Opuscolo antifascista di "Nuova Libertà"
diffuso clandestinamente in occasione
del "Plebiscito"

1929

 


il primo dovere: conquistare la nuova libertà

I. La Libertà.

La libertà è per te, operaio che mi leggi, il diritto di rifiutare il tuo lavoro se le condizioni, che ti sono offerte dal padrone, non ti convengono; il diritto di accordarti coi tuoi compagni per offrire o rifiutare collettivamente il lavoro delle tue braccia; il diritto di muoverti per cercar lavoro da una fabbrica all'altra, da una città all'altra, senza render conto dei tuoi movimenti a nessun sindacato, a nessun fascio, a nessuna questura. La libertà è per te, industriale, il diritto di scegliere per i tuoi capitali l'investimento che ti sembra più produttivo, senza domandare permessi e pagar taglie ai burocrati di Roma e ai ras provinciali. La libertà è per te, commerciante, il diritto di andare all'estero quando lo richiedano i tuoi affari, senza dover prima render conto a nessuno delle tue opinioni politiche, senza dover aspettare settimane e mesi per ottenere il passaporto, senza dover versare beveraggi a nessun fascista per ottenerlo. La libertà è per te, avvocato, ingegnere, ragioniere, il diritto di esercitare il tuo ufficio senza perdere il pane se difendi in un processo civile un antifascista, se il tuo successo professionale dà ombra ad un concorrente che sia disposto a pagare il fascio perché ti faccia saccheggiare lo studio ed escludere dal sindacato. La libertà è per te, impiegato, che mi leggi, il diritto di non essere licenziato da un momento all'altro per far posto a un fascista, o di non vedere il tuo stipendio, la tua carriera, la tua sede mutati, senza nessuna ragione di servizio, ad arbitrio di chi comanda, a scopo di pressione o di rappresaglia politica. La libertà è per me, intellettuale che scrivo queste pagine, il diritto di esporre le mie opinioni politiche, sociali, religiose, economiche, senza vedere la mia casa invasa come quella di Croce, senza vedere i miei libri buttati dalla finestra nella strada come quelli di Bracco, senza essere sottomesso alla sorveglianza speciale come Ferrero, senza essere mandato alle isole come Parri e Rosselli senza essere costretto a lasciare l'Italia come Nitti, Turati, Don Sturzo, Salvemini. La libertà è per te, giudice, che vuoi rimanere imparziale e incorrotto, la certezza di poter esercitare, sempre liberamente il tuo ufficio, anche se la tua coscienza ti comanderà di condannare un uomo potente. La libertà è per te, sacerdote cattolico, il diritto, di predicare nella tua chiesa la tua verità senza essere sorvegliato da nessuna spia, senza essere mandato a domicilio coatto, senza essere ammazzato a bastonate come Don Minzoni e Don Grandi. La libertà è per te, pastore protestante, il diritto di predicare la tua verità nelle condizioni e nei termini che ti sembrano più convenienti, senza essere impedito nella tua opera da nessun privilegio di nessuna chiesa che sia ufficialmente o ufficiosamente protetta dal governo. La libertà è per te, madre di famiglia, il diritto di educare tuo figlio come a te sembra meglio, senza mandarlo per forza tra i "balilla" e gli "avanguardisti" a imparare la morale del "pugnale fra i denti e la bomba in mano".
La libertà è per tutti noi la nostra casa protetta da una polizia onesta contro l'invasione di squadre criminali; è il pane serenamente guadagnato, sotto la protezione di una legge uguale per tutti; è la giustizia assicurata a noi, come al nostro avversario, da giudici imparziali; è la nostra vita di ogni momento non disturbata dal capriccio di prepotenti irresponsabili: è il nostro denaro non confiscato sotto mille forme e mille pretesti dal governo, dal podestà, dai sindacati, dai fasci, dai comitati, senza che noi si abbia il diritto di sapere dove quel denaro vada a finire; è la nostra dignità di uomini, non manomessa, sistematicamente da una legislazione barbarica, la quale dà diritto di vita e di morte su di noi ad una oligarchia di avventurieri e di briganti.
La libertà non è il diritto di far quel che ci pare e ci piace passando sul corpo dei nostri vicini. La libertà tua limita la libertà mia. La libertà mia limi­ta la libertà tua.
Secondo la nostra coscienza di uomini civili una società è libera solamente a tre condizioni:
1a che le limitazioni alla libertà individuale, rese necessarie dalla convivenza sociale, siano eguali per tutti i cittadini;
2a che le limitazioni siano consentite liberamente dalla maggioranza e si spostino via via che variano i criteri morali accettati dalla maggioranza;
3a che chiunque non approvi le limitazioni volute dalla maggioranza, abbia bensí l'obbligo di rispettarle finché non siano riformate, ma abbia anche il diritto di criticarle con lo scopo di mutare l'opinione della maggioranza e ottenerne la riforma.
In un regime libero, la libertà della minoranza è limitata dal diritto di governare, che spetta alla maggioranza; ma la libertà della maggioranza è limitata dal diritto di dissenso e di opposizione, che spetta a tutte le minoranze e agli individui isolati.
Inviolabilità della persona, inviolabilità del domicilio, libertà di pensiero, libertà di parola, libertà di culto, libertà di stampa, libertà di associazione, li­bertà di voto, sono le "libertà politiche" mancando le quali la minoranza perde ogni diritto di dissenso e di opposizione. Le "libertà politiche" sono un diritto inalienabile delle minoranze e dell'individuo isolato di fronte al diritto di governare che spetta alla maggioranza. Esse debbono essere regolate affinché non sia lecito alla minoranza o agli individui isolati di sopraffare con la violenza la maggioranza; ma non possono essere da nessuna maggioranza, per nessuna ragione, per nessun pretesto, annullate.
Dove i governanti rispettano le "libertà politiche" delle opposizioni, ivi è un pubblico nemico colui che predica o pratica l'uso dei metodi rivoluzionari per la conquista del potere.
Ma l'Italia oggi non è un paese libero. È, un paese di dittatura. Una oligarchia armata gode di tutte le libertà, anche di quella di ammazzare i propri av­versari. Essa stabilisce i limiti dei diritti propri, a suo arbitrio e senza consentire discussione, e li impone con la forza legale ed illegale al resto della popolazione. L'Italia è ritornata politicamente allo stato selvaggio. Chi non fa parte della oligarchia, non ha altra funzione che quella di obbedire. Il diritto di dissenso e di opposizione è totalmente soppresso.
Contro questo regime di tirannia noi rivendichiamo la nostra libertà. Senza libertà, la patria non è patria, è galera. Una nazione privata della libertà non è una nazione di uomini, ma una accozzaglia di bruti: bruti prepotenti che hanno tutte le libertà, e bruti addomesticati che non hanno nessuna libertà.
Per rivendicare la nostra libertà, noi non abbiamo nessun mezzo legale. Siamo dunque obbligati ad usare i mezzi rivoluzionari. Una rivoluzione non è mai un bene.
Chi predica a cuor leggero la rivoluzione per la rivoluzione, è altrettanto colpevole quanto chi predica a cuor leggero la guerra per la guerra. Ma si af­fronta anche la guerra, se non c'è altra via per salvarsi da un male maggiore.
Oggi in Italia noi non abbiamo libertà di scelta. Da un lato c'è il peggior male; la nostra nazione è moralmente degradata da un mostruoso regime di arbitrio, i nostri bambini e i nostri giovani sono educati alla esaltazione sadica della guerra esterna e della guerra civile, l'Italia sta nel mondo come un cane arrabbiato, minacciando tutti, leticando con tutti, esempio ed incitamento a tutti i popoli di malvagità nella politica interna e nella politica estera. Dall'altro lato c'è il male, gravissimo, ma minore, di adoperare la forza per abbattere questo regime di brigantesca perversità. Fra il male della dittatura fascista e il male di una rivoluzione antifascista, siamo costretti a scegliere questo secondo male ché è il minore. La responsabilità della violenza, a cui dobbiamo ricorrere per rivendicare la nostra dignità di uomini, le nostre libertà di cittadini, il nostro posto di gente rispettabile nel consesso dei popoli civili, spetta non a noi, ma a chi ci ha tolto ogni mezzo legale per l'esercizio dei diritti nostri. In regime di dittatura, quel che è immorale è la dittatura; quel che è im­morale è sottomettersi alla dittatura. Abbattere la dittatura è la prima moralità e il primo dovere.


