e che ti faccia sentire più realizzato il lavoro che hai svolto fino ad ora?
Marcello si scusò con lui, disse che, qualora si fosse trovato in difficoltà a trovare un'altra persona, avrebbe continuato gli incassi nei momenti liberi, dato che al supermercato fa-ceva i turni, ma che ormai aveva deciso di smettere, perché preferiva dedicarsi ad un la-voro più tranquillo, anche se si trattava "di sistemare scatoloni" come diceva lui. Insomma l'agente non riuscì a fargli cambiare parere e alla fine gli disse:
- Non importa! Visto che hai deciso, trovo una persona che ti sostituisca. Anche se mi dispiace che ci lasci.
Anche questa era fatta. Non avrebbe avuto più modo di incontrare le donne della Valle e quindi la tentazione di avere rapporti con loro. E di questo ne fu contento.
Uscito dall'Agenzia, andò a trovare Gabriella e gli comunicò la bella notizia che per lui era molto importante e Gabriella ne fu molto contenta per lui, perché non conosceva i retro-scena che l'avevano indotto a cambiare attività. Parlando poi con il dottore, costui gli dis-se che tra una decina di giorni avrebbe dimesso la paziente, che ormai si poteva dire guarita. Con le cure continue e costanti il fegato aveva ripreso a funzionare perfettamen-te, quindi poteva completare a casa le ultime cure, anche se ormai si poteva dire comple-tamente guarita. Gli raccomandò che si sarebbe dovuta astenere completamente dagli alcolici. Marcello andò subito a dirglielo.
- Gabriella, tra dieci giorni potrai tornare a casa.
- Davvero? - e lo fissò negli occhi. - Marcello, ti fa piacere sul serio? Dimmi la verità!
- Perché me lo domandi, scusa? Certo che mi fa piacere!
- Sei sempre dello stesso parere nei miei confronti? Non hai cambiato idea, vero?
- Perché, Gabriella, ti vengono in mente sempre le stesse cose?
- Ho sempre paura del mio passato, Marcello!
- Senti, Gabriella, ne abbiamo già parlato e ne parlavo l'altra sera anche con Susanna. Il vostro passato comincia esclusivamente dal momento in cui siete arrivate a Varese. Quel-lo che è successo prima non deve esistere più, né per me, né per te, né per Susanna. Ti prego, non parliamone più!
- Lo spero proprio, Marcello, anche se mi pesa dentro e mi pesa molto.
- Non ci pensare! Vedrai che a poco a poco, sparirà anche dalla tua mente. Ti aiuterò io a farlo sparire dalla tua mente.
- Susanna come sta?
- Sta bene! Lavora, si comporta bene e il direttore è molto soddisfatto di lei. Poi mi ha detto che si è fidanzata.
- Si è fidanzata? Non è che qualcuno la condurrà ancora sulla strada sbagliata?
- Non ti preoccupare! È una ragazza in gamba e sa il fatto suo. Anche per lei il suo pas-sato non esiste più e le ho raccomandato di non parlarne mai con nessuno, nemmeno con il suo fidanzato.
- Ma non è poco onesto?
- No! Per lui l'onestà di lei, comincia dal momento che l'ha conosciuta. Quello che ha fat-to prima non ha diritto di saperlo.
- Tienila sotto controllo, ti prego, Marcello!
- Non ce n'è bisogno. Tranquillizzati, Gabriella! Allora, per quando tornerai a casa, ti fa-remo trovare tutto in ordine. Sta' tranquilla per questi ultimi dieci giorni, che passeranno presto. Ciao, amore mio! Ti aspetto con ansia.
- Io invece mi sento molto titubante. Ciao, Marcello. Appena ti è possibile, se vieni a tro-varmi, mi farà molto piacere.
- Certo che vengo a trovarti.
Si salutarono con un bacio e Marcello tornò a casa, perché doveva preparare il pranzo. E mentre mangiavano disse alla figlia, sia del fatto che aveva parlato con il direttore dell'altro supermercato sia della madre che sarebbe tornata a casa tra una decina di gior-ni.
- Questa, papà, per te sarà la prova del fuoco.
- Perché, Susanna?
- Perché la mamma dormirà con te e...
- Dici che deve dormire con me?
- Mi sembra normale.
- Ma non siamo ancora sposati!
- Papà...! Stavo dicendo che proprio a letto la mamma capirà se il tuo desiderio di spo-sarla è sincero.
- Perché non deve essere sincero, scusa?
- Io spero proprio che lo sia. Comunque se ne accorgerà. E ti raccomando, se ti è possi-bile, non deluderla.
- Anche tu sei un po' pessimista come lei, eh? Perché dovrei deluderla?
- Papà, io cerco di mettermi nei tuoi panni e non riesco a concepire del tutto che il suo passato non ti pesi davvero.
- Susanna, ti ho detto che non dobbiamo pensarci più.
- Scusami! Non volevo. Ma ho un po' di timore. Non ci posso fare niente.
- Allora, togliti anche tu questo timore. Vedrai che ci ameremo come ci siamo amati tanti anni fa e dal nostro amore sei nata tu.
- Papà, se sono un po' pessimista, scusami. Però sei grande!
Gli buttò le braccia al collo e gli stampò due sonori baci nelle guance.
In quei giorni che la separavano dal ritorno della mamma, Susanna fece del tutto per dare un tocco di intimità alla camera del padre, per farle trovare un ambiente accogliente e si progettò anche un suo modo per lasciarli soli. Intanto, appena poteva le faceva una visiti-na e cercava di incoraggiarla ad affrontare la realtà, assicurandole che il papà era since-ro. La madre con l'apporto della figlia, si sentì più tranquilla e aspettava con una certa titubanza il giorno in cui sarebbe rientrata in quella casa, non più da ospite, ma da ... quasi moglie. Susanna intanto, con il papà che aveva intrapreso il nuovo lavoro ed era un po' legato con gli orari, se alla sera arrivava a casa prima di lui, provvedeva a cucinare. Era un po' in ansia anche lei, perché dall'esito del primo incontro... ravvicinato di suo pa-dre con sua madre, sarebbe dipesa la loro felicità futura. Cercò di sapere esattamente dal dottore il giorno esatto in cui avrebbe dimesso la mamma e fece in modo che fosse di sabato mattina, anche se lavorava. Andò a prenderla Marcello, che aveva il turno di ripo-so. Le preparò un gustoso pranzetto, sia pure abbastanza leggero, fece sparire dalla ta-vola perfino la bottiglia di vino e mise al posto alcune bibite. Preferì anche lui mangiare senza vino, benché un bicchiere durante i pasti glieli faceva gustare di più. Gabriella era davvero rifiorita come un ramo appassito a primavera. Non molto alta, magrolina, aveva tuttavia ripreso la sua leggera rotondità e gli occhi soprattutto si erano riaccesi, erano di-ventati più luminosi, da spenti che sembravano quando l'aveva rivista la prima volta.
- Siediti, Gabriella - le disse Marcello con una carezza e l'accompagnò in poltrona.
- Ma dai, fammiti dare una mano! Credi che non sia capace di cucinare?
- A cucinare sei bravissima, ma siediti lo stesso. Riposati! Per oggi cucino io. Poi dalla settimana prossima toccherà a te.
Quando giunse a casa Susanna, la tavola era già apparecchiata e notò subito la mancan-za della bottiglia di vino. Questo fu per lei un segno di delicatezza del padre e gliene fu grata.
Mentre mangiavano, Susanna disse:
- Non vi dispiace, vero, se questa sera, appena esco dal lavoro, parto con Roberto, il mio fidanzato?
- E dove vuoi andare? - intervenne la mamma con ansia. - Sono appena uscita dall'ospedale. Mi sarebbe piaciuto stare un po' con te. Non puoi rimandare?
- Mamma, di che cosa ti dai pensiero? C'è il papà! Vado a Bergamo con Roberto. Ha det-to che vuole farmi conoscere i suoi genitori.
- Allora stai pure fuori a dormire?
- Non ti preoccupare, mamma. Ritorno domani sera.
- Che dici, Marcello, è il caso che la lasciamo andare? Non sarà poco serio agli occhi dei genitori di lui?
