Gli indumenti... raccontano!
di Elsa Dal Monego

 

"Vi presento la piccola storia degli indumenti più importanti, incominciando da quelli civili, poi quelli dell'esercito, che non sono molti ma che ho cercato di completare con delle informazioni e curiosità, di gesta e di coraggio dei nostri militari, che spero possono esservi graditi"



Ora incominciamo dall'alto... dalla testa!

Il cappello

Cosa sia un cappello... lo sappiamo tutti, è una copertura del capo! Però non tutti sappiamo i vari usi, l'utilità e sopratutto la sua storia. Questo indumento è molto importante, non è solo un accessorio per rendere più completo un abbigliamento, ma oltre a dare: eleganza, bellezza, distinzione e personalità, in tanti casi distingue anche le persone, di questo vi parlerò più avanti.
Questo plurisecolare accessorio può essere in feltro, paglia, pelle di animali o anche in pelo e può avere varie forme, anzi ha tantissime forme, sia per le signore che per gli uomini e addirittura per i bambini, anche per i più piccini, cosi dolci con il loro paffuto visino e in qualsiasi occasione conserva il suo fascino misterioso. Già conosciuto e amato nel medioevo.
Spesso esso ha un cucuzzolo e una tesa in giro e assume fogge speciali per gli appartenenti a determinate categorie di persone come: sacerdoti, cardinali, e persone appartenenti all'esercito.

Ora prendiamo i vari cappelli e incominciamo dai più teneri personaggi... quelli col ciuccetto in bocca! Sua Altezza il Bebè, anche lui ha il suo importante e morbido copricapo, che la sua mammina mentre era in attesa, ha sferruzzato o confezionato pensando a lui. Quasi sempre è una cuffietta in tenue colori e soffice lana, però può essere anche in morbida tela e a volte addirittura con una piccola visierina, un nastrino allacciato sotto al piccolo mento completa il più piccolo dei copricapi. Poi ci sono per bambini e ragazzi, che quasi sempre sono berretti flosci di varie forme senza falde e con piccole visiere e vengono completati con sul davanti qualche stemma, c'è chi si diverte a portarlo anche girato, con la visiera dietro!

...per le signore

... era l'epoca in cui il cappello era d'obbligo,

I modelli erano tantissimi, eleganti, civettuoli, romantici, maliziosi o innocenti, a partire dall'antichità in cui si portava una benda annodata sulla nuca, o il turbante portato dalle donne delle classi più benestanti, mentre le popolane adottavano delle semplici cuffie.
Il passar degli anni ha fatto cambiare anche la moda del cappello, che è diventato molto più bello e vario. Le signore indossano cappelli di feltro con fogge molto originali, sulle tese dei loro cappelli veniva posato morbidamente un largo nastro che poi veniva annodato sotto il mento, oppure un leggerissimo pizzo che scendeva tutto intorno alla tesa, poi c'erano quelli più civettuoli con avvolte attorno lunghe penne di pavone, o di pernici, altri con addirittura un piccolo uccello in atto di volare, o anche un pappagallino, altri con rose dello stesso colore del cappello, oppure con nastri vari arricciati e ancora cappelli con cocuzzolo alto e una tesa molto larga abbassata sugli occhi e alla sinistra del cocuzzolo grossi ciuffi di pelo, poi c'erano i cappelli senza tesa ma con una veletta che scendeva davanti al viso e dava un'aria di romanticismo e di mistero. Alcuni spesso erano ingombranti e scomodi, ma le signore affrontavano questo supplizio con piacere pur di poter sfoggiare un cappello originale e esclusivo, le benestanti spesso avevano la modista personale. Nel 800 i cappelli hanno una tesa larga arricchita con piume di struzzo, che conferivano a chi li portava una maestosa eleganza. Negli anni 1860 erano di moda le "Bavolette" una specie di cuffietta in pizzo e nastri in raso, seta, velluto o striscie plissettate, questa cuffietta si appoggiava sul capo lasciando ricadere i due larghi nastri o le falde che incorniciavano il viso e gli conferivano luminosità. E nel 1925 fino al 1928 si usavano le "Cloche" che era un cappello con cucuzzolo alto e una piccola tesa abbellito con medaglioni dipinti o ricamati in seta, veniva usato molto per i viaggi perchè proteggeva i capelli dalla polvere.
Le signore benestanti di cappelli ne avevano una vasta scelta e ogni cappello veniva conservato in scatoloni rotondi foderati in morbido raso, velluto o seta.

Con l'avvicinarsi della stagione dei fiori e delle rondini, anche i cappelli cambiavano aspetto, dal feltro si passava alla leggerissima paglia, lavorati con una trama un poco larga o traforata che riproduceva col sole sul viso delle signore luci e ombre. Le forme erano più civettuole e allegre, o anche più romantiche...
...vedo i più belli di un lontano tempo e li vedo con gli occhi di allora, giardini stupendi, splendide donne in abito lungo passeggiare lungo i vialetti in fiore, con un ombrellino di pizzo che riparava un romantico cappellino, dai caldi raggi del sole. Era un epoca in cui il cappello regnava sovrano e rappresentava la bellezza di chi lo indossava.
Le più giovani indossavano capelli di paglia con una tesa tutto attorno e un cucuzzolo rotondo liscio intorno al quale scorreva un nastro di velluto o di raso azzurro, rosa, bianco o altre tinte pastello, che poi pendeva lungo sulle spalle, oppure con frutti e bacche in cera.
Invece i modelli per le signore erano tantissimi, molto belli a volte bizzarri, a volte romantici, e da queste forme si poteva riconoscere l'umore della persona che lo indossava. Se la signora si doveva recare a un appuntamento con una persona di un certo livello allora indossava un capello senza ala un tipo di tamburello con veletta, che naturalmente durante il colloquio veniva alzata, in modo che si vedesse bene il viso, invece se era un incontro con un innamorato il cappello diventava romantico, sulla larga tesa venivano posate tenue rose, tra morbidi ciuffi di tulle, mentre il cappello normale e usato anche per i viaggi era sempre in paglia leggera con un grande nastro in tulle avvolto attorno all'ala e che poi veniva annodato sotto al mento. Naturalmente non mancavano i cappelli bizzarri come quelli che sulla larga tesa portavano un piccolo assortimento di frutta, o un nido dal quale spuntavano simpatici uccellini!
Ora passiamo ai cappelli della Martinica, questi sono veramente dei cappelli che esprimono quanto c'è nel cuore di chi lo indossa... è un cappello senza tesa e che in un paese cosi lontano parla e esprime i vari sentimenti delle belle donne che lo indossano!
Sono cappelli a tamburello e quello con una piuma sul davanti viene portato per le occasioni importanti.
Poi ci sono i cappelli che si esprimono cosi: "Il mio cuore è impegnato" oppure: "Il mio cuore è impegnato, ma potete tentare" e ancora: "Il mio cuore è libero" e: "Io sono disponibile"! Simpatici no?
Oggi il cappello si usa molto raramente, tranne per i capi regali, come regnanti, regine e principesse e nell'alta nobiltà o in qualche cerimonia particolare.


Il cappello PER UOMO

Il cappello per uomo non ha una cosi ricercata eleganza, ma non per questo è meno importante e soprattutto viene ancora indossato da tantissimi uomini. Quasi sempre è in feltro grigio, marrone, blù e a volte per i più sportivi può anche essere scozzese, può avere anche tese molto larghe tipo cappello alla cowboy e altri modelli che qui vi elenco.
Fino a cinquant'anni fa il cappello per un uomo era un accessorio molto importante e necessario nel guardaroba di ogni persona che si rispettava e era ben rari gli uomini che uscivano senza di esso, quando i ragazzi indossavano i primi pantaloni lunghi qualcuno già indossava anche il suo primo cappello.
Oggi queste usanze si sono molto diradate, gli uomini più che i cappelli mettono in evidenza i loro capelli, come sappiamo oggi la pettinatura maschile viene vista come espressione dell'individualità e per questo a nessuno viene in mente di nasconderla sotto un cappello. Per questo ben pochi portano ancora il cappello e chi lo fa come uso quotidiano, lo fa più che altro nella ferma convinzione di sembrare stravagante.
Ma il cappello resta comunque un accessorio importante per alcune occasioni.

C'è il classico cappello da uomo con una tesa larga e morbida che si può portare all'insù o girata in basso. La tesa piuttosto larga lo rende più elegante e più disinvolto. I colori quasi sempre sono: grigio, marrone, begie, blu o nero
.
Poi c'è il cappello in morbido tweed che viene consigliato di indossare con giacche o abito dello stesso tessuto e si porta quando si va in viaggio o durante un fine settimana. Quasi sempre è in tessuto a disegni scozzesi con una tesa piccola e girata in giù, viene portato anche con cappotti double-face con lato in tweed, oppure cappotti sportivi come il montgomery.

C'è anche il Lobbia, che è un cappello diventato famoso già dai tempi di Re Edoardo VII e dopo il cilindro e la bombetta è il cappello più formale.

Invece i membri dell'aristocrazia e dei suoi ceti abbienti amano in modo particolare il Trilby, in feltro e tinta marrone a tesa morbida, che è segno distintivo di appassionati di ippica e in Inghilterra fa parte del abbigliamento ippico come l'abito in tweed.

Ora il cappello più autorevole, il più aristocratico... il Cilindro! Il cilindro è un cappello di classe, però viene usato solo raramente e decisamente in occasioni stravaganti. Il cilindro è stato originariamente prodotto in Cina dopo nel 1800 è stato esportato in Inghilterra e prodotto dal londinese Herrington.
Questo cappello deve essere alto almeno cm.30 e fece la sua comparsa a Londra e a Parigi verso la fine del Settecento. Non è stato facile per i primi girare per le strade con questo cosi originale e inconsueto cappello! La sua vistosità fece si che i gentiluomini possessori di questo accessorio dovettero sopportare gli schiamazzi e le urla dei passanti che trasalirono a vedere questo buffo cappello. E non solo questo, ma si racconta che il primo gentiluomo che ha avuto il coraggio di mettersi un cappello a cilindro è stato addirittura arrestato per disturbo della quiete pubblica.
Possiamo ammirare Il cilindro più famoso indossato da Giuseppe Verdi in un ritratto di Giovanni Baldini. Questo elegantissimo cappello è in seta nera e foderato in seta o raso bianco.

La Bombetta, la bombetta è di origine inglese ideata e venne ideata da Bowler, divenne la simbologia dell'abbigliamento britannico. Questo cappello nacque come berretto da caccia e serviva anche come casco contro le cadute da cavallo. Poi è entrato a far parte del look degli uomini d'affari.
Questo cappello si rese famoso dai film di Stanlio e Onlio, nel periodo tra il 1920 e il 1940. E dal intramontabile Charlie Chaplin, l'omino con la bombetta.

La Paglietta è un cappello di paglia rigida con fondo e tesa piatta. Era usato dalla seconda metà del 1800 dai barcaioli sulle rive dei fiumi, per questo veniva chiamato "canotier". Oggi a Venezia lo usano i gondolieri. E una volta gli avvocati usavano portare cappelli di paglia e tra questi figurava la paglietta. Questi cappelli vengono spesso rappresentati in quadri di pittori famosi come Renoir.

Un altro cappello molto portato era il Panama, originario dell'America centrale, veniva intessuto a mano con le foglie di banane. E questo cappello per il suo aspetto solare rimane un accessorio prettamente estivo.

Il berretto

Il berretto già nato in tempi più antichi a partire dal XV secolo, è un copricapo floscio di varia forma senza falde e a volte con una piccola visiera, questo indumento diede vita a vari tipi di calotte e portate particolarmente dagli uomini.

Berretto Frigio

Il berretto frigio si diffuse durante la rivoluzione francese e era usato indistintamente sia dagli uomini che dalle donne. Era fatto a punta con l'estremità superiore ripiegata sul davanti, usato nell'antichità dai barbari e è ancora oggi copricapo nazionale di colore rosso dei catalani e in oltre un berretto simile anche di colore rosso lo portavano i galeotti di Marsiglia, liberati nel 1792 in occasione della rivoluzione, da allora il berretto frigio è diventato simbolo della libertà repubblicana.

La coppola


Nei tempi passati la coppola era semplicemente un berretto che veniva usato per chi guidava, creato in tessuto morbido quasi sempre in tweed, che allora si adattava perfettamente alla moda delle automobili decappottabili. Mentre gli altri cappelli volavano via, la coppola rimaneva salda sulla testa e inoltre proteggeva anche gli occhi dai raggi del sole e anche le lenti degli occhiali dalle gocce della pioggia.
I siciliani subito adottarono questo curioso copricapo e diventò "coppola" classico berretto siciliano. La coppola ha un pregio, è un indumento umile. La coppola ti lascia quello che sei senza fare distinzione e differenze.

Curiosità

BERRETTA: copertura del capo in materia e fogge diverse e simbolo di emancipazione.
E per i romani simbolo di libertà, perchè quando si liberavano gli schiavi che venivano obbligati a essere sottoposti a un rito sacro istituito dalla chiesa cattolica, mediante il quale il fedele battezzato e cresimato, doveva farsi tagliare i cappelli e gli veniva imposto di portare una tunica bianca di tela con larghe maniche spesso ornata di merletti (indossata anche oggi dai sacerdoti) durante certe funzioni religiose e con la recitazione di una formula che da laico lo faceva diventare chirico. Ministro ordinario di questo rito è il vescovo.
E dopo la tonsura permanente veniva loro messo sul capo il "pileus" un berretto che poteva essere di pelle, di feltro o di stoffa spesso a forma conica, come anche ovale o a calotta, portato dagli uomini liberi in occasione di festività e anche dagli schiavi affranti, fin quando fossero ricresciuti i capelli.
Al tempo della rivoluzione francese il berretto rosso di lana era molto comune, forse a cagione del poco costo e per questo è diventato il segno eloquente della volontà della folla che aveva rovesciato l'antico regime. Il pittore David per drappeggiare con classe l'immagine della libertà, le diede il berretto frigio.
In altri tempi la berretta rossa era invece distintivo di patriziato.
A Firenze in un sonetto dove si descrive una veglia data al palazzo arciducale presso la corte lorenese si può leggere:
"Chi la berretta o il camiciotto rosso posto non s'era se n'ando in sitorno" con questa frase si intendeva che chi non era di razza nobile doveva restare nella stradina di Sitorno, accanto a Palazzo Pitti.

Il basco

E' un berretto di panno blu, rotondo senza falde e visiera, con in cima un pippiolino della stessa stoffa.
Questo berretto oltre che in tessuto può essere anche realizzato in maglia.

La calotta

La calotta è un berrettino, o cappello senza tesa, aderente alla testa come una cuffia, può essere in maglia, in rete, o in tessuto, si può chiamare anche Papalina o zucchetto.


Cappelli e berretti ecclesiastici

La Tiara o Mitria, è una copertura del capo rigida, un copricapo liturgico insegna distinta del papa, dei cardinali e dei vescovi, ai quali compete per diritto come per forza di un privilegio particolare anche a abati, prelati e canonici. Esso è fatto a soffietto con le due parti che finiscono a punta e che sono tenute diritte da una fodera di rinforzo e dalla parte posteriore è ornata da due nastri che ricadono sulle spalle.

Berretto ecclesiastico

Questo berretto è di forma quadrangolare e sormontato da tre o quattro spicchi semicircolari, di colore nero per i Sacerdoti e di colore rosso per i Cardinali e violetta per quella dei Vescovi.

Zucchetto

Piccolo berretto rotondo indossato dal Papa di colore bianco, quello dei Cardinali è di colore rosso, mentre quello dei Vescovi è di colore viola e quello dei Sacerdoti nero.
Vi fu un periodo del passato che questo berrettino fece la moda con il nome di "papalina" proprio perchè portato dal Papa.

I Troll una piccola fiaba che riguarda un cappello


I Troll sono esseri giganteschi e leggendari che abitano le terre della Scandinavia. Vagekellen, troll re del mare, aveva un solo figlio maschio, di nome Hestmannen, mentre Sulitjema troll re della terra, aveva sette figlie femmine. Un giorno la malefica strega Landego, per spezzare la pace che regnava fra i due potentissimi regni suggerì alle fanciulle di fare il bagno nude tra i fiordi della Norvegia mentre passava il figlio del re del mare. Cosi il giovane si innamorò della più bella delle sette, Leika e decise di rapirla. La principessa si dette alla fuga insieme alle sorelle inseguita dal principe. Il chiasso provocato dei passi dei giganti in corsa rimbombò per tutta la notte svegliando tutti i norvegesi. Alla fine il re di Soma, stufo del gran baccano, lanciò contro di loro la prima cosa che li capitò a portata di mano, era un cappello fatato capace di tramutare in pietra chi ne fosse colpito. Per difendersi il principe lanciò una freccia per fermare il cappello, ma riuscì solo a forarlo, ma la magia ebbe effetto lo stesso e tutti i troll compresi il cappello forato furono tramutati in pietra. Ancora oggi vicino al circolo Polare Artico si trova l'isola Hestmannoy mentre l'isola Torghatten che in norvegese vuol dire "cappello" si trova nei pressi di Bronnoysund davanti a una catena di montagne chiamate le "sette sorelle" I giganteschi folletti sono famosi per fare brutti scherzi ai marinai, ma allo spuntar del sole tornato ad essere montagne.


Il cappotto

Oggi il cappotto viene usato molto poco, questo indumento fatto in stoffa pesante da portare in inverno per ripararsi dal freddo.
Il cappotto oppure anche chiamato paltò trae le sue origini dalla redingote del settecento,

Montgomery

Questo è un modello di cappotto provvisto di cappuccio e con una allacciatura ad alamari. Questo capo di vestiario è stato usato dagli uomini della marina inglese e dal generale B.L. Montgomery, capo delle forze britanniche durante la seconda guerra mondiale. Dopo è diventato un capo molto usato e presente nei guardaroba maschili che femminili.

Pellegrina


E' un mantello variamente composto sia da uomo che da donna di moda nell'ottocento, però si usava già nel medioevo e in Olanda nel 1600 come semplici mantellina o colletto detto appunto "a pellegrina".
Verso la fine del secolo scorso questo mantello aveva un largo bavero che copriva le spalle e arrivava fino al gomito e alcuni modelli addirittura ai polsi. Poteva essere semplice o far parte di un abito o anche di un mantello, Questo modello era lungo sul davanti mentre il dietro arrivava al punto vita. Il tessuto era quasi sempre in lana pesante per l'inverno, ma esisteva anche il modello estivo in pizzo ornato da ruches.

Cappa

La cappa è un ampio e lungo mantello che avvolge tutta la persona e ricade con un lembo dietro le spalle.
Può essere pure un mantello da sera per signora in pelliccia, in velluto, raso, o altro tessuto elegante.

Mantello

E' un capo lungo e ampio senza maniche e quasi sempre con un cappuccio, viene appoggiato sulle spalle e allacciato sotto il collo con un fermaglio a catenella, era in voga nel ottocento e è tornato molto di moda negli anni sessanta per essere portato di giorno e costituiva anche un elemento classico portato come soprabito da sera.

Impermeabile


L'impermeabile è un indumento creato in tessuto impermeabilizzato per i giorni di pioggia. Esso è presente nel guardaroba sia maschile che femminile. Le sue origini vengono dall'abbigliamento marinaresco inglese e furono proprio gli inglesi a perfezionare questo indumento indossandolo come sopraveste da viaggio fin dall'inizio del 1700. Sono state due ditte la Burberry e la Aquascutum che si specializzarono nella produzione di impermeabili. La Burberry ne produsse anche un tipo per gli ufficiali inglesi destinati alle trincee delle Fiandre. E cosi nacque il modello militare, diventato dopo di uso comune in tutto il mondo, con spalla doppia, bavero voluminoso, spalline, cinturini al collo e ai polsi e cintura con fibbia da allacciare disinvoltamente con un nodo.

Il trench


Il trench è un cappotto di origine militare (abito da trincea) e nato nell'Ottocento, con spalline e doppio carrè sulle spalle. Nell'abbigliamento di oggi viene usato generalmente come impermeabile sia im modelli per donna come per uomo.

Spolverino


E' un soprabito leggero da portare in primavera, fatto di vari tessuti. Questo indumento prende le sue origini da un soprabito nato con le prime autovetture e lungo fino alla caviglia e veniva indossato per ripararsi dalla polvere durante i viaggi in automobile.

La pelliccia

La pelliccia è un cappotto confezionato con la pelle degli animali e che dopo aver ucciso tanti animaletti per raccogliere le pelli queste vengono trattate in modo che il mantello mantenga le sue caratteristiche di morbidezza e lucentezza. La pelliccia è diventata di moda nel diciannovesimo secolo e ha subito le varie influenze di stile di tutto l'abbigliamento portando alla moda alcuni tipi di pelo ed eclissandone altri.
Io che amo gli animali, che ho avuto un cane, che ho avuto il suo affetto incondizionato e sincero, io che oggi sfamo quattro gattini, una famigliola di ricci, e due tortore... odio e disprezzo la pelliccia!
No... un momento! Anch'io amo la pelliccia e ne ho tre due cappotti e un giaccone molto belle, morbide, calde, leggere, una di queste è molto chiara e facile a sporcarsi... sapete cosa faccio? Nooo... niente puliture a secco o cose del genere, apro la lavatrice infilo la pelliccia metto il detersivo e con il programma leggero la lavo. La esco la metto su un attaccapanni e dopo circa due ore la indosso (tutto dipende dalla fodera) è quella che deve asiugare.
Evviva la pelliccia ecologica, che grande interesse ha suscitato in questi ultimi anni e che ha in parte evitato la strage dei animali e perciò merita tanto di elogio. Questa pelliccia nata ancora negli anni sessanta e che allora si chiamava pelliccia sintetica, poi è stata perfezionata tecnicamente nelle ultime collezioni di moda e sfruttando con essa la sensibilità del pubblico verso i problemi ambientali.
Ecco è stato creato un prodotto molto particolare, bello, caldo e pratico... la pelliccia ecologica.

Dopo i vari cappotti... non poteva mancare un cappotto appartenente alla letteratura russa dell'Ottocento.
La gemma della celebre raccolta dei "I racconti pietroburghesi"

"Il cappotto"

Akakij Akakievic era un impiegato zelante, ma con una personalità mediocre, grigia, austera, che gli procurava la derisione e le angherie dei colleghi. Costretto a comprarsi un cappotto nuovo perchè quello vecchio non si può rammendare, prova un grande piacere interiore e la sua vita sociale ne trae beneficio. Ma ahimè... una sera di ritorno da una festa viene aggredito e rapito del suo cappotto. Abbattuto egli non si da pace e cerca aiuto presso le autorità per ritrovare il suo prezioso indumento. Dopo aver ricevuta l'ennesima strigliata da un superiore vanesio e autoritario, si ammala e muore.
Da allora il suo fantasma si aggira per Pietroburgo a derubare gli altri di ogni sorta di cappotto.

Nikolaj V. Gogol

I personaggi nei loro ruoli di esistenze quasi impossibili e povere, per i quali spesso qualsiasi imprevisto può essere più o meno drammatico.. Con i suoi racconti Gogol sa mettere in luce i difetti di ciascuno di noi, con la maestria di un grande artista.
E i personaggi di Gogol continuano a vivere attorno e dentro di noi.


Il cappotto... un'altra versione pure molto bella e significativa..

