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Assunta Di Crosta ed il Prof. Marco De Angelis.

(Foto Paolo Mancino)



Le prime impronte della storia dell'umanità.

Intervista di Assunta Di Crosta a Marco De Angelis che, insieme al suo amico Adolfo Panarello, è stato il protagonista della "scoperta" delle prime impronte umane di Tora e Piccilli, un piccolo centro dell'alto casertano.


Prof. De Angelis è vero che le impronte "scoperte" a Tora e Piccilli in località Foresta, erano conosciute da tempo dai locali come le "ciampate del diavolo"?


A Tora e Piccilli, piccolo centro dell'alto casertano, sulle pendici del vulcano estinto di Roccamonfina, gli abitanti conoscevano quelle orme sulla roccia come "le ciampate del diavolo" (presumibilmente da circa 200 anni). La tradizione popolare voleva che fossero state lasciate dal diavolo in persona, l'unico essere soprannaturale in grado di camminare sulla lava ardente, l'unico essere a lasciare le proprie orme sulla roccia. Da sempre, venivano indicate ai bambini per scoraggiarli dal camminare sul pericoloso sentiero su cui esse si trovavano. Spesso queste strane orme erano meta di scampagnate primaverili delle scolaresche locali. Ultimamente le impronte avevano suscitato la curiosità di gruppi di escursionisti che la domenica transitavano per i numerosi sentieri del vulcano di Roccamonfina, tanto che la Comunità Montana Monte S. Croce aveva segnalato la località con alcuni cartelli turistici. Qualche autore di storia locale le aveva riportate anche nei suoi testi, però erano state descritte semplicemente come "una passeggiata di un essere soprannaturale", oppure come delle tracce lasciate nella roccia dal popolo dei Sanniti.


Lei e il dott. Adolfo Panarello, quando avete avuto l'intuizione che poteva trattarsi di un'importante "scoperta"?


Io e il mio amico Dott, Adolfo Panarello, nell'estate del 2001 decidemmo di studiare le famose "ciampate, " consapevoli che dietro ogni leggenda popolare c'è sempre una spiegazione scientifica. (Siti che hanno una denominazione analoga sono presenti un po' in tutta la penisola; per limitarsi alla Campania si ricorda: "Il piede di Satana", "Il trono del Diavolo", "La mano di Sansone", "La caverna dei diavoli"). Dopo ripetuti sopralluoghi ci rendemmo conto che ci trovavamo dinanzi ad una scoperta unica. Le orme erano state lasciate sicuramente da individui bipedi dall'andatura umana, non nella lava ardente, bensì sulla superficie di una colata piroclastica e giunta fino a noi per una serie di circostanze fortunate. Pienamente consapevoli dell'importanza scientifica del sito, decidemmo di contattare il prof. Paolo Mietto, docente di geologia dell'Università di Padova, uno dei massimi esperti mondiali di paleoicnologia, nonché scopritore delle prime impronte di dinosauri in Italia, il quale, dopo il primo sopralluogo effettuato il 28 febbraio 2002, in cui accertò l'autenticità della nostra segnalazione, coinvolse nell'indagine scientifica il dott. Marco Avanzini, paleoicnologo del Museo Tridentino di Scienze Naturali, uno dei maggiori esperti al mondo di impronte fossili, e il prof. Giuseppe Rolandi, vulcanologo dell'Università degli Studi "Federico II" di Napoli, il quale aveva studiato il complesso vulcanico del Roccamonfina. Dopo quasi due anni di studio, la prestigiosa rivista scientifica inglese "Nature", in un articolo dal titolo "Human footprints in Pleistocene volcanic ash", a firma di Mietto, Avanzini e Rolandi, annunciava che "le ciampate del diavolo" erano in realtà le prime impronte della storia dell'umanità.


Quante orme sono state ritrovate e in che modo erano disposte?