- Ma no, Gabriella! Qui c'è una mentalità diversa, più aperta. E se lei ha accettato, non è il caso che ci opponiamo noi. E se il ragazzo ha deciso di farle conoscere i genitori, signi-fica che ha intenzioni serie. Va' pure tranquilla, Susanna. Alla mamma penso io - e fissò la figlia per farle intendere che aveva capito. Voleva che restasse solo con la mamma. La figlia fissò a sua volta il padre per fargli intendere che aveva capito che lui aveva capito. Solo Gabriella non sembrava sicura di sé. Sembrava temesse di doversi trovare da sola con lui. Anche questo capì Susanna.
- Tranquilla, mamma, tranquilla! Non mi succederà niente e non succederà niente nean-che a te.
La ragazza tornò al lavoro e Gabriella rimase sola con Marcello, ben sapendo che sareb-be rimasta sola con lui tutto il pomeriggio, tutta la sera, tutta la notte e tutto il giorno dopo.
- Adesso, Gabriella, fai la brava e te ne vai un po' a riposare, mentre io sparecchio e ri-metto in ordine la tavola.
- Ma no, Marcello, sto bene, lo faccio io.
- No, no! Tu sei ancora debole e ti devi riposare. Dai, vieni - e, presala sottobraccio, l'accompagnò in camera. Tenendola così stretta, sentiva che tremava tutta e del resto anche lui era un po' emozionato.
- Non essere così agitata, Gabriella! In fondo ci conosciamo da più di vent'anni.
- Lo so, ma io sono agitata lo stesso. L'ho capito, sai, che Susanna lo ha fatto di proposi-to a lasciarmi sola con te. Vuole vedere fino a che punto siamo capaci di stare insieme.
- Certo che lo ha fatto di proposito. Ma, vedrai, ci abitueremo a poco a poco. Adesso non ci pensare. Tranquillizzati e riposati un po'. Ne riparliamo quando ti alzi. Ti amo, Gabriella - e nel così dire, le prese il viso tra le mani e la baciò delicatamente sulle labbra, un baci-no leggero, tenero, che durò abbastanza a lungo. - Riposati, amore!
- Marcello! - sospirò lei con le lacrime agli occhi e spontaneamente gli passò le braccia attorno al collo.
- Riposati e sii serena, Gabriella! - aggiunse e uscì per lasciare che si spogliasse.
Tornò di là a sistemare la cucina ed era agitato anche lui, perché di tanto in tanto qualche piatto gli sfuggiva dalle mani. Aveva appena finito di sparecchiare e stava preparandosi per lavare i piatti, quando lei apparve sulla porta in sottoveste. Lui la guardò.
- Che fai, non puoi dormire?
Lei si avvicinò.
- No, Marcello! Il fatto è che... sono troppo agitata. Sono agitata perché non so come sa-rà il primo... incontro con te. È come un mattone che mi pesa sullo stomaco. Quindi, se veramente mi ami, vieni di là un po' con me. Quest'ansia mi fa scoppiare.
Lui l'abbracciò con una tale passione, quasi da farle male.
- Amore, è la stessa ansia che provo io e mi sentivo quasi a disagio a chiedertelo. Ma visto che ci tieni anche tu..., togliamoci quest'ansia di dosso. Le circondò la vita e la riac-compagnò in camera. Abbassò le tapparelle, facendo filtrare solo pochissima luce, poi le si avvicinò e le sussurrò all'orecchio come se temesse che qualcuno sentisse:
- Vado un attimo in bagno. Tu aspettami dentro, però senza niente addosso. D'accordo?
- D'accordo! - rispose lei, quasi arrossendo.
Quando rientrò, con la poca luce, la vide supina, immobile e pensierosa. Anche lui lo era. Distendendosi accanto a lei, nudo anche lui, le sollevò la testa e la fissò da vicino:
- Sembriamo due giovincelli alla prima volta.
Lei sorrise.
- Infatti ero meno trepidante quella volta là.
- Chiudi gli occhi e rilassati - le sussurrò, quindi prese a baciarla sulle labbra, poi sul col-lo, sul seno, mentre lei, proprio come una novellina, azzardava le prime carezze.
- Mi piace, mi piace tanto, Marcello mio. Sono brividi che non ho più provato. Baciami e accarezzami, ti prego.
Marcello continuava a baciarla ad accarezzarla, poi la sua mano delicata scese più in basso e cominciò una serie di carezze, prima leggere, poi sempre più vivaci, fino a quan-do lei, ormai sciolta del tutto, si avvinghiò a lui con passione.
- Marcello, amore mio, ti voglio, ti voglio. Vieni tutto da me. Stringimi, stringimi. Desidera-vo tanto questo momento!
Fu un godimento immenso per Marcello e soprattutto per lei, che non aveva più goduto da allora. Si lasciarono travolgere da tutta la loro passionalità, raggiungendo un orgasmo molto intenso e quando a poco a poco l'ardore si placò, rimasero stretti, avvinghiati, esausti. Continuarono a lungo con baci e carezze, fino a quando a poco a poco si assopi-rono stretti stretti, l'uno tra le braccia dell'altra. Fu un sonno ristoratore e rilassante, tanto che quando si svegliarono, fuori era già buio.
- Amore, quanto abbiamo dormito? - sospirò lei.
- È stato il sonno necessario, dopo tanta ansia. Gabriella, lo sai che mi piaci tanto? Mi piaci molto più di allora. Ma tanto davvero - e riprese a baciarla, ripresero a baciarsi, riac-cesero il loro desiderio e godettero nuovamente.
- È stato bellissimo, tesoro! - continuava a sospirare lei. - Non mi sarei mai aspettata che dopo tanto tempo fosse stato così bello!
- Allora, amore mio - chiese lui. - che dici, possiamo stare insieme?
- Se questo è il principio, direi proprio di sì - rispose lei - e lo abbracciò di nuovo.
In cucina fu lei che volle lavare i piatti.
- Ora che so di averti ritrovato sul serio - gli sorrise - mi sento in piena forma e in casa posso fare tutto io.
La lasciò fare per farla sentire a suo agio, poi le disse:
- Che ne diresti, mia bella signora, se questa sera andassimo a cena fuori?
- Ne sarei felicissima, Marcello, ma lo sai, non posso ancora mangiare cose pesanti.
- E va bene, ti farò portare una minestrina! Quello che conta che si esca insieme.
La portò in un ristorante di Porto Ceresio e dopo cena una passeggiata stretti stretti come due innamorati, e innamorati erano davvero, sul lungo lago, ad ammirare insieme tutte quelle luci che dalla sponda svizzera, riflettendosi sull'acqua davano l'impressione di tan-te stalattiti tremolanti. Poi tornarono a casa allegri e sorridenti, andarono a letto e godette-ro ancora del loro amore. Il mattino dopo, che era domenica, andarono a messa e volle accompagnarla alla chiesa dei frati della Brunella, dove si celebra con il rito romano, mentre in tutte le altre chiese c'è quello ambrosiano. A casa prepararono da mangiare, pranzarono felici e beati e uscirono di nuovo a fare un giretto. Questa volta l'accompagnò al santuario di Sacro Monte e le disse:
- Gabriella, io e te ci sposeremo in questa chiesa.
Lei sorrise e si strinse affettuosamente a lui. Poi salirono verso il Campo dei Fiori da dove si gode uno spettacolo meraviglioso con la vista di tutti i laghi del varesotto.
Stava per farsi notte, quando Gabriella gli disse:
- Adesso, Marcello, torniamo a casa. Potrebbe arrivare Susanna ed è bene che ci trovi. Infatti Susanna tornò poco dopo. Si limitò a salutarli e a fissarli e, vedendo i loro volti ra-diosi, sorrise al padre.
Il padre per tutta risposta, le fece la linguaccia:
- Beh, che cosa vuoi?
Lei sorrise di nuovo:
- Adesso non ti si può neanche guardare.
- Sì, e raccontaci un po' di te. Raccontaci com'è andata con i genitori del tuo fidanzato.


