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Guittone d'Arezzo

di Elsa Dal Monego

 verena5@alice.it



Guido di Arezzo, Benedettino e musicista, iniziatore fra l'altro della notazione musicale moderna c.990-1050
Guittone d'Arezzo c.1230-1294 Frate "gaudente" poeta della cosiddetta scuola di transizione, tra la lirica provenzaleggiante e lo stil novo, è stato (uno dei primi ad usare il sonnetto) prosatore.

Non sono molte le notizie di Guittone che si hanno, ma racimolando qualche cosa si è trovato...

Personaggio che visse tra il 1230 e il 1294. Non si sa da dove ne derivi il nome di "Guittone" a quanto pare dalla stirpe dei " Viva" nato a Santa Firmina presso Arezzo, però non si sa con certezza quando, si suppone nel 1230, da famiglia borghese suo padre Viva di Michele faceva il tesoriere del comune di Arezzo.
Fu impegnato nella vita civile del comune come rappresentante dei gelfi conservatori, fino al 1265. Alcune notizie della sua vita si ottengono dagli stessi suoi scritti.
Dopo aver vissuto un primo periodo della sua vita da laico e dopo una giovinezza di lieti amori, verso il 1265 scelse il volontario esilio, per cui verso il 1265 abbandonò la moglie e i figli ancora in tenera età, per entrare a far parte dell'ordine dei Cavalieri della Beata Vergine Maria, chiamati anche "Frati Gaudenti" un ordine monastico-militare istituito nel 1233 da Bartolomeo da Vicenza, per sedare le discordie nelle città italiane.
Riguardo a questo ordine monastico c'è chi dice: che accogliesse in sè anche gli ammogliati e le donne, perciò potrebbe non essere esatto come alcuni scrivono che egli avesse abbandonato la sua famiglia. Sarà proprio Guittone stesso a confermare questa rottura, tanto che nel canzoniere "Rediano" il manoscritto per la trasmissione della sua poesia più importante nella prima fase le liriche portano la firma solo di "Guittone" mentre quella della seconda porta la firma di: "Fra Guittone". Oltre a questo ha anche composto una canzone dove appunto si tratta della sua conversione e dei suoi nuovi interessi.
E' stato da parte guelfa e non si stancò mai di diffondere le proprie convinzioni politiche, nella sua opera caratterizzata dal proseguire della tradizione cortese e da certi importanti componimenti di argomenti politici, da cui si capisce la notizia del suo volontario esilio a Bologna.
L'aspetto che distingue il percorso letterario di Guittone è senz'altro la continua ricerca formale, sia le liriche con più impegno della maturità, sia quelle della giovinezza, che sono caratterizzate da una tensione, sempre verso una sperimentazione stilistica nuova, che se qualche volta rende la sua scrittura difficile e oscura, ha però avuto il gran merito di aver dato un contenuto civile e aver allargato di molto lo spazio poetico a confronto alla scuola siciliana, e in oltre aver sperimentato tutte le potenzialità espressive della lingua. E molto presto Guittone è stato riconosciuto come un maestro e un modello da una intera generazione, tra cui risaltano: Chiaro Davanzati e Luca Bonagiunta.
Quando fu a Bologna nel 1285 in relazioni di affari con i frati gaudenti di quella città, ha avuti illustre amicizie, alle quali mandò versi e prose, fra questi a: "Marzucco Scornigiani" "conte Guido Novello" "conte Ugolino della Gerardesca" "Corso Donati, poi ancora a "frate Lateringo" "conte da Romena" "conte di Santa Fiora" "Corrado da Sterleto" "Cavalcante dei Cavalcanti" e ancora altri.
Fra Guittone come poeta ha fatto vedere chiaramente di aver usato grande diligenza nei trovatori dai quali ha riprodotto tanti artifici di forma, come l'alliterazione cioè la ripetizione di consonanti o sillabe uguali in parole vicine e la replicazione e si è distinto anche nel suo gusto del latino che ancora di più lo dimostra nella prosa. E' stato il caposcuola riconosciuto dai poeti toscani, e intorno a lui si riunirono dei personaggi fiorentini, lucchesi, e senesi, e in modo particolare: Martelli, Pucciandone, Galletto, Bocciarone e anche altri rimatori pisani.

