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Una lunga lettera a Nora
di Angelo Civitareale
L'Archivio Editore


Presentazione
di Enzo Cicchino

Ti immagini l'atrio di quell'appartamento al terzo piano battuto dalla penombra.  Le passeggiate in una stanza, al cui silenzio, senti il volo delle palpebre sulle pupille con l'intimazione di sedurre.
Di Angelo Civitareale ecco l'ambiente in cui veglia.  Si muove.  Ordina.  E per noi ha in serbo un premio: il suo sguardo sottile.  Non si ferma alla crosta dei fatti ma con l'ossessione di un entomologo- avvicina le pupille sui nodi nervosi della trama che tesse.  Ci costringe, delimita, chiude.  E per non lasciarci delusi, eccoci, come falchi, a stringere fra le dita lo sgorbio più infelice del cuore: l'ipocrisia! che ancora una volta, come in Pirandello, si nutre dello squallore piccolo borghese di provincia.  Del sud senza regno che è nell'ogniddove assassino.  Dentro portici ove ognuno si nasconde, ne acquista il carattere inutilmente crudele, sfiora la morte col gusto sadico di un eunuco violento e manipola l'istinto più atavico dell'uomo: l'amore, della cui seta cuce e ricuce il panno dopo averne dilaniato la magia.  Lo raschia.  Il nulla acquista forza.  Divien utero bitorzoluto consunto dalle abitudini.
Ma a soqquadro la virtù ipocrita!  Qui il sentimento brucia.  "Guardavi il mio letto emettendo mugolii e sospiri... "E il labirinto della bellezza soccombe travolto dalle sue stesse sfaccettature impalpabili.  Gli occhi di Nora sono dentro di noi.  Corrosivi.  Sull'uomo. "... E quando mi riebbi, ricordai improvvisamente di essere uno dei tanto vituperati 'matusa' ...come avrei potuto fingere di ignorare che per te io sarei potuto essere tuo padre?" Il corpo è reduce.  Critica soglia dei 'quaranta'!  E compare il ribrezzo.  Ahimé.  Irreparabile.  Perché il succo delle emozioni è nel pathos dell'età.  Si.  Della perduta età certo, ma non... il dramma visto dal comodo soglio dell'ottuagenario.  No. Troppo comodo.  Ma dall' "Esasperato bisogno di prolungare quel senso di attesa o di vigilia..." E' la livida malinconia -del quarantenne- che subisce per la prima volta, del tempo, l'orrido colpo di frusta, lasciando in lui inappagata ogni voglia di tenerezza.  E' ancora giovane, certo, solo... non è molto giovane!  Non come si dovrebbe nel suo caso.  Età normale, banale, inutile la sua: di uomo maturo! bastarda età! che ti fa sentire addirittura vecchio.  Giovane.  Quasi... Troppo vecchio!  E tu sei lì muto che guardi, non hai ancora rinunciato!  A chi guardi?! insisti, non smetti di agognare le bramosie del futuro.  Di lei!  Non vorresti deluderla!  Invece... perdio! come puoi esser sincero con te stesso, quando... la carezzi... ed è una ragazza di cui potresti amaramente essere padre!
Perciò il conflitto in cui cade il maestro: è il nostro!  E' l'usura della giovinezza.  Orfani.  Per la prima volta!  E' la soglia del dolore.  La resa dei conti.  Ed è in questa resa l'angoscia dell'uomo contemporaneo.  Si comprende dunque perché il racconto di Civitareale non è solo storia d'amore.  No. Addirittura potrebbe dirsi che -all'autore- di quell'amore non gliene importa nulla! ma gl'importa.  E' lui che vive sulla propria pelle un paradosso di cui la natura deve ancora renderci ragione. L'insidia verminosa del tempo.  Dinanzi a tal orrore è il meno innamorato, dunque, il più forte, Nora! che domina.  Lui.  Prigioniero di energie mai sopite.