Un'attesa per due

Cosa che succede raramente, in casa di Marcello filava tutto liscio. Lui era interessato al suo nuovo lavoro, Susanna era entusiasta del proprio, anche perché aveva a portata di mano il fidanzato, con il quale usciva spesso, per lasciare soli il papà e la mamma, Ga-briella era diventata la padrona di casa: pensava lei a cucinare e a dirigere la spesa, ac-compagnata al supermercato da Marcello, nei momenti in cui aveva tempo libero. Marcel-lo, tuttavia, voleva anche mantenere le promesse fatte. Ormai ci teneva troppo, perché era forte il legame che si era instaurato con Gabriella, per cui, senza dirle niente, andò in Comune a preparare i documenti e accennò anche al ufficiale dell'anagrafe di voler dare il proprio cognome alla figlia, quindi si recò dal parroco della chiesa di Santa Maria del Monte, per parlare del suo matrimonio. Naturalmente raccontò al frate come erano andate le cose, senza ovviamente accennare al passato di Gabriella e disse che avrebbe voluto un matrimonio in forma molto privata, senza gente e senza parenti. Il frate fu d'accordo e stabilirono la data che era il 30 ottobre, di giovedì quando al Santuario di solito capitava poca gente. Tornato a casa, mentre pranzavano tutti e tre assieme, si rivolse direttamente alla figlia, dicendo con indifferenza, come se la madre fosse già al corrente:
- Susanna, io e la mamma ci sposiamo il 30 di ottobre.
Entrambe rimasero ammutolite: la figlia per la meraviglia, la mamma per la sorpresa.
- Stai dicendo sul serio? - chiese Gabriella tutta agitata.
- Certo che dico sul serio! Sono già stato in Comune e ho anche parlato con il frate della chiesa di Sacro Monte.
- Tra così pochi giorni? Non ho neanche il tempo di prepararmi mentalmente.
- Papà, non le hai detto niente? - esclamò Susanna.
- No, Susanna! Volevo farle una sorpresa. Gabriella, - si rivolse a lei in modo serio, an-che se stava scherzando - se vuoi rimandare o se non mi vuoi più sposare, sei libera di farlo! Però ti avverto che, a lungo andare, potrei anche cambiare idea.
- Ma sì, Marcello! Credi forse che non sia contenta?
- Meno male! E tu Susanna, tra qualche giorno ti potrai chiamare Scipioni. Neanche que-sto ti sta bene?
La ragazza si alzò in piedi, lo abbracciò forte forte e lo baciò.
- Papà, sei grande, sei veramente grande!
- Oh! È già tanto che sia utile a qualcosa. A proposito. Questo lo voglio decidere con voi. Ho detto al frate che preferiamo una cerimonia in forma privata, senza la partecipazione di tanta gente. Invece lo faremo in forma sfarzosa quando ti sposerai tu. Che ne dite?
- Forse è meglio così, Marcello! - confermò Gabriella.
- E per i testimoni? - chiese la figlia.
- Li farete tu e Roberto. Gli hai spiegato come stanno le cose, vero? Senza accennare ad altro, naturalmente.
- Sì, certo! Gli ho detto che tu e la mamma foste fidanzati, che lei rimase incinta, che tu te ne andasti, senza curarti di lei, poi preso da uno scrupolo di coscienza, sei venuto a cer-carci...
- Questo gli hai raccontato? - chiese preoccupata Gabriella.
- Ma no, mamma! - rise lei. - Gli ho detto come sono andate le cose, senza accennare ad altro, come mi ha consigliato papà.
- Meno male! Altrimenti che figura gli facevi fare a tuo padre?
In conclusione fecero i loro preparativi, acquistarono vestiti adatti alla cerimonia, senza pensare ai confetti, ai mobili e ad altre spese tradizionali (giusto un fotografo per qualche foto ricordo) e senza neanche programmare il viaggio di nozze: ci avrebbero pensato du-rante le ferie estive, perché non poteva ora Marcello chiedere una quindicina di giorni al direttore. Così tutti e quattro la mattina del 30 ottobre 1997, si recarono alla chiesa di Sa-cro Monte, dove Gabriella e Marcello si sposarono e andarono al pranzo in un ristorante lì vicino. Quando tornarono a casa erano marito e moglie, un matrimonio rimandato di ven-tuno anni.
La famigliola trascorreva così le giornate lavorando e concedendosi momenti di svago nei giorni di festa.
Una sera madre e figlia erano a casa insieme e insieme preparavano la cena ed erano abbastanza taciturne tutte e due, sembrava che facessero fatica a guardarsi in faccia.
- Che cos'hai, Susanna?
- Mamma devo farti una confidenza, che lascerà molto male papà.
- Che c'è figlia mia?
- Mamma, ho paura di essere incinta.
- Anche tu?
- Perché, anche tu?
- Anch'io, Susanna, e alla mia età mi vergogno.
- Ma tu sei sposata? Devo vergognarmi io che non sono sposata.
- E adesso chi glielo dice al papà?
- Glielo dico io, mamma. Il papà è molto comprensivo. Credo che sia successo la stessa notte che è successo a te, mamma - aggiunse poi.
- Perché, a casa dei genitori, tu...
- Eh sì, mamma! Qui si usa così. Abbiamo dormito nella stessa camera in due lettini se-parati, ma sai com'è...
- Lo capisco! Anche se i lettini i erano separati, avete pensato voi ad unirvi. Almeno è stata una cosa bella?
- Bellissima, mamma! Una cosa meravigliosa! Come mi disse papà, quella volta che gli dissi di avere un ragazzo, fare all'amore quando ci si ama è bellissimo. Dimmi, mamma: è stato bello anche per te, vero? L'ho capito dai vostri sguardi luminosi, quando sono torna-ta.
- Anche per me è stato bellissimo, Susanna. Direi molto più bello di quella volta, quando rimasi incinta.
- Davvero! Credevo che andando avanti con gli anni...
- È tutto il contrario, figlia mia! Quando si è giovani, c'è passionalità, irruenza, invece con l'età matura c'è tanta dolcezza, tanta tenerezza ed è ancora molto più bello, molto più distensivo...
Sentirono girare la chiave nella serratura.
- Ecco papà! - fece sottovoce Susanna.
Marcello, tornato abbastanza stanco dal lavoro, notò qualcosa d'insolito nelle sue donne, ma non gli diede molto peso, però mentre mangiavano, Susanna gli disse, un po' a disa-gio:
- Papà, devo darti una notizia bella e... una brutta.
Si fece serio.
- Dimmi quella bella.
- La mamma aspetta un bambino.
- Cosa? - saltò su dalla sedia tutto allegro. - Bene, benissimo, Gabriella! Sono contento di diventare padre un'altra volta - poi si fece serio, forse intuì qual era la notizia brutta e guardò la figlia.
- Anche tu...
- Sì, papà! Aspetto un bambino anch'io. Mi dispiace di darti questo dispiacere. Ma... pur-troppo è successo.
Rimase serio ancora per qualche momento.
- E così divento anche nonno! Speriamo che Roberto non si comporti come tuo padre. Ma lui lo sa? Nel senso che gliel'hai detto che sei incinta?
- Sì, gliel'ho detto e mi ha risposto che a dicembre ci sposiamo.
- Già questa è una bella notizia, anche se mi dispiace che ne vai di casa così presto. E tu, Gabriella come ti senti?
- Per sentire, mi sento benissimo. Solo che un figlio a quest'età...
- Di che cosa ti preoccupi? Questa volta io ci sono! - poi si rivolse di nuovo alla figlia - Comunque, se venisse anche lui a parlarne con noi, ci farebbe piacere.
- Hai ragione, papà! Il fatto è che si sente un po' a disagio. Se vuoi, se volete, lo faccio venire domani sera. Lo posso invitare a cena?
- Certo che puoi... - risposero tutti e due assieme, poi si guardarono in faccia.
- Parla tu, Marcello che sei il capo di casa - disse la moglie.
- Il capo di casa! Il capo di casa siamo tutti. Parlo io perché sono il più anziano e ho più esperienza della vita. Invitalo pure, Susanna, e tranquillizzalo, dicendogli che i tuoi geni-tori sono comprensibili, perché anche con te successe la stessa cosa.
Così la sera dopo Roberto andò a cena, dapprima molto a disagio, poi di fronte a quei genitori così maturi, riuscì a sbloccarsi e divenne più aperto. Disse che anche i suoi geni-tori avrebbero capito e, dato che avevano avuto modo di conoscere Susanna e avevano capito che era una brava ragazza, avrebbero accolto volentieri la notizia. E lì, tutti insie-me si pensò di stabilire subito la data del matrimonio. Consultando il calendario, si vide che, con l'Avvento di mezzo, periodo in cui era vietato celebrare matrimoni, potevano fare due cose: o sposarsi tra il quindici e il venti di novembre o rimandare a uno dei giorni dopo Natale o addirittura ai primi del nuovo anno.
