BALI
appunti di viaggio

di Marco Maggioni

 

Marco Maggioni
un esperto di orientamento al MANAGEMENT

Il volo per Bali

Era l'aereo più economico, un arabian aerline, un milione e duecento cinquantamila lire andata e ritorno, Roma Bankok, via Gedda, Arabia Saudita.
Dicembre. Strana sensazione quella che sempre si prova quando entri nel cavo di un aereo con destinazione intercontinentale; ti sembra di aver varcato davvero la soglia di casa, entri in un altro mondo: le suppellettili, l'arredo, i rituali e le scansioni organizzative e le stesse hostess sono sempre gli stessi. Sono i passeggeri che fanno la differenza: stranieri fino a un attimo prima di salire a bordo, poi li vedi trasformarsi, sono più a loro agio, caratterizzati con più forza e più evidenza, come se fossero già a casa loro, e e difatti è così visto che la linea aerea è la loro.
Nell'involucro anonimo di un interno boeing si isolano i gesti e i volti e la parola ; filtra così il peso di una cultura, così diversa dalla tua.
Erano quasi tutti arabi. Non avrei saputo dire di che Paese, nè di che particolare ascendenza religiosa. A fronte della mia scarsissima esperienza di cultura araba, anche il più semplice gesto, quel particolare modo di sorridere, o quel tono della voce strascicato e cantilenante, quella espressione dell'occhio che ammicca, tutto era per me nuovo e generalizzabile in una banale arabicità.
Ad un certo punto percepii un regolare e organizzato flusso degli arabi maschi verso le toilettes, e, mano mano che si avvicendavano con ritmi regolari di cinque minuti ciascuno, ritornavano ai loro posti trasformati, travestiti, anzi vestiti tutti uguali di bianco con la spalla tutta nuda e molto profumati di un profumo intenso che se chiudo gli occhi lo percepisco ancora. Non era un vestito, sembrava più una tunica, un drappo a tracollo stile romano antico ed era buffo non solo vederlo a contrasto con l'arredo di boeing internazionale, e con le hostess indifferenti tutte impeccabili nelle divise, ma anche a contrasto con gli accessori che indossavano, occhiali luccicanti dal taglio ultra moderno, braccialetti d'oro massiccio, orologi vistosi, sembravano quasi come quegli attori di film storici di fattura artigianale in cui qualcuno dimenticava l'orologio al polso a beneficio di una comicità involontaria per il piacere di generazioni di spettatori futuri.
Certamente si stavano preparando per partecipare ad una processione, ad un rituale in occasione di una festa religiosa ricorrente e molto importante, o forse di un lutto, visto che per loro é esattamente il contrario che da noi: il bianco assume il significato di quello che per noi è il nero. Non sono riuscito a saperne di più, anche perché erano impegnati a vestirsi e troppo assorti nelle preghiere e i pochi altri passeggeri europei ne sapevano quanto me, e cioè niente. Salmodiando salmodiando quasi cullati da una cantilena un po’ cantata un po’ recitata, cullati da questa magica atmosfera di odore pungente di profumo e talco, imbottiti di mangiare e di sonno, mi svegliai a Gedda di cui vidi solo un pezzetto di aeroporto, quasi lunare, con grandi containers semoventi scatole cubiche ritagliate da luce insolita tagliente, senza diaframmi, un mondo inaccessibile, senza mezze misure, dove l'ombra é quasi buio e la luce é accecante, definitiva nella sua implacabile lucentezza , l'una nasconde l'altra, mentre sulla linea di confine sfilano le tuniche bianche in fila inghiottite presto da uno sportellone automatico invisibile. Scene, diresti, prese pari pari da un film di Spielberg.
Si riparte più leggeri, con altri pochi passeggeri questa volta indiani e indonesiani, ma quasi tutti in fogge occidentali, omologati, e quindi privi di quella caratterizzazione e 'presenza' che avevano i passeggeri arabi.
Poi, non ricordo più niente, evidentemente non c'era più nulla che valeva la pena di una veglia . Ho dormito alla grande fino a Bankok.