Le orme di ominidi ritrovate sono in totale 56. Si dispongono su tre piste, lunghe rispettivamente 13,4 metri, 8,6 metri e 9,98 metri; sono state percorse da tre individui in un arco temporale piuttosto breve, a distanza massima di qualche giorno. Una prima pista, che presenta un tracciato a zig zag, lunga una ventina di metri, presenta 27 orme; la seconda pista, che presenta un tracciato in linea retta, presenta 19 orme; la terza pista, con un tracciato a zig zag, poco più distante dalle prime due, presenta 10 orme. In alcune impronte è possibile scorgere l'impronta dell'alluce e delle altre dita del piede. La seconda traccia presenta, inoltre, tre impronte di mani. La lunghezza delle impronte è di circa 20-22 cm (che corrispondono al nostro 34 di scarpe), da ciò si può dedurre che siano state lasciate da individui alti all'incirca 1,50 cm. Le tre piste evidenziano una deambulazione completamente bipede con utilizzo delle braccia solo in fase di appoggio e riequilibrio in zone di forte pendenza Uno degli ominidi, quello che procede in linea retta, perde più volte l'equilibrio e per ritrovarlo appoggia tre volte le mani a terra. Questo è l'unico caso conosciuto al mondo di tracce fossili delle mani. Le orme sono impresse sulla superficie di una colata piroclastica che fa parte dell'unità geologica dei Tufi Lecitici Bruni di età compresa tra i 385mila e i 325mila anni fa. Le impronte sono state lasciate su di uno strato di cenere in fase di raffreddamento, con un leggero strato di crosta superficiale. Si trattava, in parole povere, di una fanghiglia calda, di temperatura non superiore ai 20 gradi. La superficie fangosa in seguito al passaggio s'indurì e fu ricoperta successivamente da uno stato di cenere. L'erosione del terreno ha poi restituito dopo migliaia di anni le orme come oggi le vediamo. La superficie presenta inoltre le tracce dell'attraversamento di un animale quadrupede di media taglia.


Quale tipo di uomo lasciò le sue orme su questo pendio?


L'ominide era un pre-neandertaliano, probabilmente un homo heidelbergensis, un antenato dell'Homo di Neandertal, vissuto in Europa tra 650mila e i 100mila anni fa. Questa specie era diffusa in tutto il continente europeo, come dimostrano gli scavi condotti in più località. La maggior parte delle conoscenze sull'Homo heidelbergensis giungono dal sito paleoantropologico di Atapuerca in Spagna, dove negli ultimi anni sono stati scoperti i resti di alcuni individui risalenti a circa 400-350mila anni fa. Sono individui di corporatura robusta, piuttosto alti, con la parte centrale del viso pronunciata in avanti, il naso grosso e una capacità cranica di poco inferiore all'Homo di Neandertal. In Italia ritrovamenti di resti fossili di homo heidelbergensis si sono avuti ad Anagni (risalenti a circa 450mila anni fa), a Castel di Guido (circa 300mila) e a Roma (300mila).


A quel tempo in Europa, quanti individui potevano essere presenti?


Al tempo della passeggiata dell'Homo di Roccamonfina, in Europa esistevano poche centinaia di migliaia di individui. Erano cacciatori-raccoglitori, cacciavano le specie animali allora presenti: bisonti, elefanti, rinoceronti, ippopotami, orsi, cinghiali ecc. Con le grandi ossa di animale e le pelli costruivano capanne per ripararsi dalle intemperie. Lavoravano la pietra per ricavarne punte di lancia utili per cacciare e utensili per scuoiare e macellare le prede. Secondo l'antropologo Marcello Piperno, avevano una forma di linguaggio articolato. L'uso della padronanza del fuoco è, invece, controversa; i siti finora studiati non danno delle indicazioni certe e gli stessi antropologi sono divisi sul punto.


Lei pensa che questa zona potrà essere un punto di riferimento?


Gli studi sulle "ciampate del diavolo", da poco iniziati, consentiranno di approfondire le conoscenze sui nostri antenati. L'intera zona archeologica diventerà un punto di riferimento per studiosi italiani e soprattutto internazionali. Tora e Piccilli e l'intero complesso vulcanico di Roccamonfina, nei prossimi anni saranno oggetto di studio da parte delle massime autorità scientifiche e sono convinto che le prossime ricognizioni metteranno in rilievo ulteriori importanti ritrovamenti. Queste sono le prime impronte dei genitori dell'uomo, un'eredità custodita gelosamente per noi dalla roccia di Roccamonfina. Pertanto noi italiani abbiamo la responsabilità di tutelarle e custodirle, perché le prime impronte umane sono proprietà dell'umanità intera.

 

 


 
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