Carmine De Carmine giovane e modesto impiegato comunale aveva urgente bisogno di un cappotto nuovo, perchè quello che portava da tempo, era ormai vecchio e logoro e lo fa sfigurare e costituisce per lui un incubo. Ma che può fare se il suo scarso stipendio non gli permette di affrontare la spesa?
Un giorno gli accadde di sorprendere una conversazione fra due appaltatori che lo mette al corrente di certi loschi affari. Per lui è una fortuna insperata, il segretario comunale per assicurarsi il suo silenzio gli fa avere un anticipo che gli permette di comprarsi il cappotto.
Alla festa di Capodanno alla quale partecipano superiori e colleghi, Carmine pavoneggiandosi nel suo nuovo cappotto ed eccitato dell'alcool, trova il coraggio di dire al sindaco alcune amare verità in difesa della povera gente e di fare un turbinoso giro di valzer con la bella amante del sindaco. Ma rincasando Carmine viene derubato del cappotto e il suo dolore è tale che ne muore.
Ma anche dopo morto il poveretto procura dei fastidi al sindaco, il suo carro funebre intralcia le manifestazioni cittadine in onore di un'eccellenza e il suo spettro dopo aver allarmato l'intera cittadinanza si presenta al sindaco, che ne resta profondamente turbato e decide di cambiare vita.



La gonna


La gonna è un indumento femminile che copre la persona dalla vita in giù e può avere diverse misure di lunghezza e di ampiezza che variano secondo la moda.

La gonna a "Tubo", è a linea diritta e aderente al corpo, può avere uno spacco di dietro per facilitare il movimento e può avere varie lunghezze come: normale, mini, midi, o lunga.

Gonna a "Portafoglio", realizzata con un unico taglio di stoffa rettangolare che viene allacciato in vita e sovrapposto al davanti.

Gonna ad "Anfora", ampia e drappeggiata sui fianchi e si restringe alle ginocchia poi prosegue a tubo fino alla caviglia. Questa gonna era nata negli anni venti, ma è tornata di moda negli ultimi dieci anni per i modelli da sera e anche per quelli da giorno.

Gonna "Pantaloni" è simile a un pantalone molto ampio, può essere di di varie larghezze e lunghezze. Questa gonna era nata come capo sportivo e poi diventata specialmente in queste due ultime stagioni, un indumento che viene indossato per ogni momento della giornata.

Gonna a "Palloncino" la gonna prendeva una forma gonfia mediante una fascia attaccata all'orlo, ma più stretta della circonferenza totale in modo che si veniva a creare una curvatura in dentro verso le ginocchia.

Gonna a "Pieghe", fatta con un taglio di stoffa disposta a pieghe verticali trattenute al punto vita e poi stirate per fare mantenere la forma.

Gonna a "Campana", o anche godet, di linea svasata che si ottiene tagliando la stoffa in un solo pezzo con una cucitura centrale sul dietro, oppure unendo due parti triangolari che danno la tipica forma a campana.

Gonna a "Falpalà" fatta a balze sovrapposte. Molto bella e indicata anche per i coktail e da mezza sera.

Gonna a "Ruota" linea molto ampia che si ottiene in uno o due pezzi di stoffa tagliato in forma circolari. Si tratta di un godet ma molto più ricco.

Gonna "Hobble" o a intoppo, di moda solo fra il 1910 e il 1914, era lunga fino ai piedi e arrotondata sui fianchi e si restringeva dal ginocchio alla caviglia, tanto da permettere solo dei piccoli passi.

La minigonna


L'inventrice della minigonna negli anni sessanta è stata Mary Quant che scandalizza i moralissimi anglosassoni con questa invenzione, però fa impazzire i giovani, ma da anche preoccupazioni all'industria tessile per la drastica diminuzione dei tessuti utilizzati. Perciò grazie a lei le donne sono diventate più libere e mentre le gonne si accorciavano sempre di più...i capelli si allungavano sia per le ragazze che per i ragazzi!
Con questa moda vi è stato anche un grande risparmio di tessuti e filo. Da quando Mary Quant ha avuto questa geniale idea di accorciare le gonne ad oggi sono passati quasi quarant'anni, eppure le minigonne sono ancora di moda... e come arriva la stagione dei germogli e il ritorno delle rondini queste gonne vengono indossate da milioni di donne in tutto il mondo!

IL KILT

Parlando di gonne... parliamo anche del "kilt" il tipico gonnellino scozzese.
Incominciamo con il "Tartan" che è il panno scozzese con il quale si confezionano la maggior parte dei "kilts", però oltre a questa stoffa vi è un'altra con la quale è permesso fare i gonnellini il tweed, ma non dai puristi. Invece il tweed è obbligatorio per le giacche, che vengono indossate assieme al kilt. Invece per le cerimonie la giacca deve essere di velluto o di tartan e con i bottoni in argento.
Vi sono due tipi di kilt: il "piccolo" (Feilead Beg) che è quello indossato comunemente, poi c'è il "grande" (Feilead Mor) molto più elaborato. Il gonnellino deve arrivare fino a metà ginocchio. Il kilt è esclusivamente un abito maschile, le donne possono portare gonne pieghettate di tartan, ma mai un vero kilt.
In realtà il gonnellino è solo una parte del kilt, altri accessori caratteristici del kilt sono lo "sporran" cioè la borsa posta sul davanti confezionata in cuoio o in pelliccia di foca o tasso.
Poi c'è il "plaid" ripiegato e fatto scendere dietro la schiena e fissato alla spalla con la grande spilla (brooch) che serviva ai montanari scozzesi da giaciglio e riparo quando di notte dovevano dormire all'aperto.
Il berretto può essere ornato di coccarde o di piume, però solo il cap-clan è autorizzato a portare piume d'aquila.
Il kilt è il vestito tipico delle Highlands. Mentre gli scozzesi della pianura lo portano abusivamente.


La camicia


La camicia è un importante capo di abbigliamento ed è la compagna di tutta la giornata. Ma non basta su questo indumento cosi importante ci sono proverbi, massime, racconti, insomma c'è un pò di tutto e per dimostrarvelo ecco un piccolissimo raccontino:

La camicia di Giuha

Un giorno Giuha lavò la camicia, la stese sulla corda al sole, poi si coricò aspettando che si asciugasse.
Dopo un sonnellino di qualche ora, si svegliò e intese il soffio del vento. Guardò dalla finestra e tornò a coricarsi, quindi si mise a ridere a crepapelle. Lo udì la moglie che entrava in casa in quell'istante.
"Cosa c'è da ridere tanto? Sei forse diventato pazzo?" gli chiese preoccupata.
"O donna ringrazia Allah con me! Il vento ha portato via la mia camicia e io non vi ero dentro!"

Spesso simbolo di eleganza e raffinatezza è il capo più importante nel guardaroba di un uomo. Il modello tradizionale è abbottonato davanti ha maniche lunghe chiuse da un polsino e colletto di varia foggia. La troviamo oltre alla tinta unita anche con vari disegni secondo le occasioni, rigate, quadrettate, a fiori e in diversi tessuti, cotone, seta, flanella, in jersey o in lana, poi vi sono vari modelli, con tasche, taschini, spalline, linguette, lacci e le camicie alla cowboy a scacchi coloratissimi e con tasche e borchie, la camicia con il collo "guru" costituito dalla semplice pistagnina, che si ispira alla tunica dei santoni indiani.
Fra l'altro è uno degli indumenti più antichi, sono almeno dodici secoli che la camicia accompagna l'uomo nella sua giornata. Nell'antichità la camicia era un "dono d'amore" le fanciulle le ricamavano e poi le donavano allo sposo come dono di nozze. Nella Spagna del 400 la camicia passa alla storia con Isabella la Cattolica.
Nel periodo rinascimentale invalse l'uso tra i cavalieri che partecipavano ai tornei di indossare sulla corazza una camicia donata dalla propria dama. Al termine veniva restituita quale messaggio d'amore se indossata dal vincitore, mentre messaggio di morte se macchiata dal sangue dello sconfitto.
La camicia, poi negli ultimi 50 anni ha assunto anche un significato politico a seconda del colore. Possiamo ricordare le gloriosa "camicie rosse" dei garibaldini, poi quelle azzurre dei nazionalisti italiani e dei franchisti spagnoli, quelle nere mussoliniane e quelle brune naziste.

"Nato con la camicia" che significa un uomo fortunato. "Sudare sette camicie" fare una grande fatica. "Rimasto in camicia" come ultimo bene prima della rovina.

E nemmeno la gastronomia ha potuto sottrarsi al fascino di questo indumento ed è cosi che è nato: "l'uovo in camicia!"

La camicia dei garibaldini

Come per tutti i simboli di cui si conosce l'alto valore, anche della camicia rossa indossata dai garibaldini si ignora l'origine precisa. Nasce nel 1843 a Montevideo in America del sud.
L'ammiraglio inglese Winnington Ingram e Gustavo Sacerdote Attribuiscono alla camicia rossa un'origine molto prosaica. Da parte della Legione Italiana la sua adozione costituita di recente sarebbe stata dettata da ragioni economiche. Una casa commerciale di Montevideo aveva offerto alla Legione a prezzi vantaggiosi un avanzo di camicie rosse, già destinate ai "saladeros" gli operai dei grandi macelli e dei stabilimenti di carne salata di Esenada e altre piazze argentine che a causa dell'assedio di Montevideo non potevano essere raggiunte. L'offerta era troppo buona e l'affare fu concluso.
Altri invece sostengono che la camicia rossa fu suggerita a Garibaldi dal quadro del pittore italiano Gallino di stanza a Montevideo, che lo aveva ritratto assieme alla sua compagna Anita.
Queste supposizioni potrebbero essere vere. Però la verità potrebbe essere ben diversa se pensiamo che i garibaldini da cinquant'anni erano repubblicani e che rossa è anche la bandiera dei rivoluzionari.
Nella Campagna d'Italia, solo Garibaldi e i suoi ufficiali venuti dall'America, indossavano la "tunica rossa" mentre gli altri indossavano camicie nei più svariati colori.
Solo nel 1848 quando i garibaldini entrarono a far parte del esercito italiano, sono stati autorizzati dal governo a adottare una divisa consistente in una tunica scura con il bavero verde, pantaloni grigi con bande verdi e cappello alla calabrese con sul lato sinistro tre piume.

Quando all'appello di Garibaldi
tutti i suoi figli, suoi figli baldi
daranno uniti fuoco alla mina,
camicia rossa garibaldina
daranno uniti fuoco alla mina,
camicia rossa garibaldina...


La camicia dell'uomo contento

Un Re aveva un figlio che era sempre scontento e triste. Ma cosa ti manca? gli chiedeva il Re, che cos'hai? Non lo so padre, non lo so nemmeno io. Il Re provava tutti i modi per distrarlo, balli, canti, musiche, teatri, ma nulla serviva e il principe diventava di giorno in giorno più pallido. Il Re sempre più preoccupato mise fuori un avviso e da tutte le parti del mondo arrivarono, professori, dottori e filosofi, dopo aver visitato il principe, si ritirarono a pensare. Poi tornarono dal Re "Maestà abbiamo pensato, letto nelle stelle, ecco cosa dovete fare: Cercate un uomo che sia contento in tutto per tutto e cambiate la camicia di Vosrtro figlio con la sua. Quel giorno stesso il Re mandò gli ambasciatori per tutto il mondo a cercare l'uomo contento.
Gli fu condotto un prete: Sei contento gli domandò il Re, "io si Maestà!" Bene! ci avresti piacere a diventare il mio vescovo? Oh magari Maestà! Va via! fuori di qua! Cerco un uomo felice del suo stato, non uno che voglia star meglio di com'è.
C'era un altro Re che gli disse che era proprio felice, aveva una moglie bella e buona, un mucchio di figli, aveva vinto tutti i nemici in guerra e il paese stava in pace. Subito il Re mandò gli ambasciatori a chiedergli la camicia. Il Re vicino disse: "Si, si, non mi manca nulla, peccato però che si debba morire e lasciare tutto! Questo pensiero mi fa soffrire e non dormo la notte". Gli ambasciatori pensarono bene di tornarsene indietro.
Un giorno il Re andò a caccia e in mezzo ai campi sentì una voce d'uomo che cantava la "falulella" il Re si fermò e disse, chi canta così non può che essere contento! E tra i filari vide un giovane che potava le viti.
Buon dì Maestà disse il giovane, così di buon'ora già in campagna? "Benedetto te, vuoi che ti porti con me alla capitale?" Sarai mio amico. "Ahi, ahi, Maestà non ci penso nemmeno, grazie. Sono contento così e basta." Finalmente un uomo felice pensò il Re. Giovane senti devi farmi un piacere. "Se posso con tutto il cuore Maestà". Benedetto giovane ti darò tutto quel che vuoi ma dammi... "che cosa Maestà?" Mio figlio sta per morire, solo tu lo puoi salvare. Vieni qua lo afferra e comincia a sbottonargli la giacca. Tutt'a un tratto si ferma, gli cascano le braccia.
L'uomo contento, non aveva camicia.

Il maglione o pullover

Questo è un classico indumento invernale è una maglia piuttosto pesante, quasi sempre in lana e con maniche lunghe, viene indossata per la praticità e soprattutto per ripararsi dal freddo. Di questo capo vi sono diverse lavorazioni con bellissimi disegni, oppure con delle righe o in una vasta scelta di colori e impiegando dei bellissimi punti. I modelli possono essere differenti e essere caratterizzati dal tipo di collo, che può essere alla dolce vita, alla coreana, a girocollo, a "V" a scialle, e possono anche avere diversi tipi di maniche come, manica a giro, a raglan, a pipistrello che sono molto ampie sotto le ascelle.

Il maglione mi riporta indietro nel tempo... un cielo terso, un sole timido, un freddo intenso e i monti coperti di neve, era dicembre, le vetrine splendevano di mille luci e adorne di rami di abete.
Era Natale, il maglione celeste legato con un fiocco rosso era bellissimo, lo indossai era caldo e morbido e sentirmelo addosso mi rendeva felice. Ma ahimè... no! non volevo crederlo, quando me lo sono tolta ho visto che mi aveva procurato una specie di allergia, avevo la pelle tutta rossa. Il maglione era troppo bello e il giorno dopo l'ho indossato nuovamente, ma le macchie di irritazione aumentarono, non potevo indossarlo. Ero triste, dispiaciuta e arrabbiata, tutto ciò mi sembrava assurdo. Presi il maglione e lo conservai, ogni tanto lo prendevo lo guardavo e mi prendeva il desiderio di indossarlo, ma non lo feci.
Un nuovo inverno era alle porte, quest'anno lo avrei indossato e certamente le macchie non sarebbero spuntate! Ma non è stato cosi... presi il maglione e suonai alla porta di fronte alla mia, venne proprio Elisa ad aprirmi, una bella ragazza con occhi azzurri, "Elisa questo credo sia l'azzurro che ti manca" mi guardò meravigliata, gli schiacciai l'occhio e scappai in casa. Sul tavolo un nastro rosso...


La maglietta e T-shirt

La maglietta è un indumento molto simpatico che più cambiare l'abbigliamento di una donna o ragazza e fra l'altro è molto pratico, la si può indossare sopra la gonna o infilata nella gonna, con i pantaloni e con i blue-jeans, inoltre si può anche indossare sotto una camicia o sotto a un maglione. Di solito la classica maglietta è bianca, ma ve ne sono un'infinità di modelli, di tessuti e di disegni. Hanno una vastissima scelta nei colori danno la possibilità di essere sportive o eleganti. La maglietta elegante è quasi sempre nera decorata con paillette o strass, e fa un effetto meraviglioso. Poi ci sono le magliette allegre con frutta, animali, personaggi famosi, poesie, proverbi, foto, slogan pubblicitari, frasi di film insomma su questo indumento le scelte sono veramente infinite.

Curiosità

Abbiamo parlato di "paillette, lustrini, strass" ora qui vi voglio spiegare come avviene il procedimento di uno di questi bellissimi ornamenti: lo strass, prima di tutto vi voglio far sapere che l'inventore di questa pietra è stato J. Strasser di Vienna.
Strass = tipo di vetro fatto di silice, potassa e ossido di piombo, esso è molto splendente e con una forte rifrazione e viene usato per le imitazioni di pietre preziose che fanno un effetto stupendo.
Se lo strass è incolore viene usato per imitare il diamante, invece colorato con oro serve per imitare il topazio, con rame e cromo lo smeraldo e con oro e manganese il rubino.
La T-SHIRT, questo curioso nome è di origine americana e fu indossata dai soldati della prima guerra mondiale, diventata dopo uno dei capi fondamentali dell'abbigliamento disinvolto e può essere portato all'esterno con modelli più elaborati con disegni vari, oppure con stampe, o con ricami, oppure anche da portare sotto camicie o pullover. La T-SHIRT è una maglietta aperta su un piano, e ha infatti le forma della lettera "T".

Il tailleur

Questo indumento è un completo per donne, composto da giacca e gonna o pantaloni. Che può essere elegante e raffinato oppure sobrio e sportivo.
Nato in Inghilterra nell'Ottocento e il primo tailleur venne confezionato per la principessa del Galles nel 1885 e che dopo si diffuse in Francia ed infine in Italia, questo completo che veniva chiamato "abito all'inglese" oppure "alla mascolina" e aveva il taglio della giacca copiato dai modelli maschili, invece la gonna era larga e svasata verso l'orlo. Il nome tailleur nasce dopo quando la linea diventa sempre più maschile, tanto che doveva essere confezionato da un sarto per uomo.
Questo abbigliamento veniva poi completato da accessori come: camicia, cravatta, gilè e cappello. Il tailleur è stato anche un provocatorio travestimento per molte famose attrici del passato come, Marlene Dietrich che amava indossare giacca e pantaloni, poi Joan Crawford che preferiva il tailleur con la gonna.
Oggi i modelli dei tailleur sono tantissimi, con infinite combinazioni e anche se le mode passano, ma il tailleur resta.
E ancora ai giorni nostri si veste il talilleur, che nel frattempo dopo aver subito tanti cambiamenti e che indossandolo con i pantaloni rappresentano una volta di più la tendenza verso la moda unisex lanciata con prepotenza negli anni sessanta.


La giacca

Gli antichi romani chiamavano la giacca "vestis cenatoria" perchè veniva indossata in occasione dei grandi banchetti. La più antica giacca che si sappia e che mostra tra l'altro l'importante invenzione del bottone, è oggi custodita nel Museo Storico del Tessuto di Lione.
Questo è un indumento sia maschile che femminile che ricopre il busto, abbottonato sul davanti e lungo fino sotto la vita, può avere diversi modelli e rappresenta uno dei più importanti capi della storia dell'abbigliamento.
Di giacche vi sono tanti tipi, c'è la giacca più usata del tipo sportivo con una stoffa a quadri e con le toppe sui gomiti, o con due spacchetti.

La "Marinara" in colore blu scuro e molto simile a quella usata dagli ufficiali di marina e con bottoni di metallo dorato.

La "Coreana" con una linea diritta e larga e con un piccolo colletto teso in piedi, può avere l'abbottonatura centrale o anche di lato.

La "Cacciatora" è una giacca sportiva in fustagno o velluto.

La "Sahariana" è una giacca usata dalle truppe coloniali realizzata in lino, cotone pesante o in velluto a coste. Confezionata con un taglio ampio e lunga ai fianchi, il collo è fatto a camicia, sul petto ci sono due tasche applicate e due a soffietto sui fianchi, maniche lunghe con fibiette ai polsi e cintura in vita. Questo modello di giacca ora diventato di uso comune fa parte dell'abbigliamento casual.

Il "Blazer" è una giacca sportiva in tessuto a righe, o fasce verticali colorate, che viene anche usata in certi collegi e club inglesi. Di taglio ampio e sportivo insostituibile oggi in ogni guardaroba e portata sia da donna che da uomo.

La "Giacca a vento" realizzata in un tessuto impermeabile, imbottita, chiusa con una cerniera davanti e con cappuccio. E' stata realizzata per essere portata in montagna o per escursioni a bassa temperatura, oggi si usa anche come capo sportivo invernale da portare in città

Il "Caban" è un giaccone di fattura sportiva che risale originariamente alla divisa dei cocchieri inglesi dello scorso secolo, infatti "cab" in inglese significa carrozza. Oggi questo capo di vestiario ha spalle diritte, allacciato a doppio petto, stretto sui fianchi e sui polsi, e spesso ha pieghe sul davanti, incroci e sovrapposizioni.

La "Casacca" è una ampia giacca diritta e squadrata può essere allacciata da una cintura o anche lasciata libera e morbida. Anticamente veniva indossata sotto l'armatura avendo come tanti altri capi di abbigliamento un origine militare.

La "Canadienne" è un giaccone pesante con collo e fodera in pelo, grandi tasche e cintura in vita, questo giaccone veniva originariamente usato dai cacciatori canadesi.

Il "Bomber" è un giubbotto corto ma ampio di linea e di maniche, stretto ai polsi e alla vita da fasce in tessuto elasticizzato, chiuso davanti con una cerniera e viene realizzato in vari tessuti.
L'origine di questo capo è militare e precisamente viene dalle giacche a vento usate dall'aviazione inglese durante la seconda guerra mondiale.

La "Finanziera"

La finanziera chiamata anche prefettizia o stiffelius, era una giacca lunga a un petto dell'ottocento e del primo novecento e veniva indossata dai nobili, dai deputati, da ministri e anche da funzionari come divisa.

Spencer

E' una giacca lunga fino alla vita e può essere mono o doppio petto, era già stata indossata dagli uomini nel diciottesimo secolo. Però all'inizio del secolo scorso entrò a far parte anche del guardaroba femminile, come giacchino che arrivava appena sotto il petto, veniva indossato per le passeggiate, o anche indossato sopra un abito da sera. Anche se questo indumento è principalmente per donna, nelle collezioni di moda di pochi anni fa è stato riscoperto anche per l'abbigliamento maschile da indossare in certe occasioni

Il Cardigan

Il cardigan è una variante della giacca. Nasce nei feudi dei Lord inglesi come abbigliamento da camera, proprio per la sua comodità ed eleganza.
Giacca di lana in maglia, il suo nome deriva da James Thomas Brudell, settimo conte di Cardigan, che guidò la carica della cavalleria inglese dei seicento. Di origine militare indossata anche dagli ufficiali dell'esercito britannico durante la guerra di Crimea. Diventa dopo, un classico fra i capi in maglia, senza colletto e quasi sempre scollata a "V" con abbottonatura davanti, sostituisce la giacca nell'abbigliamento sportivo ed è di gran moda sotto forma come twin set tra collegiali e patronesse negli anni settanta.


Il gilè

"Barbapedana aveva un gilè
corto davanti e senza di dietro
senza bottoni, lungo una spanna, era il gilè di Barbapedana!"

Il gilè, tanti lo chiamano panciotto, a me non piace panciotto, perciò lo chiamo gilè, il gilè non è un vestito e nemmeno un accessorio è un indumento maschile senza maniche che si indossa sulla camicia e sotto la giacca; il modello classico è confezionato quasi sempre davanti con lo stesso stessuto, mentre di dietro è in seta, raso, o altro tessuto leggero, davanti ci sono i bottoncini e la scollatura è a "V" poi ha due piccole tasche ai lati. Questo indumento può essere confezionato anche in tessuti lucidi o decorativi, in velluto o in maglia. Mentre quello per i pescatori, cacciatori, e fotoreporter viene confezionato con mille tasche e taschine, poi c'è il gilè delle grandi occasioni, portato con il tait, abito maschile da cerimonia soprattutto per matrimoni, che deve essere grigio perla mentre per l'abito formale il gilè è a doppio petto in panno leggero grigio chiaro (ma non perla), mentre per il "tre pezzi" il gilè può essere intonato o grigio perla. E ancora il gilè molto elegante è quello a piccoli disegni e con la sciarpa uguale.
Il gilè è stato adottato anche dall'abbigliamento femminile, portato sotto la giacca del tailleur oppure come complemento sportivo e disinvolto.
Il gilè ha accompagnato l'abbigliamento maschile per tre secoli.
Nasce con il nome di "gilet" nella seconda metà del XVII secolo, ha maniche ed è indossato sotto il giustacuore e nel regno di Luigi XIV il Re Sole viene chiamato "Justaucorps".
A Venezia nel 1700 prende il nome di "camiziola" o di "camisola" e alla fine del 1800 l'unica civetteria maschile che riguarda il gilè era, che poteva essere scozzese, damascato o bianco, con abbottonatura doppia o semplice. L'uomo giovane lo preferiva a tinte brillanti o ricamato con i fiorellini di "non-ti-scordar-di-me" mentre l'uomo maturo sceglieva tinte più sobrie o il tessuto scozzese, in questo periodo viene anche inserito nel guardaroba femminile. Nel 1960 con la moda unisex le donne indossano direttamente i gilè maschili, e a partire dal 1970 viene realizzato in diversi tessuti e diventa definitivamente un capo del tailleur da donna.
Oggi confezionato in tessuti preziosi e fantasie originali è diventato un'abitudine anche tra i gentleman più famosi.
Guido Venosta presidente dell'Associazione per la Ricerca sul Cancro è un protagonista del gilè spezzato rispetto all'abito e anche Fabio Fazio presentatore televisivo ha imposto il gilè al posto della giacca o del pullover.