Di lui è molto importante la raccolta delle sue lettere e rime, documenti importanti di una letteratura d'arte in lingua volgare che si modella sugli esempi più noti di arte stilistica e oratoria, è la sua composizione più impegnativa, dove risalta la sua forte personalità di impegno morale e civile. Anche nella prima parte della sua raccolta si poteva accertare la sua ispirazione moralista e pedagogica, infatti parla di amore dal punto di vista teorico e didattico, per esempio ragiona sugli stratagemmi da usare per conquistare la donna amata, e non parla di amore in atto. Nella sua produzione sono presenti anche temi politici e degna di nota, è la canzone indirizzata ai fiorentini che dopo la sconfitta subita a opera dei senesi a Montaperti.
Sono circa una trentina, tutte scritte successivamente alla conversione e per la maggior parte indirizzate ai confratelli su questioni religiose e morali, mentre le rime, queste ultime di ispirazione amorosa, e non solo ma anche di ispirazione religiosa, morale e politica.
Le novità della sua poesia sono state molto apprezzate dai suoi contemporanei, e si diffuse in Toscana dove trovò molti seguaci. E sempre lui è stato anche il fondatore di quel modo di poetare che venne chiamato "Dolce Stil Nuovo" e che con la sua influenza esercitò sulla letteratura italiana fino al Rinascimento. La novità del "Dolce Stile" concerne la materia, ma soprattutto la forma della poesia. Il suo argomento è l'amore, però non sensuale o sentimentale ma compreso come processo di affinamento interiore, come conquista della virtù. "Al cor gentil rempaira sempre amore" la canzone del Guinizzelli che viene considerata il manifesto del dolce stile, mette in evidenza il legame fra "amore" "Cor gentile" e "Nobiltà" e unisce questo sentimento alle risonanze più intime dell'anima. Un'altra caratteristica dello "Stil Nuovo" è l'attenzione per la forma che diventa grande disciplina stilistica. Il poeta traduce i movimenti del suo animo in un linguaggio che sia fedele ad essi il più possibile.
Il dolce stile conteneva anche la scelta di vocaboli non rozzi, ma una qualità di strofa o verso di chiare utilità. Nonostante la sua importanza nella storia letteraria duecentesca. Su Guittone pesavano ancora i giudizi di Cavalcanti che gli rimproverava il "difeto di saver" e soprattutto Dante ha avuto sempre giudizi molto negativi per Guittone perchè nella nota canzone "Ahi lasso, or è stagion de doler tanto" dove Guittone ci ricorda la rovina di Firenze dopo la battaglia di Montaperti. Nell'intenso impegno arricchisce il linguaggio e assorbì molte voci dialettali e termini di origine francese, latina e provenziale e spesso cadde nell'oscuro e nel difficile da capire, ed è questo che Dante gli rimprovera, e anche ai poeti della sua scuola, fino dalla stesura del "De Vulgari Eloquentia" e conferma questi giudizi nella Commedia, negli incontri con Abicciani da Lucca, Bonagiunta e Guido Guinizzelli. E sostiene anche che: "a quel modo ch'è ditta dentro vo significando" però non vuol suggerire un principio di spontaneità della poesia, ma più facilmente la minuziosa ricerca di una espressione molto vicina all'ispirazione.
Scrisse in prosa volgare e in versi. Nella sua operosità poetica si possono segnare due periodi: dei quali nel più antico furono composte le "rime amorose" nel più recente quelle "religiose, politiche e morali". Fra le prime sono notevoli due canzoni in difesa delle donne "Ahi lasso, chi li boni e li malvagi e altra fiata aggio donne parlato" e fra le seconde ci sono le lodi di San Francesco "Beato Francesco in te laudare" e quelle di San Domenico "Meraviglioso beato" e fra le ultime, i versi accompagnati da lettere di aretini "O dolce terra aretina" ai pisani e ai fiorentini. Spesso il linguaggio poetico di Guittone è volutamente oscuro, complicato, prezioso, modellato sull'esempio del "trobar clus" provenziale. Invece altre volte l'autore sceglie un linguaggio popolaresco, realistico, specialmente più di ogni altra cosa in alcuni contrasti tra la donna e l'amante, oppure decide all'interno del trobar leu provenziale, cantando l'amore "fino".
E' stato maestro per i poeti che appartennero alla cosiddetta scuola "siculo-toscana" e viene ricordato come autore di una grande raccolta di poesie divisa in due parti, la prima parte di argomento amoroso, e la seconda, subito dopo all'ingresso nell'ordine dei frati, formata da poesie di estro poetico, morale e religioso.

Con il sciogliersi della monarchia Sveva anche il centro culturale che ha avuto vita alla corte di Federico II e che aveva prodotto la poesia della scuola siciliana venne meno. Ma con tutto ciò non si fermò a quell'intensa attività letteraria che in collegamento con la Scuola Siciliana si era sviluppata in diverse città della Toscana e che aveva contribuito decisivamente allo sviluppo del volgare. Invece la lirica dei siciliani era legata alle professioni della corte e all'ambiente, quella toscana riproduce la realtà della città comunale e i suoi poeti in qualche modo sono sempre parte della vita politica e sociale della loro città, di modo che la loro arte si è distinta anche per un forte senso civico oltre che per la ricerca formale. E i rappresentanti più conosciuti di questa scuola furono: Guittone d'Arezzo, Monte Andrea, Bonagiunta da Lucca e Chiaro Davanzati.




Nel 1293 regalò i suoi beni per la fondazione del monastero "Degli Angeli" a Firenze.
Si pensa che morì nel 1294 a Firenze, ma non si ha la certezza


Dolente, triste e pien di smarrimento
sono rimasto amante disamato.
Tuttor languisco, peno e sto in pavento,
piango e sospir di quel ch'ho disiato.
Il meo gran bene asciso è in tormento;
or sono molto salito, alto montato;
non trovo cosa che m' sia in valimento,
se non con omo a morte iudicato.
Ohi lasso me, ch'io fuggo in ogni loco
poter credendo la mia vita campare,
e là ond'io vado trovo la mia morte!
La piacente m'ha messo in tale foco
ch'ardo tutto ed incendo del penare
poi me non ama, ed eo l'amo sì forte.


Tuttor ch'eo dirò "gioi", gioiva cosa
intenderete che di voi favello,
che gioia sete di beltà gioiosa
e gioia di piacer gioioso e bello,

e gioia in cui gioioso avenir posa,
gioi d'adornezze e gioi di cor asnello,
gioia in cui viso gioi tant'amorosa
ched è gioiosa gioi mirare in ello.

Gioi di volere e gioi di pensamento,
e gioi di dire e gioi di far gioioso
e gioi d'omni gioioso movimento:

per ch'eo, gioiosa Gioi, sì disïoso
di voi mi trovo, che mai gioi non sento
se 'n vostra gioi il meo cor non riposo.

 


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