- Entro la metà di novembre, ragazzi, - suggerì Marcello - ho paura che non facciate in tempo. Sono troppe le cose da preparare. Vi conviene rimandare almeno a dopo Natale.
- Non vorrei - precisò Roberto - andare troppo in là, perché non mi piace che si cominci a vedere il pancino.
- Ma no! - spiegò Gabriella. - Fino a due o tre mesi il pancino non si nota ancora.
- Io comunque - intervenne ancora Marcello - consiglierei di sposarvi di domenica per un motivo molto pratico: siccome dovremo invitare parenti che vengono anche da lontano, non gli si può far perdere una giornata di lavoro.
- Tu che cosa dici, Susanna? - si rivolse a lei Roberto.
La ragazza prese il calendario tra le mani, prese a sfogliare sia novembre, che dicembre e a fare i conti con le dita per il primo periodo dell'anno nuovo, poi disse:
- Come dice mamma, il pancino non si dovrebbe vedere ancora. Che cosa ne diresti, Ro-berto, se ci sposassimo domenica 4 gennaio?
- Però il 4 gennaio siamo ancora nel periodo delle festività, durante il quale il supermer-cato lavora di più. Magari ci fanno storie. Non si potrebbe rimandare alla domenica suc-cessiva?
- Va bene! Facciamo il giorno 11 - rispose Susanna.
- Benissimo per il giorno 11. Per voi va bene? - si rivolse ai futuri suoceri.
- Perché non dovrebbe andar bene? Se sta bene a voi, per noi va benissimo - rispose Marcello.



Finalmente la pace

Quando Roberto e Susanna uscirono a fare un giro per conto loro, Marcello rimase un po' pensieroso, poi si rivolse alla moglie.
- A me, Gabriella, è venuta in mente una cosa.
- Che cosa?
- Tu da allora non hai avuto più rapporti con i tuoi, né con i genitori, né con le sorelle. Giusto?
- Purtroppo è così! Solo una sorella s'è fatta vedere un paio di volte quand'ero ricoverata all'ospedale.
- Ma prima, in tutti quegli anni, non vi siete più visti o avete fatto finta di non vedervi?
- Diciamo che a me sarebbe piaciuto riallacciare i rapporti. Qualche volta mi sono incon-trata di nascosto con mamma, ho visto di sfuggita qualche altra sorella, che spesso face-va finta di non vedermi, ma mio padre non ne ha voluto più sapere. Quando mi vedeva da lontano, cambiava strada per non incontrarmi.
- Quindi non conosce neanche Susanna?
- Ufficialmente, no! Se l'ha vista qualche volta in giro, questo proprio non saprei. Susan-na comunque il nonno non lo conosce. La nonna l'ha vista qualche volta da piccolina.
- Dev'essere di testa dura quel tuo padre, eh?
- È molto di parola. Quando ha deciso una cosa, non c'è verso di fargliela cambiare. Per-ché hai voluto sapere tutto questo?
- Perché pensavo che, in occasione del matrimonio della nipote e con il fatto che stanno per diventare nonni e bisnonni, sarebbe il caso di fare un tentativo.
- Marcello, se ci vuoi provare e ci riesci, te ne sarò molto grata.
- Va bene! Stasera, prima di andare a dormire, provo a buttare giù una lettera. Magari tu vai a letto e mi lasci solo, così, per riflettere meglio, poi domani mattina te la faccio legge-re.
- Va bene, Marcello.
- Com'è che si chiama tuo padre?
- Anselmo. Anselmo Cingolani.
- Il cognome lo sapevo - sorrise. - E tua madre?
- Palmina.
- Guarda, i loro nomi non me li ricordavo proprio. Va bene, domani mattina mi dai l'indirizzo. Lo sai, sì?
- Certo che lo so, Marcello! E siccome per scrivere vuoi restare solo, ti do la buonanotte - e gli diede un bacio.
- Buonanotte, amore mio. Fra un'oretta ti raggiungo.
Marcello, rimasto solo, accese il computer e cominciò a buttare giù, così come gli veniva: "Caro Anselmo, tu non sai chi sono. Ebbene, mi presento. Mi chiamo Marcello Scipioni e abito a Varese. Ancora ti chiederai: chi è costui e che cosa vuole da me? Te lo dico subito. Io sono quel giovane studente di Tolentino che circa ventun'anni fa era fidanzato con Ga-briella e la mise incinta. Mi pare di sentirti: Brutto maiale, adesso ti presenti? No! Con Ga-briella mi sono presentato già da alcuni mesi. Ti racconto tutto in breve. Quando eravamo fidanzati mi scrisse una lettera dicendomi che era incinta, ma io, ero un ragazzo, avevo solo ventitré anni, non le diedi peso e mi passò dalla mente. Destino ha voluto che duran-te l'estate scorsa mi sia ricapitata davanti quella lettera, che era rimasta nascosta dentro la copertina di un libro. Allora sono subito tornato per accertarmene e ho scoperto quello che Gabriella era stata costretta a fare e anche quello che la figlia, mia figlia, era stata costretta a fare. Non ci ho pensato molto, caro Anselmo! Le ho prese tutte e due e le ho portate con me a Varese. Ho fatto curare Gabriella, ho trovato un lavoro per Susanna (spero che almeno tu lo sappia che tua nipote si chiama Susanna) e ora che Gabriella è guarita, l'ho sposata e sta per darmi un secondo figlio. Anche Susanna sta per sposarsi e si sposa l'11 gennaio prossimo, perché anche lei, si è data per amore a colui che l'ama e anche lei è in attesa di un bambino, del quale tu e Palmina siete i bisnonni. Io però non l'ho costretta ad andarsene da casa. Ho fatto del tutto perché potesse sposarsi con il pa-dre di suo figlio. Ti ho scritto tutto questo perché Gabriella ci tiene molto che anche voi siate presenti al matrimonio di vostra nipote. Anselmo, (se vuoi posso pure chiamarti pa-pà) il tempo è passato, tutti abbiamo commesso i nostri errori, però io credo che prima di andare all'altro mondo sarebbe il caso di riconciliarci con Dio e con gli uomini. E special-mente con i figli.
Quindi anch'io ci terrei che al matrimonio di Susanna foste presenti, voi e anche le sorelle di Gabriella con le loro famiglie. Ne saremmo felicissimi! Ad una sola condizione, davanti alla quale non transigo, davanti alla quale sarò spietato. Nessuno, dico nessuno, si deve azzardare, né con una parola, né con un cenno, né con un risolino ironico, a fare il minimo riferimento al passato delle due donne. Esse lo hanno dimenticato, io l'ho dimenticato. Guai chi si azzarda a ritirarlo fuori! Quindi la condizione dell'invito è questa. Ti ripeto, sarò intransigente. Se mi accorgessi che qualcuno provasse a fare un solo cenno, lo caccerei via a calci nel sedere, fossimo anche in chiesa, fossimo anche a pranzo al ristorante.
Avverti pure coloro che intendono venire che queste sono le mie condizioni. Ora Gabriella è una bravissima moglie e un'ottima donna di casa. Susanna è una ragazza che lavora, stimata da tutti e prossima al matrimonio. Lo strozzerei chi si azzardasse a mettermela in cattiva luce. Spero che anche voi desideriate finalmente abbracciare quella nipote che non voleste abbracciare, accomunandola alla colpa della madre, che io non potei abbracciare, perché ne ignoravo l'esistenza.
È inutile aggiungere che tu, Anselmo, sapevi chi ero io e potevi sempre rintracciarmi trami-te i miei genitori , che purtroppo non ci sono più, i quali abitavano a Tolentino, che sono in fondo pochi chilometri da Macerata. Il passato è passato.
Ripeto: tutti possiamo sbagliare, ma quello che conta è non sbagliare più. Aspetto quindi una vostra risposta, oppure una telefonata. Però, ripeto, sappiate, sappiano tutti, che il loro passato non esiste più. Gabriella è mia moglie, Susanna è mia figlia.
Vi saluto con affetto
Marcello
Quindi aggiunse l'indirizzo e il numero di telefono. Quando Gabriella la mattina dopo les-se le lettera, gli domandò:
- Non sei stato un po' troppo duro?