I pantaloni


I pantaloni hanno un'antica origine e probabilmente derivati dalle "brache" indossate dai barbari. Lanciata da Augusto nel primo 800, la moda delle braghe diede il via ad una contesa per la conquista di questo capo di vestiario anche da parte della donna. Nella cattedrale di Rouen una scultura in legno orna il pulpito e raffigura, un uomo ed una donna che si contendono un paio di pantaloni cercando di strapparseli l'un l'altro dalle mani. Oggi rappresentano un capo fondamentale nell'abbigliamento maschile. I modelli che si avvicinano di più a quelli in uso oggi si possono far risalire circa alla metà del secolo scorso, quando infatti appaiono i primi pantaloni da uomo di linea diritta e lunghi fino alla caviglia. Come per le gonne anche i pantaloni hanno molti modelli, però per le fogge più innovative sono apparse negli anni sessanta, e hanno creato una vera e propria rivoluzione stilistica. Ma solo dieci anni dopo i pantaloni entreranno veramente in modo preponderante sia per la moda maschile che femminile, sia casual che elegante.

Pantaloni classici "con risvolto", è un modello che è tramontato tante volte e tante volte è nuovamente risorto. Come è nato questo modello di pantalone... il risvolto nei pantaloni era nato nel giorno in cui il Principe di Galles, già noto per la sua eleganza, ha dovuto attraversare in un pomeriggio di pioggia una strada di Londra e per non inzaccherarseli di fango se li rivoltò.

Pantaloni a "zampa di elefante" o a campana era di moda negli anni sessanta sia da uomo che da donna, erano molto aderenti sulla coscia per scendere poi dal ginocchio fino all'orlo in modo svasato. In questo modello esistevano anche i blue jeans a vita bassa soprattutto portati dai giovani e oggi cambiando un pò il modello sono ancora di moda è diventato più classico, che mantenendo la lunghezza normale nella parte alta e la stiratura a piega scendono ugualmente larghi verso il basso.

Pantaloni a "Sbuffo" di linea molto ampia e arricciata sui fianchi si restringeva in modo aderente dal ginocchio alla caviglia creando un notevole contrasto fra la parte alta e quella bassa della gamba. Nelli anni settanta questo modello è stato molto di moda.

Pantaloni alla "Cavallerizzo" questo è un pantalone che viene usato per l'equitazione, sono tagliati molto larghi ai fianchi e arrotondati e sporgenti verso l'esterno e piatta sul ventre, poi si stringono al ginocchio e scendono aderenti fino alla caviglia per allacciarsi al piede con una abbottonatura a polsino oppure con una staffa.

Pantaloni da "Sci" nati nel 1930 i primi erano tagliati dritti e arricciati con un elastico alla caviglia, il colore era blu e il tessuto era il panno. Poi si sono evoluti fino ai giorni nostri nei materiali sempre più elaborati tecnicamente, sia nelle fogge che nei colori. Adesso sono molto aderenti e fatti con un tessuto elasticizzato, per lasciare ai movimenti completa libertà, restano belli tesi grazie ad una staffa elastica che gira attorno al piede. Questi pantaloni sono stati anche l'ispirazione per i pantaloni chiamati "Fuseau" ancora in uso ai giorni nostri.

Pantaloni alla "Zuava" questi pantaloni si usavano molto dagli anni venti agli anni quaranta, molto usati sia per uomo come anche per donna, sono stati creati per attività sportive, hanno un taglio abbastanza ampio e si rimborsano leggermente appena sotto il ginocchio, trattenuti da una piccola fascetta che si allaccia con una fibbietta o con un bottone.

Bermuda, calzoni lunghi fino al ginocchio, un capo estivo che viene indossato sia da uomini come da donne e nati nelle isole omonime.

Gli Short

Short che in inglese significa corto e indica i pantaloncini corti alla coscia, da uomo e da donna, in tessuti e materiali diversi, come il cotone laccato, ed è una singolare origine dell'abbigliamento infantile inglese, lo short nel 1922 lo indossavano con i calzettoni i privilegiati ragazzini di famiglia nobile. Nel 1933 è la tennista americana A. Marble di San Francisco a lanciare gli short presentandosi su un campo di gioco con questo tipo di pantaloni. come indumento sportivo, ma tra la fine degli anni sessanta e gli anni settanta diventa un capo di abbigliamento nella versione più ridotta dei cosiddetti hot-pants, sottolineando la trasgressione e emancipazione femminile. In quel periodo erano sotto al ginocchio e venivano associati ai Bermuda americani. In seguito gli shorts diventano corti tanto che coprono solo una parte della coscia. Il loro trionfo è nell'anno 1970 e non solo vengono indossati dai ragazzi ma anche dai non più giovanissimi.

Invece per i pantaloni da donna bisogna aspettare fino agli anni venti da poter asserire che i pantaloni siano diventati un indumento di uso comune in pubblico, anche se già prima ci sono state delle apparizioni sporadiche di donne famose come Sarah Bernhardt e George Sand che li avevano indossati suscitando critiche da parte dei benpensanti. Ma solo negli anni sessanta arrivarono le fogge più innovative, creando una vera e propria rivoluzione stilistica, quando i pantaloni entrarono veramente in modo preponderante nell'abbigliamento femminile, sia elegante che casual.

Oltre i pantaloni classici e sempre eleganti vi sono anche altri modelli come:

Pantaloni a "Tubo" o a "sigaretta" ancora sempre attuali anche ai nostri giorni, hanno una linea stretta e affusolata con un piccolo spacco nell'orlo in basso.

Pantaloni alla "Turca" o alla "Mammalucca" erano tagliati molto ampi e abbottonati nel cavallo, arrivano come lunghezza quasi fino alla caviglia. Il modello è ispirato dalle braghe portate dalle donne turche.
Questi pantaloni sono stati usati anche come pantaloni da sera, in diversi periodi di questo secolo.

Pantaloni alla "Gaucho" erano di moda negli anni sessanta molto ampi in fondo e lunghi fino a metà polpaccio e venivano portati con stivali e cinturone in vita molto allentato sopra una ampia camicia.


I blue-jeans

Questo nome viene dai pantaloni che indossavano gli scaricatori del porto di Genova e significa "blu Genova". Era il 1860 quando un sarto di nome Levi Strauss decise un giorno di usare la resistentissima tela azzurra che copriva i carri dei cercatori d'oro, per farne dei pantaloni. Questi pantaloni erano indistruttibili e permetteva ai cercatori di infilarsi le pepite in tasca senza il rischio di perderle per la strada. Però di questo c'è anche un'altra versione che dice: " Levis Strauss un emigrante bavarese, arrivò fra i cercatori d'oro americani a proporre un robusto tessuto per tende. Si accorse invece, che quello che serviva maggiormente erano pantaloni resistenti e quindi con il suo tessuto fece fare pantaloni che hanno avuto un immediato successo." Da allora la grande ascesa dei jeans nel mondo dell'abbigliamento è stata inarrestabile e la moda dei blue-jeans conquistò il mondo!
Per la prima volta un capo di abbigliamento viene accettato da tutti, giovani, bambini, donne, uomini, anziani, ricchi e poveri. In Europa i blu jeans giungono per la prima volta dopo il 1945 indossati dai primi turisti americani, ma le loro origini come avete visto risalgono a ben circa un secolo fa.


Abito da donna

Il più antico esemplare di abito a noi pervenuto si trova custodito nel Museo Nazionale di Copenaghen, infatti sono state proprio le preistoriche donne danesi, le prime a cucire vesti tagliate sulla forma del corpo.

Qui vi voglio riportare dei brevi riassunti dei vari abiti durante i secoli.

Egitto... Roma...

In tremila anni di storia di questa civiltà l'abbigliamento egiziano subì poche trasformazioni. Gli uomini indossavano un semplice perizoma di lino sul quale indossavano una o più trasparentissime sottane che arrivavano oltre il ginocchio oppure potevano anche essere corte e venivano trattenute in vita da una cintura. Solo il gran sacerdote aveva il diritto di portare una pelle di leopardo da gettare sulla gonna pieghettata.
Anche le donne si vestivano come gli uomini con vesti di finissimo lino, trasparenti e plissettate abbellite con cinture molto alte che arrivavano fino sotto il seno. Le maniche erano corte e spesso con frange e lasciavano scoperto il braccio che era sovraccarico di bracciali, erano ammessi tutti i colori tranne il nero.

Roma...

L'abbigliamento romano a differenza di quello egiziano, varia a secondo del periodo, si passa da una tunica stretta alla vita da una cintura fino alle vesti mollemente drappeggiate di seta purpurea ricamate in oro del periodo imperiale. Se il clima diventava fresco veniva aumentato il numero delle tuniche, la lunghezza era sopra al ginocchio, ma con il passare del tempo si allungò fino alla caviglia. Sopra la tunica veniva indossata la toga, piuttosto ingombrante e di come veniva drappeggiata sul corpo acquistava dignità, eleganza e in base alle guarnizioni e al modo in cui veniva indossata, indicava anche la classe sociale di chi l'indossava.

"Non vi fu alcun grande ingegno
senza un poco di pazzia"
Aristotele

Il medioevo

Tra il 1340 e il 1350 gli abiti si dividono in due parti, quella di sopra e quella di sotto, che viene indossata lunga dalle donne e corta dagli uomini.
Le donne indossavano vesti lunghe morbide, con la vita alta e stampate in mille modi. Le gonne erano profondamente spaccate sul fianco per lasciare intravedere la sottoveste. Ma sono le Regine, le principesse e le aristocratiche che dettano la moda, una di queste è Eleonora d'Aquitania che è stata la prima ad adottare l'abito con lo strascico e con maniche larghissime spesso lunghe fino in terra per le quali si usavano moltissimi metri di velluto, questo spreco di tessuto serviva per far vedere la nobiltà e la ricchezza di chi li indossava. E il tessuto era impreziosito da pietre preziose e ricami e le cuciture erano nascoste da fili di perle.
L'abbigliamento per uomo era costituito da due pezzi "il farsetto e le brache" le brache erano due tubi di tela che arrivavano fino all'altezza dell'inguine che poi si congiungono con il farsetto e una corta veste imbottita che trae le sue origini da un capo indossato sotto le armature, per proteggere il corpo dal contatto col metallo. Invece i "cavalieri" uomini valorosi e cortesi, indossavano una tunica di lana che arrivava un pò oltre il ginocchio e sopra la "cotta d'arma" che era una tunica più corta fatta in maglia metallica e il cinturone di cuoio sosteneva sul fianco sinistro lo spadone.

In Italia le donne sopraponevano alla tunica con le maniche lunghe e aderenti, una veste stretta in vita e larga in basso e le maniche erano strette all'attaccatura delle spalle che poi si allargavano al polso, per lasciare intravedere la tunica sotto di un colore diverso. Le tasche erano completamente sconosciute, al loro posto portavano appesa alla cintura o a tracolla una borsa rettangolare chiamata "scarsella".
Gli uomini invece indossavano sopra una tunica lunga una più corta dal colore vivace e spesso ricamata e non portavano i calzoni ma lunghe calze-maglia intonate col colore della tunica, spesso di colore rosso.

"Fatti non foste per viver come bruti
ma per seguir virtute e conoscenze"
Dante

Il rinascimento

L'abbigliamento femminile era diventato fastoso in modo particolare per i tessuti che venivano usati, che erano, taffetà, velluto, damasco etc. Il modello quattrocentesco confezionato con un tessuto pesante era fatto da, un bustino alto e attillato, dal quale partivano arricciature o drappeggiature con morbide pieghe e la gonna era spesso rialzata con ganci d'oro o d'argento, dei veri e propri gioielli. La maniche lunghe erano attaccate alle spalle con cordoni oppure erano tagliate in senso verticale o orizzontale per fare uscire a sbuffo la camicia.
Gli uomini preferivano i colori vivaci, addirittura fino all'assurdo, applicando ai vestiti rattoppi quadrati o triangolari con diversi colori o anche rigati. Col passare degli anni gli abiti maschili si sono accorciati invece le calze si erano allungate fino ai fianchi, perchè i giovani che avevano abolito il gonnellino e hanno seguito la moda francese del giustacuore, le maniche avevano spesso dei tagli verticali dai quali usciva una candida camicia. Inoltre gli uomini per allargare spalle e torace si imbottivano di fieno, mentre la vita veniva stretta da una cintura. Poi il cappello divideva i ricchi dai poveri, i ricchi portavano dei copricapi chiamati "mazzocchino" da cui scendeva dalla spalla sinistra una falda spesso lunga fino ai piedi.

"Quanto è bella giovinezza che si fugge tuttavia!
Chi vuol esser lieto sia di doman non c'è certezza"
Lorenzo il magnifico

Il barocco

L'abbigliamento femminile ha mantenuto a lungo la moda del corpino imbottito e aderente irrigidito dalle stecche, da li partiva la gonna molto arricciata e spesso rialzata su un fianco o sul davanti per lasciare intravedere la preziosa sottogonna e spesso anche sostenuta da una intelaiatura. Le scollature erano generose, le maniche aderenti ma con sbuffi all'attaccatura e con il solito fasto di ricami. Ma la scollatura rappresentò un vero dilemma, perchè da una parte le donne volevano imitare gli uomini adottando le ingombranti gorgiere, dall'altra desideravano mettere in mostra il seno imbellettato come il viso. Comunque per un certo periodo hanno preferito ostentare la propria classe sociale indossando abiti dai colli alti con collari rotondi, rigidi e increspati. Poi decisero di lasciare la gorgiera aperta fino ad escogitare la moda di una intelatura di garza rigida e di trine ingioiellate, fatta a ventaglio dietro la testa. Anche i tessuti erano di velluto, sete francesi e spesso tempestate di perle e pietre preziose, per cui gli abiti diventavano beni di valore talmente rilevante da costituire un patrimonio che veniva trasmesso agli eredi come l'oro e altri materiali preziosi.
Gli uomini invece costellarono il giustacuore di bottoni d'oro, d'argento e tempestati di diamanti e gemme. Le calze-maglie erano aderentissime sul davanti avevano una specie di borsetta protettiva, la brachetta che poi si è trasformata in un calzone gonfio e ricco come il corpetto. L'abbigliamento maschile risentì l'influsso spagnolo soprattutto nelle gorgiere, che da prima erano appena accennate come un semplice colletto increspato della camicia, poi sono diventate sempre più larghe e sproporzionate e di conseguenza anche le maniche nella parte superiore sono state allargate con uno o più sbuffi.
Verso la metà del cinquecento i calzoni oltrepassarono il ginocchio e erano allacciati lateralmente prima con un nastro di colore vivace, poi con bottoni d'oro o d'argento. E erano di moda per gli uomini berrette piatte di broccato o velluto con o anche senza falde e abbellite con pennacchi e gemme.

"Chi non ama il vino,
la donna e il canto,
sarà un pazzo tutta la vita"
M. Lutero

Il settecento...

Il settecento ci porta alla novità di abiti femminili tutti particolari, essi sono una specie di gabbia fatta a semicerchi metallici, da affibbiare in vita sotto la gonna, per allargare i fianchi, il corsetto di questo abito era sempre abbellito con pizzi e nastri e con un fiocco in mezzo alla scollatura che era ampia sul seno, per arrotondare il seno si usava un busto speciale, un pezzo di ferro triangolare imbottito e con gli angoli ricurvi, la sottoveste di un altro colore anche essa aveva pizzi, nastri e volants. La vera eleganza richiedeva stoffe di broccato o velluto, ma poi vennero di moda anche altri tessuti come la seta e altre fibre.
E gli uomini pare non siano stati di meno (però liberi di torture!) Il loro abbigliamento si componeva dal soprabito, gilè e calzoni. Il gilè era un capo di lusso confezionato in velluto, damasco o raso e ricamato a piccoli fiori, simboli o animali, era lungo fino a metà coscia con tasche laterali e maniche corte all'avambraccio e lo abbellivano numerosi e fitti bottoni d'oro, d'argento o di smalto. Il collo della camicia era annodato a sciarpa e guarnito di pizzo. I calzoni erano aderenti e arrivavano fino sotto il ginocchio fino dove arrivavano le calze di seta. Il soprabito fatto a redingote aderiva al busto e si allargava ai fianchi in notevole ampiezza, e reso più libero da uno spacco posteriore. Questo soprabito o anche giacca lunga era elegantemente ornata di passamanerie e non veniva mai abbottonata per lasciare vedere il gilè ricamato.

"Cogito ergo sum"
R. Descartes


Il periodo della rivoluzione francese...

Nel periodo della rivoluzione niente più broccati o sete, ma tessuti stampati che venivano chiamati "all'uguaglianza" oppure "sanculotti" per i popolani, come quelli dei marinai, quasi sempre in tessuto rigato bianco e rosso, con una giacchetta corta a due tasche e vesti informi le "tricoteuses" per le popolane.
Invece nel periodo del Direttorio, la moda per le donne si ispirò alla classicità e le donne hanno affermato il proprio diritto a indossare abiti liberi che non costringessero il loro corpo in linee innaturali. Perciò lunghe e morbide tuniche di lino, e di leggerissima batista di velo quasi trasparente e sulle spalle una corta giacchetta o uno scialle.
Gli uomini indossavano frac strettissimi e alti in vita, con gilet dai più impensati colori e con ampi risvolti, anche i calzoni erano diventati aderentissimi e la camicia si indossava con cravatte larghissime, avvolte intorno al collo a ricoprire il mento in modo da formare una specie di zoccolo su cui poggiava la testa.

"Impossibile n'est pas un mot"
Francais

Impero napoleonico

La rivoluzione francese ha portato grandi cambiamenti nella moda. Per la donna gli abiti avevano la vita alta sotto il seno, con scollature provocanti rotonde o quadrate, con guarnizioni in pizzi, ricami dorati e veli leggeri e con maniche cortissime. Il profondo drappeggio della gonna era raccolto sul dorso e spesso veniva usato come strascico.
Questo stile di abito da donna è stato lanciato dall'imperatrice Giuseppina durante l'impero napoleonico. E' un modello molto bello che è caratterizzato dal punto vita molto alto e arricciato sotto il petto. Questo abito per decreto imperiale, poteva essere di due fogge: o con maniche e nello stesso tessuto a piccoli disegni uguali alla fodera del mantello in velluto da indossare sopra l'abito, oppure con maniche corte in broccato d'argento abbinato sempre ad un mantello in velluto con ricami d'oro e d'argento e foderato in ermellino.
Questo modello di abito era anche conosciuto come: directoire oppure recamier.
Sono state le donne della corte di Napoleone a dettare la moda, che però fu breve e che cambiò radicalmente dopo la sua caduta. Le gonne e le sottogonne si allungarono si raddoppiarono e si appesantirono con pieghettature, nastri, passamanerie, volants e fiocchetti, la vita tornò al suo posto però fu obbligatorio avere un vitino di vespa tanto che il corpo femminile si trasformò in una clessidra.
Come l'abito dalla vita altissima fu il simbolo del primo impero, la crinolina lo è diventata per il secondo, la sottoveste inamidata si complicò con cerchi di crine compresso e di armature imbottite e molle d'acciaio.
Anche per gli uomini si è verificato un cambiamento, pure loro alzarono il punto della vita, almeno sul davanti, il collo del panciotto ha avuto larghi risvolti e andava di moda il mantello circolare, con un grande bavero e una mantellina che dopo fu adottato dai postiglioni. I calzoni sono continuati ad essere lunghi e stretti, oppure di seta corti fino al ginocchio per qualche nostalgico.
Dopo le stravaganze dei rivoluzionari anche gli uomini abbassarono al punto giusto il segno della vita, soltanto nel gilè potevano variare i dettagli, che poteva essere di raso, velluto o seta ricamata, la giacca aperta arrivava a metà coscia. La camicia bianca e pieghettata aveva il colletto alto e a punta, avvolto in una cravatta bianca o nera.


Il romanticismo

L'abito dalla vita altissima fu il simbolo del primo Impero, mentre la crinolina lo è diventata del secondo.
L'abito è diventato sempre più gonfio e abbellito con sbuffi, volants, fiocchi, pizzi e frange, spesso anche con pieghe raccolte dietro, allungate in uno strascico. Gli abiti si arricchiscono e si allargano enormemente, con una varietà di guarnizioni e di pizzi. Le gonne dovevano essere sostenute da sottogonne multiple inamidate, allargate da cerchi e dalla crinolina. Ma per proteggere le gambe erano doverosi dei mutandoni che arrivavano sotto al ginocchio. Soprattutto negli abiti da sera usavano aumentare l'impressione di ampiezza con festoni, balze e fiori.
Ma dal 1870 la moda cambia, le gonne diventano piatte davanti e ricche dietro, dove la stoffa si gonfia su un piccolo cuscino disposto come una sella sulle reni, oppure da una specie di pouf fatto da diversi strati di crine di cavallo. I'abito è lungo e tocca per terra con un piccolo strascico, la vita sottile e il corpetto attillato che davano alla figura femminile un particolare fascino. Questi abiti venivano arricchiti da accessori sempre più complessi come, frange, nastri, bottoni, e trecce. Anche se la nuova linea ha diminuito il volume della gonna, la donna doveva ugualmente portare un busto per assottigliare la vita e che dava al corpo l'impressione di una clessidra.
Gli uomini vestono in nero e gli abiti diventano più attillati e più severi, il loro abbigliamento sono. il frac. la redingote e il stiffelius, che io non so cos'è... e per cappello la tuba. La redingote è tagliata in vita e viene indossata di giorno e l'abito a code per la sera, immancabile è il panciotto a doppiopetto o anche a monopetto. I calzoni hanno la forma tubolare molto simile ai nostri tempi però senza piega e risvolti.

