romanzi - novels

Occhi di Ginny
di
Fabrizio Guiati






recensione da Prospektiva Rivista Letteraria

Riceviamo, come scritto, anche libri di buona fattura. Altri ottimi,  alcuni piccoli capolavori. Ne presentiamo alcuni.
Fabrizio Guiati è un giovane torinese che ha scritto una serie di storie intrecciate tra loro. 11 libro, intitolato "Le Briciole" si articola in una serie di racconti che hanno come filo conduttore un gruppo di amici desolatamente intenti a sopravvi- vere nella provincia italiana. Tra droghe leggere, rapine, amori, pestaggi e strane storie di viaggi in Egitto, vivono ragazzi e ragazze fragili, scossi dal vento della vita Complimenti, il libro scorre veloce, senza interruzioni, con la curiosità ben depositata. Anche la tecnica di scrittura, veloce e dinamica è ottima.
Il contenuto è brillante, ben studiato e costruito.
Siamo rimasti veramente colpiti in maniera del tutto positiva.
Forse nella prima parte non avremmo inserito la storia (per altro ottima) dell'egitto. Avremmo proseguito con quel gruppo di ragazzi di provincia persi tra psicanalisti, poliziotti violenti, famiglie assenti e lontane dai desideri dei figli.La seconda parte è unica. Perfetta
"Le Briciole" è veramente un libro ben curato e ben scritto.
 

riportiamo un brano tratto dal libro, pag. 80:
 