- Vedi, Gabriella? Vorrei che fosse chiaro a tutti che nessuno si deve permettere di getta-re fango su di voi, che sarebbe poi gettarlo su di me. Comunque, se vuoi, posso cambia-re qualcosa.
- No, no, Marcello! Tu hai scritto quello che ti sei sentito di scrivere ed è giusto che resti quello.
- Vuoi mettere i tuoi saluti?
- Sì, però a mano, mica con il computer e scrisse sotto: "Cari papà e mamma, come vi ha detto Marcello, vorrei finalmente che dopo tanti anni, potessimo rifare la pace. E il matri-monio di Susanna potrebbe essere l'occasione buona. Vi bacio con affetto e vi aspetto, Gabriella".
Spedirono la lettera e rimasero in attesa, non facendo molto affidamento al fatto che il padre potesse cambiare idea. Invece un pomeriggio di tre giorni dopo, mentre Gabriella era in casa da sola, squillò il telefono e andò a rispondere:
- Pronto!
- Che sei Gabriella? - sentì una voce commossa dall'altra parte. Non la riconobbe, ma intuì chi fosse.
- Mamma, sei tu?
- Sì, sono io, figlia mia. Come stai? - non disse altro, perché cominciò a singhiozzare e anche a lei stava per uscire qualche lacrimone.
- Mamma, io sto bene! Dai non fare così! - ma la donna anziana dall'altra parte non ri-usciva a calmarsi. Sentì la voce di suo padre: "Che piangi sempre! Dammi qua!".
- Pronto, Gabriella? Sono tuo padre. Stai bene, sì?
- Io papà sto benissimo e tu?
- Sto bene anch'io. Starei meglio se mi avessi invitato al tuo matrimonio.
- Perché, ci saresti venuto? - rispose con una lieve ironia.
- Eh... non lo so.
- Allora che ti invitavo a fare? Poi abbiamo fatto una cosa molto privata.
- Comunque ho letto la lettera di tuo marito, così io e tua madre abbiamo deciso di venirti a trovare. Possiamo venire o ti dispiace?
- Che mi dispiace, papà! Ne sarei contentissima! Anche Marcello ne sarebbe felicissimo. Così potete conoscere Susanna.
- Va bene, Gabriella! Salutaci tuo marito e la nipote nostra, che non mi ricordo neanche come è fatta.
- Quando venite?
- Magari la settimana che viene. Te lo faremo sapere. E ora ti saluto. Ti saluto anche per tua madre che è ancora commossa.
- Dille che sto benissimo, papà. Vi aspettiamo.
- Allora ci vediamo la settimana che viene.
Quando alla sera tornarono a casa Marcello e Susanna, fu la prima cosa che comunicò loro. Marcello ne fu contento, anche se ancora un po' scettico. Susanna fu contenta da un lato e di meno dall'altro. Temeva che venisse tirato fuori il loro passato. Marcello glielo disse:
- Non ti preoccupare! Nella lettera sono stato categorico: il primo che si azzarda, lo butto fuori a calci.

Incontri in famiglia

E vennero davvero. Una sera telefonarono di nuovo e questa volta fu Marcello a rispon-dere.
- Pronto!
- Pronto! Tu sei Marcello, vero?
- Sì, sono io. E tu sei Anselmo, o papà se vuoi. Mi sbaglio?
- Non ti sbagli. Puoi chiamarmi papà, che mi fa piacere. Come avevo detto a Gabriella, avremmo deciso di venire io e Palmina. Veniamo domani che è domenica, così non ti di-sturbiamo nel lavoro. Se non ti dispiace, naturalmente!
- Mi dispiace? Ma vuoi scherzare? Io sono contentissimo, così almeno vi riparlate con Gabriella. A che ora partite?
- Partiamo da Porto Civitanova con il treno direttissimo delle sette e ventiquattro e arri-viamo a Milano verso mezzogiorno. Poi non so a che ora c'è il treno per Varese.
- Non vi preoccupate. Veniamo io e Gabriella a prendervi alla stazione di Milano con la macchina.
Gabriella era molto emozionata per quell'incontro, dopo tanti anni e tante umiliazioni.
- Speriamo che non cominci con la solita predica - sospirò.
- Non ti preoccupare! Tuo padre è molto rigido, ma è anche intelligente e se ha deciso di venire significa ha anche deciso di dimenticare il passato.
Infatti l'incontro fu molto commovente sia da parte della madre che da parte della figlia. E anche il padre, quando si trovò ad abbracciarla non mancò di commuoversi anche a lui.
Quando strinse la mano a Marcello, asciugandosi gli occhi con il risvolto della sinistra, gli mormorò:
- Tu, Marcello, sei un galantuomo. Sono contento di te.
Come sentì la moglie che stava per dire a Gabriella:
- Figlia mia, in tutti questi anni... - il marito la guardò, si mise la punta del dito indice ver-ticale sulle labbra e disse con tono deciso:
- Palmina!
La mamma capì che non avrebbe dovuto accennare al passato e si limitò a domandare come stava adesso, come andava con Marcello, come stava la nipote, quant'era cresciu-ta, che aveva tanta voglia di rivederla e di abbracciarla.
Anche durante l'incontro con la nipote i nonni furono molto emozionati e anche Susanna non riuscì a frenare la commozione. Il nonno in particolare l'abbracciò stretta stretta con le lacrime che non riusciva a frenare. Quando infine si calmò, prese il genero da parte e gli disse:
- Marcello, questo fammelo dire: quella è la vera figlia mia, quella è la vera nipote mia e tu sei un vero galantuomo.
Marcello gli sorrise e gli batté la mano sulla spalla.
Ormai che si era instaurata quella confidenza che mancava da tanti anni, Gabriella chiese notizie anche delle sue sorelle e così seppe che le due più grandi, Giuseppina e Pinuccia erano già diventate nonne, mentre quelle più piccole di lei, Savina e Lorenza erano anch'esse sposate e avevano la prima due figli e la seconda tre.
- Poi non lo sai che Savina sta a Como? - concluse la madre.
- A Como? - esclamò Gabriella. - Non ne sapevo niente. Marcello, hai sentito che una mia sorella abita a Como?
- Como? - esclamò anche Marcello. - Non sono neanche trenta chilometri. Falle telefona-re dalla mamma e dille di venirci a trovare.
Quando la madre la chiamò e le disse che era a Varese, ma senza specificare il motivo, la figlia si meravigliò molto.
- A Varese!? E che cosa ci fate a Varese?
- È una sorpresa. Stiamo a casa di un signore. Perché non ci vieni a trovare?
Fatto e stabilito, la mamma le diede l'indirizzo ed ella rispose che sarebbe venuta nel po-meriggio con il marito.
- Anche con il traffico ci impiegheranno meno di un ora - spiegò Marcello, mentre pran-zavano.
Verso le quattro, quando sentirono suonare il campanello, Anselmo disse subito:
- Sono loro. Andiamo giù io e te, Marcello a riceverli.
Come aprì la porta, il vecchio baciò la figlia e il genero, poi disse a lei:
- Tu, Savina, sai chi è questo signore?
Savina lo guardò seria.
- Veramente... mi pare una faccia conosciuta, ma... - poi lo fissò ed esclamò tutta emo-zionata, mentre Marcello le sorrideva - No, non è possibile! Non ci posso credere! Ma se tu e mamma siete qui… Non ci posso credere! Sì che sei tu! Com'è che ti chiami? Non è possibile!
Il marito che era rimasto lì così, si sentì di chiedere:
- Volete spiegare anche a me questa cosa?
Intervenne ancora il padre.
- Prima di ogni altra spiegazione, leggete qui e badate bene a quello che c'è scritto - e tirò fuori la lettera che gli aveva spedito Marcello.
Man mano che leggevano, non mancavano le esclamazioni di meraviglia, specialmente da parte di Savina che, come stava riconsegnando la lettera al padre, costui ripeté:
- Avete capito bene quello che c'è scritto? Mi raccomando eh! Neanche una parola!
- Papà, ti pare che noi...! - rispose lei. - Ma prima fammi abbracciare mio cognato - e lo abbracciò con molto trasporto, esclamando - Bravo, Marcello! Ci fa molto piacere!
- Ma tu lo conoscevi? - le chiese il marito.
- Ti pare che non conoscevo il ragazzo di mia sorella. Andiamo su che ho voglia di rive-derle.