II. Perché abbiamo perduto la Libertà.

I fascisti hanno potuto schiacciarci - dice molta gente - perché furono armati dalle autorità militari, protetti dalla polizia, favoreggiati dalla magistratura e sussidiati dai capitalisti. I fascisti poterono fare la "marcia su Roma" perché il re rifiutò di firmare il decreto di stato d'assedio: Chi doveva mantener l'ordine fu il primo complice del disordine.
Questo è vero, ma non è l'intera verità.
Se molti reduci dalla guerra non fossero stati trattati come nemici del pro­letariato, dove avrebbero i capitalisti trovato le bande da assoldare, dove avrebbero le autorità militari trovato le bande da armare? Sarebbe stata possi­bile in Bologna la reazione fascista, se la dittatura di certi comunisti non avesse irritato e stancato tanta parte della popolazione con le sue prepotenze creti­ne? I due anarchici, che misero le bombe al Teatro Diona, non ebbero proprio nessuna responsabilità nel favorire la reazione fascista? Quei carabinieri e quelle guardie regie, che aiutarono i fascisti invece di mantenere l'ordine, era­no stati esasperati nei due anni precedenti dagli insulti, dalle minacce, dalle violenze di coloro che cominciarono a invocare l'ordine solamente quando non furono piú in grado di fare il disordine.
Che cosa era per molti la libertà nel 1919 e nel 1920? Era la possibilità di vociare nei comizi "viva la rivoluzione sociale", cioè di minacciare l'uso della violenza contro chi non accettava le loro idee sul migliore ordinamento da da­re alla società; era la possibilità di prendere a sassate i carabinieri, le guardie regie e gli ufficiali; era la possibilità di fare scioperi a diritto e a rovescio, non solo per difendere i loro interessi economici, ma per mostrare il loro "spirito rivoluzionario".
Quale fu il resultato della libertà cosí malamente intesa e praticata? Il re­sultato fu di aprir la via alla reazione: al fascismo.
C'era in Italia molta gente che non leggeva giornali, non faceva parte di nessuna società e di nessuna lega, non interveniva a nessuna dimostrazione, non andava a votare quando c'era il diritto di voto, o andava a votare solamente quando non pioveva o quando non c'era da far la coda alle sezioni elettorali, o quando avveniva proprio nel periodo elettorale qualcosa di straordinario che la impressionasse o contro il governo o contro i partiti di opposizione. Quanta fosse questa gente non è facile calcolare; ma non si esagera se si pensa che essa [fosse] piú della metà della popolazione italiana. In tutte le elezioni, dal 1860 al 1924, fra il 30 e il 40 per cento degli elettori iscritti si astennero dal voto; e fra i due terzi della massa che andò a votare, almeno una buona metà limitava tutta la sua attività politica ad andare a votare. Appena un terzo della popolazione aveva idee politiche piú o meno definite, si classificava piú o meno stabilmente in partiti, formava la vera e propria classe politica del paese. La forza dei partiti non dipendeva che in parte dal numero, dall'organizzazione, dall'entusiasmo degli organizzati. Essa dipendeva in larghissima, forse in massima, misura, dal consenso che essi trovavano nella maggioranza apolitica ed in apparenza inerte dalla popolazione. Era questa che con la sua simpatia­ creava nei partiti il sentimento della forza e le correnti dell'entusiasmo. Era questa che con la sua ostilità isolava i partiti, li demoralizzava, li rendeva inet­ti alla battaglia. Questa massa che era apparentemente inerte, ma che possedeva ed esercitava una influenza latente formidabile, non si occupava di politica, ma non voleva essere seccata dalla politica. Non faceva nessuna obiezione alle libertà politiche, cioè a quelle libertà personali, cioè non voleva essere seccata nella vita giornaliera, e per non essere seccata pagava le tasse. Questa massa apparteneva a tutte le classi sociali.
Durante la guerra questa massa apolitica era stata in molti modi seccata. Perciò dopo la guerra dette tutte le sue simpatie a quei partiti che non erano responsabili della guerra. Ma ben presto cominciò ad avere nuove seccature: scioperi, invasioni di negozi, requisizioni nelle campagne, dimostrazioni tumultuose per le strade ecc. Dopo due anni di questo baccanale, tutte le simpatie che la guerra aveva raccolto a favore dei partiti che erano stati avversi alla guerra erano sperperate. Fu solamente allora, dopo la occupazione delle fabbriche, che i fascisti diventarono pericolosi. Fu solo allora che la loro offensiva poté scatenarsi, perché era favorita dal consenso di larghissimi strati della popolazione di tutte le classi, compreso quel cosidetto "proletariato rivoluzionario" che dette al movimento fascista molti dei mercenari piú feroci.
Non basta. Bisogna fare un altro passo nella ricerca delle cause. Come abu­sarono della libertà quando nessuno la limitava, cosí i partiti di sinistra non seppero difenderla, quando sopravvennero i fascisti a farne man bassa. Anche di fronte alla reazione fascista, ciascuno di essi pensò solamente a salvare la libertà propria, non pensò mai a rivendicare la libertà altrui. I primi ad essere colpiti dalla reazione furono gli anarchici e i comunisti: furono non colpiti legalmente nelle loro attività illegali, come era legittimo, ma schiacciati illegalmente anche nelle loro attività legali. Di fronte a questa violazione della liber­tà altrui, i liberali e i popolari non ebbero nulla da ridire anzi ne furono contenti e molti approvarono apertamente. I socialisti non approvarono, anzi tro­varono qualcosa da ridire; ma reso questo omaggio verbale ai principî, lasciarono che gli altri se la sbrigassero da sé. Ben presto toccò anche ai socialisti; e allora i liberali a fregarsi le mani, e i popolari ad approfittare dello sbandamento socialista per aumentare i loro voti. Poi fu la volta dei popolari; e i liberali a trovare che anche questi avevano quel che si meritavano. Poi fu la volta di quei liberali che presero posizione contro il fascismo alla vigilia della "marcia su Roma", mentre gli altri liberali continuavano a fare i fiancheggiatori. Finalmente venne anche il turno dei fiancheggiatori. Ognuno trovò co­modo che fossero soppresse le libertà altrui, e non previde mai che sarebbero state soppresse anche le libertà proprie. Ecco perché tutti abbiamo perduto la nostra libertà.
Dopo l'assassinio Matteotti, sembrò che un largo consenso si fosse formato fra le opposizioni, meno i comunisti, per conquistare la libertà di tutti. Avemmo cosí l'Aventino. Ma nell'Aventino l'unica idea comune era un'idea negativa: buttar giú i fascisti. Per il giorno dopo ciascuno pensava di stabilire la sua libertà, non la libertà di tutti. Tutti aspettavano che il re cavasse la ca­stagna dal fuoco; ma repubblicani e socialisti non smettevano mai l'idea di imporre la repubblica al re e ai loro alleati monarchici se fosse stato possibile dopo che il re avesse messo al sicuro le loro spalle dal bastone fascista; e alla loro volta i monarchici si riservavano di sbarazzarsi con una dittatura militare dei repubblicani e dei socialisti loro alleati, non appena con l'aiuto di questi avessero abbattuto Mussolini. In attesa, ciascuno cercava di assicurarsi buone posizioni strategiche per l'ora in cui l'alleanza contro il fascismo cedesse il posto alla guerra intestina, in cui ciascuno avrebbe soppresso la libertà di tutti. Ma ciascuno capiva il gioco del suo vicino, e cercava di mandarlo a monte. Mentre le buone occasioni passavano senza che i deputati prendessero un'iniziativa, la maggioranza della popolazione - quella massa che non fa la politica ma senza la cui simpatia non si può fare politica vittoriosa - rimaneva incerta, disorientata, sospettosa. Era stanca delle violenze fasciste. Era indignata dell'assassinio Matteotti. Sentiva la vergogna di essere governata e rappresentata all'estero da un Primo Ministro, la cui complicità nel delitto era dimostrata da un numero crescente di indizi. Ma molti si domandavano: - E poi? Ritorneremo ad avere uno sciopero tranviario ogni settimana, uno sciopero ferroviario ogni mese, uno sciopero di portalettere ogni due mesi? Ritorneremo ad essere seccati con una rivoluzione che non arriva mai, come fumino seccati nel 1919 e nel 1920? Oppure una rivoluzione comunista arriverà finalmente a seccarci anche peggio?
Nella seconda metà del 1924 se fosse caduto il fascismo nessun governo avrebbe potuto nascere senza l'appoggio dei socialisti. Che cosa avrebbero fatto, i socialisti? Avrebbero ripreso la tattica del 1919-1922, cioè quella di sabotare ogni governo per la paura di essere accusati dai comunisti come "traditori del proletariato"? Oppure avrebbero finalmente trovato il coraggio di dare risolutamente il loro appoggio al nuovo governo in tutti quei provvedimenti che sarebbero stati necessari per mantenere l'ordine non solo contro le rivolte dei fascisti, ma anche contro i comunisti? A queste domande i socialisti non davano mai una risposta chiara. E queste domande si imponevano di fronte ad una coalizione parlamentare che andava dal generale Bencivenga a Costantino Lazzari.
Per spiegare la condizione a cui siamo ridotti, non basta dire che i fascisti ci hanno tolto con la forza la nostra libertà. Questa è una parte della verità. Le altre parti sono che noi avevamo fatto malo uso della nostra libertà e che noi malamente difendemmo la nostra libertà.
Queste verità dobbiamo riconoscerle, non per recriminare sul passato, ma per preparare l'avvenire. Fino a quando conserveremo intatta quella mentali­tà da cui rampollarono tutti i nostri errori e tutte le nostre sventure, la nostra lotta contro la dittatura fascista non diventerà mai la rivendicazione di un principio superiore - il principio della libertà - contro un principio inferiore - il principio della tirannia.
Fino a quando tutti i gruppi di opposizione non avranno trovato un terreno comune, su cui formare blocco nella resistenza e nell'attacco e su cui rimanere uniti dopo la vittoria fino a quando i resultati della vittoria non siano assicurati, nessuno sforzo efficace contro il fascismo sarà possibile. E il terreno comune non può essere che la conquista della libertà per tutti e la certezza che dopo la vittoria, la libertà sarà garantita a tutti.