"Esser bella a che dunque mi giova
se ogni pace vien tolta al mio cuor?"
C. Bassi


La belle epoque

La moda del novecento abolì il busto, la vita tornò al posto naturale le maniche divennero più adereti e scomparvero i veli, gli eccessi dal busto troppo stretto, il peso delle gonne e i drappeggi alla fine hanno provocato una ribellione.
Parigi ha imposto la moda di giacche maschili un pò femminilizzate che venivano indossate con gonne dalla linea semplice davanti ma abbastanza ricche dietro da facilitare il passo. Questa moda semplice introdotta all'inizio del secolo conquistò sempre di più il favore del mondo femminile e anche se gli abiti da sera continuavano ad essere confezionati in pizzo ha incominciato a predominare il gusto per i tessuti dai colori forti contrastanti e dalle linee semplici. Molto importante era la biancheria intima che ha avuto il suo
momento di gloria con l'avvento del can-can, la tanto popolare danza che ha reso celebri i mutandoni lunghi fino al ginocchio, con grandi sbuffi di pizzo che spiccavano sul nero delle calze e delle scarpine appuntite.
Gli uomini indossavano, calzoni a tubo con o senza risvolti e giacca larga nelle spalle e aderente al bacino dello stesso tessuto e panciotto monopetto.
Quando scoppiò la prima guerra mondiale il mercato della moda ha subito una paralisi quasi completa, ma lentamente dagli anni venti ai anni quaranta, emerge una donna più sicura di sè e più emancipata, perciò i vestiti sono realizzati in pannelli svolazzanti che arrivano a malapena alle caviglie, lunghe frange e corpini blusanti sulla vita bassa e collane lunghe, spesso una lunga sciarpa gettata sulle spalle completava l'abbigliamento.
"Non è mai tardi per tentar l'ignoto,
non è mai tardi per andar oltre"
G. D'Annunzio


Il Tight


Il Tight è il classico abito da cerimonia. Che è composto da giacca nera o antracite, corta davanti e con due code arrotondate dietro e falde davanti sfuggenti all'indietro. I pantaloni che sono retti da bretelle di raso bianco sono di taglio dritto, sono in tessuto grigio gessato o spinato, a pince o piega davanti, privi di risvolto.
Il gilè deve essere tradizionalmente grigio perla, mentre la camicia rigorosamente candida, con polsini doppi con gemelli, il colletto è inamidato e rigido con le punte ripiegate, con cravatta Ascot, fermata con una spilla. Le calze devono essere lunghe nere o grigio scuro, le scarpe in pelle di vitello opache e nere, i guanti di camoscio e un cilindro grigio chiaro. All'occhiello si porta un garofano o una gardenia bianchi che simboleggiano la fedeltà.
Il tigh è adatto per i matrimoni celebrati prima delle ore 18.00 poi sarà di rigore il frac.

Il mezzo tight

Il mezzo tight è un abito meno impegnativo e di più recente istituzione e meno impegnativo, cioè sarebbe il classico abito da cerimonia senza code, e che si può portare senza cilindro e senza guanti.
Poi c'è il classico tre pezzi, però questo abito deve essere completamente foderato e di colore blù o grigio in tinta unita, senza alcuna fantasia. La cravatta deve essere lunga grigia, ma non color perla, o in seta con disegni molto piccoli. Il fazzoletto da taschino si può portare solo se non si portano fiori all'occhiello.

Alcune regole

Se lo sposo indossa il tight, dovrà indossarlo anche il padre della sposa e dello sposo, i fratelli della coppia e i testimoni. In questo caso, le cravatte e i guanti dovranno essere tutti uguali ed è segno di gentilezza che sia lo sposo a farne dono per garantire uniformità.

Il frac

Questo abito del guardaroba maschile già in uso nel 700 in tessuto di tinta unita, nei colori che andavano dall'azzurro, al verde e al bronzo scuro per la sera. Solo nella seconda metà dell'800 assume l'aspetto a noi noto di un capo elegante in nero costituito da giacca a falde lunghe con il dietro separato da uno spacco, chiamato "coda di rondine", i pantaloni sono a tubo, il gilet in piquet bianco, e anche il papillon è bianco in piquet e cilindro.

Lo smoking

E' un abito maschile da sera, costituito da giacca nera oppure anche bianca o blu adatte più per paesi caldi, con risvolti in raso e abbottonatura a un petto a uno o due bottoni, pantaloni in tinta con piccola striscia di raso che corre lungo l'esterno della gamba, fascia in vita, camicia bianca con sparato, polsini da gemelli, con collo ad alette, papillon e mocassini in vernice.
La sua prima apparizione fu al casinò di Monte Carlo nel 1880, ed è diventato subito l'alternativa moderna al frac. La parola smoking viene dall'inglese e significa giacca da fumatore. Però la smoking-jacket britannica ha ben poco a che vedere con lo smoking.


La cravatta

L'accessorio più importante di ogni uomo che vuole essere elegante e educato è la cravatta.
E' una striscia di tessuto, di una forma particolare ben rifinita da annodare al collo sotto il colletto della camicia ed è un complemento essenziale dell'abbigliamento maschile.
Le cravatte hanno una scelta vastissima di colori e disegni, ce ne sono veramente per tutti i gusti. Ci sono in tinta unita di tutti i colori, a strisce, disegni geometrici, quadri, fiori, con animali, pois etc. e anche i disegni hanno un loro significato: le strisce larghe possono rivelare persone di carattere esuberante, mentre quelle sottili possono indicare menti incline alla precisione e alla meticolosità. Per esempio per una gita in macchina si potrà scegliere una cravatta a disegni grandi, invece per l'ufficio è meglio una con disegni piccoli. E naturalmente variano anche le misure secondo la moda, larga, stretta, lunga o corta. Poi c'è pure il nodo attenzione! Ora prendiamo il nodo anche se non può sembrare ma anche lui ha la sua importanza, un uomo con un nodo grosso ed allentato sarebbe gioviale e di buon cuore, invece un uomo dal nodo piccolo e stretto sarebbe egoista, avaro e poco comunicativo.
Chissà a quanti uomini è capitato di essere in ritardo e non riuscire a fare un nodo perfetto e chiedersi chi fosse stato l'inventore della cravatta! Ecco qua... non so chi l'ha inventata, però so che una cittadina del Belgio Steenkerke rivendica l'onore di aver "inventato la cravatta".
L'ingresso della cravatta nell'abbigliamento maschile risale al lontano 1692 quando l'inglesi sferrarono un attacco a sorpresa contro le truppe francesi di stanza a Steenkerke. Gli ufficiali francesi non avendo avuto il tempo per vestirsi in fretta e furia si legarono al collo la sciarpa dell'uniforme con un nodo lento e hanno infilato le estremità nelle asole della giacca, ed ecco che era nata la cravatta! Sul finire del XVII secolo fu di moda la cravatta di merletto, quella specie di tovagliolo ricamato che scendeva sul petto. Nel 1848 il colore ha un significato politico: rossa è la cravatta dei rivoluzionari, nera quella dei anarchici e gialla quella dei clericali. Da allora in poi la cravatta continuò a diffondersi anche se furono i soldati di Steenkerke i primi a trasformare una sciarpa in una cravatta. Ma le origini della attuale forma risalgono al 1870 circa, mentre prima esistevano ornamenti da collo chiamati ugualmente cravatta ma di forma diversa per lo più da annodare a fiocco e abbellite di pizzi e ricami. Nel 1900 era di moda una larga cravatta da uomo chiamata Ascot, da portare come un fazzoletto da collo e che oggi è diventato un accessorio femminile.

Cravattino o papillon piccola cravatta da annodare a fiocco rigido e secondo tutti più difficile da annodare, meno in uso della cravatta normale, ma anch'esso con vasta scelta di colori e disegni. Dona un particolare tono elegante portata con abito elegante e formale, nei colori bianco per il frac e nero per lo smoking. Colorato o con disegni può essere anche portato per il giorno, un appassionato del papillon era stato anche Winston Churchill. Viene chiamato anche cravatta a farfalla. Nasce nel 1894 e il nome deriva dalla forma del modello che ci ricorda due ali della farfalla e che in francese vuol dire papillon. Questo sistema a farfallina si ebbe già nel 1829 come bottone per le maniche corte dei vestiti da donna.
Esiste anche una farfalla alla Lipton dal nome del commerciante di tè.

Curiosità: Però se prendiamo in considerazione le sculture dei faraoni egiziani di più di 4000 anni fa, possiamo vedere che i Re portavano ampi collari di pietre preziose. E inoltre in molte scoperte egiziane sono state ritrovate intorno al collo delle mummie una specie di amuleti a forma di corda chiusa ad anello, d'oro o di ceramica e che serviva a proteggere il defunto dai pericoli dell'aldilà.
Nel Settecento la cravatta è diventata di grande utilità durante i grandi pranzi alle corti dei Re e dei Papi, veniva usata come tovagliolo, questo ci fa pensare che in quella epoca il tovagliolo ancora non era nato e naturalmente più uno la usava e più la cravatta cambiava colore specialmente con i sughi... chissà che sughi usavano allora, probabilmente c'era già anche il sugo al pomodoro cosi buono e che alla povera cravatta avrebbe però dato un bel colore rosso!
Questo nuovo accessorio apprezzato cento anni prima dal Re Sole, oltre i merletti si arricchisce progressivamente di fiocchi blu e gialli. La prima è un colore diffusissimo fra i nobili, la seconda è invece destinata a rappresentare il potere.

La cintura

La cintura è una striscia flessibile e può essere di materiale vario, fatta per sorreggere i vestiti all'altezza della vita e dei fianchi. Questo accessorio può essere portato sia per neccessità come per bellezza, ed è forse il più antico ornamento di cui si abbia notizia, infatti ci sono immagini che risalgono all'età del bronzo. Questo accessorio nella moda ha avuto alti e bassi attraverso i secoli, ma dal dopo-guerra fino ai nostri giorni è diventata un accessorio importante nell'abbigliamento maschile perchè ha soppiantato le bretelle. E è un ornamento nel modo di vestire anche femminile, di cui si trovano tantissimi modelli sia in pelle, cuoio, metallo e in varie tinte.

Le bretelle

Le bretelle sono un accessorio maschile e qualche volta anche femminile e per bambini. Già in uso nel 1700 erano realizzate in corda o a rete e prima ancora erano delle semplici strisce di cuoio, per assicurare la tenuta dei calzoni, nel 1800 sono state ingentilite usando il tessuto, cotone, velluto, o elastici, fino a che nel 1900 si usò un intreccio di diversi filati con fili elastici.
Le bretelle possono essere regolabili nella lunghezza mediante fibbie e si incrociano a "Y" sulla schiena e si agganciano sul davanti con asole e bottoni cuciti sui pantaloni, oppure anche con morsetti metallici. Le bretelle non sempre sono servite solo agli uomini, ma alla fine del settecento servivano alle signore per sostenere le ampie gonne. Solo con l'avvento dei pantaloni lunghi le bretelle sono passate all'abbigliamento maschile.
Le bretelle sono state sostituite dalla cintura in cuoio o pelle a volte anche preziosa come di coccodrillo, serpente o lucertola verso gli anni venti e cinquanta. Nel 1970 le bretelle conobbero un periodo fortunato con la moda unisex, usate anche dalle donne, in modelli del tutto mascolini in forma e materiali oppure femminilizzati con colori, passamanerie e ricami. Oggi ogni tanto tornano di moda per l'abbigliamento casual. Invece sono indispensabili con il frac e lo smoking.

La tuta

La tuta è un pantalone e blusa uniti in un solo pezzo, questo indumento è nato come abito da lavoro e realizzato in cotone pesante. Il taglio largo e abbondante lo rende comodo e la lunga chiusura a cerniera davanti facilita i movimenti e per questo va anche indossato sopra altri indumenti. Poi vi sono le tute per i meccanici quasi sempre blu, quella degli imbianchini che è bianca, i motociclisti che è in pelle nera.
Negli anni sessanta prendendo per modello questo indumento la moda ha proposto una grande quantità di tute in tutti i materiali possibili e decorandole con tasche, cinture, e applicazioni varie, rendendole allegre e comode. Anche di tute vi sono diversi modelli, quella tutta intera che però viene usata solo in certe occasioni, poi quella con pantalone e giacca con la cerniera davanti e cappuccio, quella con pantaloni e casacca chiusa davanti. Questo indumento, è perfetto anche per le casalinghe, lascia libero i movimenti ed è pratico.

I guanti

I guanti, pensate un pò a quante cose servono i guanti... naturalmente la prima cosa sarebbe quella di tenere le mani al caldo, riparandoli dalle gelide giornate invernali. Però torniamo un pò indietro e fermiamoci in un epoca quando si andava in carrozza, quando per ripararsi gli occhi dal sole non si portavano gli occhiali ma un bel ombrellino tutto merletti, insomma era il tempo del romanticismo! Le belle damine portavano sempre i guanti essi erano un ornamento importante e soprattutto utile e galeotto... ecco lì un corteggiatore che interessava alla bella ragazza, come fare per attirare la sua attenzione? Semplice si lasciava cadere il guanto, ed ecco fatto!
Poi c'erano i damerini che li usavano per sfidarsi a duello, prendevano il guanto e se lo buttavano in faccia e questo era il motivo per un duello. E' un indumento antichissimo se ne ha notizia in alcuni episodi mitologici e esemplari sono stati scoperti anche nella tomba di Tutancamen. I guanti hanno sempre rappresentato un segno di distinzione legati al rango o al potere di chi li portava e solo in seguito sono diventati un accessorio utile per riparare le mani dal freddo o dai lavori.
All'epoca del Re Sole sono nati i mezzi guanti che coprivano il dorso e il palmo della mano e lasciavano libere le dita per poter mostrare i preziosi anelli. Poi c'erano i famosi guanti dei tre moschettieri con una imboccatura molto ampia che erano in sintonia con gli stivali.
I guanti prima erano in uso presso gli egizi e in alcune parti dell'Asia, poi sono arrivati in Grecia e a Roma, ma usati raramente per l'eleganza invece spesso come strumento simbolico.
Nel IX secolo appaiono i primi guanti femminili, erano in seta o in lana e chiusi al polso con tre bottoncini, oppure avevano un grande risvolto spesso foderato di pelliccia, poi si indossavano per l'equitazione e per la caccia al falcone dove ne occorreva uno solo ma in spessa pelle.
Ruggero II incoronato re di Sicilia, portava guanti simili a quelli dell'antica Grecia, ornati di un sottile ricamo di un angelo tra due fagiani in lamina d'oro. E per i dignitari i guanti erano in pelle bianca.
Nel 700 erano molto, ricercati i guantai napoletani che realizzavano guanti in capretto con tenui ricami fatti con i capelli. Questi guanti erano lunghissimi e coprivano tutto il braccio fino alle ascelle. Nel 800 i guanti femminili erano talmente stretti che rappresentavano un oggetto di tortura perchè secondo la moda mani e piedi dovevano sembrare piccoli.
Nella Belle Epoque i guanti da sera, come si può vedere anche su tanti ritratti, sono nuovamente lunghissimi e affusolati con una apertura all'altezza del polso per essere sfilati più comodamente.
Ora siamo nel 1200 e l'Italia è già rinomata per i guanti particolarmente adorni, le pelle era conciata con essenze profumate ma anche con un veleno per una rapida resa dei conti, alla moda di Cesare e Lucrezia Borgia. Nel 1300i guanti sono ormai d'uso comune, guanti in pelle intessuti di fili d'oro e spesso con applicate gemme preziose. In quel periodo arrivò anche la grande novità del colore, il scarlatto, il viola, il verde, distinguevano le gerarchie ecclesiastiche, i guanti del Papa erano bianchi con perle. Nel 1500 invece di applicare le gemme sui guanti si facevano dei tagli per lasciare apparire i preziosi anelli.
I guanti femminili quasi lavorati interamente in fili d'oro, erano talmente costosi che se ne occupa la legge suntuaria vietando di possederne più di 32 paia.
Nel 1600 c'è una grande varietà di guanti in raso, velluto, panno e arricchiti di frange, merletti, e ricami. E finalmente nel 1700 si incomincia a capire l'utilità senza perdere l'eleganza, molto diffusi sono quelli foderati in piuma però si indossano poco vengono quasi sempre portati in mano. I guanti in pelle glacè costano il doppio di quelli di capretto, poi quelli in pelle di daino li poteva lavare solo il guantaio per non rovinarli. In quel periodo i guanti erano molto importanti e le donne ne avevano un numero straordinario anche fino a 72 paia, che possono essere allungati o accorciati secondo la lunghezza delle maniche dell'abito. Per gli uomini che ne infilano uno solo vi è un unico colore il bianco. Nel primo trentennio dell'800 con il ritorno di un abbigliamento elitario anche i guanti diventano di stile ricercato e abinati ai colori degli abiti hanno le gradazioni di colori acidule come: la scorza di bergamotto, il blù boreale, o il carnicino e con sottili nervature o inserti di tulle intrecciato, i ricami in argento indicano la loro provenienza da Napoli che è diventata la più grande fornitrice dell'elegante accessorio, non solo in Europa ma anche negli Stati Uniti.
A metà dell'800 le signore eleganti non escono mai senza guanti, i guanti sono corti e chiusi da due bottoncini e qualche volta anche lunghi e abbelliti in alto da piccole ghirlande di fiori, o con ermellino, oppure pizzo.
Per l'uomo invece oltre a quelli in filo di scozia, sono i guanti in pelle gialla per il giorno e bianchi per la sera. Alla fine dell'800 il ruolo dei guanti è quello di difendere la mano dal contatto come segno di distinzione di distacco. Mentre i manuali si incaricano di scrivere le regole per concedere la mano nuda.

Ora torniamo nel nostro tempo e vediamo alcuni dei tanti guanti che esistono e ci sono di aiuto...
guanti da cucina, che ci aiutano nelle faccende domestiche come per tirare le pentole roventi fuori dal forno, oppure per lavare i piatti, quelli che ci aiutano in giardino, a tirare l'erba dalle aiuole, quelli per pulire la nostra automobile, quelli per guidare, poi ci sono i guanti dell'imbianchino, i sottilissimi guanti del chirurgo, i guantoni da boxe, quelli del portiere nelle partite di calcio, quelli da baseball, insomma un'infinità quelli dei sciatori etc. Poi i classici guanti in pelle o lana, che ci proteggono dal freddo, perciò vedete quanto sono utili i guanti e quanti ve ne sono!

Lo scialle

Lo scialle non è proprio un indumento, ma un accessorio che può avere la forma quadrata oppure rettangolare, triangolare o anche di forma arrotondata, i vari tessuti sono: pizzo, seta, o lana, e lo si appoggia morbidamente sulle spalle annodandolo sul davanti.
Di ispirazione orientale lo scialle è stato in voga per tutto l'Ottocento. Anche nel nostro secolo è stato per lungo tempo un classico nelle versioni eleganti per la sera, invece come indumento da giorno ha avuto degli alti e bassi. Negli anni sessanta veniva proposto dalla moda folk, negli anni settanta nella versione quadrata in lana sottile e ripiegato a triangolo e alla fine degli anni ottanta veniva usato in maglia di lana o in tessuto con lavorazioni a pizzo come accessorio per l'inverno.


Le calze

Scommetto che quasi tutte siete d'accordo con me a pensare che le origini delle calze siano piuttosto recenti e che sono nate per un uso solamente pratico, quello di proteggerci dal freddo. Invece no, in verità nelle tombe dei faraoni egiziani sono stati ritrovati frammenti di calze lavorate a maglia, invece sappiamo che gli antichi romani avvolgevano le gambe con fasce di tela o lana. Una cosa è certa che la nascita della calza risale al medioevo, quando si cominciò a lavorare la seta proprio per realizzare questo tipo di indumento. Pare che già nell'alto medioevo gli ecclesiastici portassero calze molto simili alle nostre, tanto che quelle più antiche ritrovate fino ad ora sono state attribuite ad un abate del VII secolo. Però le indossavano esclusivamente gli uomini perchè alle donne non era permesso di mostrare le gambe. Le calze hanno subito nei secoli le più varie trasformazioni. All'inizio erano di stoffa poi venivano realizzate in lana con i ferri, finchè nel 1589 William Loce inventò la macchina per fare la maglia. Sono sempre state in lana, cotone e seta, quest'ultime avevano una cucitura centrale dietro e il tallone e venivano sorrette dai reggicalze o dalle giarrettiere abbellite con pizzi, tulle, disegni e colori vari, fino all'arrivo del nylon, le prime calze di nylon avevano la cucitura e il tallone come quelle di seta e erano di colore naturale. Dopo fu eliminata la cucitura e negli anni 60 nacque il collant calza in un unico pezzo e nel giro di un decennio ha sostituito l'uso delle calze normali. Il collant un tipo di calza molto comodo da portare perchè veste dai piedi fino alla vita. Viene realizzato in fibra elasticizzata e in varie pesantezze e colori con pizzi, ricami o disegni stampati.
Il gambaletto è una calza in nylon lunga fino al ginocchio e indossata per praticità al posto dei collant sotto i pantaloni.

Come nasce il nylon.

Come tutte le grandi scoperte anche quella che si verificò alla fine degli anni trenta fu casuale e fu questa la scoperta che rivoluzionò il mondo delle calze.
Il chimico francese Eleuthere Irenee Du Pont de Nemours, immigrato nello stato americano del Delaware e nel 1802 apri un impianto per la produzione di polvere nera. Ma è stato un esperimento sbagliato e è successo che con un grande botto il tetto dello stabilimento è andato a finire su un albero.
E nel 1938 da quella piccola azienda familiare nacque il nylon, una fibra sintetica delicata come una ragnatela, ma resistente come l'acciaio.

La calzamaglia

La calzamaglia è veramente un'idea geniale! Pratica, calda d'inverno e tiene libero i movimenti. Ci sono a manica lunga, manica corta e anche senza maniche, poi con scollature a: giro, alla dolce vita, a barchetta e a "V". può avere il piede oppure essere senza, Inoltre si trovano in diversi colori.
La calzamaglia, è una calza e maglia in un unico pezzo. La prima calzamaglia è stata indossata da un trapezista francese di nome Jules Leotard e da allora è stata usata da ballerini e atleti. E la moda poi ne ha fatto un capo da indossare per la ginnastica, e anche per altre occasioni, cambiando foggia e i tessuti.

Halloween?... si! Ecco dove serve anche una calzamaglia, indossandola con degli accorgimenti può diventare un trasvestimento da urlo... per la festa di Halloweeen, (vedi "body") e vedrai che con minima spesa e con poco lavoro sarai perfetto!

Costumi da bagno

Ahhh... che bello! Sento già la sabbia che brucia sotto i piedi, un immensa distesa d'acqua davanti a me... e un meraviglioso cielo azzurro con il suo inseparabile caldo sole. Ecco l'estate! La stagione allegra e piena di vita, forse anche di sogni... di sussurri abbandonati tra mare e sabbia!
Ma torniamo indietro fino all'inizio del Ottocento... e pensiamo a tante ragazze di allora che correvano sulla sabbia sotto il sole più vestite che spogliate, si, perchè una ragazza che allora avesse osato mostrare un ginocchio nudo sulla spiaggia sarebbe stata giudicata scandalosa. Diversi strati di gonne lunghe fino ai piedi e con i capelli raccolti in una cuffia, questo era il loro costume da bagno!
Le nostre povere bisnonne con i loro costumi da bagno, che erano delle orribili palandrane e che coprivano il corpo femminile dalla testa ai piedi, Ma nei primi del Novecento i costumi erano ancora molto castigati, però si incomincia a scoprire le braccia e le scollature sono un pò più abbondanti e persino i polpacci cominciano a farsi vedere, però nei stabilimenti balneari si usava arrivare dalla cabina al bagnasciuga indossando un accappatoio che copriva tutto il corpo. Poi per fortuna nel giro di pochi decenni, si sono sempre più accorciati... fino a che negli anni Cinquanta si è arrivati al costume intero. Certo non era il costume di oggi però è stato una grande conquista per noi donne.

Il costume intero

Questo è il costume intero, quasi sempre è in tessuto sintetico come polyamide, nylon, e elastico. Può avere spalline o anche no, oggi si porta sgambato è un costume molto bello e soprattutto se portato in colori scuri è un buon alleato per le "morbidone" perchè snellisce e nasconde un pò la "ciccia!". Anche il più semplice ha una certa eleganza, slancia la figura e se abbinato bene può essere portato sotto una gonna elegante e diventare un bellissimo abito da sera. Di questi costumi c'è un vasto assortimento con bellissimi disegni e diversi modelli, quello con le coppe imbottite per chi ha poco seno, quello con inserito nelle coppe un invisibile ferretto, poi c'è il più semplice e liscio quello olimpionico, con spalline larghe adatto per le provette nuotatrici. Ci sono in tinta unita con splendidi colori, poi nel segno della primavera con grandi o piccoli fiori, a righe o con simpatiche figure e scritte.