- Spostati!...spostati!!...devi spostarti...Spostati!-
Era seduta sul lettino ad una piazza della sua camera. In tutta la casa regnava un silenzio quotidiano, fatto di ticchettii d'orologio, lamenti agonizzanti dal frigorifero, e odore di cibo consumato in fretta.
Teneva le gambe incrociate, senza scarpe e con le braccia abbandonate lungo i fianchi.
Si era tolta le lenti a contatto, riponendole con cura nell'apposito astuccio e dimenticando il tutto sul comodino. Senza lenti, la sua immagine del mondo mutava radicalmente, tutti gli oggetti perdevano come per incanto i loro contorni. Spigoli, davanzali, mobili, decidevano di scomporre i loro margini in un agglomerato confuso di puntini. Non la trovava spiacevole come sensazione, lo diventava quando aveva a che fare con altre persone, o quando la necessità momentanea le imponeva di osservare, guardare.
Altrimenti, ridurre il suo universo a circa tre-quattro metri, non la preoccupava. Era solita considerare il difetto ottico, come una confidenziale particolarità della sua persona. Le era sorto il dubbio, in una parte alquanto misteriosa e disordinata della coscienza, che la "giusta visione", fosse quella smarginata e caotica che i suoi occhi le concedevano al naturale...l'idea che non vedendo con chiarezza i lineamenti esteriori delle cose, fosse più facile comprenderne l'essenza...
- Spostati, spostati...perché non ti vuoi spostare!?-
Ginny aveva diciannove anni e la convinzione appena accennata, di possedere poteri paranormali.
La si trovava spesso sola, in un angolo della casa, intenta a dare comandi di movimento agli oggetti più svariati: vasi, bicchieri, taglia-carte, posacenere...
Lo psicologo che l'aveva visitata, consultato dai suoi genitori, aveva asserito con fiera certezza, che non c'era niente di paranormale in lei. Prendendo da parte la madre ed il padre, aveva detto loro: -"Molti ragazzi tra i quattordici e i vent'anni, si convincono in qualche modo, di possedere delle strane capacità mentali. Non si tratta che di un modo per sollevarsi dalla loro normale esistenza, differenziarsi dai coetanei...mi spiego meglio: Ad un certo punto dell'adolescenza, si può provare la paura di non essere abbastanza originali, comportandosi come gli altri. Allora ci s'inventa qualcosa di diverso, di speciale... per dare nell'occhio, per stare al centro dell'attenzione...passerà, non preoccupatevi, vostra figlia è perfettamente normale. E' solo confusa ed ha bisogno d'aiuto e comprensione -
"Buonasera & Arrivederci", aveva fatto uscire dallo studio padre, madre e figlia, non prima d'aver trattenuto dal portafogli del capo-famiglia, due profumate banconote da centomila. Ed aver ottenuto l'impegno di mandare Ginny in analisi da lui, per almeno due anni.
I genitori avevano acconsentito, ma non erano per nulla convinti delle conclusioni.
L'adolescenza era ancora lontana, quando una Ginny bambina si era svegliata di soprassalto, gridando, alle cinque del mattino. La madre, una donna semplice, fatta di superstizioni di paese, un senso materno da chioccia, si era svegliata. Suo marito doveva ancora rientrare dal panificio in cui lavorava. Con il viso stropicciato dal sonno e strascicando le ciabatte scure appresso ai piedi, era entrata nella camera delle sue due figlie.
Un sorriso bonario aveva illuminato il suo viso, nel vedere Ginny, la più grande, raggomitolata sotto le coperte, sveglia e tremante di paura.
Si era avvicinata e seduta accanto a lei, accarezzando dolcemente la piccola porzione di testa bionda che spuntava tra le lenzuola. Ginny era scattata a sedere, spaventata a morte. Tuttavia il respiro era ancora veloce ed affannoso, lacrime lucenti e calde, scivolavano lungo le sue guance.
- Hai avuto un incubo piccola?- aveva domandato la donna con voce rauca e spezzata.
Gli occhi azzurri della bambina si spalancarono d'ira. Definire incubo, l'orribile visione che le era scorsa nel cervello, non era la maniera più giusta per affrontare la situazione. Aprendo la bocca senza pensare a ciò che stava per dire, gridò: - Non trattarmi come una bambina! Nonna Lidia, tua madre, è Morta! Me lo ha appena detto il sogno!-
Lo schiaffo calò imperioso e pesante sulla sua guancia. La testolina schizzò indietro, Ginny sentì subito la pelle bruciare e formicolare. Si rintanò istintivamente sotto le coperte.
La madre si alzò, guardò sua figlia con disprezzo e tornò a dormire senza pronunciar parola.
Quattro ore più tardi squillava il telefono!
Era il medico, di chissà quale ospedale, che comunicava alla famiglia, il decesso della signora Lidia Rivella, avvenuto in seguito ad una trombosi fulminante. L'avevano trovata quelli dell'Argus, seduta sul gradino del portone di casa, con la testa appoggiata al muro e gli occhi spalancati. La madre di Ginny aveva riattaccato la cornetta, troncando di netto le condoglianze del medico.
Si era recata con passo spedito nel salotto, dove Ginny era intenta a colorare strambe figure con dei pastelli a cera, e aveva cominciato a picchiarla. Gliele aveva date di Santa Ragione. Quando, piena di chiazze rosse e bolli, la bambina si era accasciata sul tappeto svenuta.
Non l'aveva fatto per cattiveria, aveva semplicemente seguito l'istinto, sfogandosi come aveva sempre visto: con le botte!
Aveva poi raccolto la bambina dal pavimento, l'aveva curata, medicato i graffi ed i lividi e messa a dormire.
Ginny allora aveva cinque anni e mezzo!
Quell'evento aveva dato il via ad un nuovo periodo nella sua vita. I rapporti inter-familiari erano radicalmente cambiati.
Padre e madre, lontani anni luce dall'immaginare che fenomeni di premonizione, telepatia o telecinesi, possono essere relativamente normali nei bambini (forse più naturali rispetto all'adattamento passivo alla pubblicità commerciale, a certi cartoni animati o ai computer, ad esempio...) erano intimamente convinti che fosse Ginny la causa delle disgrazie.