In viaggio nell'isola

Sembra banale dirlo, ma vale sempre la pena ripeterlo:
chi vuole capire veramente qualcosa di un posto, il modo migliore è che si predisponga a vivere come i locali, a utilizzare gli stessi mezzi, a frequentare gli stessi negozi, gli stessi ristoranti, e soprattutto ad organizzare un circuito personale, non necessariamente frutto di consigli di amici o di agenzie. Perchè quando tutto è nuovo, un percorso rappresenta tutti i possibili percorsi, e allora tant'è non predisporsi a giungere in un punto, ma di partire dal punto in cui stai: é lì già scritta la mappa del tuo percorso, la scrivi tu con ciò che provi o trovi in quel posto, sia essa una emozione, un incontro interessante, una vista suggestiva, un evento che ti coinvolge solo se sei pronto a farti coinvolgere, solo così si sviluppa pian piano un percorso senza che te ne rendi conto , lo vivi tu momento per momento. Tanto, prima o poi, i templi, il villaggio particolare, un certo monumento, tutte le cose eccezionali che é previsto che un buon turista debba incontrare e conoscere prima o poi te li troverai davanti proprio perché stanno lì, inamovibili, in attesa di te, ma ci arrivi attraverso una esperienza di verità, di sana immersione nella cultura locale, nelle attività del posto, nel flusso quotidiano della gente del luogo. Solo recuperando un tuo senso del quotidiano puoi assaporare il quotidiano degli altri e comprenderlo e scoprire cose inedite, usanze, comportamenti, linguaggi, che danno senso alla tua presenza lì e alla tua assenza dal tuo posto di origine, giacchè si suppone che tornerai ad arricchire nel tuo piccolo un vuoto che comunque va riempito con le cose migliori che sai destinarti.
Provenendo da Pulaki prima della cittadina di Singaraja, capitale di Bali sotto gli olandesi, c'è Lovina Beach, lunga striscia di spiaggia di sabbia dove si affittano bungalow per pochi dollari a notte.
Di alberghi ce n'é a bizzeffe e di tutte le taglie in giro, quasi tutti però hanno la pretesa di somigliare a quelli occidentali, per via degli optional, i servizi, i lussi e le abitudini di cui troppo spesso i turisti non vogliono privarsi; preferiscono rinchiudersi in un ghetto dorato che non li responsabilizzi di dover capire qualcosa, né li impegni più di tanto a scoprire qualcosa di sè, o del luogo che li ospita.
Ci si estranea per ritrovare pochi metri quadri di territorio riconoscibile, con segni che lo rendono identico o simile a tanti posti identici o simili spazi nel mondo, fatti appposta per i nostalgici dell'abbandonato territorio d'origine, di chi ha paura di staccare tutto e buttar via la chiave.
Che soddisfazione quando, invece, spogliati dalle abitudini del quotidiano proviamo nuove e inconsuete forme di adattamento che ci permettono di assaporare gusti, odori atmosfere che altrimenti non coglieremmo, come quella volta in una guest house che costava talmente poco che sospettavamo il disastro io la mia compagna, e invece essere accolti da una serie di capanne essenziali nell'arredo, ben messe, pratiche, bagni dignitosi, puliti all'aperto pavimenti spartani capanne aperte sotto e sopra ai bordi del tetto di paglia per favorire il passaggio a tutti, dobbiamo convivere tutti in fondo: le lucertole, le formiche , i topi in basso, gli uccelli in alto e noi, in mezza misura con le nostre faccende a profilo intermedio sdraiati su giacigli di legno comodissimi, di fronte un prato verde con palme e una mucca legata che pascola, un contadino che sale a gambe e braccia sul tronco e butta giù cocchi, e di là , là dietro, dietro l'orizzzonte del prato, dietro una siepe, il mare, dietro il mare l'orizzonte, quello vasto, e tutt'intorno una quiete disarmante, il fascino della familiarità del quotidiano riproposto in mezzo al turista, perché uguale a loro. Si convive alla pari.
L'ecezionalità della presenza dello star lì per il turista, si rarefà all'interno di un involucro sociale e culturale fatto di suoni gesti rituali quotidiani entro cui interagisci, loro non disturbano te, tu non disturbi loro. Alla pari appunto. Ognuno coi propri pensieri, abitudini. Rispetto.
Se poi stai con una compagna che si staglia là contro il mare, seduta su di un palchetto di giunchi dove spesso i locali o gli ospiti vanno a posarsi per chiacchierare al tramonto, allora si placano le attese, le aspettative di eventi, assorbi e centellini il piacere di un semplice profilo, l'ombra di una palma al tramonto, e il brucare innocente della mucca e lontano l'eco di una preghiera sussurata, che sembra lontana invece é lì dietro la tua capanna, ogni sera, anzi ogni momento vicino a un tempietto familiare fatto di un cero e una statuetta rivolta verso est, una foglia con sopra un pò di riso cotto, tre petali freschi appoggiati con grazia per terra in onore degli ospiti, in onore a se stessi per ricordare alla Grande Madre la propria esistenza e la propria gratitudine, e la raccomandano contro il male, lo spirito osceno oscuro del mare che qui é considerato fonte di possibili guai insieme al vulcano, l'Agung 'ombelico del mondo': tutto é proprietà del dio supremo Ida Sang Hyang Widhi Wasa, che ha affidato l'isola al popolo balinese, e questi riconoscente, da millenni, ringrazia dedicandogli parte della sua giornata con una serie di cerimonie, di offerte, di preghiere susssurrate all'alba e al tramonto, quando ti sembra che intorno a te un soffio di magia sacra si diffonde con questi sospiri nel buio, nenie cadenzate in ginocchio al riparo in mezzo ad un cespuglio e un lumicino che spunta nella notte ad illuminare il tempietto di famiglia.