III. La dittatura dei comunisti.

Gli anni 1927-28 sono stati per i fascisti anni funesti. Sotto la pressione del disagio economico, moltissimi italiani hanno capito quale grande errore sia stato quello di lasciar che i fascisti abolissero le libertà politiche nella illusione che potessero migliorare le condizioni economiche. La massa apolitica che, seccata dai disordini del 1919-1920, aveva dato le sue simpatie ai fascisti nella speranza che ristabilissero l'ordine, si è oramai del tutto alienata da loro. Essa è privata delle sue libertà personali. Contribuzioni ai sindacati, sottoscrizioni per il dollaro, per le ali alla patria, per la spedizione Nobile, per il calendario del partito, per il matrimonio del ras; obbligo di partecipare ai cortei e ai comizi; obbligo di metter fuori la bandiera ogni cinque minuti; obbligo di avere addosso la carta d'identità; obbligo di non lasciarsi rastrellare dalla polizia per la strada dopo una certa ora: una gragnola di tasse sempre piú fitta; spionaggio da ogni parte; necessità di star zitti quando si avrebbe voglia di brontolare; gli affari vanno a rotoli. Una vita come questa non l'avevano fatta mai neanche negli anni della guerra, neanche negli "anni del bolscevismo". Cosí non si va avanti. Chi ci libererà da questa insopportabile catena di prepotenze e di seccature?
A questa massa apolitica, che rimpiange la perdita di ogni libertà personale, i comunisti promettono la "dittatura del proletariato". La dittatura fascista - essi dicono - si abbatte con una rivoluzione e non con mezzi legali: una rivoluzione antifascista non potrà avvenire, se le moltitudini degli operai e dei contadini non le danno le truppe di assalto: dunque la rivoluzione antifascista non può essere che una rivoluzione comunista.
I comunisti dividono la società italiana in capitalismo, proletariato ed "altri ceti". Quando dicono "proletariato" essi intendono specialmente gli operai della grande industria. Gli agricoltori, gli artigiani, gli operai della piccola industria, la piccola e media borghesia, sono gli "altri ceti". A questi altri ceti, i comunisti negano la denominazione di classe, ma ammettono che il loro malcontento ha una grande importanza per la lotta contro il fascismo. Il "proletariato" deve approfittare del loro malcontento per spingerli alla rivolta contro il capitalismo: ma questa rivolta deve essere diretta dai comunisti, i quali debbono approfittare della crisi per spingersi in prima linea, armarsi, rimanere organizzati ed armati ed imporre la propria dittatura non solo al capitalismo ma anche agli "altri ceti".
Noi riteniamo che i comunisti abbiano ragione e che la dittatura fascista non si può abbattere senza una rivoluzione, e che una rivoluzione è impossibile se i contadini e gli operai non vi partecipano in prima linea. Ma neghiamo che da queste due premesse si debba dedurre la rivoluzione comunista come unica conseguenza necessaria.
Guardiamoci intorno, sgombriamoci gli occhi dalle traveggole delle paro­le astratte: "capitalismo", "proletariato", "altri ceti". Un capitalismo compattamente fascista e un proletariato compattamente anti-fascista non esistono nella realtà. Parecchi capitalisti non sono stati mai fascisti; molti furono fascisti per un certo tempo, ma non lo sono piú. Molti proletari sono fascisti; le bastonature, gli assassini, gli incendi non sono fatti dai capitalisti, ma da proletari assoldati dai capitalisti, e anche da proletari che credono in buona fede di fare opera utile. Una grande parte tanto dei capitalisti, quanto dei proletari, se ne infischia di fascismo e di antifascismo; pensa solo a mangiare e a moltiplicarsi.
La divisione tra fascisti, antifascisti e indifferenti non coincide con nessuna differenziazione sociale.
Gli operai della grande industria differiscono dagli altri gruppi sociali in questo: che trovandosi concentrati in grandi agglomerazioni su piccolo spazio, possono facilmente mettersi d'accordo per un'azione comune al momento opportuno. Invece gli operai disseminati nelle piccole fabbriche, gli artigiani, gli agricoltori, sono sparpagliati qua e là, e perciò in essi si formano e circolano assai piú lentamente gli stati d'animo collettivi. Ma ogni medaglia ha il suo rovescio: gli operai della grande industria possono essere piú facilmente controllati: una mitragliatrice tiene a posto tutti gli operai della Fiat precisamente quando sono raccolti insieme. Invece la massa che non è concentrata su piccolo spazio, sfugge piú facilmente al controllo. La resistenza piú accanita - non quella inutile degli scioperi di protesta, ma quella efficace delle fucilate - i fascisti l'hanno trovata nelle campagne, negli anni della guerra civile, e non nelle città; e fra le città, le grandi città hanno resistito alla violenza fascista assai meno che le medie e le piccole.
La rivolta contro la dittatura fascista comincerà probabilmente nelle campagne dove i fascisti sono isolati e possono essere piú agevolmente ridotti all'impotenza. Solo se le campagne impediranno la concentrazione dei fascisti nelle città, potranno le città mettersi in movimento.
Per noi la lotta fra fascisti e antifascisti non è una lotta fra due sole classi: è una lotta degli uomini liberi di tutte le classi, contro i prepotenti di tutte le classi, malgrado la indifferenza dei poltroni di tutte le classi. Noi consideriamo nostri amici quei capitalisti che sono antifascisti, e nostri nemici quei proletari che sono fascisti. Alla conquista della nuova libertà noi convochiamo tutti gli italiani degni della libertà.
Quegli "altri ceti" il cui malcontento i comunisti sperano di utilizzare come l'asinaio utilizza la fatica dell'asino, sono i nove decimi della popolazione italiana. Che i nuclei operai di alcune grandi industrie, guidati dai comunisti, possano imporre la loro volontà in alcune città, è ben possibile. Ma queste città sono raccolte quasi tutte nell'Italia settentrionale ed anche qui sono cir­condate da plaghe in cui la massa della popolazione agricola non si lascerebbe controllare dagli operai delle città senza una fiera lotta. E che cosa prevedere di una dittatura comunista che gli operai industriali di Torino andrebbero ad imporre agli "altri ceti" della Sardegna e della Sicilia?
Dopo che fossero riusciti ad imporsi ai nove decimi della popolazione col terrore, i comunisti italiani si troverebbero sotto il controllo dei paesi esteri cosí come si trovano oggi i fascisti. L'Italia dipende economicamente dall'estero. Noi dobbiamo importare dall'estero tutte le materie prime necessarie alle nostre industrie e buono parte del nostro cibo giornaliero. Chi ci manda dall'e­stero i suoi prodotti vuole essere pagato. In una Italia controllata da una dittatura comunista i capitalisti esteri non avrebbero fiducia. La dittatura fascista è favorita dai capitalisti esteri. La dittatura comunista italiana sarebbe boicotta­ta per sfiducia economica e per ostilità politica. La popolazione italiana sarebbe ridotta alla fame in poche settimane. Il popolo russo ne sa qualcosa di questo boicottaggio; ha sofferto e soffre tuttora atrocemente di esso. Ma la Russia è in condizioni economiche e geografiche diverse dall'Italia. L'Italia è l'ultimo paese del mondo che possa darsi il lusso di fare un esperimento comunista. Finché i paesi economicamente egemonici (Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Germania) conservano il regime capitalistico noi non possiamo fare non solo una rivoluzione comunista, ma neanche una rivoluzione che abbia l'apparenza di essere comunista.