Ancora abbracci, ancora baci, ancora forti emozioni da parte di tutti e mentre facevano i complimenti anche a Susanna, Savina, prendendo sottobraccio la sorella, le disse:
- Fammi vedere la tua bella casetta.
Come si trovarono sole in camera, Savina l'abbracciò ancora:
- Sorella mia ci devi perdonare tutti per come ti abbiamo trattata. Ma ora ti vedo rifiorita, ringiovanita, più bella, più radiosa. Sembri un'altra.
- L'amore fa questi miracoli, Savina, e Marcello ha saputo fare questo miracolo.
- Sono immensamente felice per te Gabriella, dopo tutte le sofferenze e le umiliazioni che hai subito.
- Ormai è passato. Non farti sentire da lui - aggiunse - Non vuole che si rivanghi il passa-to.
- Hai ragione, Gabriella, non parliamone più. Papà mi ha fatto leggere la lettera. Così sei in attesa di un bambino?
- Eh sì! Succede quando si ama! Mi vergogno un po' per la mia età, ma sono contenta, perché mi unirà ancora di più a lui.
- Ma quale età! Sei ancora giovanissima! Io ti faccio i miei più cari auguri, Gabriella. E adesso andiamo di là. Voglio godermi un po' anche la mia nipotina.
Anche mentre tornavano a casa verso Como, Savina non faceva altro che ripetere:
- Non ci posso credere! Un cambiamento così non me lo sarei mai aspettato. Ma tu pen-sa, Giulio! Quando la vedevo per la strada, mi faceva pena per com'era ridotta. Sembrava vecchia, aggobbita, gli occhi spenti. Invece hai visto adesso come s'è fatta bella, radiosa, felice, innamorata del marito.
- Però anche lui ne ha avuto di coraggio.
- Cosa vuoi? Appena gli è ricapitata tra le mani la lettera...
- Forse ha capito che aveva sbagliato e ha voluto riparare.
- Eppure mi sembra molto innamorato.
- Si vede che gli si è risvegliato l'amore di allora.
- E Susanna? La vidi quest'estate, quando eravamo giù in ferie. A te non dissi niente. Era e sembrava proprio una puttanella. Seduta sul muretto, con quella gonnellina corta corta che le si vedeva pure la misericordia e la camicetta, che sembrava un niente e non copri-va niente. Invece hai visto ora: una ragazza seria, matura, che lavora.
- Però si è lasciata mettere incinta lo stesso.
- E questo che cosa c'entra? Quando si ama... Perché a me non successe la stessa co-sa quand'eravamo fidanzati?
- Sì, però voglio dire: voi sorelle non vi sentite tutte in colpa nei confronti di quelle due? Se le aveste aiutate invece di abbandonarle a se stesse, non sarebbero state costrette a fare quello che hanno fatto.
- Tu hai ragione, Giulio! Ma venimmo tutte condizionate da papà. "Se vi vedo con quella lì - diceva - vi spezzo una gamba".
- E adesso che l'ha vista sistemata è tutto entusiasta anche lui.
- Ormai è vecchio e si sarà rassegnato. Comunque al matrimonio ci andiamo e per ripara-re le dobbiamo anche fare un bel regalo.
- Toccherà fare un regalo anche a Gabriella. Anche lei si è sposata.
- E certo che dobbiamo fare un regalo anche a lei.
- Chissà come la prenderanno quelle laggiù! - concluse il marito.
Quelle laggiù non fecero che correre tutte dal padre e dalla madre, appena i due anziani genitori tornarono a casa e rimasero meravigliate a sentire quello che avevano visto e tutte avrebbero voluto correre a Varese per poter vedere anche loro la sorella e la nipote come si erano trasformate. Qualcuna tentò anche una telefonata a titolo di rappacificazio-ne, che fece molto piacere a Gabriella.


Pericolo superato

Ne parlavano così frequentemente che la notizia correva di bocca in bocca e giunse an-che alle orecchie di chi non doveva sentire. Ci fu uno infatti, un uomo sulla cinquantina, che spesso aveva frequentato Susy, sparita così all'improvviso, tanto che era corsa voce che fosse stata rapita da qualche magnaccia albanese o uccisa da un maniaco. S'informò bene, senza dare a vedere, dove poterla trovare e venne a Varese. Entrò nel supermer-cato, la vide, la riconobbe, anche se così trasformata, attese e la seguì quando uscì. Vide che si avviava verso la corriera, la seguì e la raggiunse.
- Ciao, Susy! Finalmente ti si rivede!
Lei si voltò di scatto, lo guardò e appena lo riconobbe, a momenti cadeva svenuta.
- Che cosa vuoi da me?
- Che discorsi? Quello che mi hai sempre dato, no?
- Vattene! - gli rispose sgarbata. - Ormai sono un'altra persona.
- Come vattene? Prima di sposarti, non vuoi farmi un ultimo regalo? Ti pago come sem-pre, che cosa credi?
- Ti ho detto vattene!
- Non vorrai mica, Susy, che racconti tutto al tuo fidanzato? L'ho visto, sai? È anche un bel ragazzo. Comunque, domani t'aspetto e se non ci stai, spiffero tutto e gli faccio sape-re quello che eri prima. A domani, Susy!
La ragazza salì sulla corriera terrorizzata e quando giunse a casa, si buttò sul letto e pre-se a piangere disperatamente, tanto che la madre non riusciva a consolarla e non sapeva neanche che cosa potesse fare per lei.
- Adesso tranquillizzati e aspettiamo il papà. Caso mai domani viene a prenderti lui e cer-ca di sistemare la faccenda.
- Lo capisci, mamma, che quello lì ha visto anche chi è il mio fidanzato? Se parla, per me è finita, mamma. Sono costretta ad andare sulla strada un'altra volta.
Quando tornò Marcello, le trovò disperate tutte e due.
- Papa, è terribile! - gli adisse abbracciandolo e piangendo.
- Susanna, sediamoci e raccontami quello che è ti è successo - le disse preoccupato an-che lui, cercando di mantenersi calmo.
- Mentre uscivo dal supermercato - raccontò tra le lacrime - m'è comparso all'improvviso uno di quelli che giù era stato più volte con me. Ha detto che se non vado ancora con lui, racconta tutto a Roberto.
- Non ti preoccupare, Susanna, che il tuo papà risolve ogni problema.
- È il caso di denunciarlo? - suggerì Gabriella.
- Neanche a pensarci. Così, tra polizia, giudici e avvocati, viene fuori tutta la faccenda. Ma nessuno si deve permettere di infangare l'onore di mia figlia - esclamò deciso, poi ag-giunse. - Tu lo conosci bene, sai chi è, dove abita, se è sposato, se ha figli?
- Che cosa vuoi fare, Marcello? - si preoccupò Gabriella, temendo qualche sua vendetta.
- Non ti preoccupare! Lasciami sentire la ragazza. Allora, lo conosci bene?
- Si che lo conosco bene! Abita a Macerata vicino alla stazione, tanto che una volta pas-sando con la macchina, mi disse: quella è la mia casa. So che ha la moglie professoressa con cui non va d'accordo, perché, mi raccontava, non era mai disposta ad accontentarlo, poi ha una figlia di cui mi parlava spesso. La mia adorata Cecilia, diceva.
- Quanti anni credi che possa avere la ragazza?
- Si è sposato tardi. Credo una quindicina d'anni.
- È l'età in cui un padre si sente più legato alla figlia.
- Ci dici che cosa vuoi fare? - chiese di nuovo Gabriella.
- Solo qualche minaccia, tanto per spaventarlo. Non vi preoccupate, non ho mai ammaz-zato nessuno e credo che non lo farò mai. Sai che fai, Susanna? Tu, domani sera, quan-do ti ferma ancora, invitalo a casa?
- Ma che cosa dici, papà?
- Marcello! Fino a questo punto?
- Ci sarò io! Che cosa credete? Tu invitalo a casa, però non salire con lui in macchina. Predi l'autobus come al solito e gli dici di seguirti.
- Papà, sei sicuro di quello che mi consigli?
- Sicurissimo, Susanna! Non ti devi preoccupare di nulla. E quando sei entrata, accom-pagnalo in camera.
- Pure in camera? Se dopo quello comincia?
- Non glielo permetterò. Io starò nascosto dentro l'armadio.