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Il mare non é bello, non é certo il mare della Sardegna, é tipico mare di oceano, piuttosto torbido e mosso, non molto invitante se non a Kuta, unica spiaggia distesa resa sguaiata da strati di turisti, molti gli italiani, inspiegabilmente concentrati in uno dei posti meno belli dell'isola, garantitti di esistere grazie al vicino, al vocìo che sa di casa propria e alla miriade di negozi, stand, carretti, bancherelle, stracolmi di mercanzie sempre le stesse per turisti ciechi, non sanno 'vedere' , impreparati a conoscere. Kuta come 'puta', come mi diceva una saggia massaggiatrice di Lovina.
Prendi un 'bemo' e scappa, mimetizzati con i locali, con i contadini e vaga a caso fuori dei centri, dai circuiti ufficiali, fermati solo dove temi di stare per perdere qualcosa, e allora goditi il momento della comprensione, della ricerca di una spiegazione, soprattutto assapora il gusto della contemplazione, riempi di senso la tua presenza in quel posto, e poi riprendi un altro bemo, che tanto passano in continuazione, dovunque tu sia, al limite ti vedono e ti acchiappano, senza orari ma frequenti e garantiti.
Stipato in questi piccoli bus dove entrano al massimo dieci persone a gesti e bocconi rubi informazioni, tra flash di risate e un'offerta di un frutto. Pigiati l'un l'altro senza odori cattivi, pulitissimi allegri, timidissimi.Ti scaricano in una guest house che si intravede verso la spiaggia. Un complesso di palafitte sommerse da grandi foglie di palme riverse sull'acqua del mare, stanze squadrate semplicissime, con finestroni a battenti orizzontali a sportelloni sempre aperti , fino a toccare le foglie con mano e sentire l'odore e il rumore della risacca.

Ubud

Accovacciati in un ristorante letteralmente immerso nel verde, fornito di sentierini molto curati, a ciottoli, in mezzo ad alberi di ogni tipo, dai rami oggetti esotici e maschere pendenti, un'atmosfera bizzarra ma di grande armonia, tutti noi avventori seduti in linea su uno stesso versante e davanti a noi, di là del tavolo, l'inserviente e di sfondo come una grande finestra senza infissi, lo spettacolo di un campo di riso, un semplice campo di riso che è poi un campo d'acqua ben squadrata e delimitatata da verdi sentieri, curato alla perfezione, per sfondo ciuffi di alberi più scuri, in mezzo all'acqua un casolare antico quasi un castelletto in miniatura, e immerso fino alle ginocchia un contadino col solito copricapo conico sulla testa, così largo da nascondere mezza sagoma.
I gesti lenti, il gracchiare petulante delle rane, scandivano il tempo con maniacale regolarità: fui invaso da una emozione fortissima. Una musica scaturiva dagli alberi con ritmi ripetitivi ed esemplari nella loro semplicità, avresti detto che erano le foglie che suonavano, i rami a percuotersi con una sonorità spensierata, ariosa, intrisa di nostalgia e naturalezza, e una grazia di echi, di timbri, riempiva l'atmosfera impregnandola di sacralità; la sensazione di riconciliarti con qualcosa che avevi dimenticato e sempre osteggiato o rimosso: l'appartenenza.
La consapevolezza di sé che si materializza attraverso la fisicità del corpo e della mente. Si dipanano i pensieri e le emozioni in una carrellata di sensazioni indelebili. I colori diventano colori, i sapori sapori, gli odori odori, tutto diventa corpo, anche la musica si fa materiale, si tocca quasi: lei asseconda le tue emozioni, le tue emozioni assecondano le atmosfere, intorno ti annulli recuperandoti.