Minacciando una rivoluzione comunista, che non può avvenire o che anche se avvenisse non potrebbe reggersi, i comunisti rendono alla dittatura fascista il servigio prezioso di funzionare da spaventapasseri contro gli "altri ceti". Questi non sono punto disposti a cadere dalla padella fascista nella brace comunista.
Noi rifiutiamo la dittatura comunista cosí come rifiutiamo la dittatura fascista.
Poco c'importa se chi intende metterci domani i piedi sul collo, parli in nome del "proletariato", mentre chi ci tiene oggi i piedi sul collo parla in no­me della "nazione". Le formule sono diverse, la realtà è sempre la stessa. Non è la "nazione" non è il "proletariato" che esercitano la dittatura. Un gruppo di fanatici si pretende infallibile, si arroga il monopolio di pensare in rappresentanza di tutti, nega il diritto di dissenso e di opposizione a chi non condivide le sue idee.
Quand'anche la dittatura potesse realmente essere esercitata dalla "nazione", o dal "proletariato" e non da gruppi facinorosi usurpanti la rappresentanza della "nazione" o del "proletariato", noi rivendicheremmo con eguale intransigenza il diritto di dissenso e di opposizione, in noi e nei nostri avversari, contro qualunque dittatura. Perché nessuna "nazione" nessun "proletariato", nessuna maggioranza, nessuna minoranza, può sopprimere in nessuna frazione della comunità il diritto di dissenso e di opposizione.
Non ci riteniamo infallibili e perciò non siamo fanatici. Su un solo punto siamo fanatici: intendiamo rivendicare e difendere la nostra libertà dalla prepotenza di tutti i fanatici, comunisti o fascisti che siano.
Alcuni ci dicono: "Non fate discussioni coi comunisti. Tutto ciò che minaccia la dittatura fascista ci è utile. Tutte le forze che contribuiranno alla ri­voluzione antifascista siano le benvenute. La lotta contro i comunisti la faremo quando non ci saranno piú i fascisti a tenerci i piedi sul collo". E ammiccano con l'occhio. Quell'ammiccamento vuol dire: "Essi seminano e noi raccoglieremo".
Noi rifiutiamo queste abilità. A furia di abilità di questo genere siamo stati trascinati nel precipizio. L'uomo abile crede di ingannare gli avversari, e il piú delle volte inganna e disorienta gli amici. Oggi in Italia è necessario dare la certezza che oltre al movimento comunista, esiste la possibilità di un altro movimento antifascista, non meno attivo, non meno aggressivo, moralmente degno di seppellire il fascismo. È, necessario presentare agli spiriti questa terza alternativa: Un programma di nuova libertà per tutti. Questo programma non ci è possibile presentarlo senza distinguerlo nettamente dal programma comunista.
Noi non scriviamo con la speranza di convincere i comunisti. Noi scriviamo col proposito di richiamare i non comunisti a rendersi conto con chiarezza del problema che essi debbono risolvere. Gli uomini dalle idee confuse sono anche uomini dalla volontà vacillante. E le idee chiare non si improvvisano da un momento all'altro nei cervelli che sono stati per anni tenuti nella confusione. I comunisti sanno quello che vogliono. Anche noi dobbiamo sa­pere quel che vogliamo. Chi vuol lavorare e deve raccogliere intorno a sé altri uomini per lavorare, non può tacere; deve spiegare quel che vuole. Piú chiaro parla, meglio è. Noi non intendiamo essere né ingannatori né ingannati, né truffatori né truffati. Noi non intendiamo mietere dove altri ha seminato. Noi intendiamo seminare e mietere. Ognuno mieterà in proporzione di ciò che avrà seminato. Della rivoluzione antifascista non intendiamo lasciare il monopolio a nessuno. Vogliamo avere in essa la nostra parte di responsabilità e di autorità, la massima parte possibile di responsabilità, e di autorità. Perciò parliamo chiaro.
Noi non ci spaventiamo se i comunisti fanno propaganda rivoluzionaria. Anche noi facciamo propaganda rivoluzionaria. Se ci si offrirà una buona occasione per dare a nostro conto un buon colpo di spalla, non domanderemo ai comunisti il permesso di darlo. Se i comunisti si moveranno prima di noi, noi ci butteremo avanti insieme con loro e cercheremo di sorpassarli. Chi avrà miglior filo tesserà miglior tela. Ripetiamo con Machiavelli: "Qui non bisogna claudicare, ma farla all'impazzata: e spesso la disperazione truova de' rimedi che la electione non ha saputo trovare". Se potremo prevenire la dittatura comunista, la preverremo. Se non potremo prevenirla, riprenderemo contro la dittatura comunista la lotta per la nuova libertà. La dittatura comunista non potrebbe durare piú di poche settimane. Se il fallimento comunista troverà noi pronti a prendere la successione con energia e rapidità in nome della "nuova libertà", anche l'esperienza comunista non sarà stata vana. Se nessuno sarà capace di riorganizzare il nostro paese con istituzioni libere, il fallimento della dittatura comunista condurrà ad una nuova dittatura fascista piú bestiale e piú infame, o alla fine della indipendenza e della unità nazionale.
È necessario che si formi attraverso tutta l'Italia, fra gli uomini di tutti i partiti e fra gli uomini fuoripartito, una catena di credenti nella "nuova liber­tà" deliberati a lottare e a morire per la libertà propria e per la libertà di tutti, avversi tanto alla dittatura fascista, quanto alla dittatura comunista, pronti a buttarsi avanti alla prima occasione opportuna per abbattere la dittatura fa­scista e per tagliar la via alla dittatura comunista. È necessario affrettarsi. Piú tempo passa e piú gente si esaspera, e piú la gente esasperata si lascia attirare nella zona d'influenza comunista, e piú la gente che ha paura del comunismo, si aggrappa al fascismo. La inerzia imbelle di troppi antifascisti è il maggior aiuto alla propaganda comunista. Quando tanti antifascisti se ne stanno con le mani in mano, è naturale che coloro che hanno sangue nelle vene, si lascino attirare da chi è solo a predicare la rivolta, qualunque sia la sua bandiera. Nella seconda metà del 1924 sarebbe stato possibile abbattere il fascismo senza dovere in seguito affrontare una lotta molto difficile coi comunisti. Oggi una lotta coi comunisti sarà piú difficile che cinque anni or sono. Sarà anche piú difficile domani se un terzo movimento non si forma in Italia, che accetti dalla predicazione comunista quel che risponde realmente alle necessità dell'ora, cioè la tattica rivoluzionaria, ma rifiuti quel che non risponde a quelle necessità, cioè il programma dittatoriale.