Il bikini

E subito dopo ecco arrivare il due pezzi... I primi diciamo che erano un pò castigati, la mutandina era quasi un pantaloncino e in più vi era una specie di gonnellino sopra, ed era arricchito da volant e frange.
Ma ecco nel 1946 apparire il bikini, Lanciato dallo stilista Heim, all'inizio si chiamava "Atome" oggi si chiama Bikini dal omonima isola sulla quale gli americani fecero i primi esperimenti nucleari. E' un due pezzi audace perchè per la prima volta scopre l'ombelico e l'opinione pubblica puritana lo considera un'indecenza, ma nonostante questo fa subito moda, arrivano gli anni sessanta e il bikini è finalmente accettato nelle spiagge e nelle piscine. Le coppette sono imbottite e le mutandine fatte a triangolo, ed eccolo il celebre costume a due pezzi che siamo abituati a vedere sulle spiagge. Questo costume e ha segnato un'epoca diventando un simbolo di libertà, al pari della minigonna e dei capelli lunghi. Oggi il bikini ha superato trionfalmente la soglia dei cinquant'anni e diventando super ridotto nelle dimensioni, non mostra segni di invecchiamento. La moda ha dovuto seguire ogni tipo di condizionamento, ma il mitico due pezzi imperterrito resiste. E la spunta anche su due pericolosi concorrenti come il tanga e il monokini.
1982 da qualche anno trionfa il monokini... ma sono numerose le ragazze che sono state denunciate per essersi mostrate sulle spiagge italiane con i seni al vento.

Accappatoio

Questo nome deriva da cappa. Realizzato in tessuto di spugna che ha la proprietà di avere un facile assorbimento dell'acqua e di asciugare perfettamente le pelle
Per la prima volta se ne sente parlare, nell'elenco della raccolta della dote di Bianca Maria di Savoia, moglie di Massimiliano Sforza d'Asburgo. I suoi accappatoi erano ricamati in oro.

Il body

Eccoci all'intimo... e parliamo del body. Negli anni venti i giornali di moda illustrano un nuovo indumento intimo, il "pagliaccetto", una specie di tuta sottoveste con mutandina, l'antenato dell'odierno body. Per tanti anni anche perchè il costo era molto elevato questo indumento rimase esclusivo privilegio della classe agiata.
Il body che sembrava dimenticato, ecco che ritorna elegante sensuale e bello con bellissimi colori, fiori, righe, simpatici disegnini o in bellissimo pizzo. Questo indumento intimo viene realizzato in maglia elasticizzata e unisce in un solo pezzo reggiseno, maglietta e mutandine. Oggi lo si può usare anche come capo esterno perchè la parte superiore può avere la forma di una maglietta o di una camicia esterna. E' molto pratico perchè sostiene e modella il corpo.
Di questo indumento non c'è altro da dire, la sua nascita è recente perciò non ha storia, però guardate un pò a cosa può anche servire: per festeggiare Halloween è l'ideale!
Ecco alcuni consigli per un travestimento da urlo...

Body e Halloween...
Lo scheletro


Indossa un body e una calzamaglia neri, su cui avrai disegnato le ossa principali dello scheletro con un gessetto bianco. Spalmati il viso con del cerone da teatro e cerchiati gli occhi con una matita da trucco nera. E appiattisci i capelli con tanto gel.

La tarantola

Indossa un body e una calza maglia neri. Riempi di cotone idrofilo le gambe di quattro paia di vecchi collant neri e falle fissare con delle graffette al body, quattro per lato. Metti in testa una cuffia da nuoto nera sulla quale avrai incollato due tondi rossi di plastica adesiva, (gli occhi del ragno).

La mummia vivente

Indossa un body e una calzamaglia bianchi. Avvolgiti con attenzione della carta igenica bianca attorno alle braccia, alle gambe e al torace. E fissa ogni tanto la carta con dei pezzetti di scotch trasparente. Però attenzione a non coprirti il naso e la bocca.

Il busto

Che martirio pur di essere belle! La bellezza non ha veramente prezzo e confini...

E' una fascia elastica indossata per contenere e modellare la vita e l'addome e per accentuare nuove figurazioni del corpo imposte dalla moda. Questo indumento si usava già nell'antica Grecia. Nel 1500 era un capo rigidissimo, il materiale usato era addirittura lamina di stagno, perchè in quell'epoca il seno doveva essere piatto e il tronco perfettamente eretto.
Invece in Francia nel 1600 viene confezionato in raso e pizzo, inoltre poteva essere anche imbottito per rimediare ad alcune mancanze di rotondità e per mettere in evidenza il seno.
Nel 1700 il busto serve per stringere la vita fino all'impossibile e il busto viene rinforzato con stecche di metallo o di ossa di balena e allacciato sulla schiena, con una specie di stringatura rigidissima.
Durante la rivoluzione francese cade in disuso per ritornare prepotentemente per tutto il 1800 e la sua produzione da artigianale, che venivano confezionate dalle famose bustaie, diventa invece industriale.
La moda del busto dura fino alla prima guerra mondiale.
Anche la moda maschile verso la metà dell'800 usava il busto, imponendo all'uomo una vita stretta sotto un torace ampio.
Il busto scompare verso il 1920 e al suo posto entrano in produzione guaine elastiche molto meno rigide e nascono anche il reggiseno e il reggicalze.

Il Bustier

Questo capo nato come biancheria intima femminile, serviva da reggiseno e canottiera e contemporaneamente, si autoreggeva, oppure aveva delle sottili spalline e attaccate molto di lato per poterlo indossare con vestiti scollati. Di recente è diventato un capo da sera realizzato in svariati tessuti, fogge e colori.

Il reggiseno

Beh... diciamo che lo portiamo tutte... o no? Non lo so! Però vi posso raccontare qualche cosa su questo indumento. C'è chi lo indossa per comodità e altre che lo usano come arma impropria per sedurre, si, perchè questo indumento cosi piccolo e anche nascosto, indossato dalle donne può essere uno strumento di attrazione o addirittura da capogiro. Poveri maschietti! Ogni donna sa che un reggiseno valorizza il seno, però non è stato sempre cosi, in origine questo indumento che è stato creato da Mary Phleps Jacob nel 1914 aveva tutt'altro uso, perchè serviva per appiattire e schiacciare le forme.
Questo capo intimo nato appunto ai primi del secolo scorso però ha avuto una produzione su vasta scala solo verso la fine degli anni venti. I primi reggiseni erano confezionati in cotone bianco e riguardo a questo mi viene in mente un episodio molto simpatico, avevo letto su una rivista da una intervista fatta alla nostra grande Gina Lollobrigida che raccontava essendo di famiglia povera lei si confezionava da sola i reggiseni usando vecchie canottiere, non solo brava ma anche ingegnosa la nostra internazionale Lollo. Negli anni cinquanta la moda esigeva un seno prorompente e quindi i reggiseni erano imbottiti e impuntati per irrigidire la stoffa e mettere in evidenza le rotondità. Gli anni sessanta propongono un infinità di modelli più elaborati e comodi, perchè venivano confezionati con tessuti elastici. E oggi con l'uso delle fibre termoplastiche si riesce a dare la forma voluta anche senza l'aiuto di cuciture, e raggiungendo cosi l'assoluto confort.

La canottiera (uomo)

La canottiera è una maglietta di cotone o di lana, senza maniche e molto scollata simile a quella che portano gli atleti durante le gare di canottaggio. Viene usata come indumento intimo da uomo mantenendo la foggia originale, può essere usata anche come capo esterno per l'estate, con colori più decisi come blu, rosso, verde etc.
Le prime canottiere appaiono nel secolo scorso come divisa sportiva degli studenti di Oxford per canottaggio. Successivamente anche il cinema scopre questo indumento, Clarck Gable, nel film "accadde una notte" conquista il pubblico femminile mostrando le sue virili spalle evidenziate da una canottiera.
Per la donna la canottiera è molto diversa, fatta in materiali come le fibre sintetiche e anche nei modelli, può avere le spalline sottili oppure anche larghe a volte sono in pizzo come di pizzo sono le bordature.
Si possono portare anche come indumento esterno, ricamata o con allegri motivi e colori.

Mutandine

Il primo nome delle odierne mutande era "Ipantalon pudique" e appaiono in Inghilterra e in Francia addosso alle ragazze che frequentano le palestre, facendo gridare allo scandalo perchè usate fino allora solo dalle ragazze di vita. A questo proposito dovete sapere che in Francia quando regnava Luigi XV un decreto le aveva rese obbligatorie per le attrici, dal momento che venivano considerate delle poco di buono.
Nel 1850 per proteggere le gambe erano obbligatori dei mutandoni abbondantemente sotto il ginocchio.


La giarrettiera

La giarrettiera è una fascia elastica che nel passato veniva usata per sostenere le calze. Questo nome deriva dal francese "jarretiere" ed era formata da nastri e legacci che cingevano la gamba all'altezza della coscia e veniva considerato un ornamento da mettere bene in vista, la prima volta che la parola giarrettiera viene usata è nel 1800 negli scritti di Eginardo, quando descrive l'abbigliamento di Carlo Magno nel quale parla di "giarettiere" che sostengono le calze del monarca, però nell'abbigliamento maschile è già presente a partire dal 1200, fino a quando nel 1880 fu sostituito dall'arrivo del reggicalze. La giarrettiera ha sempre rappresentato come altri capi di abbigliamento, il simbolo dell'intimo fascino femminile, tanto che a questo indumento è dedicato il più alto ordine cavalleresco inglese, "l'Ordine della Giarrettiera" istituito da Edoardo III verso la metà del XIV secolo. Secondo la leggenda il pretesto fu un episodio accaduto quando la contessa di Salisbury lasciò cadere la giarrettiera della gamba sinistra e il re affrettandosi a raccoglierla e a restituirla rispose ai sorrisi maliziosi dei cortigiani con la frase che ora forma il motto dell'Ordine "Honni soit qui mal y pense"
Usata per sostenere calze sia da donna come da uomini, alla fine del XIX secolo ha cominciato a entrare in decadenza a causa dell'arrivo del reggicalze femminile, dopo arrivarono le collant e poi le calze autoreggenti.

Curiosità

Vi fu una tradizione popolare della giarrettiera rossa che la donna doveva indossare in occasione della serata di fine d'anno e poi regalare e si dice che in alcune zone esista ancora.


Le scarpe

Queste sono nell'abbigliamento da sempre le più importanti!

Mocassini, da ginnastica, clark, ballerine, stivali, stivaletti, sandali, infradito, zoccoli, pianelle, con tacco, espadrille, ciabatte, da pallone, scarponi, zatteroni e sicuramente ve ne saranno anche altri modelli, ma al momento non me ne vengono in mente! Tutte belle, tutte comode, hanno solo un difetto... che quelle che ti piacciono sono sempre troppo care!
Ora vediamo l'origine della scarpa, quando è nata la scarpa... le origini della scarpa hanno radici profonde e dobbiamo tornare in dietro fino alla preistoria, pensate! Già l'uomo primitivo ha sentito la necessità di proteggersi i piedi. Le primissime calzature sono state delle cortecce, poi delle foglie intrecciate, o delle pelli di animale avvolte attorno ai piedi e legate alla gamba da rozzi legacci.
Poi con gli egiziani le scarpe non sono più solo esigenze di protezione, ma acquistano praticità ed eleganza. Le scarpe egiziane sono i sandali, perchè oltre a difendere il piede lo lasciano anche traspirare e la sua forma è rimasta quasi sempre la stessa anche con il passare del tempo.
I primi materiali sono stati le fibre vegetali leggere e fresche, poi gli egiziani sono passati alla pelle e abili nel conciare le pelli, realizzarono sandali di pelle colorata e spesso ricamata e abbellita con lamine d'oro.

Tremila anni prima di Cristo i Sumeri sottoposti a clima piovoso adottarono le prime scarpe chiuse, in seguito elaborate e sviluppate da, Persiani, Assiri e Babilonesi e senza grandi variazioni sono giunte fino a noi con le loro caratteristiche fondamentali: basse con la tomaia che non supera il malleolo, oppure veri e propri stivali che arrivano alla coscia. Gli artigiani Assiri si distinguono nell'arte conciaria e confezionano bellissime calzature di morbidissima pelle per i dignitari e dal colore della pelle si riconosce il rango: i nobili hanno colori tenui e delicati e il rosso e giallo per la classe media. Mentre i Persiani preferiscono il colore azzurro e giallo e forme slanciate e per dare maggiore slancio alla figura hanno scoperto un trucco, di inserire nel tallone della scarpa strati di sughero a forma di cuneo.
In Grecia le scarpe assumono tutte le forme base destinate ad arrivare fino ai nostri giorni. I Greci curano il benessere dei piedi producendo una grande varietà di modelli adatti a tutte le esigenze. I modelli principali erano i sandali in sughero o legno, poi la "crepita" con tomaia aperta e suola alta, poi "l'embas" un stivaletto a mezza gamba allacciato e "l'embates" stivale di stoffa o cuoio fatto per i cavalieri, poi "l'edromis" un stivaletto usato per il viaggio e la caccia e ancora il "coturno" scarpa chiusa con suola molto alta.
E' solo nel secolo XIX che un fabbricante di Filadelfia vende per la prima volta delle scarpe dove i due piedi sono distinti l'uno dall'altro. Cioè era iniziato il commercio delle scarpe.
Il tagliatore deve conoscere le pelli e deve sapere quali deve usare, questo è molto importante e i difetti vanno eliminati e siccome non esistono due pelli uguali, deve anche sapere dove appoggiare lo stampo per sfruttare le parti migliori.

Colori

I colori non sono indumenti... però si indossano! E senza di loro ogni indumento perderebbe valore e bellezza.
Forse non tutti sapete quale importanza ha avuto sempre il colore già nel lontano passato, perciò non dobbiamo sorprenderci o peggio criticare i nostri signori uomini, se amano vestirsi colorati, con giacche rosse, azzurre, verdi, viola o anche gialle e camicie variopinte, il colore ha sempre attirato tutti e lo vedrete adesso in quello che sto per raccontarvi.
Andiamo indietro nel tempo, molto indietro... ecco basta cosi! Siamo nel Settecento, e vediamo che gli uomini importanti amano vestirsi di tutti i colori. E ora guardate quello che sta per uscire dalla sua Reggia è nientemeno che Re Sole! Va a fare la sua giornaliera passeggiata nel suo immenso e splendido parco di Versailles, ora osservatelo bene noterete che più di un Re Sole sembra un Re Arcobaleno, ogni capo del suo vestiario compresi anche le mutande e i calzini sono più colorati di un quadro impressionista! Questa moda colorata durò fino alla rivoluzione francese e con l'avvento della borghesia le cose sono cambiate completamente.
Oggi le persone cosi dette "serie" o "importanti" hanno addosso più che altro colori spenti come, grigio, marrone, blu o nero ad eccezione della camicia che è bianca. E tutta la loro voglia di colore e fantasia la sfogano nella cravatta!


Esercito

Siamo arrivati all'esercito... purtroppo gli indumenti dell'esercito non sono tanti come quelli borghesi, però vi sono tanti bellissimi avvenimenti e atti eroici di cui parlare, di tutte le armi, di tutti i nostri soldati.

Prima di iniziare con una parte dei nostri eserciti, vi voglio descrivere il significato della sciarpa azzurra.

Sciarpa azzurra

La sciarpa azzurra viene indossata dagli ufficiali con la grande uniforme e anche quando sono di servizio.
E' un capo molto antico e la sua origine risale al 1366. Quando il Conte Verde, Amedeo VI di Savoia, ha voluto che sulla sua galea ammiraglia alla testa di una flotta crociata contro i turchi di 17 navi e 2000 uomini, sventolasse accanto allo stendardo rosso crociato in argento del Savoia una grande bandiera azzurra in omaggio alla SS. Vergine.
Da quel periodo gli Ufficiali portarono annodata in vita una sciarpa azzurra, uso che venne reso obbligatorio per tutti gli Ufficiali dal Duca Emanuele Filiberto di Savoia con una disposizione del 1572.
Attraverso diverse evoluzioni modifiche nel corso dei secoli divenne la principale insegna di grado dell'Ufficiale.
Sotto il regno di Carlo Emanuele II, il Regolamento stabilì in data 24 febbraio 1750 che la sciarpa dovesse essere a striscie azzurre e oro, completata alle estremità da due fiocchi dorati, con la striscia centrale dorata che si assottigliava ed il fiocco che si rimpiccioliva a seconda dei gradi, scendendo a ritroso la normale scala gerarchica verso i gradi inferiori.
Nel 1775 Vittorio Amedeo III modificò la sciarpa per i Tenenti Colonnelli e i Maggiori, dividendola in tre striscie uguali, di cui la centrale rigata in azzurro, mentre per gli Ufficiali inferiori vi erano sottili distinzioni a seconda del grado. Sotto Vittorio Emanuele I il regolamento del 8 novembre 1814 stabilì che la sciarpa fosse gialla cosparsa in file parallele di puntini azzurri, rimanendo invariata per gli Ufficiali Generali in maglia dorata a puntini azzurri.
Dal 25 giugno 1833 si stabilì che la sciarpa fosse indossata distesa attorno alla vita, con il nodo sul fianco sinistro mentre gli Ufficiali di Stato Maggiore, gli Aiutanti di campo e gli Ufficiali applicati alle divisioni dovevano portarla a tracolla da destra a sinistra.
Dal 4 marzo 1843 la sciarpa si dovette portare arrotolata e non distesa in vita per non celare il cinturino.
Il 25 agosto 1848, la sciarpa fu prescritta di colore azzurro per tutti i gradi, con distinzioni solo nel fiocco, indossata a tracolla dalla spalla destra al fianco sinistro, mentre gli Ufficiali di Stato Maggiore e gli aiutanti di campo dovevano indossarla al contrario.
La sciarpa azzurra divenne definitivamente un distintivo di servizio e non di grado al 9 ottobre 1850, uguale per tutti i gradi, in tessuto colore azzurro con i fiocchi del medesimo colore. I due capi della sciarpa erano uniti da un passante cilindrico o "noce" in seta azzurra, ancora oggi esiste la tradizione per cui la "noce" della sciarpa deve essere spezzata dai giovani Ufficiali per testimoniare l'avvenuto ingresso nella "calotta".
La sciarpa azzurra, simbolo distintivo degli Ufficiali delle FEAA italiane può vantare una origine antica e forse ineguagliata in tutti gli eserciti.

Carabinieri
(desidero precisare che l'Arma dei Carabinieri non fa più parte dell'esercito ma delle forze di polizia)

Non è facile parlare di questa nobile divisa, la sua storia è fatta di dolore e di gioia, il dolore perchè tante e tante volte è stata macchiata di sangue, in eroiche gesta e di gioia perchè è interprete di meravigliosi caroselli che fanno gioire piccoli e grandi e... lo dico? ehehehe... anche di barzellette!

Soldato armato di carabina, soldato del "corpo dei carabinieri reali" istituito il 13 luglio 1814 da Vittorio Emanuele I per tutelare il buon ordine e assicurare l'esecuzione delle leggi e oggi chiamata "Arma dei carabinieri".
Sono uomini al servizio della nazione, sempre disponibili, sempre pronti a prestare aiuto, a soccorrere nel bisogno... non vi parlerò di loro che già tutti conosciamo e che a tanti di noi hanno dato il loro aiuto... ma vi darò un riassunto della storia della loro uniforme.
Desidero e trovo doveroso incominciare con il ricordo di un ragazzo napoletano Salvo D'Aquisto.

Medaglia d'oro Salvo D'Aquisto

Prima di iniziare con gli indumenti dell'arma dei carabinieri, trovo doveroso ricordare Salvo D'Aquisto.
So che tanti, tantissimi non sanno chi era questo ragazzo che nasce a Napoli quando inizia l'autunno, ma dove ancora è caldo e le giornate sono piene di luce.
Era il 17 ottobre del 1920 primo di cinque figli, volonteroso ha frequentato l'Istituto salesiano e a soli 18 anni finiti gli studi nel 1938 si arruolò nell'arma dei carabinieri.
Ai primi del secolo quando vi fu il conflitto mondiale aveva chiesto di essere impiegato in zona di guerra, il Commando Generale ha accettato la domanda del giovane carabiniere e lo ha mandato in Africa settentrionale, dove al fronte è stato ferito a una gamba e dopo un breve ricovero all'ospedale militare di Bengasi, ancora non del tutto guarito è stato rimpatriato.
Per le sue qualità militari è stato ammesso alla Scuola Sottufficiali di Firenze ottenendo il grado di vicebrigadiere e trasferito alla Stazione dei carabinieri di Torre in pietra vicino a Roma.
Ma un triste destino aspetta questo giovane carabiniere, mentre l'Italia si arrendeva al nemico, Salvo va incontro alla morte diventando un eroe.
Mi scuso se le mie parole forse non illustrano perfettamente questo triste episodio successo tanti anni fa, ma che con mie parole e espressioni voglio ricordare a chi non lo conosce (che ho avuto occasione con rammarico di constatare) le gesta eroiche del passato vanno sbiadendo sempre di più, non splende più il sole sui nomi di chi ha offerto la propria vita per la salvezza del prossimo e per la giustizia.
Era il 23 settembre e a Palidoro una località nei pressi di Roma occupata dai militari della Wehrmacht.
Un reparto di questi militari dopo una orgia con cena e abbondante vino, in stato di ubriachezza sfondarono la porta di una casermetta abbandonata e rovistando in una cassa piena di divise e coperte vecchie fecero esplodere una bomba a mano, che procurò un morto e due feriti gravi. L'ira delle SS esplose, ma in una retata risultò che nella zona non c'era nessun partigiano e senza accettare spiegazioni i nazisti presero 22 ostaggi tra la popolazione spaventata, ma questo non bastò loro, volevano anche un graduato dell'arma dei carabinieri, ma a Palidoro non esisteva una stazione dei carabinieri e il Comando più vicino si trovava a Torre in pietra. Con una camionetta partirono per Torre in pietra, arrivati al Comando dei carabinieri presero il carabiniere più elevato di grado, ma il maresciallo non c'era e presero il vicebrigadiere Salvo D'Aquisto.
Il giovane sottufficiale che aveva solo 23 anni poco più di un ragazzo, ma con un carattere deciso e sicuro con coraggio affrontò i nazisti. L'ufficiale tedesco gridò: "Se non salta fuori il colpevole, morirete tutti" mentre li faceva salire su un camion che li portò a Palidoro. Arrivati sul posto c'erano già pronte cinque vanghe ben piantate in terra e dietro di esse gli SS con i mitra.
Il giovane sottufficiale doveva individuare tra gli ostaggi il colpevole dell'attentato, ma nessuno era colpevole.
L'ufficiale tedesco tracciò sulla sabbia una lunga riga dicendo: "Va bene, scavatevi la fossa". Il coraggioso sottufficiale mentre scavava la sua fossa prese la sua estrema decisione, chiamò l'ufficiale tedesco e li disse di essere l'unico responsabile di tutto.
Una raffica di mitragliatrice, un giovane e innocente ragazzo cade nella fossa che stava scavando, ha offerto la sua vita in cambio della liberazione degli ostaggi.
Ricordiamo un gesto eroico, ricordiamo questo nome, ricordiamo il nome di un eroe "Salvo D'Aquisto"

Breve storia dell'uniforme

Il cappello

Il cappello dei carabinieri è un cappello piatto a visiera di colore blu, la visiera è di un materiale rigido e lucido nero. Davanti sopra la visiera c'è un fregio che distingue l'arma a cui appartiene, questo è il cappello di norma dell'Arma dei Carabinieri.
Poi c'è il cappello dell'alta uniforme, molto bello che si chiama "Lucerna" con un pennacchio rosso e blu e per i musicisti è rosso e bianco. Questi pennacchi hanno origini molto lontane e risalgono alla prima metà del XVIII secolo. Nasce nel 1832 questo pennacchio che nei suoi colori rappresenta, con il rosso: l'audacia, il coraggio e l'amore ardente, e negli Enti Militari ha il significato di sacrificio cruento. Il blu: l'amor di Patria, la giustizia e la fedeltà e presso gli Enti Militari il valore militare.
Era il 1818 quando per la prima volta appare il pennacchio, stretto e alto circa cm.30 che si indossava con la "tenuta da parata" nel 1822 il cappello viene ornato anche con un gallone d'argento. Nel 1832 il pennacchio rosso e blu era con piume lunghe e ricadenti tipo "salice piangente", dopo nasce il pennacchio che tutti conosciamo per averlo ammirato tante volte.