Il cuore preme tentacoli invisibili.  Il dramma sgorga generoso ed il bisturi di Civitareale ne emerge col rigore dell'analisi.  E' spietato.  La guaina dei singoli fatti si stacca dalle -midolla realtà- e ne sputa il vero che le ricopre.  Un partorire fuoco!  Lo scrittore inferocito affonda nei protagonisti l'arma, del dettaglio prossemico.  Vigila.  Nessun gesto, parola, interiezione sfugge al vaglio chirurgo.  " ... Alta e slanciata, con i piccoli seni acerbi che il tuo cappottino rosso lasciava indovinare sotto l'aderentissimo corpetto di lana... Mi confessasti, in una lettera, che qualche volta baravi..." Coraggiosa è anche la tecnica espressiva che Civitareale adotta nel proporsi.  La lettera, appunto.  Genere difficilissimo in cui si cimentarono Goethe, Foscolo, ma la cui drammaturgia richiede dominio.  Qui è letteratura.  E di una lunga lettera a Nora si tratta.  Una lettera senza risposta.  Una lettera che stilla costernazione e rabbia.  Ne senti gli spasimi per quei puntuti acini di sabbia che ti feriscono, erodendo le arterie dell'attimo.  L'appartamento ne risuona.  Cupo.  E i muri bianchi si animano. incisi di forme dai caratteri solforici di emozioni compresse.  Lo spazio si dipana come l'ansimo di un fotogramma.  Sferzato.  Nella corsa.  Al rallentatore.  Di un sogno che diventa film.  Scaglie di gesti.  Morsi.  Fuoco. 1 dettagli narrazione rilevano sogni ancor più costosi della realtà.  E che sono veri!  Più veri.  Palpabili. Ecco il dialettico parossismo: l'abilità dell'occhio scrittore a convincere.  Il segreto che orchestra la sua comunicazione... La forza non verbale del silenzio che fu già di Flaubert e c'è molto di Bovary in questo percorso stilistico, in parte antico, in parte crudamente contemporaneo, che si inerpica nell'immaginario del presente televisivo di cui l'uomo di oggi è schiavo.
Lingua di serpe avvolta in mille spire.  Ci saremmo attesi un comodo superamento dell'angoscia con un improvviso lieto fine.  Ma no.  Ignoreremmo le alchimie dell'amore! nei cui segreti amari l'autore ci costringe, immergendovi le labbra, per assaporare l'oscuro dubbio.
Forte.  Riconosceremmo noi stessi in quegli svolazzi bruni.  Vi sanguina la parte vigorosa della migliore storia, della più spiraliforme poesia.  La penna è sobria, coglie.  L'asciuttezza tagliente ci porta per mano sul precipizio.  Confusi, ci lasciamo prendere.  Improvvisa è la scelta.  Entri nelle feritoie del cuore di una donna che ami... con la stessa infida certezza di un carcere ed il cui ricordo resta impiccato ai fragili specchi di un acquario.
Dov'è lo scrittore?  Dov'è l'uomo?  E Nora?  La lunga lettera che lui scrive è lei.  Lei in queste parole farsi doipna.  Fuori tempo.  Fuori anima.  Fuori!  Lei.  Futuro imperfetto.  Passato fuggitivo che talvolta la memoria teme.  Ti fermi sui dettagli.  Scavi.  Ti reprimi in essi.  Ti ci nascondi.  Maniacale.  Vampiro.  Insorgi nella realtà della protagonista come da una lezione di nibelungiche armonie.  La sintassi dà ossatura all'amarezza.  Chiude la processione.  Con quel tocco di classe dalla forma limpida.  Scrittura di carne.  Su quell'amore che taglia la faccia.  Incompreso.  Rappreso.  Sotteso.
Quell'amore di sole vertigini.  Senza vesti.  Nudo.  Con le vesti.  Cucite al vizio di crude allusioni.  Amore.  Riflesso circoscritto delle orbite.  Ne cogli tra i capezzoli chicchi di uva acerba il cui aspro però ti manca e ti possiede.  On-nai schiaffeggiata dall'estasi della propria estate vissuta, Nora è lontana.  Morendo su altri corpi.  Resta solo nella forza dello scrittore il suo vizzo presente che ci viene incontro su fili inesausti d'argento.

Angelo Civitareale è nato a Vittorito (L'Aquila).  Ha insegnato per oltre vent'anni nelle scuole primarie della sua provincia.  Durante l'ultimo conflitto mondiale, col grado di sottotenente, ha partecipato nelle diverse fasi della vicenda bellica in varie specialità:
Fanteria motorizzata, Difesa costiera (Difesa porto di Catania), Corpo automobilistico (Sardegna e Guerra di Liberazione), guadagnandosi la Croce al Merito di Guerra.
E' stato per circa vent'anni corrispondente de "Il Messaggero" di Roma.  Ha collaborato alla rivista di Cultura "Misura" di L'Aquila, fondata e diretta dal poeta Giuseppe Porto.  Attualmente collabora alla rivista pescarese "Oggi e Domani" alla "Tenda" di Teramo ed al "Bollettino parrocchiale " di Vittorito.
Ha pubblicato il volume di storia e folclore "Sagre e paesi d'Abruzzo" (Ediz.Japadre, L'Aquila Roma 1982) Nel 1992, presso il medesimo editore, ha dato alle stampe il libro di storia "Città romane d'Abruzzo ".


 
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