IV. La rivoluzione per la Libertà.

Molti anti-fascisti, specialmente nelle campagne, hanno nello spirito l'idea che alla prima occasione debbono vendicarsi. Di tanto in tanto qualcuno perde la pazienza e ammazza un fascista. Queste risse isolate non possono avere nessun resultato utile. Quando uno si è fatto salire il sangue alla testa e ferisce o ammazza un fascista, che cosa succede? Gli altri fascisti si raccolgono, piombano sulla sua casa, lo uccidono o lo costringono a fuggire. Che vantaggio c'è a farsi ammazzare in una rissa da osteria che non può esercitare nessuna influenza utile sul corso degli avvenimenti?
Per abbattere il fascismo le risse isolate non servono a nulla. Bisogna assalire i fascisti contemporaneamente su tutti i punti. È necessario un movi­mento di insieme per impedir loro di concentrarsi e diventar forti.
Anche gli attentati terroristici come quelli del Diana e di Piazza G. Cesare, sono da sconsigliarsi energicamente. Essi non raggiungono mai i capi fascisti. Essi fanno sempre vittime innocenti. Lungi dallo scatenare una rivolta generale, provocano correnti di indignazione morale contro gli autori dell'attentato. Sulla pietà per le vittime innocenti la propaganda fascista specula in Italia e all'estero per discreditare le idee e gli uomini dell'opposizione.
Non fantasticare su piani grandiosi. Non fidarti di chi viene a parlarti di grandi organizzazioni segrete o di ordini rivoluzionari che debbono arrivare dai comitati centrali. Chi ti racconta queste storie è un visionario o un agente provocatore. È ridicolo pensare ad un movimento rivoluzionario a scadenza fissa e a comando. La rivoluzione è un accesso di febbre che arriva da sé quando meno è aspettato. Quel che importa perché una rivoluzione avvenga, è che vi sia nel paese un numero sufficiente di uomini pronti ad approfittare dell'accesso, quando si presenta, per buttar giú gli oppressori.
Dopo l'assassinio di Matteotti, nel giovedí e nel venerdí, i fascisti erano disorientati, demoralizzati, scoraggiati, sotto la tempesta di indignazione che li travolgeva da ogni parte. Le cimici fasciste erano scomparse da tutte le bottoniere. All'ordine di mobilitazione la maggioranza dei militi fascisti non osò rispondere. Se in quei giorni avessimo avuto la mentalità rivoluzionaria, ognuno di noi si sarebbe armato di un revolver, di un coltello, di un martello, di un bastone, di una pietra, e sarebbe corso sotto a un fascista. Fu cosí che i siciliani risolvettero il problema dei conquistatori francesi nella insurrezione del Vespro. Fu cosí che i milanesi risolvettero il problema degli austriaci nelle "cinque giornate".
Un giorno o l'altro, quando meno ce l'aspettiamo, un qualche avvenimen­to, che nessuno avrà preveduto, solleverà contro la dittatura la indignazione del paese. I gradassi diventeranno conigli. I silenziosi si metteranno a prote­stare. La gente nei tram, sui marciapiedi, nei caffè, si metterà a gridare che è ora di farla finita. Quello sarà il momento. Se quel momento ci troverà a don­dolarci nella mentalità legalitaria, è positivo che anche quell'occasione passerà; e presto ricominceremo da capo a buscarne e a far la ricevuta. Ma se la dura esperienza di questi anni avrà creato in noi la mentalità necessaria per abbattere il fascismo, la mentalità della guerra, non quella della pace, quella mentalità che avevamo contro gli austriaci nel giorno della battaglia del Piave, allora non aspetteremo gli ordini di nessun comitato, ciascuno di noi sarà il suo stesso comitato. Allora, e solo allora dobbiamo avere il coraggio di cominciare. Le armi per la prima lotta le troveremo negli utensili del nostro lavoro giornaliero. I moschetti li troveremo poi nelle case dei fascisti. I fucili valgono meno dei bastoni, se non sono sostenuti dalla volontà. A che cosa servirono a Caporetto i fucili e i cannoni? Verrà un giorno la Caporetto dei fascisti. Che quel giorno non venga invano.
Non bisogna cedere ciecamente allo spirito di vendetta. Quel che è neces­sario non è vendicarsi di chi ci ha fatto del male, ma metterlo in condizione di non poter ricominciare piú a far del male. Chi ci ha fatto del male, è nove volte su dieci un povero diavolo che è stato spinto dai suoi capi a fare il male.
L'uomo pericoloso non è lui è il suo capo. Lascia da parte lui, e mira al suo capo: all'ufficiale della milizia, al podestà, al segretario del fascio, al prefetto, al deputato. Questa è la gente nociva. Non colpire il piccolo gregario se questi non resiste. Se scappa, lascialo scappare. Pensa solamente a far piazza pulita al piú presto possibile, di chi può diventare centro di una riorganizzazione. E ridotto l'oppressore all'impotenza, ricordati che non devi diventare tu oppressore alla tua volta. Il desiderio di vendetta ceda al sentimento della giustizia.
Mettere fuori corso i capi fascisti è il primo passo. Il secondo passo è l'or­ganizzazione della nuova libertà. Si fa la guerra per far la pace. Si abbatte la dittatura per conquistare la libertà. Alla sola maggioranza del popolo italiano, liberamente organizzata secondo le naturali disposizioni dei suoi gruppi eco­nomici, sociali, intellettuali, - e salvo sempre il rispetto dovuto dalla maggioranza alle libertà della minoranza - spetta il diritto di scegliere le nuove for­me politiche destinate a prendere il posto della dittatura fascista.
Ma gli italiani non potranno in pochi giorni compiere il lavoro gigantesco della ricostruzione. Avranno bisogno di alcuni mesi di "governo provvisorio" per orientarsi, per informarsi di quel che è avvenuto realmente in questi anni di tenebre, per riclassificarsi liberamente nelle nuove organizzazioni economiche e politiche, per discutere le linee della nuova costituzione politica, per scegliere i loro rappresentanti legittimi nei governi locali e nel governo centrale. Sarà necessario un periodo di transizione, piú breve che sia possibile, ma non cosí breve che gli italiani non abbiano il tempo necessario per scegliere a ragion veduta i loro nuovi governanti.
"Governo provvisorio" non significa un comitato di tre, cinque, sette uomini insediati nella capitale, che fanno ogni cosa; mentre gli altri anti-fascisti, compiuto lo sforzo della rivoluzione, se ne tornano a casa, e se ne stanno a guardare. Il governo provvisorio in tanto potrà fare qualche cosa al centro, in quanto i gruppi locali anti-fascisti si manterranno affiatati ed attivi in tutto il paese. Ogni comune avrà bisogno di un governo provvisorio comunale.
I credenti nella nuova libertà non debbono fare prepotenze né locali né centrali. Le pubbliche libertà debbono essere immediatamente ristabilite per tutti. Senza le libertà di parola, di stampa, di associazione, di riunione, di voto ecc. come potrebbe, il popolo italiano discutere i problemi della sua nuova costituzione politica e scegliere liberamente la sua strada? Ma gli anti-fascisti debbono rimanere organizzati ed armati per resistere alla prepotenza di chiunque voglia imporre con la violenza le proprie idee alle altre sezioni della comunità. La libertà deve essere armata. Dopo che una regolare organizzazione armata sia stata stabilita per la difesa della libertà di tutti, solo allora i gruppi armati anti-fascisti saranno smobilitati. Quando i normali governi locali saranno stati costituiti, spariranno governi provvisori rivoluzionari. Il giorno in cui il nuovo Parlamento, liberamente eletto dall'intero popolo italiano, entrerà in funzione, in quello stesso giorno cesserà di funzionare il governo provvisorio centrale, che sarà sorto nella crisi della rivoluzione.
I governi provvisori saranno formati dagli uomini che si saranno fatti in prima linea nell'ora della crisi, mettendosi a capo dei gruppi deliberati a lot­tare per la conquista della libertà. Quegli uomini saranno obbligati ad assumere il governo senza avere il tempo e il modo né di domandare né di ottenere un regolare mandato dalla maggioranza del paese. Non si potrà, dunque, evitare un periodo di "dittatura". Ma questa "dittatura per la libertà" non si deve confondere con la "dittatura" fascista o comunista.
La dittatura per la libertà, è provvisoria, non solo in teoria, ma anche in pratica. Coloro che assumeranno il potere avranno come obbligo fondamentale quello di promuovere con la massima sollecitudine possibile la costituzione, alla periferia e al centro, di governi regolari liberamente eletti dal paese. La dittatura per la libertà è non solamente provvisoria ma limitata: essa deve ristabilire immediatamente tutte le libertà politiche e rispettarle in tutte le sezioni della comunità. Anche nei fascisti? Sissignori, anche nei fascisti. Finché questi fanno propaganda pacifica delle loro idee, il loro diritto non può essere negato. Se tentassero di imporre le loro idee con la forza, il loro tentativo deve essere represso al primo accenno, con la forza, e con tutta la forza necessaria ad una repressione efficace. Lo stesso vale per i comunisti. Lo stesso vale per chiunque.
La dittatura per la libertà avrà un secondo compito oltre quello di ristabilire le pubbliche libertà. La dittatura fascista ha creato con la forza materiale e coi privilegi legali un insieme di istituzioni pubbliche e private che sono in contraddizione col principio di libertà e che debbono essere demolite immediatamente affinché il paese possa godere di una reale libertà. Per esempio la milizia deve essere immediatamente sbandata. La magistratura, che specialmente nei gradi superiori è stata sistematicamente fascistizzata, deve essere sistematicamente e immediatamente epurata. Cosí la burocrazia dei ministeri. Cosí gli alti gradi dell'esercito. Cosí le burocrazie provinciali e comunali. I beni dei sindacati fascisti, quasi tutti usurpati alle organizzazioni prefasciste, debbono essere immediatamente confiscati e restituiti ai loro antichi proprietari. La stampa di opposizione che i fascisti hanno soppressa, saccheggiando e incendiando tipografie e redazioni, soffocandola coi sequestri, impedendone la circolazione con infinite prepotenze, deve essere immediatamente ristabilita: le sedi, le tipografie dei giornali fascisti debbono essere immediatamente trasferite ai gruppi politici i cui giornali sono stati soppressi. I beni di tutti coloro che hanno avuto posti di direzione e di responsabilità nella dittatura (ministri, senatori, e deputati fascisti, prefetti, podestà, ecc.) debbono essere sequestrati e impegnati per il pagamento dei debiti contratti dal governo fascista. Gli esempi possono continuare.
Nell'ora in cui il regime fascista si sfascerà nel sangue e nel fango - oggi, domani, fra dieci anni, sarà quando sarà - è necessario che si trovino in Italia, sparsi per tutte le regioni, disseminati in tutte le classi sociali e in tutti i partiti, uomini che sappiano quel che debbono volere, e vogliano le stesse cose, e siano pronti ad assumere immediatamente la direzione dei gruppi locali e li guidino verso i medesimi fini. Se vogliamo restaurare la libertà in Italia, dobbiamo formare attraverso tutta la penisola una catena di uomini capaci di assumere l'eredità del fascismo con una piú alta intelligenza, con una piú pura coscienza morale e con una piú ferrea volontà. Se no, no.