La "Lucerna" questo cappello fu la sostituzione del pesante e ingombrante "Morione" che era un elmo tardo-rinascimentale che ancora oggi viene dato in dotazione alle Guardie Svizzere pontificie, che lo indossano con la loro uniforme multicolore da parata chiamata "Michelangiolesca".
Alle origini il cappello era di feltro a larga tesa e per questo aveva anche la funzione di riparare dalla pioggia e dal sole. Però questa incerta comodità permetteva al soldato solo una ridotta visibilità, causa l'ampiezza della tesa.
Poi si pensò al cappello piumato con la falda alla D'Artagnan, ma i risultati era quasi del tutto insoddisfacenti. Alla fine del ' 600 nasce il "tricorno" che ha avuto la fortuna di durare tutto il secolo XVIII sia in campo militare, e anche in quello civile e non solo, ma persino nella moda femminile, ad esempio come la "battuta" delle dame veneziane. Dopo il tricorno pur mantenendo inalterata la foggia originaria, subì alcune modifiche e fu perfezionato.
Tra la fine del ' 700 e i primi del ' 800 il cappello è diventato "bicorno" e è nata la vera coccarda. La sua forma ora era tipica degli eserciti della rivoluzione francese fino al Consolato, poi soppiantato dallo "shakò" svasato e ornato di cordoni e di pennacchio all'epoca dell'Impero.
Nel periodo della Restaurazione esso ha continuato a contraddistinguere, nella maggior parte degli Stati italiani, nei diversi corpi di polizia e in particolare nel "Corpo dei Carabinieri Reali" sino dalla sua istituzione come è noto avvenuta con Regie Patenti del 13 luglio 1814.
Il cappello che veniva indossato con la prima uniforme era quasi settecentesco, aveva angoli acuti, falde basse e il "ruban" turchino con ganza di gallone d'argento. Tuttavia le immagini dell'epoca annessi ai regolamenti riportavano il classico cappello con falde molto alte di stile napoleonico (cm. 16 anteriore e posteriore cm. 25 circa) ornate con un gallone in seta nera, coccarda turchina rotonda e ganza metallica a squame. Non si sa come questo cappello fu indossato, almeno nei primi tempi.
L' "istruzione provvisoria per il Corpo dei Carabinieri Reali" del 1820 diceva che: ..."Il carabiniere avrà il cappello piazzato sulla testa in modo che non sia ne troppo, ne poco calcato in maniera che la coccarda e la ganza si trovino avanti e nella direzione perpendicolare fra l'occhio e l'orecchio sinistro, i due angoli acuti del medesimo devono trovarsi orizzontali, ed il destro deve avanzare alquanto la spalla destra"
Lo stesso documento precisava inoltre che: "nell'incontrare i superiori si salutava togliendosi il cappello con la mano destra ed appoggiandolo lungo il fianco con la parte anteriore verso l'interno, a contatto della gamba". Per proteggere il cappello dalla pioggia ai carabinieri veniva distribuita un'incerata nera, usata fino alla prima metà del ' 900.

Casco

Copricapo speciale usato dai reparti motociclisti dell'Arma dei Carabinieri, dal 15 gennaio 1953 con il Foglio d'Ordini del Ministero Difesa-Esercito.
Nel corso del tempo sono state fatte diverse modifiche, fino a quello attuale uniformato alle prescrizioni del Codice della Strada in vigore.

Il basco

Il basco è un copricapo speciale che è stato adottato il 15 gennaio 1953 sia per gli ufficiali, gli sottufficiali e militari dell'arma dei carabinieri nel servizio su mezzi corazzati, il basco era turchino in panno, mentre per gli sottufficiali e i militari paracadutisti era di colore kaki. Il basco turchino veniva anche adottato con l'uniforme di marcia o durante le esercitazioni, le manovre e i campi.
Nel 1956 il 6 agosto per i reparti di istruzione e i reparti mobili (battaglioni e nuclei autocarrati veniva adottata una bustina in tela.

Camicia

La camicia dei carabinieri nel 1880 era in tela o in lino di colore grigio e aveva cinque taglie e che nel 1885 sono state ridotte a quattro. La lunghezza variava davanti, tra il metro o 84 centimetri e dietro tra il metro e 60 o 90 centimetri. Nel luglio del 1883 il Ministero della Guerra abolì le camice di tela e di lino, che sono state sostituite con una camicia di flanella colore bronzo chiaro.

Cravatta

La cravatta è una parte necessaria per completare l'uniforme del Carabiniere, nel 1814 fu stabilito che il colletto montante della divisa si aprisse sotto il mento in modo che si vedesse la cravatta, che girava attorno al collo superando con il suo bordo il colletto della giubba. All'origine la cravatta era di colore rosso, solo verso la fine del 1815 fu adottata quella di colore nero.
Nel 1822 un regolamento precisa che la cravatta deve essere di cuoio nero a pieghe con fibbia e orlo bianco all'estremità superiore.
Nel 1885 del 23 luglio il Comandante Generale dell'Arma tenente generale Leonardo Roissard de Bellet con una circolare ha dato ordine che il colore della cravatta da collo fosse bianco. Nella circolare c'erano pure queste istruzioni: "Le cravatte nere verranno distribuite fino a esaurimento e ritirate man mano che i militari cessano il servizio. Le cravatte nuove prima di essere usate dovranno essere inamidate per dare loro la durezza necessaria perchè col sudore non si debbano piegare o attorcigliare. E l'inamidatura dovrà essere loro data anche dopo ogni lavata. La cravatta che doveva essere bianca veniva piegata in modo che messa a posto dovesse superare di un centimetro l'altezza del colletto dell'abito o della giubba. La piegatura a cinque doppi sembrava quella più adatta allo scopo, i lembi della cravatta venivano semplicemente accavalcati sul davanti e se era necessario si poteva fermarla dietro con uno spillo, sia al colletto dell'abito o della giubba oppure a quello della camicia.
Il tenente generale Roissard concludeva richiamando l'attenzione degli ufficiali: "il modo con cui viene portata la cravatta contribuisce in gran parte all'estetica dei militari dell'Arma."
Nel 1934 la giubba chiusa con collo rigido fece cessare l'uso della cravatta da collo che venne sostituita con quella lunga che veniva indossata sopra la camicia.

Pantaloni

I primi pantaloni estivi dei carabinieri si chiamavano "calze di nanchino" e erano di colore giallo chiaro.
Nel 1814 del 8 novembre nel regolamento per le uniformi si leggeva: "I carabinieri d'estate potranno indossare calze di nanchino, che dovranno essere uguali nel modello e nella lunghezza, come quelle di lana. Le calze indossate nei mesi invernali dovevano essere tagliati nel modello pantaloni, molto larghe sul ginocchio in modo che il soldato avesse i movimenti liberi chiusi con due piccoli bottoni sotto al polpaccio e completati con una cintura in lana di colore turchino.
Il 30 giugno 1815 il termine "calze" veniva sostituito con la parola "pantaloni".

Per i carabinieri a cavallo i pantaloni erano bigi. E sono stati adottati con un dispaccio il 29 agosto del 1838 dal Ministero di guerra e Marina, per i sottufficiali e militari di truppa dell'Arma a cavallo e per i servizi di fatica. Nel 1844 per la gran diffusione dell'uso di questi pantaloni sono stati ornati con due bande laterali in panno turchino. Il 31 ottobre del 1900 con nota ministeriale a queste bande furoro date queste misure di larghezza: da mm. 26 fino a mm. 28
Nel 1938 con una circolare del Giornale Militare Ufficiale, sono stati adottati i pantaloni di colore turchino, senza bande, senza risvolti e erano di uso facoltativo.

La bandoliera

Certo non è un indumento! Però essa fa parte dell'uniforme del carabiniere.
La bandoliera è una striscia di cuoio che serve per portare un'arma a tracolla, nel nostro esercito non esiste altra buffetteria che può vantare quasi un bisecolare uso della bandoliera e la sua giberna, che viene indossata sia dal diciassettenne allievo come dall'ultra cinquantenne appuntato.
Il rapido sviluppo delle armi da fuoco e delle loro munizioni hanno fatto nascere il bisogno della bandoliera.
Nel secolo XVI per la prima volta viene adoperato il primo esemplare di bandoliera, era una striscia di cuoio che si indossava dalla spalla sinistra al fianco destro.
Con il regolamento sull'uniforme del 1927 e con quello del 1931 è stato stabilito che la bandoliera bianca venisse sostituita per il servizio di perlustrazione con una nera, ma poi fu abilita.
Il carabiniere con la sua bandoliera è la personificazione di quello che le persone vogliono vedere in lui, la legge... la disponibilità... la sicurezza... e anche l'aiuto per chi chiede un'informazione o denuncia un reato.

Corazzieri

Uno squadrone speciale di carabinieri formano i corazzieri. Soldati a cavallo forniti di corazza sul torace,
elmo e schiniero. I corazzieri (propriamente carabinieri guardie del presidente della Repubblica) il loro compito è di fare da scorta al Capo dello Stato, al Quirinale e all'interno dei palazzi presidenziali, come anche negli altri edifici che lo ospitano durante tutti i suoi spostamenti e alle cerimonie in forma ufficiale. Diventando così i suoi "angeli custodi". Negli eventi solenni la scorta è a cavallo e indossano l'uniforme di "gran gala". Nelle altre occasioni, la motocicletta sostituisce i cavalli.
Quale parte integrale e unità speciale dell'arma dei carabinieri, adempiono anche ai servizi militari, per la sicurezza e l'ordine pubblico previsti dalle leggi e regolamenti dell'arma.
Devono avere un'altezza minima di m.1.90 questo uno dei requisiti che da sempre rendono famosi i corazzieri
Indossano delle stupende uniformi, le loro divise rispecchiano il regolamento del 1876 con alcuni lievi ritocchi del taglio dovuti all'evoluzione del costume militare.

L'epoca repubblicana

Il 13 giugno 1946 nel cortile d'onore del Quirinale, Umberto II sciolse i Corazzieri dal giuramento alla Monarchia. Le Guardie del RE furono trasformate nel "3° Squadrone Carabinieri a Cavallo" e dismisero la loro tradizionale uniforme, fino a quando il Presidente Luigi Enaudi nel 1948-1955 ripristinò lo "Squadrone Carabinieri Guardie" e le divise del 1876.
Il reparto divenne nel 1965 "Comando Carabinieri Guardie" del presidente della Repubblica" e nel 1990 "Reggimento Carabinieri Guardie della Repubblica" Finalmente il 24 dicembre 1992 il vecchio e mai abbandonato appellativo divenne ufficiale, restituendo ai maestosi custodi del Capo dello stato il nome di "Reggimento Corazzieri.

Ora le varie divise dei corazzieri, purtroppo posso fare solo un riassunto, perchè mi manca il materiale, cercherò di essere il più precisa possibile regolandomi con delle immagini, chiedo scusa.

Uniforme di gran gala con elmo, criniera bianca, giacca scura con grandi alamari sul petto e corazza, pantaloni bianchi stretti e schinieri, guanti bianchi. Viene indossata nelle occasioni solenni, guardia all'Altare della Patria, alla Festa della Repubblica e alla visita dei Capi di Stato esteri.

L'uniforme di mezza gala elmo con criniera scura, ma senza pennacchio e senza corazza. Giacca scura doppio petto e cordoni bianchi sul petto, pantaloni bianchi stretti e schinieri, guanti bianchi. Viene indossata nelle ricorrenze importanti alle quali è presente il Capo dello Stato.

La grande uniforme invernale: con elmo e criniera scura, uniforme scura a doppio petto e cordoni bianchi, i pantaloni con banda rossa laterale e guanti bianchi.
Estiva: elmo con criniera scura, giacca bianca a doppio petto e cordoni bianchi sul petto, pantaloni scuri con banda rossa e guanti bianchi. Vengono prescritte nei servizi al Quirinale.

Elmo

E' un'armatura per la difesa del del capo, usata dai tempi più remoti, di metallo o di cuoio, con cimiero, soggolo, visiera etc. In epoca moderna viene indossato solo in alcune armi come: corazzieri e cavalleria.
Il "cimiero" è un fregio che sormonta l'elmo.

Corazza

Faceva parte dell'antica armatura che difendeva il torace, i fianchi e la schiena. Ora viene indossata solo con l'uniformae di gran gala.


Schiniero

Nel periodo medievale faceva parte dell'armatura che proteggeva gli stinchi.
Schiniere si chiamava anche la gambiera dei guerrieri omerici, "I greci dai bei schinieri".
Lo schiniero serve per la protezione delle gambe dal ginocchio in giù, per lo stinco. Realizzato sia davanti che dietro in pesante cuoio di colore scuro e con leggere lastre quasi sempre in acciaio temperato sulla parte davanti, da avere una protezione non pesante ma che abbia nello stesso tempo una buona resistenza. Hai bordi dello schiniero vi sono tre cinghie anche queste di cuoio alla distanza una dall'altra di circa mezza spanna che servono a rendere più flessibile lo schiniero. Poi vi sono i ginocchielli di forma circolare e sempre in cuoio, questi ginocchielli aderiscono al ginocchio per mezzo di un'altra cinghia che passa dietro la gamba.

L'angolo allegro dei carabinieri...

Una ragazza straniera sta guidando la sua auto parecchio sopra i limiti di velocità, quando un carabiniere spunta da dietro una curva e le mette in bella mostra la paletta.
"Favorisca i documenti prego!"
La ragazza presa dal panico:
"Do... documenti? Scusi, cosa è documenti?"
"I documenti sono quella cosa in cui si vede la sua faccia e che mi dimostra chi è lei!"
La ragazza fruga nella borsetta, tira fuori uno specchietto, lo apre, vede la sua immagine riflessa e lo porge al carabiniere, che guardandoci dentro esclama rilassato:
"Beh... poteva dirmelo che era un collega!"

:-))

Due carabinieri sull'auto di servizio. Uno dice all'altro: "Credo che la freccia posteriore destra non funzioni bene... scendi e controllala". L'altro carabiniere scende e si mette dietro l'auto.
L'altro al volante gli chiede: "Allora funzionano ora?"
E quello da dietro risponde: "Ora si... ora no... ora si... ora no..."

:-))

Un carabiniere va alla biglietteria dei treni e chiede:
Per piacere un biglietto per Reggio.
Reggio Emilia o Reggio Calabria?
Mah, è lo stesso! Tanto mi vengono a prendere alla stazione!

:-))

Durante uno scavo vengono ritrovate tre bombe della seconda guerra mondiale. Arrivano i carabinieri e le caricano sulla gazzella.
Durante il viaggio l'appuntato chiede:
"Maresciallo non è pericoloso trasportare queste bombe? E se ne esplodesse una?"
"Si ci ho pensato anch'io, ma caso mai succedesse, sul verbale ne dichiariamo solo due...

:-))

Un carabiniere viene mandato come prima destinazione in una stazione in cima ad un monte.
Si presenta al maresciallo il quale lo informa circa le sue mansioni e una delle quali è scendere tutti i giorni in paese a comprare tutti i giorni il quotidiano in edicola. Il problema è che sono 20 km da fare in bicicletta in discesa, ma al ritorno sono in salita.
Dopo una settimana il carabiniere pensa di comprare 7 copie dello stesso quotidiano e di darne una al giorno al maresciallo sperando che non se ne accorga. E così fu.
Il settimo giorno il maresciallo chiama il carabiniere a rapporto e gli dice: "Caro Esposito e poi fanno le barzelette sui carabinieri, guarda questo camionista sono 7 giorni che va a sbattere sempre contro lo stesso palo."

:-))

Un carabiniere ha vinto 500 milioni ad una lotteria e il maresciallo gli chiede:
"Ed ora cosa farai con tutti quei soldi?" E il carabiniere:
"Marescià, compro la caserma e mi metto in proprio!".


:-))

Alla visita di leva sergente e 4 aspiranti reclute.
Tu leggi il cartello!
"Funicolare di Como"
Bene abile arruolato destinazione alpini. Avanti un altro.
Tu leggi il cartello!
"Funicolare di Como"
Bene abile arruolato destinazione ganti. Avanti un'altro.
Tu leggi il cartello!
"Funicolare di Como"
Bene abile arruolato destinazione alpini. Avanti un altro.
Leggi il cartello!
(con accento siculo) "Fu Nicola Re di Como"
Abile arruolato destinazione Carabinieri.

:-))

Due carabinieri stanno guardando il notiziario alla televisione, sullo schermo compaiono le drammatiche immagini di una donna che si vuole suicidare gettandosi da un tetto.
Il primo dice al secondo: "scommetto 100.000 lire che non salta" l'altro ribatte: "scommetto 1000.000 lire che lo fa". Qualche minuto dopo la donna salta.
Il primo dà le 100.000 lire al secondo, ma questi non le accetta: "tieni i soldi avevo già visto il notiziario delle 6 ma non credevo che avrebbe avuto il coraggio di saltare un'altra volta:"

:-))

Due carabinieri si incontrano in un bar e uno dei due nota che l'altro ha un calzino marrone e uno rosso.
"Che strano paio di calze che hai!" dice il primo.
"Si, è strano, ammette l'amico, e pensa che a casa ne ho un'altro paio del tutto identico a questo".

:-))

Due carabinieri in una caserma.
Uno è fuori che fa la guardia.
Inizia a piovere e quello che sta dentro dice: "Gennaro vieni dentro che piove!"
e l'altro: "No grazie piove anche quà!"

:-))

Il maresciallo lascia la caserma per alcuni giorni e dice ai due carabinieri che restano: "Mentre sono via date il bianco al mio ufficio, la vernice è in cantina insieme con il pennello."
"Va bene, agli ordini maresciallo!" rispondono i due e il maresciallo parte tranquillo.
Quando torna alcuni giorni dopo va nel suo ufficio e vede che ne è stata pitturata solo una minima parte.
Infuriato va dai due carabinieri e grida:
"Ma che cavolo avete fatto? In tre giorni avete pitturato solo un metro quadrato?"
E i due: "Marescià, il lavoro è molto faticoso. Sapesse quanto tempo ci mettiamo, andare in cantina, intingere il pennello, salire di corsa, dare la vernice, tornare in cantina a intingere di nuovo il pennello, salire di corsa..."

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Due carabinieri stanno scalando una montagna quando quasi in cima al cucuzzolo il maresciallo per far pesare la sua cultura dice:
"Appuntato è qui che inizia la neve PERENNE.
E l'appuntato: "La neve inizia per ENNE anche più in basso!"

:-))

Con questo tono in allegria chiudo la pagina dei Carabinieri!
Però non prima di avergli ringraziati per il loro valido aiuto, che va a: CG - URP - Carabinieri.
E vorrei precisare che queste righe sono solo una piccolissima parte, ma non dimentichiamo mai il loro prezioso impegno e aiuto che danno al nostro Paese e a noi tutti.
Grazie ragazzi e siate sempre con noi!




Gli alpini



Gli alpini sono soldati reclutati nelle regioni vicine alle alpi, equipaggiati e addestrati per la guerra in montagna, istituiti in Italia il 15 ottobre 1872.
Corpi simili esistono in Francia (chasseurs des Alpes) e in Austria (Alpenjäger).

Cammina l'alpino con il suo enorme zaino su per il sentiero, e dice a se stesso: "la va a pochi per il vecio" e si consola al pensiero di non essere ne il primo ne l'ultimo a fare quella vita e ricorda le parole che le disse suo padre il giorno della visita al Distretto Militare.
"Non dimenticare Bepi che il buon Dio ha creato l'alpino e lo ha messo sulla cima di un monte e gli ha detto. "arrangiati". E l'alpino d'allora si è sempre arrangiato!

Gli alpini sono uomini di grande onore, e hanno una grande forza e umanità, pur essendo estremamente semplici. Però sanno essere anche molto orgogliosi di appartenere a questo corpo, tanto che non vogliono essere paragonati ai soldati di fanteria, loro si sentono di fare parte di un corpo speciale, la loro penna la portano con vanto e orgoglio. Inoltre sono anche molto franchi e se hanno un'idea la esprimono senza pensare alle conseguenze o alle regole dell'educazione.
Non dovete pensare che la vita dell'alpino sia facile e allegra solo perchè scherza volentieri, e gli piace un bicchiere di vino o di grappa. Questo comportamento è nel loro carattere e nel loro comportamento genuino. La vita militare e soprattutto con la guerra ha reso loro giorni duri e difficoltosi da sopravvivere.
Battaglie di uomini contro uomini, di azioni ardimentose sulle vette altissime e sui ghiacciai insidiosi.



Il cappello

Il cappello è il simbolo e il vanto degli alpini, i soldati delle montagne, il cappello per loro è tutto.
Desidero iniziare con le meravigliose parole di un alpino che descrive il suo cappello e il suo significato...

Il nostro cappello

"Sapete cos'è un cappello alpino?"

E' il mio sudore che l'ha bagnato e le lacrime che gli occhi piangevano e tu dicevi: "nebbia schifa".
Polvere di strade, sole di estati, pioggia e fango di terre balorde, gli hanno dato il colore.
Neve e vento e freddo di notti infinite, pesi di zaini e sacchi,
colpi d'arma e impronte di sassi, gli hanno dato la forma.
Un cappello così hanno messo sulle croci dei morti, sepolti nella terra scura.
Lo hanno baciato i moribondi, come baciavano la mamma.
L'hanno tenuto come una bandiera. Lo hanno portato sempre.
Insegna del combattimento e guanciale per le notti.
Vangelo per i giuramenti e coppa per la sete.
Amore per il cuore e canzone di dolore.
Per un alpino il suo cappello è tutto.

Cappello tu sei:

Per chi non ti ha portato: simbolo... speranza... grandezza
Per chi ti porta: vanto... tradizione... forza
Per chi ti ha portato: nostalgia... rimpianto... fierezza

Questo cappello è nato nel lontano 20 maggio del 1910. In lui si racchiudono tradizioni e ricordi indelebili, forse è questo il motivo per cui è sempre ancora in uso con qualche piccola modifica.
In questo cappello non è facile distinguere la differenza tra uno della prima guerra mondiale o degli anni venti. Nei suoi oltre ottant'anni di vita i suoi cambiamenti sono stati minimi, è solo dopo il 1920 che si notano le prime differenze. Il cappello prende una forma più scampanata e un pò più grande. Anche il ricamo del fregio è più curato e il panno usato è lavorato più fine.
Il cappello alpino è un cappello molto particolare in panno pesante verde scuro con un cocuzzolo rotondo e abbastanza alto, la tesa dietro è alzata e davanti a visiera. Circondato da una fettuccia in cuoio dello stesso colore del cappello e al lato sinistro una nappina di colore secondo il battaglione a cui appartiene il militare che può essere: bianca, rossa, verde, blù e gialla in metallo per i sottuficiali, ufficiali e Guardia di Finanza. e sopra la nappina un foro per infilare la penna, simbolo degli alpini.