- Ma come faccio io a sapere che ci sei?
- Ci sarò, non ti preoccupare. Comunque, per tranquillizzarti - prese dal tavolo un ro-manzo che aveva cominciato a leggere - metto questo libro sul tavolinetto del telefono. Tu appena entri, se vedi il libro, va' pure tranquilla.
- Io però, papà, ho paura lo stesso.
- Fidati del tuo papà, Susanna e fa' come ti ho detto.
- E la mamma?
- La mamma si nasconderà qui in sala.
- Mi fido di te, papà. Ma se lui mi chiede di voi?
- Gli dici che siamo andati nelle Marche a richiedere i documenti per il tuo matrimonio.
La sera dopo, appena uscita dal supermercato, se lo trovò dietro.
- Allora, Susy?
- Per questa volta ho deciso di accontentarti. Però che sia l'ultima.
- Meno male che sei stata ragionevole. Così poi potrai sposarti in pace. Dai, sali in mac-china con me.
- No, io vado in corriera come sempre. Non vorrei che qualcuno del supermercato mi ve-desse. Ormai mi conoscono tutti. Tu seguimi in macchina, poi ti faccio salire in casa.
- Ma in casa chi c'è?
- Sono sola. Chi vuoi che ci sia? Papà e mamma sono andati nelle Marche per i docu-menti del matrimonio.
- D'accordo! Allora seguo la corriera.
La seguì e quando la vide scendere, posteggiò la macchina e la raggiunse.
- Non starmi troppo vicino - gli disse.
- Hai ragione! - non deve sospettare nessuno.
Raggiunto il pianerottolo, lei aprì la porta e guardò subito sul tavolinetto del telefono. Il libro c'era, quindi c'era anche il papà a proteggerla. Si sentì più tranquilla. Entrò, lo fece entrare e chiuse a chiave la porta da dentro. Si tolse il soprabito e anche lui si tolse il cappotto.
- Andiamo in camera e facciamo una cosa alla svelta.
- Perché alla svelta? Chi ci viene dietro? - rispose lui.
- Potrebbe arrivare il mio fidanzato, no?
Ormai erano in camera.
- E allora facciamo una cosa alla svelta - e la rovesciò sul letto. Lui ormai era tutto preso a quello che credeva stesse per succedere, invece gli occhi della ragazza guardavano dietro, seguendo quello che stava succedendo davvero. Vide suo padre che, uscito silen-ziosamente dall'armadio, prese l'uomo per le spalle e lo scaraventò contro la parete.
Costui, senza sapere quello che stava succedendo, diede una capocciata contro il muro e andò a finire lungo per terra. Solo allora si accorse di Marcello.
- Questo è solo l'inizio - lo minacciò. - Se ti azzardi poco poco a dire una sola parola ad una persona qualsiasi di quello che era prima questa ragazza, vengo giù a casa tua a Macerata e ti riduco a pezzettini tanto piccoli, da volerci la lente d'ingrandimento per tro-varli tutti, poi prendo la tua adorata Cecilia e faccio altrettanto con lei.
- Che cosa c'entra mia figlia, adesso? - sospirò spaventato, mentre tentava di alzarsi.
- Perché, questa qui chi è, non è mia figlia?
L'uomo si rese conto di averla combinata grossa.
- Mi sono comportato da vero idiota. Ti chiedo scusa e vi chiedo scusa. Dimmi quanto vuoi per non denunciarmi. Non vorrei mai che mia figlia venisse a sapere che suo padre è uno sporcaccione.
- Non voglio niente! - rispose Marcello. - Voglio soltanto che te ne torni a Macerata e ti dimentichi di tutta questa storia e di tutto quello che è stato prima. La ragazza di prima si chiamava Susy, mentre quella di adesso si chiama Susanna ed è un'altra ragazza. Seria, lavoratrice, che sta per sposarsi. E mi auguro solo che lo spavento non le abbia portato guai al bambino che sta crescendo lì dentro.
L'uomo diede istintivamente un'occhiata al pancino di Susanna e mormorò:
- Spero davvero di no! Però, senti, prima che mi cacci via, permettimi una domanda. - Intanto era apparsa Gabriella, preoccupata anche lei, e l'uomo spontaneamente la salutò - Buonasera signora! - al che Gabriella rispose seria con un cenno del capo.
- Che domanda mi vuoi fare?
- Vedo che, giustamente, a questa figlia ci tieni tanto. Allora perché...?
- Ho capito. Devo raccontare anche a te tutta la storia.
- Ma papà! - osservò seccata Susanna.
- Vedi, Susanna, tutti gli uomini, anche i più depravati, conservano in fondo una parte di umanità. E questo signore qui, che non mi ha detto come si chiama...
- Silvestro - disse subito lui.
- Silvestro - continuò - è un uomo anche lui, è una padre anche lui attaccato a sua figlia come me e ha capito che un padre fa del tutto per difendere la propria figlia. Perché dun-que non farglielo sapere? Andiamo di là in sala e sediamoci. Gabriella, ci prepari un caf-fè, per favore? - e in attesa del caffè, seduti su divano, Marcello continuò. - Avevo ventitré anni, quando ero fidanzato con la madre che rimase incinta. Studiavo a Macerata, perché sono di Tolentino.
- Di Tolentino? - si meravigliò l'uomo.
- Sì, di Tolentino. Poi venni a Varese, trovai lavoro e vi rimasi e mi dimenticai completa-mente di lei, che mi aveva scritto di essere incinta. Ero un ragazzo e non mi posi troppi problemi. Lei, sola e abbandonata dalla sua famiglia, dovete arrangiarsi e anche Susan-na, crescendo, dovette arrangiarsi. Dopo circa ventuno anni, casualmente la lettera di allora è rispuntata fuori, così sono tornato giù, le ho ritrovate, le ho portate con me, ho sposato la madre e ho trovato un lavoro onesto alla figlia, che sta per sposarsi anche lei. Secondo te, non dovrei diventare una bestia contro chi tenta di gettare fango su mia fi-glia?
- Senti, Marcello, io mi pento amaramente e ti giuro che mi sarei comportato peggio di te. Quindi vorrei riparare. Mi permetti di riparare?
- Ti ho già detto che non voglio soldi.
- Ma un regalo per la sposa mi permetti di farlo?
- Un regalo per la sposa è sempre bene accetto.
- Un'altra cosa. Vorrei che mi dessi il numero del tuo telefonino?
- A che cosa ti serve, scusa?
- Per sapere di tanto in tanto se la giusta preoccupazione che ho dato alla ragazza, non abbia in qualche modo nuociuto al bambino. Ti giuro che del bambino non sapevo niente.
- Va bene! Se è per questo, non ci trovo niente di grave - e glielo diede.
L'uomo, molto mortificato, ma in qualche modo rilassato, se ne andò chiedendo scusa ancora. Però la sera dopo si fece ancora vivo. Fece consegnare alla signora Scipioni una bellissima carrozzina, con un biglietto di auguri e un bel mazzo di fiori. Su bigliettino c'era scritto: "I miei più sinceri auguri per un tuo futuro sereno. Silvestro, un amico di tuo papà". Tanto che Marcello dovette osservare ancora:
- Che vi dicevo? In ogni uomo, fosse il più depravato, c'è sempre un briciolo di umanità.
E quell'uomo depravato, di tanto in tanto si faceva sentire, per sapere come andava la gravidanza di Susanna e quando Marcello rispondeva che andava tutto bene, diceva: "Meno male che non gli è successo niente".

Troppo anche per lui

A parte quel fatto sporadico, non ci furono altre persone a turbare la serenità di Susanna e di tutta la famiglia. Intanto era arrivato dicembre e l'inverno era nel pieno del suo corso con giornate umide e fredde, anche se la neve, che ormai comincia a cadere raramente, s'era vista giusto di sfuggita. E cominciarono i preparativi. Intanto ci voleva un apparta-mento per gli sposi. Non andava bene quello di Roberto, che era un monolocale, né tanto meno quello di Marcello, già stretto per loro tre. Anche se Roberto, con i suoi risparmi e chiedendo un mutuo, dato che lavorava anche Susanna, avrebbe avuto intenzione di comprarselo, non potevano fare così tutto di corsa, con il primo che capitava. Quindi de-cisero di affittare per ora un bilocale arredato, poi con tutta calma avrebbero trovato quel-lo più adatto per loro con i mobili fatti su misura. Fu Marcello, con le sue conoscenze a darsi da fare e riuscì a trovare quello che gli sposini cercavano, non molto lontano dal suo e il motivo era evidente: nato il bambino e riprendendo Susanna a lavorare, lo avrebbe affidato alla mamma, già impegnata con un altro. Non si poteva fare affidamento con i genitori di Roberto che abitavano a Bergamo. Risolto il problema più urgente, ci si diede da fare per le altre spese: i vestiti in modo particolare e in modo più particolare ancora, quello della sposa.