V. La repubblica democratica.

Noi non intendiamo costituire nessun nuovo partito. Misero quel paese in cui la fede nella libertà sia il monopolio di un solo partito. Noi rivolgiamo la nostra parola agli italiani di qualunque partito e agli italiani di nessun partito, che sentono la vergogna in cui sono precipitati, e che intendono riconquistare la dignità di uomini per sé e la dignità di paese civile per la patria comune.
Noi non intendiamo inventare nessun nuovo movimento di idee. La idea di libertà non ha bisogno di essere di nuovo inventata. Ha bisogno di essere di nuovo insegnata e di nuovo rivendicata. La nostra fede è quella stessa che spinse gli uomini del Risorgimento contro l'assolutismo dei Borboni, dei Papi, degli Absburgo, dei Savoia. Esso contiene quanto c'era di perenne nella fede di Cavour e quanto c'era di perenne nella fede di Mazzini.
I partiti oggi in Italia non esistono piú. Movimenti di idee oggi in Italia non ne esistono piú. Prima che i partiti possano esistere di nuovo, è necessario conquistare la libertà per tutti. Prima che nuovi movimenti di idee possano nascere, è necessario conquistare libertà di movimento alle idee.
Noi non domandiamo a nessuno che rinunci agli ideali del suo partito. A tutti coloro che non pretendono di imporre con la prepotenza le loro idee agli altri, perché credono nel metodo della libertà, noi domandiamo di associarsi tutti in uno sforzo comune per conquistare a tutti la libertà. Conquistata la libertà, i partiti si ricostituiranno e ciascuno prenderà nella lotta civile il po­sto che le sue convinzioni, i suoi interessi, le sue tradizioni gli consiglieranno. Prima conquistiamo il diritto di vivere, e poi dividiamoci secondo i programmi di vita che ciascuno di noi crede migliori. Programma immediato comune: la conquista delle nostre libertà.
Ma come abbiamo già osservato la libertà non si può conquistare se non si demoliscono o se non si epurano tutte quelle istituzioni che la dittatura ha create o ha trasformate per soffocare per mezzo di esse la libertà: milizia, podestà, sindacati, magistratura, alti gradi dell'esercito, burocrazia centrale e locale, stampa ecc.
Una delle istituzioni che la dittatura ha trasformate, facendone strumento di dispotismo, e che deve essere totalmente soppressa, è la monarchia.
La monarchia, ci dicevano una volta i teorici del diritto costituzionale, è preferibile alla repubblica perché nel regime monarchico un uomo superiore ai partiti, non subordinato a nessuna mutevole maggioranza, garante giurato delle libertà di tutti contro eventuali prevaricazioni dei partiti al potere, assicura i diritti delle minoranze e le permanenti ragioni di vita della intera comunità, assai meglio che non possa fare un presidente di repubblica, eletto periodicamente da una maggioranza partigiana.
L'esperienza italiana di questi anni ha dimostrato quanto sia da prendere sul serio questa funzione mediatrice della monarchia. La monarchia garantí le nostre libertà fino al momento in cui nessuno le minacciò sul serio. Appena la minaccia diventò seria, la monarchia si rese complice in tutte le violazioni delle nostre libertà, scendendo di gradino in gradino tutta la scala dello spergiuro e del disonore. Dopo siffatta esperienza, una sola parola può essere oramai pronunciata in Italia: Repubblica.
Dopo sei anni di dittatura fascista, ci sono ancora degli anti-fascisti che sperano di abbattere Mussolini con l'aiuto del re. Un bel giorno il re approfitta di qualche grosso sproposito di Mussolini, si sbarazza del dittatore e ristabilisce il vecchio statuto.
Oppure un attentato ben riuscito, un aggravamento dell'ulcera duodenale, un accesso inequivocabile di paranoia, risparmia all'augusto sovrano lo sforzo di muovere il primo passo. Oppure i fascisti si mettono a far lite fra loro piú rumorosamente del solito, e allora la sacra maestà interviene nelle loro discordie e li manda tutti a spasso. Oppure i banchieri e gli industriali, fra tre, dieci, venti anni, si stancano di essere disturbati nei loro affari dai fascisti, si mettono a desiderare di nuovo la libertà, e spingono il re a farla fi­nita.
Gli anti-fascisti monarchici impenitenti hanno un'opinione tutt'altro che lusinghiera del re. Ma essi sperano che un bel giorno i consiglieri intimi del re si decidano a tagliar la corda e spingano il re a tagliarla. Il re potrebbe ancora trovare un solido appoggio nell'esercito. È vero che i generali anti-fascisti sono stati di regola eliminati. Ma ce n'è ancora. E i soldati e gli ufficiali dei reggimenti sono, in grande maggioranza, anti-fascisti. Se il re si mettesse a capo di un paio di reggimenti fedeli, la milizia fascista, accozzaglia di bluffisti e di vigliacchi, si sbanderebbe ignominiosamente da un momento all'altro.
Questi monarchici impenitenti sanno quello che vogliono. Essi temono una rivoluzione piú che non odino il fascismo. Essi predicono la inerzia in at­tesa di una iniziativa regia, perché questa soluzione è la sola che garantisca i loro interessi sociali e politici. Se la dittatura fascista fosse abbattuta da una offensiva militare capitanata dal re mentre le classi popolari se ne stessero con le mani in mano ad aspettare il beneplacito regio, quali sarebbero i risultati? Il re e i suoi generali non potrebbero formare il nuovo governo da sé soli. Dovrebbero cooptare un numero piú o meno largo di alleati nella popolazione civile. Se le classi popolari rimanessero inerti, se si mostrassero incapaci di funzionare come forze politiche attive, il nuovo regime si organizzerebbe senza di esse e contro di esse. Gli inerti non servono a niente. Le sole classi che si farebbero avanti a ricevere l'eredità della dittatura fascista sarebbero l'alta burocrazia, che è già organizzata nei ministeri, e i capitalisti che hanno la forza del denaro, e con questo possono improvvisare tutte le organizzazioni che vogliono. Il resto della popolazione sarebbe volgo disperso e senza diritti.
A questi signori, noi, credenti nella nuova libertà, diciamo chiaro e tondo che la nuova libertà deve essere la libertà di tutte le classi del popolo italiano e non il privilegio di una nuova oligarchia. È per impedire il costituirsi di questa nuova oligarchia che intendiamo convogliare nella rivoluzione anti-fascista il maggior numero possibile di individui appartenenti alla piccola borghesia, all'artigianato, al proletariato industriale, alle classi rurali. I soli diritti di cui un popolo è degno e che esso è capace di difendere, sono quelli che esso ha saputo prendersi con le sue mani, non quelli che gli sono stati largiti da mano altrui. Le libertà di cui godeva il popolo italiano erano state conquistate ottant'anni or sono da una piccola oligarchia di proprietari, uomini di affari, intellettuali, in assenza delle classi popolari. Quelle libertà erano state estese al resto della popolazione, piú per effetto di manovre parlamentari, che per vere e proprie conquiste attive delle classi interessate. Lo stesso suffragio universale fu regalato nel 1912 da Giolitti ai socialisti, che per conto loro ne avrebbero fatto anche a meno. Libertà cosí malamente regalate e cosí facilmente conquistate, non poterono che essere malamente difese e facilmente perdute. La nuova libertà d'Italia deve essere faticosamente conquistata e fieramente difesa.
Dal re non solamente non aspettiamo nulla, ma non vogliamo aspettare nulla.
Ci sono in Italia molti uomini che pur volendo, come noi, riconquistare la libertà per tutte le classi del popolo italiano, e non per una nuova oligarchia, esitano a dichiararsi repubblicani. Specialmente fra gli ufficiali dell'esercito ci sono parecchi uomini di onore che odiano la dittatura, condannano severamente la viltà e la slealtà del re, ma si sentono legati dal giuramento di fedeltà che essi hanno prestato.
A questi uomini noi facciamo osservare che essi prestarono giuramento di fedeltà non solamente al re ma anche allo statuto che garantiva le libertà della nazione; che i plebisciti fondarono in Italia una monarchia costituzionale aperta a tutti i partiti, non una dittatura monopolio di un solo partito: che il loro giuramento non è piú valido dopo che il contenuto di esso è stato distrutto da quello stesso re che avrebbe dovuto essere il primo guardiano del loro giuramento.
Nell'esercito italiano molti capi hanno legato il loro destino a quello della dittatura fascista. Uomini come il Duca d'Aosta, come De Bono e gli altri generali che parteciparono alla "marcia su Roma" violando il loro giuramento di fedeltà alla costituzione, debbono pagare severamente il fio del loro spergiuro. Ma tutti quegli ufficiali che sono rimasti fedeli all'obbligo del loro ufficio, che hanno obbedito con lealtà agli ordini ricevuti dai superiori, tutti costoro debbono scegliere: O rimanere i difensori della nazione senza differenza di partito, o diventare i satelliti di un solo partito contro il resto della nazione. Se intendono rimanere i difensori della nazione, la loro via è tracciata: partecipare alla lotta per la riconquista della libertà alla nazione. Se accettano di diventare i satelliti di un solo partito, essi legano il destino dell'esercito e di sé stessi al destino di quel partito. Se sceglieranno la prima via, la crisi del trapasso dalla dittatura alla nuova libertà sarà meno difficile, e la sistemazione della nuova libertà assai piú agevole contro ogni nuovo tentativo di dittatura fascista o comunista. Se si lasceranno asservire al fascismo, la lotta per la libertà diventerà assai piú difficile; la crisi - ché ad una crisi si dovrà bene arrivare - sarà ben piú profonda e piú pericolosa; il nuovo ordine sarà assai piú malagevole ad edificare.
Questo, ad ogni modo, è sicuro: Mussolini non è eterno. Chi si sarà legato a lui, cadrà con lui. E la nuova libertà sarà conquistata o con voi, o senza di voi, o contro di voi.