In questo panorama che si stagliava davanti era come se ogni sua parte anche quella più lontana fosse lì in parata tutto alla stessa distanza;
Una strana impressione questa e una scoperta: mancava la prospettiva!
Ora capivo la loro pittura, così famosa qui a Ubud. Mi sembrava naif, semplicistica, soprattutto nei piani visivi, il vicino e il lontano che si elidono in una magica cornice grafica in cui un reticolato di colori azzera le distanze uniformando le forme proiettate su di una piattaforma visiva.
Ho capito! é una questione di colori e di luci, sono minime le differenze di colore tra gli alberi, tra le palme e le acacie, tra sfondo e primo piano c'è forse il sapore dell'atmosfera che crea un effetto ottico di appiattimento quasi fiabesco, sembra una decorazione della natura dove tutti gli oggetti, le cose, le foglie, gli uomini, stanno su di uno stesso piano e comprendi che ciò é aderente e rispecchia la loro religione, questa fusione tra animismo, buddismo, e induismo, dove prevale proprio la filosofia della terra, della appartenenza ad una fisicità che ci sovrasta, che ci fa tutti uguali uomini e cose e che soprattutto rappresentano ciò che vedono ciò che io stesso ho visto e vissuto..
L'incantesimo non nasce dal mero paesaggio, ma dalla fusione della bellezza di natura con una civiltà metafisica, retta dagli dèi archetipi. Qui tutto si esprime come Forma, risplende ovunque il 'dharma', e perciò attorno ad ogni oggetto irraggia un'aura, si manifesta un significato metafisico.
La Forma era stata recata nell'isola dall'India prima del V secolo, probabilmente da maestri spirituali. Nei secoli essa è rimasta intatta, copia della spiritualità indiana. La tradizione a Bali non si è mai degradata a iterazione di nozioni e di gesti fine a se stessa, è rimasta una forma formante: un modo di respirare, non una posa e simile a un vortice ha via via attratto, assorbito amalgamato la varia materia della storia, per cui convivono il vishnuismo e il buddhismo, oltre a influssi cinesi
Le scimmie intanto saltellano argute, offrendosi alla tua presenza, con dispetto forse di essere rimaste indietro nel cono evolutivo. Si vede la differenza! invidia?

La musica

Da allora è stato come un riflesso condizionato, ogni sera di notte il suono profondo e penetrante del gong di bronzo, strumento del terzo secolo a.C., e lontani tamburi e flauti e litofoni, mi attiravano come un incanto; stregato arrancavo nelle vie buie sfiorato nella notte da passanti furtivi, gentilissimi, gente pacifica, rumori ovattati, lanterne dentro le case con rumori domestici, illuminavano le notti , il percorso tenebroso verso la luce del suono come il richiamo di una sirena , morbida l'aria come le larghe foglie di palma, fino a giungere ai teatrini rustici ma scintillanti di fregi e festoni colorati, con siparietti da commedia popolare dietro i quali si intravedono volti furtivi dei personaggi ridenti innocenti intimiditi.
Una musica spavalda il "gamelan"nella proposta di timbri semplici, musica di regole, anche se scarne, il ritmo, le scansioni, i tempi sono frutto di secoli di civiltà su questa base musicale, si libera a volte un flauto a volte un vibrafono, che percorre vie spontanee di 'colore' di percorsi lineari, che quasi ti ipnotizzano per la loro esemplare semplicità, frutto più di antichissime virtù sonore, una ripetitività talmente gioiosa che non puoi fare a meno di porgere l'orecchio e perderti volentieri nelle scansioni della tua coscienza e scoprirne gli anfratti meno esercitati e trovarli bellissimi perchè misconosciuti, perchè avviliti definiti troppo semplici nascosti per pudore, o raggrinziti dalla aggressività di una vita quotidiana che non li accetta; riveli a te stesso la semplicità, sdrammatizzi il dramma della vita, ti appaghi di esserci, contento.
Ogni suono reca un messaggio metafisico, non solo quindi la voce perentoria degli strumenti, ma ogni ritmo della natura e del lavoro umano , ciascuno essendo una modificazione particolare di quello fondamentale, originario, scandito dalle donne quando pestano ritualmente i chicchi del riso.