Il cappello all'inizio era di feltro di pelo di coniglio di colore grigioverde con falda di dietro ripiegata in su e davanti trapuntata con cuciture fatte a macchina concentrate. Interamente foderato in tessuto nero, la penna era tinta di grigio fino al 1913, dopo prese il suo colore naturale e doveva essere dell'ala destra di pavoni, tacchini o corvi. Nel 1912 il cappello aveva un sottogola, un nastro di "bavella" grigio con una fibbia in metallo, che ben presto è stato abolito.

I fregi

Il fregio è un importantissimo accessorio per distinguere l'arma a cui appartiene il cappello.
Il primo fregio alpino era ricamato a mano con filo di lana verde, che rappresentavano due fucili incrociati con una baionetta innestata e una cornetta sormontata dalla corona reale, al centro della cornetta c'era un tondino lavorato in lana bianca con il numero del reggimento.
Nel 1912 viene realizzato il nuovo fregio, venne tolta la baionetta e la corona è stata sostituita con l'aquila il simbolo degli alpini.
Nel 1916 i fregi cambia il colore dei fregi invece di essere in lana verde, sono in lana nera, il cambiamento del colore ha le sue ragioni, in quel periodo l'Italia è in guerra e il nero è meno visibile.

La divisa

La divisa degli alpini non ha avuto grandi variazioni, la prima divisa nasce nel lontano 15 ottobre 1872 e insieme nasce anche il cappello con la penna.
Le uniformi alpine dal 1940 erano fatte con giacca grigioverde, camicia e pantaloni tipo alla zuava e le gambe erano fasciate con delle fascie grigioverdi, scarponi e il cappello con la penna. I scarponi erano in colore cuoio naturale e con i chiodi e d'inverno la mantellina
Poi nel dopoguerra arrivò la divisa tipo americano con il giubbotto, camicia e pantaloni e le scarpe erano nere e basse e per l'inverno il cappotto.
Negli anni settanta circa, venne la divisa con giacca, camicia e pantaloni e scarpe nere e d'inverno con il cappotto.
Purtroppo è poco, non ho trovato niente per quello che riguarda la divisa, queste notizie le ho ricevute da un ex alpino, che cosi gentilmente mi ha dato un paio di spunti.

La prima guerra mondiale, ha fatto tantissime vittime e la neve e il freddo hanno contribuito.
Tanti uomini e tanti ragazzi hanno perso la vita in modo più o meno crudele.
Ricordiamo anche un grande eroe Cesare Battisti che fu eletto deputato nel 1911 e nel 1915 si era arruolato nel corpo degli alpini. Dopo aver combattuto e difeso sui monti la sua Italia, è stato fatto prigioniero dagli austriaci e dopo aver dichiarato davanti alla corte marziale austriaca la sua fede italiana, è stato impiccato gridando "Viva Trento italiana, viva l'Italia".
Innumerevoli le imprese portate a termine dagli alpini. Il Monte Nero conquistato di slancio il 16 giugno 1915, dopo il Passo della Sentinella, la Tofana Prima, Monte Cauriol, Adamello, Monte Pasubio, Monte Grappa, Monte Ortigara questo Monte è passato alla storia come il Calvario degli alpini, qui le "Penne Nere" hanno dato il massimo tributo di sangue caddero 12.698 alpini.
Gli alpini che sono nati per combattere sulle alte cime delle alpi, hanno avuto il battesimo del fuoco non solo sulle alte cime ma anche sulle roventi sabbie africane, nelle campagne di Eritrea nel 1887-1888 e anche ad Adua, dove l'1 marzo in quel drammatico giorno gli alpini e gli artiglieri hanno guadagnato sul campo cinque medaglie d'oro al Valor Militare.

Dopo aver combattuto in Grecia gli alpini sono stati inviati in Russia.
In quel inferno di ferro e di fuoco, dove migliaia di alpini hanno combattuto sulla steppa gelata, con temperature impossibili conducenti e muli hanno dato enormi aiuti agli alpini agevolando loro il ripiegamento non solo delle armi e dei pezzi, ma specialmente nel trainare le slitte cariche di feriti, di ammalati e di congelati.
Durante quella drammatica ritirata a piedi gli alpini scrissero la pagina più tragica ed più gloriosa della storia delle Truppe Alpine. Il 26 gennaio 1943 lungo la strada di Nikolajewka migliaia di alpini si sacrificarono per onore della Patria, affrontando con dignità e grande spirito di solidarietà l'estremo sacrificio.
Ecco con poche parole vi ho presentato gli alpini, uomini con sentimenti puri come l'aria dei loro monti, genuini e sani, ma orgogliosi e cocciuti il carattere classico dei montanari doc.
Uomini che amano i loro monti, la loro terra e combattono con un sentimento di forza e rabbia per diffenderli.


Lettera alla mamma (alpino disperso in Russia)

"Cara mamma
Oggi con molto piacere ho ricevuto il pacco che mi hai mandato che tanto lo desideravo.
Novità sono sempre al solito. Mi trovo sempre sul fronte del Don; qua il tempo è sempre nuvoloso, ma però del freddo ne fa poco.
Adesso è già da qualche giorno che non ricevo più posta ne di te ne di nessuno, ma so che è a causa dei treni. Ricevo spesso anche da Celeste e so che è in Francia e Pietro che si trova a Merano.
Cara mamma da due giorni come saprai ho compiuto i 20 anni e ho già 5 mesi di Russia e come mi pare a me e come ti pareva a te la mia giovinezza sia poco bella però io sono contento lo stesso perchè ho una bella compagnia, tutti mi vogliono bene e tutti mi chiamano "Belot" di qua, "Belot" di là e il Belotti è da per tutto.
Domani è Natale, dunque voi farete una bella festa, come so che nei nostri paesi sono le più belle feste dell'anno, però sono sicuro che ad un altro Natale sarà già dei mesi che sarò in Italia e così con una breve licenza sarò a festeggiarlo.
Ora come ti ho già detto, pensa poco a me che io vado sempre come la fortuna, pensa piuttosto a te di poter vivere un pò bene, la miseria so che c'è ma solo che è meglio un pugno di terra italiana che tutta la Russia.
Coi più cari saluti a te, parenti, nonna e tutti sempre ricordando, ciao. Celeste Belotti"


La lettera porta la data del 24 dicembre 1942
Preghiera dell'alpino



Su le nude rocce, sui perenni ghiacciai, su ogni balza delle Alpi ove la provvidenza ci ha posto a baluardo fedele essere delle nostre contrade, noi purificati dal dovere pericolosamente compiuto, eleviamo l'animo a Te o Signore, che proteggi le nostre mamme, le nostre spose, i nostri figli e fratelli lontani, e ci aiuti ad degni delle glorie dei nostri avi.
Dio onnipotente, che governi tutti gli elementi, salva noi, armati come siamo di fede e di amore.
Salvaci dal gelo implacabile, dai vortici della tormenta, dall'impeto della valanga; fa che il nostro piede posi sicuro su le creste vertiginose, su le diritte pareti, oltre i crepacci insidiosi; rendi forti le nostre armi contro chiunque minacci la nostra Patria, la nostra bandiera, la nostra millenaria civiltà cristiana.
E Tu, Madre di Dio, candida più della neve, Tu che hai conosciuto e raccolto ogni sofferenza e ogni sacrificio di tutti gli alpini caduti. Tu che conosci e raccogli ogni anelito e ogni speranza di tutti gli alpini vivi ed in armi, Tu benedici e sorridi ai nostri Battaglioni alle nostre Compagnie. Così sia



Medaglia d'oro Cesare Battisti

Cesare Battisti nasce a Trento il 4 febbraio 1875. Figlio di gente benestante, laureato in lettere, con il suo carattere battagliero, come viene dichiarata la guerra all'Austria e all'Ungheria, si arruolò a Milano il 29 maggio 1915, nel 5° Reggimento Alpini, come semplice soldato. Dopo aver partecipato alla ricognizione della Forcella del Montazzo e sul Tonale, poi sull'Adamello con la nomina di sottotenente, il 1° novembre 1915 viene trasferito sul Monte Baldo. Partecipò a innumerevoli spedizioni sul fronte della Vallarsa, mentre era in pieno sviluppo la controffensiva.
Cesare Battisti e le sue penne nere del Battaglione "Vicenza", proprio poche ora prima della sua cattura, sono stati protagonisti di una grande vittoria sul Monte Corno. Quella stessa notte del 10 luglio 1916 un violentissimo contrattacco austriaco segnò la sua fine. Nonostante i suoi soldato lo avevano accerchiato per salvarlo, egli ha voluto consegnarsi al nemico, con grande coraggio. Il 12 luglio dopo un veloce processo Cesare Battisti fu condannato a morte mediante impiccagione.

L'esecuzione

All'alba del mattino seguente, nel cortile del Castello del Buon Consiglio ebbe luogo l'esecuzione.
Alla memoria di Cesare Battisti venne concessa la medaglia d'oro al valore militare, con questa motivazione:
"Esempio costante di fulgido valore militare, il 10 luglio 1916 dopo aver condotto all'attacco con mirabile slancio la propria compagnia soprafatta dal nemico soverchiante, resistette con pochi alpini fino all'estremo, finchè tra l'incerto tentativo di salvarsi volgendo il tergo al nemico ed il sicuro martirio, scelse il martirio.
Affrontò il capestro austriaco con dignità e fierezza, gridando prima di esalare l'ultimo respiro: "Viva l'Italia" e infondendo con quel grido e col proprio Sacrificio Santo, nuove energie ai combattenti d'Italia"



Il mulo

Lo si può definire il compagno dell'alpino, perchè con lui ha diviso, le imprese più difficili, le intemperie, i pericoli e anche la pagnotta.
Purtroppo oggi il mulo non c'è più nell'Esercito Italiano è stato mandato in pensione e sostituito da mezzi meccanici, ma nel ricordo del anziano alpino rimane ancora con riconoscenza e anche con affetto. Questo comportamento così umano nei riguardi del mulo non vi deve stupire, che per oltre 120 anni hanno vissuto una simbiosi irripetibile con lui.
Al mulo era legata in gran parte la sopravvivenza dei reparti che operavano in zone impervie e sprovviste di strade.
Nella gloriosa storia degli alpini, fatta di infiniti gesti di umanità, di grandi sacrifici e di alto senso del dovere, di amore per le montagne e per le buone tradizioni e la fedeltà di questi generosi uomini con le fiamme verdi è stato presente in ogni tempo il mulo, infaticabile amico nei momenti più critici.
Vi sono molti episodi che raccontano di conducenti che hanno diviso la pagnotta con i loro muli e di alpini che parlavano con i loro muli. E il mulo proteggeva l'alpino. Spesso nelle caserma correvano voci che "Dove il mulo non arriva, l'artigliere era capace di portarselo in spalla".
Ma a una scena molto commovente si poteva vedere quando il conducente con il foglio del congedo in mano andava a salutare il suo mulo.

Questi buoni e pazienti muli in tante guerre e anche in pace hanno diviso tutto con gli alpini e moltissime sono le volte che sono stati la salvezza di migliaia di penne nere. Con loro si chiude un'epoca e gli alpini lo ricorderanno sempre con affetto, orgoglio e rimpianto.

Lettera al mio mulo

Il primo giorno, non conoscendoti bene, avevo un pò di timore, ma poi è nata un'amicizia.
Con quelle grosse orecchie e quel tenero sguardo in quell'imponente corpo.
Guardandoti in quegli occhioni grandi dove si scorge tanta tristezza, forse per i maltrattamenti subiti.
Non temere avrò molta cura di te.
Sapevi sempre quando arrivavo la mattina, perchè ti mettevi a ragliare e quando mi avvicinavo a te mi appoggiavi la testa sulla spalla. Sapevi che nel taschino della mimetica c'era il tuo cioccolato e te lo prendevi.
Abbiamo camminato fianco a fianco e bevuto dalla stessa borraccia. Quando ti strigliavo mi sembrava che tu mi sorridessi.
Ricordo ancora oggi il campo invernale, il bianco della neve che ci circondava e il freddo.
Avevi i baffi ghiacciati in quella stalla fredda dove, quella notte di bufera, il tuo grosso corpo divenne per me un comodo giaciglio.
Di te avrò sempre un affettuoso ricordo, caro amico mio.


artigliere Luca Masciadri gruppo "Asiago" - 30ma batteria


Addio "sconci" indimenticabili.



Bersaglieri

Il Generale Lamarmora ha dato all' Italia una arma la più adatta allo spirito della razza.
A Torino, culla dei bersaglieri sul monumento ad Alessandro Ferrero Della Marmora si legge questa
iscrizione:
I BERSAGLIERI
SUA CREAZIONE E SUO VANTO IMMORTALE
CAPITANO' NELLE PRIME BATTAGLIE
DELLA PATRIA RISORGENTE
NELLA LONTANA TAURIDE
IN MEZZO AI SOLDATI ITALIANI
LA' A NUOVE GLORIE ACCORSI
FIERO MORBO LO SPENSE
1855

Alessandro La Mamora, non ha comandato Eserciti ma ha conquistato la gloria dando all'Italia, per la sua unità e la sua forza, un magnifico strumento di guerra: I BERSAGLIERI che meritano di impersonare nel concetto popolare, l'entusiasmo ed il valore d'Italia.
(Giosuè Carducci)



Dalla testimonianza del Maresciallo Rommel (la volpe del deserto):
Il soldato tedesco ha stupito il mondo; il bersagliere italiano ha stupito il soldato tedesco.

La bandiera

La bandiera che è stata adottata sotto l'ordine di Carlo Alberto il 11 aprile del 1848 però i bersaglieri non hanno potuto averla, perchè non erano un reggimento, ma un battaglione. Ma nemmeno alla fine del 1870 quando furono ordinati in reggimenti, l'hanno ricevuta. Si crede che il motivo sia stato perchè le sue grandi dimensioni impedivano all'alfiere di sfilare di corsa alla testa del reggimento. Infatti quando il 19 ottobre del 1920 hanno avuto in consegna la bandiera dovette essere ripiegata a "labaro" perchè più comoda da portare in corsa.
Ma il 7 giugno 1938 il labaro è stato sostituito dalla "bandiera" nazionale in "formato ridotto".
Comunque l'alfiere dei bersaglieri ha continuato a sventolarla in alto, da permettere la vista fino alle ultime file del reparto.

Soldati di un corpo speciale di fanteria leggera, che tecnicamente fanno parte della fanteria, come gli alpini e come tali sono fanteria celere e leggera. Creati nell'esercito sardo dal generale A. La Marmora. Caratteristica della divisa è il cappello piumato. E desidero parlare subito di questo cappello così originale e bello e come sapete viene indossato inclinato, il perchè? credo siano pochi a saperlo...


Il cappello sulle ventitre'

Chiamato anche "vaira", viene indossato inclinato e fu proprio La Marmora a volerlo così, aiutato dal caso:
Si racconta che l'ufficiale volle assistere alla vestizione del primo bersagliere, il sergente Vayra, che di li a poco avrebbe sottoposto all'attenzione del Re per ottenere l'approvazione della divisa.
Per provare la sua sveltezza, La Marmora prese a lanciare da lontano i vari capi di vestiario. A un certo momenti gli lanciò anche il cappello, ma Vayra era sbilanciato e fu costretto a pararlo con la testa.
Risultato: il cappello si posizionò sulle ventitrè andando a coprire l'orecchio destro del sergente dando al bersagliere un'aria sbarazzina che non dispiacque al sergente.
E' stato veramente originale e insolito il metodo usato da La Marmora.

Il cappello

Tutt'oggi questo tipico cappello viene portato inclinato verso il lato destro in modo che si appoggia sul lobo dell'orecchio e copre metà del sopraciglio. Il cappello piumato è l'emblema per eccellenza del corpo e simbolo di massimo esempio di una tradizione senza macchia.

Nel secolo scorso, i primi copricapi erano cappelli con falda ripiegata che si inclinava davanti e dietro per fare scaricare l'acqua piovana e l'interno era rivestito da una calotta metallica, scomoda e pronunciata, per proteggere dai colpi delle sciabole. Questi cappelli però ben presto sono stati abbandonati.
Nel 1836 il cappello è nero a tese larghe ripiegate ai bordi per riparare dal sole e dalla pioggia, ornato da penne di gallo cedrone, (animale ora protetto) per la truppa e di piume di struzzo di colore verde per gli ufficiali. Successivamente gli ufficiali hanno adottato il cappello della truppa.

Il fez

I bersaglieri in origine indossavano come copricapo di maglia di cotone di colore turchino con un fiocco rosso, che proteggeva dal freddo le orecchie e poteva anche essere indossato sotto il cappello.
Poi nella guerra in Crimea i bersaglieri restarono senza indumenti e uniformi, da poter sostituire a quelli logori, causa ne fu l'affondamento di una nave che trasportava rifornimenti.
Fu così che i soldati alleati turchi donarono ai figli di La Marmora il loro "fez", di colore bordeaux con un fiocco azzurro.
Il fez è rimasto in dotazione ai bersaglieri dal 1855 che loro usavano come copricapo da fatica, ma mentre i turchi lo indossavano in tutta la sua lunghezza, i bersaglieri hanno sempre messo in testa il fez orizzontale.
Il cordoncino che unisce il fiocco al fez deve avere una lunghezza ridotta al massimo di cm. 30 perchè cosi permette al fiocco di dondolare velocemente da una spalla all'altra.


Il fregio

Il fregio è modellato in metallo color oro e rappresenta una bomba da granatiere sulla quale brucia la fiamma dalle sette lingue, una cornetta da cacciatore e due carabine intrecciate. Si nota subito che a differenza degli altri trofei dove la fiamma sale diritta, quella dei bersaglieri invece è inclinata, fuggente, che resiste al vento senza mai spegnersi e rappresenta la velocità del soldato proteso con tutte le sue forze all'assalto.

La divisa

La divisa indossata dai bersaglieri nel 1836 era blu scura quasi nera e chiusa al collo, dello stesso colore anche i pantaloni con banda cremisi erano chiusi alla caviglia da ghette cioè soprascarpe bianche. Mentre il primo modello di pantaloni era più aderente, perchè rispecchiava ancora il modello del settecento. Le divise erano quattro, due invernali e due estive, delle quali una era da fatica e l'altra da libera uscita. In più c'erano le divise da sera per gli ufficiali, (la grande uniforme).
Un cordone verde passava attorno al collo e finiva sul fianco a reggere la fiaschetta della polvere da sparo. Oggi viene indossato con l'uniforme da parata.
Nelle uniformi, la grande svolta fu il passaggio dal XIX secolo al XX secolo con l'adozione del grigioverde. Nel secolo XIX la divisa che fu portata per maggior tempo, aveva i pantaloni chiari perchè si sporcavano di meno in servizio di campagna. In seguito si è anche provveduto a coprire con una fodera di tela bianca il cappello o solo la calotta con una fodera scura.
La prima divisa aveva una tunica o giacca lunga fino quasi al ginocchio, che era abbottonata davanti e con il collo rigido di colore cremisi, come i risvolti delle maniche. Dal 1848 la tunica era un indumento solo per sotto ufficiali e ufficiali e in servizio indossavano anche la fascia azzurra allacciata in vita e la sciabola, la sciabola nel 1848 monta la testa di leone all'elsa.
Dopo il 1838 vengono adottati i guanti, erano di colore blu scuro, ma i frequenti lavaggi li stinsero e cosi sono stati sostituiti con quelli neri, che si usano ancora oggi.
Dal 1861 sul colletto fanno la comparsa le fiamme cremisi a una punta, (prima interamente cremisi poi filettato). E in questo anno viene anche adottato il fez.
Nel 1870 il colletto diventa rovesciato e le fiamme sono a due lingue e a coda allungata, chiamate anche coda di topo, l'anno dopo sulle mostrine vengono anche adottate le stellette.
Nel 1886 si reintroduce sulla bomba della fiamma il numero del battaglione che era stato soppresso nel 1870.

I guanti

L'uso dei guanti risale all''anno 1839 tre anni dopo la fondazione del corpo, che erano segno di distinzione e signorilità.
La Marmora li ha voluti neri, dopo l'esperimento dei guanti blu scuro (perchè dello stesso colore della divisa) ma che dopo essere stati lavati hanno perso il colore.
Si racconta che i guanti neri siano stati dati ai bersaglieri in segno di lutto per la morte di La Marmora o di Cavour o addirittura per la perdita di una bandiera nel 1849 in un combattimento, ma si tratta di una cosa infondata.

Il capotto

Una volta i bersaglieri con l'arrivo dell'inverno indossavano il cappotto, oggi invece indossano il giaccone e hanno in dotazione, una serie di maglioni, magliette, camicie, e scarpe.

La sciabola

Nell'anno 1850 la sciabola aveva l'elsa dorata e fatta a testa di leone, questa sostituì quella del 1836 che aveva l'elsa fatta a pomo. Poi nel 1856 la lama fu modificata con la forma di quella turca cioè con la lama ricurva.
E le lunghissime baionette dell'ottocento oggi sono dei coltellini.



Medaglia d'oro Enrico Toti

Enrico Toti nasce a Roma il 20 agosto 1882, un ragazzino trasteverino del popolo, simpatico ma irrequieto.
Da ragazzo ama la bicicletta e se ne costruisce una da solo, con la quale dopo sale e scende i colli romani.
A 23 anni causa una inesperienza di un compagno, viene travolto da un vagone e gli viene amputata una gamba, ma il giovane Toti non si arrende e con grande costanza quasi volesse sfidare il destino, il 2 ottobre 1911 circondato da una piccola folla parte con l'intenzione di fare in bicicletta il giro del mondo.
Nel 1915 l'Italia sta per entrare in guerra, Toti manda una supplica al Ministro per essere arruolato. Alla visita di controllo è stato rifiutato per ben tre volte, ma Toti non si arrende. Il suo amor patrio e la sua pena erano cosi grandi che prende la sua decisione, si fa cucire una divisa militare e con la bicicletta alla quale aveva attaccato la sua stampella e una bandiera tricolore, partì per il fronte.
Alla fine di giugno del 1915 Toti arrivò al fronte.
I carabinieri lo fermarono e lo condussero al Comando Tappa, dove gli hanno domandato chi era, dove andava e che cosa voleva. Egli rispose calmo e sincero: "Voglio entrare per primo a Trieste e piantare sul colle di S. Giusto questo tricolore romano. Cosa importa se mi manca una gamba? Sono agile, mi arrampico come uno scoiattolo, striscio come una biscia, nuoto come un pesce, so sopportare la fame e la sete, non temo pericoli. Posso passare inosservato attraverso le linee nemiche e in tre giorni andare e tornare da Trieste!".
L'incredulità e lo stupore di chi lo stava ascoltando a poco a poco svaniva lasciando il posto alla commozione. Luigi Re, che era tra i presenti, annotò in seguito sul suo taccuino: "Vivo o morto, Toti passerà alla storia!".
La lettera di Toti alla mamma

Sono in trincea con i miei cari compagni i bersaglieri del terzo, il terzo ciclisti se non lo sai è il più valoroso ed io sono con loro a dividere la loro gloria. Fino all'ultima stilla del mio sangue sarò al mio posto e sarò di ammonimento a quanti parlano di codardia e di viltà. Quì si scherza con la morte e la si considera un avversario di nessuna importanza... Sappi cara mamma che gli eroi muoiono tutti e per una causa provvidenziale non soffrono: è un esempio di fulgido splendore che gli uni danno agli altri, più timidi e meno coraggiosi.