Tutta la loro poca cultura, li aveva portati a sospettare che vi fosse l'interferenza del Demonio nei comportamenti della figlia maggiore
Lo psicologo, era stato solamente l'ultima tappa dell'itinerario di cure scelte dalla famiglia...verso i diciotto anni.
Ad otto, il padre la portava tre volte la settimana da un Santone. Ogni due settimane da un Santone diverso, nell'arco di un anno avevano conosciuto tutti i maghi, maghetti, medium e buffoni vari del Piemonte.
Ognuno proponeva una cura diversa, in conseguenza di un'analisi differente: alcuni sostenevano che fosse la congiunzione di particolari fenomeni astrali a determinare i "poteri" della bambina. Altri sottoposero la bambina ad esperimenti meditativi, altri ancora la addobbarono con ciondoli ed amuleti, ma nulla convinceva a pieno suo padre e soprattutto niente fermava l'attività di Ginny. La televisione si accendeva da sola, le porte si aprivano prima che lei passasse. Quando era impegnata a fare i compiti, concentrata in qualche lettura, o calcolo, spesso matite o libri arrivavano da soli nelle sue mani, le bastava allungarle nel vuoto ed aprirle. Ginny non era cosciente di quello che faceva, passava attraverso i suoi poteri con assoluta serenità e distrazione. Le veniva talmente spontaneo, come per altri bambini può esser normale saper fare di conto a quattro anni, o camminare prima dei nove mesi, che non si poneva domande al riguardo. Era sicura nel suo intimo, che da qualche parte c'erano altri bambini come lei, non si sentiva: "Diversa"
Fino ad una certa età, non credo nemmeno che avesse legato con chiarezza le sue doti particolari, ai maghi da cui il padre la portava. Sapeva per certo che le "cose" che sapeva fare, erano "Cose che non stava bene fare". Sapeva anche che se le capitava di spostare una tazzina dal tavolo, stando seduta davanti alla televisione, quando in casa c'erano ospiti, prendeva un sacco di botte. (-Prima di andare a letto, facciamo i conti-).
Dati gli insuccessi il padre, sfiduciato, aveva cominciato a picchiarla. Ginny rientrava da scuola con un senso d'opprimente angoscia, si rintanava nella sua camera e cercava di farsi notare il meno possibile.
A scuola la costante presenza d'altri bambini intorno a lei, la distraeva e non era mai successo niente di anomalo. Semplicemente non le passava per la testa ed ogni oggetto rimaneva al suo posto.
Prima di compiere tredici anni, si era dimenticata tutto! Quasi completamente, con la rapidità tipica con cui i bambini sanno rimuovere, nascondere, seppellire, i momenti spaventosi della loro infanzia. La quantità di tempo che trascorreva con i suoi coetanei, aumentava a mano a mano che cresceva, così come erano venuti i poteri se n'andarono. Le rimase meno di un ricordo, una sensazione frazionata (...a forza di spingere qualcosa passa...), di avere a che fare con il mondo del demoniaco, delle tenebre. Sospetto che andando a cozzare contro l'educazione cattolica inculcatale, la rinchiuse leggermente in se stessa. Credeva di odiarsi, e forse era vero, odiava i pensieri assurdi che le nascevano senza che lei lo volesse nella testa. Pensieri più grandi di lei, che non capiva, che la sovrastavano come gigantesche nubi cariche di pioggia. Riguardavano il senso delle cose, il concetto di infinito, di sconosciuto, e che la facevano cadere in profonde depressioni, rendendola incostante. Apatica e insofferente a volte, espansiva ed esplosiva altre. Il cerchio delle sue simpatie variava di continuo, senza apparente motivo, in un tragicomico alternarsi di sorrisi, discussioni, momenti di isolamento totale.
Crescendo aveva cercato di moderare e controllare questi sbalzi di umore, ma senza troppi successi. Aveva deciso che più rimaneva da sola a pensare, più la sua parte "demoniaca" avrebbe avuto occasioni per rivelarsi.
Tra tutti scelse un ragazzo di poco più grande di lei, del quale s'innamorò, e nei confronti del quale s'instaurò: " A sinistra un po' più indietro...", come aveva sempre visto fare dalle donne della sua vita.
Le ritornò in testa l'idea del paranormale a diciotto anni!
Era a scuola, durante uno dei primi intervalli dell'anno e passeggiava per i freddi e ombrosi corridoi. Tra la calca disumana, aveva incrociato uno sguardo nuovo! Due occhi profondi e marroni, incavati in un viso asciutto, che la fissavano con intensità ipnotica. Per alcuni istanti scomparvero, travolti dai ragazzi lasciati vagare allo stato brado per l'istituto, poi li ritrovò.
C'era qualcosa in quello sguardo...qualcosa che le ricordava il passato...
Per alcuni iati le sembrò di sentire la sua voce di bambina, il pianto, i suoni della sua infanzia le occuparono il cervello:
"Mamma che stira...Shissss... fa il vapore ! Papà che si rade nel bagno...Rzzzzz....Fa il rasoio! Mamma che lava i piatti....dindin...fan le posate..."
Quando finalmente riuscì ad abbassare le palpebre, e a chiudere gli occhi, le sembrò che fosse passata mezz'ora. Si sentiva stanca e svuotata...quel ragazzo divenne il suo unico pensiero!
A casa, dopo aver mangiato in tutta fretta, aveva trascorso tutto il pomeriggio nel salotto, cercando di spostare il tavolino dal centro della stanza, standogli lontana cinque metri .
La madre si preoccupò, il padre si preoccupò moltissimo...
Fu allora che la riportarono dallo psicologo.

- Spostati...spostati...-
Il vaso di ceramica sul davanzale, non si muoveva di un millimetro...
Ginny lanciò uno sguardo all'orologio.
- Bah!! Vai a farti fottere, caro il mio vasetto!!- si alzò ed uscì dalla camera. Sua sorella Elena stava entrando in casa in quel momento, si salutarono senza prestarsi troppa attenzione.
Inspiegabilmente il vaso di ceramica cadde a terra frantumandosi.

fguiat@tin.it


 
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