VI. Il dovere di ogni ora.

A parole molti son pronti a scendere in piazza. Pochi sono disposti a fare un sacrificio, anche piccolo, giorno per giorno. "Dateci un obiettivo, dicono molti, e noi agiremo: se no, no".
Vuoi un obiettivo? Eccotene uno, importantissimo e necessario: creare intorno ai fascisti un ambiente plumbeo di ostilità, nel quale essi si sentano isolati, odiati, disprezzati, senza che possano individuare precisamente in nessuno il loro nemico. Nessun attacco contro i fascisti avrà possibilità di successo, se esso non sarà stato preparato da questa generale silenziosa ostilità, che li disorienti, li scoraggi, li demoralizzi, li renda fiacchi nella difesa, incapaci di passare all'attacco. Questo resultato puoi raggiungerlo, senza grande difficoltà, senza nessun pericolo, con la semplice tattica della resistenza passiva, cioè se tu semplicemente ti astieni da ogni atto di adesione al regime o se compi quegli atti, se vi sei costretto, piú tardi e piú di mala grazia che sia possibile.
Se c'è una manifestazione fascista, vinci la pettegola curiosità, e stattene chiuso in casa, o vattene per i campi. Questo piccolo sacrificio non ti crea nessun pericolo. Eppure se i fascisti rimanessero soli a fare le loro dimostrazioni, a che cosa si ridurrebbero queste?
Se sei invitato ad intervenire ad una carnevalata fascista, non rispondere. Se ti costringono a intervenire, lasciati minacciare una, due, tre volte, prima di farti vivo. Se cedi subito, essi crederanno di avere il tuo consenso e si sentiranno piú audaci. Se li costringi a minacciarti, li costringi a dubitare della loro forza, li obblighi ad un lavoro di sollecitazione e di pressione, li esasperi e li rendi piú nervosi.
Se non puoi fare a meno di andare ad una dimostrazione fascista, arriva al luogo di riunione piú tardi che sia possibile; marcia peggio che ti sia possibile, disordinando le file, facendo la faccia del bue portato al macello; non applaudire; rimani inerte e istupidito.
Se ti invitano a diventar socio di un loro sindacato, ripeti la stessa tattica: non rispondere; obbligali a invitarti una, due, tre volte; non pagare le quote, se ti è possibile; ritarda i pagamenti fin che ti è possibile; non partecipare alle assemblee; se ti obbligano ad andarvi, non applaudire mai.
Tronca ogni amicizia coi fascisti. Non andare a fare le tue compere dal bot­tegaio fascista. Non dar lavoro al milite fascista. Non comprare mai un giornale fascista.
Tutti questi obiettivi negativi si riassumono in un precetto solo: Non vendere la tua anima; non far concessioni al male: "Non mollare".
Questi sono i minimi doveri che devi compiere. Se non fai questo minimo, non dirti anti-fascista. Di a te stesso che sei un vigliacco. Non giustificare innanzi alla tua coscienza la tua vigliaccheria dicendo che aspetti la grande ora, che prenderai posizione anche tu solamente quando il popolo si sveglierà, quando il popolo avrà riacquistato coscienza. Il popolo sei tu. Svegliati. Riacquista tu coscienza. Fa il tuo dovere, e non aspettare che lo faccia prima il tuo vicino.
Se desideri compiere qualcosa di piú che questo minimo dovere negativo, tu hai molti altri obiettivi positivi a portata di mano.
Ti trovi di notte in vicinanza di qualche manifesto fascista, senza alcun testimone? Strappa il manifesto. Mettiti in tasca un pezzo di carbone e sporca la maschera del "duce" sempre che tu possa farlo senza pericolo. Sono piccole cose. Ma se migliaia di persone facessero sistematicamente queste piccole cose, i fascisti si sentirebbero meno sicuri di sé stessi, avrebbero piú paura, sarebbero condotti dalla paura a commettere piú pazzie, si creerebbero piú vaste e piú amare inimicizie. I colossi sono anch'essi uccisi dai microbi.
Se vuoi andare ancora piú in là nel servire la causa, cerca di farti delle amicizie sicure fra uomini che abbiano le tue idee politiche. Se vieni a sapere che esiste un individuo che ha voglia e capacità di lavorare nel nostro senso fai di tutto per conoscerlo. Se è in altro paese o in altra città cerca di metterti a contatto con lui, sia facendo un viaggio, sia mandandogli un tuo amico sicuro. L'importante è creare una rete di persone sicure capaci di intendersi e di agire ad un momento dato per un fine comune. I dirigenti di un movimento di liberazione non si improvvisano: bisogna che essi acquistino fiducia l'uno nell'altro per poter preparare e iniziare concordi l'azione.
Rifiuta però di intervenire a riunioni a cui partecipino molte persone; a tali riunioni non si conclude niente e ci son sempre delle spie. Non tenere tessere e registri; distruggi sempre le lettere.
Diffondi la stampa clandestina tra i conoscenti di cui ti fidi; mandala per posta a quelli di cui non ti fidi e agli estranei. La diffusione della stampa clandestina ti servirà benissimo per riconoscere quello che sei capace di fare e quali sono effettivamente le possibilità di organizzazione dei tuoi amici. Allarga piú che puoi il cerchio d'influenza delle tue idee, facendo, se ti è possibile, decine o centinaia di copie a macchina dei fogli o degli articoli o delle notizie che ti vengono sottomano e diffondendole con ogni mezzo. Non abbiamo giornali che possano controbattere a milioni di esemplari le menzogne fasciste. Ma se ogni persona che riceve un foglio clandestino ne facesse solamente quattro copie, in poche settimane quel primo foglio si moltiplicherebbe in milioni e milioni di esemplari.
Cerca di mettere insieme un piccolo fondo che ti consenta una certa libertà di movimento; puoi averne bisogno per fare un viaggio, per comprare delle armi, per procurarti un mezzo di locomozione, per aiutare la famiglia di un arrestato o di un profugo.