A Gabriella, di tradizioni diverse, era venuto un dubbio:
- Susanna, pensi che sia il caso di indossare proprio il vestito bianco?
- Perché, mamma?
- Sai, così! Il fatto che sei in attesa... La gente potrebbe aver da ridire.
Ma Roberto fu inflessibile verso quella mentalità.
- Che cosa ce ne frega a noi della gente? Poi anche se è in attesa? Intanto non si vede neanche, poi sarebbe come farlo sapere a quelli che non lo sanno. Se Susanna ci tiene, deve indossare l'abito bianco.
Anche Marcello fu d'accordo, però quando rimase solo con lei, glielo disse:
- Ci scommetto, Gabriella, che hai paura della critica delle tue sorelle.
- Se devo essere sincera, sì, Marcello.
- A parte il fatto che le tue sorelle se ne sono sempre infischiate di te, quando eri in diffi-coltà, se ti dovessero dire qualcosa, rispondi che qui si usa così.
Poi c'erano da far stampare le partecipazione con gli inviti a pranzo, allora, seduti accan-to al tavolo della sala, Marcello, Susanna, Roberto e Gabriella si diedero al conteggio dei parenti e degli amici da invitare. Veniva un numero che superava il centinaio. Decisero di farne stampare di più, qualora qualcuno fosse sfuggito loro. Infine i confetti: tante bombo-niere quante erano le famiglie invitate, più un certo numero di sacchettini, più diversi chili sfusi, da offrire a chi sarebbe venuto a consegnare i regali.
Marcello, non è che si fosse pentito del passo fatto, ma si avvide che tutte quelle spese comportavano un certo numero di milioncini, tutti soldi che era riuscito a risparmiare con il suo lavoro di venditore a domicilio. Alla fine, tanto per consolarsi, si disse: "I soldi sono fatti per spendere". Per cui il mese di dicembre, con tutto i freddo che faceva, fu un corri corri per Marcello e i futuri sposi, nelle poche ore di tempo libero di cui disponevano.
Corri oggi, corri domani, si stava avvicinando Natale, il Natale del 1999.
Si credette opportuno invitare a pranzo i genitori di Roberto, che vennero carichi di regali e regali ricevettero anche loro.
- Che cosa ci combina questo qui? - disse il padre di Roberto a Marcello, riferendosi al fatto che aveva messa incinta Susanna.
- Quello che combinano tutti e due! - rispose sorridendo Marcello. - D'altra parte aggiun-se - quello che conta che l'abbiano fatto per amore e che abbiano deciso di sposarsi, piut-tosto che pensare ad abortire.
- A questo no! - intervenne sua madre. - Appena me l'ha detto, io sono stata rigida. È successo e te la sposi - gli ho detto. - Di aborto non se ne parla neanche.
- Guarda, mamma, che è quello che avevamo già deciso noi - rispose prontamente lui. - Noi non siamo di quelli che buttano via i figli.
In definitiva Marcello e Gabriella videro che i genitori di Roberto erano brave persone e di questo ne furono contenti.
Passò dunque il Natale, passò il Capodanno, con un lavoro massacrante al supermercato e arrivò anche la mattina dell'11 gennaio 1999 e con essa una marea di parenti. Vennero tutte le sorelle di Gabriella con le loro famiglie e finalmente si poterono abbracciare, an-che se già qualche volta si erano sentite per telefono. Da parte di Marcello non arrivò molta gente, solo qualche amico di Varese, perché giù a Tolentino non aveva parenti. L'unica sorella che aveva, risiedeva da anni in Argentina e si limitò ad inviarle la parteci-pazione, tanto non sarebbe venuta. Ma i parenti di Roberto erano davvero molti e si dove-te preparare il ricevimento in casa degli sposi che era un po' più spaziosa di quella di Marcello.
Com'era ovvio, vestito molto elegantemente, fu il padre ad accompagnare la sposa all'altare nella Basilica di San Vittore e mentre la consegnava al prossimo marito e mentre si stringevano la mano e si baciavano, Marcello gli sussurrò piuttosto commosso:
- Da questo momento, Roberto, è sotto la tua protezione.
- Sotto la mia protezione può stare tranquilla - rispose lui con un sorriso.
E Susanna si sposò con la chiesa piena di amici, parenti e colleghi di lavoro. Ci si com-mosse al solito, fu versata qualche lacrima dalle rispettive mamme, come sempre succe-de. E quando la sposina apparve sul portale della Basilica sorridente e radiosa, tutta ve-stita di bianco, sottobraccio a suo marito, la gente che occupava tutta la piazza, prese ad applaudire e a gettare manate di riso, con gli sposini che tentavano di ripararsi l'uno con l'altro. Ci fu, è vero qualche zia, come aveva sospettato Marcello, che ebbe da ridire del vestito bianco: "Dopo tutto quello che c'è stato e poi col bambino nella pancia, è una pre-sa il giro". Ma pensò Anselmo a zittirle: "Ricordatevi della lettera di Marcello. E io non vo-glio scandali durante la cerimonia! Poi qui si usa così e basta!".
Ci fu infine il pranzo con tavolate enormi in un ristorante da dove si dominava tutta la cit-tadina di Ponte Tresa con il lago davanti, che era un vero spettacolo e la gente, per poter gustare il panorama in quel pomeriggio di sole rigido, si affacciava sul terrazzo con tutto il freddo che faceva. Come si fece buio gli sposini partirono in viaggio di nozze per l'Egitto, dove ritrovare un po' di caldo e fu Marcello ad accompagnarli all'aeroporto della Malpen-sa.
Poi, dopo quindici giorni ritornarono e ripresero la loro quotidiana vita lavorativa. Giunse la primavera e i pancini di Susanna e di Gabriella crescevano a vista d'occhio, poi giunse anche l'estate e nel mese di luglio, durante il periodo del gran caldo, a pochi giorni di di-stanza l'una dall'altra, vennero ricoverate in maternità per l'imminente parto. Quelli furono momenti tormentosi per Roberto, ma soprattutto per Marcello, in ansia per la figlia e ancor più per la moglie. Era in attesa davanti alla sala parto, macinando chilometri di sospiri in quello stretto corridoio e sostando di frequente vicino alla finestra aperta per succhiare una sigaretta dopo l'altra. Finalmente la sua ansia finì. Gabriella, senza troppe difficoltà, ebbe un'altra femminuccia, mentre Susanna il primo maschietto.
Dopo qualche mese Susanna riprese il lavoro e dovette lasciare il suo maschietto che aveva chiamato Moreno, alla nonna la quale aveva da curare anche la sua femminuccia, a cui aveva messo nome Milena, senza che quel nome ricordasse qualche persona parti-colare. Semplicemente perché era piaciuto a lei e al marito.
Così, nei momenti in cui era a casa, anche lui doveva collaborare con la moglie ad im-boccare, a cambiare i pannolini a quei due cosini che strillavano uno più dell'altra, che si facevano la pipì addosso e spesso addosso a chi ce lì aveva in braccio. E Marcello, tra un pannolino e un biberon, rifletteva per conto suo e gli veniva da pensare: "Ho fatto tanto per non sposarmi, per rimanere solo, per non avere problemi con i figli ed ora che cosa mi ritrovo? A quarantasei anni mi ritrovo ad essere papà e nonno nello stesso tempo". Poi, per consolarsi si diceva che senza tutto questo, la vita non avrebbe senso. Però lui che era stato fondamentalmente un donnaiolo, che si era invischiato con tutte quelle casalin-ghe sposate, perché a nessuna venisse la tentazione di proporgli il matrimonio, ritrovarsi ora ad essere papà e nonno nello stesso tempo, anche per lui era un po' troppo.


Giugno 2005

 

webmaster Fabio D'Alfonso


 
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