Sacrifica una notte di sonno per dattilografare un foglio clandestino e ap­piccicare francobolli sulle buste. Sacrifica il piacere di accompagnare al cine­matografo tua moglie per andare a portare una notizia a voce agli amici del paese vicino. Studia in che modo puoi far circolare con la massima rapidità una parola d'ordine. Esamina, parlandone solo con gli intimi quel che si potrebbe fare per impedire il concentramento dei militi fascisti dalla campagna sulla città in caso di rivolta. Esamina quali sono nella città i centri di raccolta dei fascisti, e quel che si potrebbe fare in caso di rivolta per impadronirsene. e disorganizzare la difesa.
Se sei arrestato in flagrante rifiutati di dare qualsiasi spiegazione. Abbi ben chiaro in mente che non puoi sperare in nessuna difesa giuridica. Non voler fare il furbo raccontando cose fantastiche che sarebbero presto riconosciute non vere. Se cominci a parlare ti porteranno facilmente a dire quello che non vuoi dire e a compromettere i tuoi amici. Non credere alle promesse di liberazione dei poliziotti. Non credere quando ti fanno leggere i verbali delle deposizioni di amici che ti accusano: sono invenzioni della polizia e dei fascisti per farti cantare in un momento di stizza. Non parlare mai per risentimento se vieni posto a confronto con uno che ha confessato. Per vendicarti danneggeresti la causa. Opponi tenacemente una muta e tranquilla resistenza passiva a tutte le indagini.
Solo chi è pronto ai piccoli oscuri sacrifici immediati sarà capace delle grandi imprese nel giorno della prova suprema. Solo chi ha esaminato a lungo tutte le possibilità di azione ed ha saputo pazientemente aspettare la sua ora, è capace di un'azione energica ed efficace non appena se ne presenta la necessità.
Il libro del destino è sempre aperto a chi voglia scrivervi la sua parola. Chi non vi scrive nulla, non vi trova rulla. Chi si fa avanti a riempirne le pagine, le riempie in proporzione della propria volontà. L'avvenire ti è ignoto. La tua volontà non ti è ignota. Se hai la volontà di riconquistare i tuoi diritti, tu li riconquisterai.
Per la nuova libertà d'Italia. Ora e sempre.


VII. Il dovere immediato: non votare.

Hai intanto e subito un mezzo semplice e facile per affermare e far valere la tua fede antifascista: il giorno del "plebiscito" non andare a votare e met­titi fin d'ora a far segreta propaganda per l'astensione.
Non ti illudere di poter votare contro il fascismo. Se hai questo coraggio e vuoi cosí fieramente rivendicare un tuo diritto calpestato, rischia pure; ma non credere che molti ti seguiranno. L'astensione è per la massa, timida per forza di cose e per malefica suggestione, l'arma piú maneggevole.
Evidentemente i fascisti, col sistema della doppia scheda, si son riservato il controllo del voto. Quelli che voteranno per il Sí, con la scheda tricolore, ci terranno, uscendo dalla cabina, a mostrare la scheda bianca. Quelli che vo­teranno la bianca potranno essere facilmente individuati dai fascisti che esamineranno ad uno ad uno i votanti. Si sa inoltre che le schede con la bandiera e le buste sono stampate su carta cosí sottile che si vedono in trasparenza i colori! (Questa carta è stata mandata appositamente da Roma a tutte le stamperie delle provincie).
Non dire che non mette conto di compromettersi con l'astensione, perché le elezioni saranno fatte in modo che il governo fascista potrà sempre far figurare - sulla carta - un numero sterminato di voti in suo favore. È vero che queste elezioni plebiscitarie sono una nefanda commedia. È vero che il popolo italiano è costretto a votare per i soli candidati fascisti, scelti dal Gran Consiglio fascista, proposti dalle organizzazioni sindacali fasciste, stamburati dalla stampa fascista. È vero che queste elezioni si svolgono in un'atmosfera di tenebrosa oppressione e che saranno una atroce beffa giocata al popolo italiano di fronte a se stesso e di fronte agli stranieri che osservano e ridono; una beffa organizzata dagli assassini di Matteotti, di Amendola, di Don Minzoni, di Pilati, di Piccinini, di Di Vagno e di altre centinaia di martiri per la libertà.
Risposta degna a questa provocazione sarebbe solo l'insurrezione del popolo. Ma le insurrezioni non si comandano. Nascono spontanee per il gioco di forze irresistibili. La nostra verrà da sé, quando la sua ora dovrà suonare. E non può tardar molto.
Oggi, come gesto preliminare, noi ti consigliamo l'astensione dalle urne. Il tuo sarà un muto atto di protesta e di fede. E non credere che non sia efficace. Se il numero delle pecore votanti sarà scarso in tutta Italia, il fascismo avrà la prova del suo pericoloso isolamento e ne tremerà. Aumenterà i rigori? Farà il suo danno. Cercherà di addolcirsi in compromessi? Si scaverà la tomba.
Se il popolo italiano saprà dare, anche solo a se stesso (poiché l'estero non conoscerà che le menzogne ufficiali di Mussolini) la prova di saper compiere un ampio gesto di resistenza passiva, avrà mosso un gran passo sul cammino della sua redenzione.
Astenersi non sarà facile, perché i fascisti arruoleranno per forza i votanti. Però, piú avrai fatto propaganda astensionistica e piú sarà difficile il compito degli aguzzini. Di fronte alla diserzione in massa dalle urne, militi e galoppini saranno impotenti: né oseranno pensare a rappresaglie.
In ogni modo potrai evitare le pressioni allontanandoti in tempo dal tuo paese o dalla tua città, dandoti per ammalato ecc.
Non credere a quelli che ti dicono che tutti devono votate a favore, anche i piú noti antifascisti per svalutare il significato delle elezioni. Si tratta di una trappola per indurre i gonzi a fare il gioco del governo.
Ricordati che partecipare al plebiscito è un supremo atto di viltà; quello dello schiavo che bacia la frusta che lo fa sanguinare. Gli italiani non ridotti a pecore o a porci, hanno una buona occasione di dimostrare che subiscono dolorosamente, ma non accettano, un regime di assassini e di ladri, disonore del loro paese e dell'umanità. non votare!
Roma, marzo 1929.