***


"Enrico Toti, da Roma, volontario Bersagliere ciclisti: Volontario quantunque privo della gamba sinistra, dopo aver reso importanti servizi nei fatti d'arme dell'aprile a quota 70 (est di Selz) il 6 agosto nel combattimento che condusse all'occupazione di quota 85 (est di Monfalcone) lanciavasi arditamente sulla trincea nemica continuando a combattere con ardore, quantunque già due volte ferito.
Colpito a morte da un terzo proiettile, con esaltazione eroica, lanciava al nemico la gruccia e spirava baciando il piumetto, con stoicismo degno di quell'anima altamente italiana."

La III armata e il suo Comandante non potranno mai dimenticare l'eroico popolano caduto in vista della meta agognata; essi sentono vivamente nel cuore il dolce richiamo che parte dalla gelida e disadorna tomba del Carso, con rovente rammarico e con nostalgico dolore lasciata, sulla quale, per le rinnovate fortune d'Italia, dovrà brillare ancora il sole della vittoria!"

Emanuele Filiberto di Savoia Duca D'Aosta

La vita di Enrico Toti non s'era spenta, ma risplendeva ora più grande e feconda così trasfusa nel cuore pulsante di tanti milioni di uomini; ed Egli ben poteva ripetere sorridendo: "Ma nun moro io!".



La preghiera del bersagliere

A te grande ed eterno Iddio,
Signore del cielo e della terra,
noi, bersaglieri d'Italia leviamo i cuori.
Ravviva o grande Dio, l'ardente fiamma,
di cui noi siamo continuatori e custodi;
rendici degni, o Signore di coloro
che ci hanno preceduto e che hanno segnato
col loro sangue, le tappe più belle
della Patria, nel Tuo divino nome.
Facci più forti, più giusti e più pronti
all'obbedienza ai nostri comandanti,
dà ai nostri cuori la clemenza dei forti
verso il vinto. Rendici generosi e fraterni con tutti;
dacci il coraggio, tenace ed inflessibile,
nella fatica e nel pericolo.
come l'acciaio dei nostri mezzi.
Aiuta ed innalza la nostra Italia, o Signore,
da gloria e potenza alla nostra Bandiera,
benedici le nostre piume e le nostre fiamme
e ad esse, per sempre, dona vittoria.
Benedici, o Signore, le nostre case lontane,
i nostri cari viventi e scomparsi nella Tua pace,
i nostri caduti gloriosi,
fiore della stirpe d'Italia.
Benedici noi, o Signore, che per la Patria
vegliamo in armi nel sublime dovere.


La bicicletta

Oggi questa bicicletta è un simbolo che credo rimane presente nella memoria di tutti noi. Impresso nel nostro ricordo come un simbolo fatto di fuoco e di sangue, del sublime sacrificio dei nostri bersaglieri nella prima guerra mondiale. In una battaglia che ancora non conosceva le armi atomiche.
Con essa i bersaglieri ciclisti cantando partivano per la guerra, dalla quale tante giovani vite non sono più tornati.
Una bicicletta senza freni e con le gomme piene, ma smontabile, così da poterla caricare in spalla.
E' stato il simbolo dei bersaglieri "truppe veloci" e scompare con la seconda guerra mondiale.


Regia Marina



La Regia Marina diede anche un importante contributo alla guerra su terra. Una brigata di marinai ha combattuto con la 3a Armata del Duca d'Aosta.
Celebre è stata la difesa di Venezia dopo la rotta di Caporetto, la città lagunare fu difesa dai fanti di marina che la salvarono dall'invasione austro-ungarica.
Da quest'impresa viene il nome di "San Marco" che da sempre identica la fanteria di marina italiana.

Cenni storici

L'Italia entrò in guerra il 10 giugno 1940 che fu voluta da Mussolini e che conosceva già le impreparazioni al conflitto presenti nelle Forze Armate italiane. Di questo ne era a conoscenza anche Hitler, che era già stato informato nel maggio del 1939 da un memoriale del governo italiano
Alla firma del Patto di Acciaio del 21 maggio 1939 si convenne che l'Italia non era pronta ad un intervento in guerra prima del 1942.
Il problema principale era come sempre, il denaro. L'Italia era un paese giovane senza grossi mezzi economici, per questo la marina era stata strutturata in base a determinate scelte basate su delle ipotesi di guerra che fino al 1936 la più considerata fu una guerra contro la Francia e magari appoggiata dalla Grecia, mentre veniva escluso uno scontro con l'Inghilterra. Quindi tanto meno veniva considerata una guerra contro Francia e Inghilterra insieme. Questa ipotesi veniva considerata come un caso disperato. Però nonostante questo la politica estera di Mussolini e l'amicizia con la Germania hanno reso palese la possibilità di una guerra nella quale venisse anche coinvolta l'Inghilterra. Infatti nel 1938 fu steso al Comando della Marina un piano per il trasporto di uomini e mezzi in Libia in vista di un possibile conflitto con le forze inglesi.



Antiche uniformi di marina.

Nel 1714 le uniformi rispecchiano la foggia del costume civile: una lunga sopraveste con grandi polsini, ricche decorazioni in passamaneria dorata, il tricorno, calze di seta e scarpe con fibbia. I colori sono il rosso e il verde.

Nella seconda metà del settecento la divisa indossata dalle truppe destinate alle navi, comincia a cambiare.
Il colore non è più rosso e verde, ma blù e l'ancora appare come motivo di distinzione.

Nel 1789 la divisa ha strette spalline argentate, così pure il bordo del tricorno, nei risvolti delle maniche e nella fascia azzurra e oro annodata in vita.

Nel 1790 il capitano di fregata indossava una sopraveste alla moda inglese azzurra foderata di bianco con bordi in oro, colletto e polsini rossi, gilè e pantaloni aderenti grugio chiari, bottoni piatti con l'ancora.
I soldati dell'equipaggio delle navi indossano una corta giacca azzurra e pantaloni aderenti dello stesso colore, un caschetto di cuoio nero con davanti due ancore incrociate sormontate dalla corona reale.

Nel 1820 un marinaio e un allievo della scuola di marina indossavano il cilindro, questo cappello era in uso in tutte le marine di provenienza nord europea, già all'inizio del secolo. Gli Ufficiali indossavano un ampio bicorno chiamato "cappello militare" di origine napoleonica.

Il 25 giugno 1833 è stato approvato da Re Carlo Alberto un regolamento che determinò in modo chiaro tutte le uniformi di tutte le Forze Armate del regno di Sardegna. I gradi venivano ancora indicati dalle ancore ai polsi e nell' alto colletto della divisa, dalle spalline dal bordo in oro o in seta nera del cappello militare.

Nel 1850 i marinai indossavano un'uniforme invernale blu e con cappello nero solitamente ricoperto di tela cerata o anche incatramato. e uniforme bianca per l'estate, con bavero blu e bordato di nastrini bianchi e con negli angoli due crocette bianche, che in seguito verranno sostituite dalle stellette. Queste divise subiranno alcuni cambiamenti, ma già allora assomigliavano molto alla divisa dei nostri tempi.


Medaglia d'oro Luigi Rizzo

Luigi Rizzo nasce a Milazzo (Messina) il 8 ottobre 1887.
Ammesso all'Accademia Navale di Livorno per aver frequentato nel 1907 il Corso Allievi Ufficiali di Complemento, l'anno successivo ebbe la nomina a Guardiamarina e nel 1912 la promozione a Sottotenente di Vascello. Nel 1911-1912 partecipò al conflitto Italo-turco e alla prima guerra mondiale del 1915 fino alla fine del 1916 fu destinato alla difesa marittima di Grado, dove si distinse particolarmente ottenendo una medaglia d'argento al Valore Militare.


Per la grande abilità professionale, per la serenità e per l'eroismo dimostrato nella brillante e coraggiosa operazione da lui compiuta, di attacco e di distruzione di una nave nemica entro la rada di Trieste.

Rada di Trieste, notte 9-10 dicembre 1917

Comandante di una sezione di piccole siluranti in perlustrazione nelle acque di Dalmazia, avvistata una poderosa forza navale nemica composta di due corazzate e numerosi cacciatorpedinieri. Noncurante del grande pericolo e senza esitare dirigeva immediatamente con le sezioni all'attacco.
Con la sua grande conoscenza nautica e incredibile audacia, attraversava la linea fortissima delle scorte e lanciava due siluri contro una delle corazzate nemiche colpendola in modo da affondarla.
Riuscì con grande abilità a liberarsi dal cerchio dei cacciatorpedinieri che da ogni lato gli sbarravano il cammino, venne inseguito da uno di essi e cannoneggiato, con il lancio di una bomba di profondità, lo faceva desistere dall'inseguimento, danneggiandolo gravemente.

E prese parte a tante missioni di guerra fra le quali:

Maggio 1917: cattura due piloti di un idrovolante austriaco, ammarato per avaria, per questa azione otenne la seconda medaglia d'argento.

Dicembre 1917: affondamento della corazzata guardiacoste austriaca "Wien" avvenuta al largo di Trieste.
Sempre in dicembre, per la difesa delle foci del Piave è stato decorato di una terza Medaglia d'Argento al Valore Militare. E la promozione a Tenente di Vascello per meriti di guerra.

Febbraio 1918: con Gabriele D'Annunzio e Costanzo Ciano, partecipò alla Beffa di Buccari, ottenendo la quarta Medaglia d'Argento al valore Militare.

Giugno 1918: al largo di Premuda affondò la corazzata "S.zent istvan", per questa azione venne insignito della Croce di Cavaliere dell'Ordine Militare di Savoia, tramutata poi con R.D. il 27 maggio in medaglia d'Oro al valore Militare.

Nel 1920 lasciò il servizio attivo con il grado Capitano di Fregata e nel 1929 assunse la presidenza della Società di navigazione Eola e nel 1936 volontario prese parte al conflitto italo-etiopico con il grado di contrammiraglio.
Nel settembre 1943 promosso Ammiraglio di Squadra della Riserva Navale, quale Presidente dei Cantieri Riuniti dell'Adriatico, ordinò il sabotaggio dei transatlantici e piroscafi perchè non cadessero nelle mani dei tedeschi. Per questo è stato deportato in Germania con la figlia Guglielmina.
Alla fine della guerra rimpatriato morì a Milazzo il 27 giugno 1951 per un male incurabile.


Preghiera del marinaio


A te, o grande eterno Iddio,
Signore del cielo e dell'abisso,
cui obbediscono i venti e le onde,
noi uomini di mare e di guerra, Ufficiali e Marinai d'Italia,
da questa sacra nave armata della Patria leviamo i cuori.
Salva ed esalta, nella Tua fede, o gran Dio, la nostra Nazione.
Dà giusta gloria e potenza alla nostra bandiera,
comanda che la tempesta ed i flutti servano a lei;
poni sul nemico il terrore di lei;
fa che per sempre la cingano in difesa petti di ferro
più forte del ferro che cinge questa nave,
a lei per sempre dona vittoria.
Benedici, o Signore, le nostre case lontane, le care genti.
Benedici nella cadente notte il riposo del popolo,
benedici noi che, per esso, vegliamo in armi sul mare.
Benedici!


Eccoci arrivati alla chiusura della pagina dell'esercito.
Anzi tutto mi scuso con tutti coloro che indossano la divisa e che io non ho citato. Ma nonostante questo in queste poche pagine sono incluse tutte le Forze Armate, alle quali va il mio sentimento di deferenza e di stima.

 

 


Il Clero


Siamo arrivati alla Chiesa, pagine difficili... ma che spero di aver reso leggibili.
Come nell'esercito anche qui gli indumenti sono pochi, ma anche qui vi sono altre notizie che sostituiscono il vestiario.

Paramenti sacri

Si chiamano paramenti sacri o Vesti Liturgiche tutti quei indumenti di diverse forme e di diversi colori che indossano i ministri ordinati durante le funzioni liturgiche.
In origine i paramenti sacri non venivano usati dalla chiesa cristiana perchè il culto cristiano era proibito e le liturgie eucaristiche venivano svolte di nascosto e le vesti sacre di uso comune non si differenziavano da quelle profane. Quando l'Imperatore Costantino ufficializzò il culto della religione cristiana si usava un abbigliamento diverso da quello comune e fu stabilito da consuetudini e leggi ecclesiastiche.
Da Costantino fino al IX secolo le vesti sacre sono state distinte da quelle del popolo, invece avevano i principali elementi delle attuali vesti liturgiche; e i mosaici del presbiterio della Basilica di Ravenna ne sono una evidente testimonianza. In questo mosaico si vede l'Imperatore Giustiniano seguito dall'Arcivescovo Massimiano e dai suoi diaconi. L'Arcivescovo indossa un'ampia casula dal pallio e indossata sopra una lunga tunica dalla cui scollatura si intravede l'amito, l'Imperatore è ricoperto da una toga. Da questa documentazione iconografica si può distinguere bene la categoria sacerdotale e l'abito incomincia ad indicare la classe. Questi paramenti imitano gli schemi di vestiario in uso al tempo di Cristo.
Tra il IX e il XII secolo è avvenuta una distinzione completa tra il vestito da indossare nelle liturgie e quello extraliturgico e si scoprirono attinenze tra le vesti sacre dell'Antico Testamento e quelle del Nuovo Testamento, attribuendo a ciascun paramento un significato simbolico, che ancora oggi viene espresso dalle preghiere stabilite dal Messale Romano e che ogni sacerdote deve recitare mentre lo indossa.
Papa Innocenzo III stabilisce un regolamento dell'uso dei paramenti sacri e propone i colori liturgici per determinati giorni con questi significati: Il bianco per i giorni festivi, il scarlatto per la Pentecoste e le feste dei martiri, Il verde per quelle che non sono festivi, il viola per la messa dei defunti e per i giorni di penitenza.
Oggi si avverte forte un orientamento verso quel movimento liturgico che vuole un ritorno alle vesti sacre delle origini con l'abrogazione dell'attuale sfarzo e forma dei paramenti, però mantenendo il loro significato e sono sempre segno di una realtà interiore, di un servizio e di una missione.

 

Vesti Ecclesiastiche

Nei tempi più antichi non esistevano indumenti liturgici particolari e per questo motivo gli ecclesiastici, durante le varie celebrazioni, indossavano il comune abito civile.
Le vesti liturgiche si dividono in vesti interiori e vesti esteriori. Delle vesti interiori fanno parte: il camice, l'amitto, la cotta e il cingolo.
In un lontano passato, spesso erano i genitori e i familiari che davano le loro vesti si gran gala e confezionate con stoffe di gran lusso al clero e che poi le suore di clausura trasformavano in abiti sacerdotali. E se il tessuto non poteva essere combaciato usavano delle passamanerie, decori o nastri, questi rimedi non solo nascondevano i falli, ma addirittura davano ancora più sfarzo agli indumenti.
Poi nell'epoca barocca per rendere ancora più belli gli abiti ecclesiastici si arricchivano con pietre preziose come: granati, coralli, perle e con ricami in fili d'oro e d'argento.
Nella chiesa d'Oriente i paramenti di colore rosso venivano indossati nelle celebrazioni funebri, da quì ha origine l'uso di vestire la salma del Pontefice e di celebrare le osequie papali indossando dalmatiche e casule di colore rosso.

Il camice

Oggi è il camice (la tunica bianca) che arriva fino ai piedi, nell'uso liturgico la veste più importante e comune a tutti i ministri di qualsiasi grado. Stretto ai fianchi dal cingolo, che a volte può essere anche indossato senza cingolo se è confezionato in modo che aderisce al corpo. Se il camice non copre completamente attorno al corpo l'abito comune, prima di indossarlo si deve mettere l'amitto. Questa è la norma, non dobbiamo comunque dimenticare che la tunica bianca (camice) oltre a essere la veste sacra usata da tutti i ministri è anche la prima veste che è entrata nell'uso liturgico. Perchè il camice proviene dalla tunica, che era già usata dagli uomini dell'antico Impero Romano. Questo indumento inferiore, indossato subito dopo l'immersione battesimale ha avuto già verso la fine del IV secolo un significato altamente simbolico come ancora oggi appare nel rito Battesimale. Generalmente era di filo bianco e spesso ornata da due striscie di colore rosso parallele sul davanti e sul dorso, in pubblico veniva indossata con una cintura mentre in casa si lasciava sciolta.
Quasi tutti i giudizi dei liturgisti medievali erano concordi nell'affermare che il camice è il simbolo della purezza e che il candore di questa veste rappresenta Cristo e la sua Trasfigurazione sul monte Tabor. Ma nel XI secolo il camice chiamato anche "alba" proprio per il suo colore bianco ha incominciato ad essere sempre più ornato con ricami, e dopo il XV secolo col diffondersi dell'industria del merletto, il camice perde il suo originario aspetto e diventa un prezioso indumento di pizzo, che naturalmente non ha alcun richiamo battesimale.
Nel 830 Papa Leone aveva stabilito per le funzioni sacre un camice diverso dal solito cosi quando i civili cessarono di portare la tunica, questa è rimasta conservata nella liturgia e era diventata un indumento sacro. E anche quando sono state cambiate le vesti liturgiche, per riguardo alla tradizione, il ministro sacro ha continuato a indossare, diventando cosi sempre più simbolo e segno distintivo all'interno del culto.

La cotta

Nel XVI secolo con l'avvento e la diffusione dell'abito talare, come veste quotidiana dei ministri ordinati si è esteso l'uso della tunica accorciata che si chiama la "cotta".
Le origini di questa bianca veste liturgica che rappresenta la castità e ammonisce a chi la indossa di mantenere ogni giorno un comportamento senza macchia. E' realizzata in lino o cotone e ornata di merletto. Arriva al ginocchio e ha maniche molto larghe. Dai fianchi al ginocchio e dal gomito al polso è ricamata.
Nei paesi del nord monaci e chierici, indossavano per ripararsi dal freddo una mantella di pelliccia durante le celebrazioni e da qui arriva il nome di "super-pelliceo" che si può trovare nei antichi testi, prima del Concilio Vaticano II proprio per indicare il "camice corto". Questo spiega anche perchè dopo la riforma liturgica postconciliare la cotta deve essere di misura assai inferiore in confronto del camice.
La cotta può anche sostituire il camice, però non quando si indossa la dalmatica o la casula e nemmeno quando al posto della dalmatica e della casula si usa la stola.


L'amitto

L'amitto fa parte al gruppo delle sottovesti liturgiche, come il cingolo e la cotta e è un telo di forma rettangolare di cm. 80x60 che a volte ha una croce ricamata al centro. Viene messo sulle spalle e attorno al collo, prima di indossare il camice. Gli antichi "Ordines romani" del VIII al XII secolo lo chiamavano "anagolaium" oppure "anagolagium" che significa "mantelletto" e credevano che derivasse
dallo scapolare col quale i monaci stringevano la tunica intorno al corpo per avere le braccia libere.
Anticamente copriva la testa e le spalle per riparare dalle fredde correnti invernali e anche per salvare i paramenti dal sudore del collo.
All'inizio lo usava solo il Papa e i diaconi ma nel IX secolo si è esteso in tutto l'Occidente e lo usarono anche i vescovi e i sacerdoti
Mentre viene indossata il sacerdote recita questa preghiera: "Imponi Signore sul mio capo l'elmo di salvezza, per vincere i diabolici assalti". L'amitto cosi diventa un copricapo che salva e che con la grazia del Signore, potrà dare forza per sconfiggere il demonio. Questo indumento è il simbolo della pazienza e tiene a freno la lingua.

Il cingolo

Il "cingulum" presso i romani era un accessorio quasi indispensabile per la tunica, dall'uso profano di una cintura per tenere fissa intorno ai fianchi la tunica. Da questo è nato l'accessorio sacro a forma di cordone, con due fiocchi all'estremità che serve per stringere il camice. Esso può essere di colore: bianco, rosso, viola e verde, secondo i tempi liturgici e secondo il tipo di celebrazione. Il significato di questo cordone è facile da capire, esso "stringe" perciò è il simbolo della continenza e della mortificazione.
Prima del Vaticano II il sacerdote mentre lo legava ai fianchi, si rivolgeva a Dio con queste parole: "Cingimi Signore con il cingolo della purezza e fa disseccare nel mio intimo il flusso della passione affinchè sia perseverante in me la virtù della continenza e della castità". Ma il cingolo dice anche: "Siate sempre pronti, tenete i fianchi cinti e le vostre lampade accese... come quei servi che attendono il padrone quando torna dalle nozze".
Nella lettera di Papa Celestino I si ha avuto i primi accenni del cingolo, nel 430 ai vescovi di vienna e Narboma secondo S.Germano di Parigi, nella chiesa gallicana non lo usavano i chierici minori. Poi i monaci ricordando la parola del Signore "Fascia dei suoi lombi sarà la giustizia, cintura dei suoi fianchi la fedeltà".
Hanno ritenuto impossibile per il loro stato la tunica libera e così hanno deciso a generalizzare l'uso del cingolo.
Dalla semplice cintura di corda o di cuoio usata dai monaci nella liturgia si è passato lalla fascia di seta abbellita riccamente con motivi ornamentali di fiori o di animali, oppure anche con applicazioni di pietre preziose, di ricami in oro e argento, specialmente nel medioevo. I cingoli-cordoni sono diventati comuni soltanto dopo il XV secolo, da allora si passò alla semplicità primitiva e la fascia è stata eliminata per tornare a riprendere l'uso del cordone.
La chiesa non ha stabilito ne la forma del cingolo e ne il colore, per questo motivo può essere in : cotone, seta, lino o lana, ma il colore è preferibile se è bianco o quello della liturgia.
Anche se diverso è il significato, ma quasi tutti gli studiosi di liturgia sono d'accordo nel considerarlo il simbolo della castità come indica la preghiera liturgica che veniva recitata dal ministro sacro quando la cingeva: "Cingimi o Signore col cingolo della fede e i miei lombi con la virtù della castità e distruggi in essi ogni appetito carnale, perchè resti in me il vigore di tutta la castità".

La stola

La stola faceva parte dell'antico e comune abbigliamento e solo dopo ha assunto una dimensione simbolica nel clero cristiano. E' certamente l'abbigliamento che attira l'attenzione dei fedeli per la diversità di come si indossa, infatti per il vescovo e i presbiteri la stola gira attorno al collo e scende davanti diritta, invece per i diaconi si porta diagonale sulla spalla sinistra e passa traversalmente davanti al petto, poi si raccoglie sul fianco destro. Il modo diverso di indossare la stola dai diaconi sembra sia stato stabilito dalla più antica prassi di portare questo "sudarium" sulla spalla sinistra.
La stola prima della fine del VII secolo si chiamava "orarum" che in latino vuol dire bocca, infatti in origine era un panno fine che le persone di un certo grado portavano al collo come una sciarpa, e che serviva per asciugarsi il sudore del viso e anche per pulirsi la bocca. Questo ci dice per quali pratici motivi sia entrata nel culto liturgico. Ma ben presto prese un diverso significato da quello originale, in modo particolare per il suo nome in relazione alla preghiera e alla predicazione.
In Oriente questo accessorio era stato ben presto inteso dai diaconi come segno del loro servizio. Infatti si legge in un testo di Isidoro da Pelusio che la stola con la quale i diaconi fanno il loro servizio nei sacri ministeri, ricorda l'umiltà del Signore quando lavò e asciugò i piedi ai suoi discepoli.
Nel secolo XI era realizzata in cotone, lino, lana e seta e si usava arricchirla alle estremità con frange d'oro o con campanelli d'argento. All'inizio la stola aveva una esagerata lunghezza lunghezza, di due metri e cinquanta e era molto stretta 4-5 centimetri. Poi col tempo è stata allargata.
Oltre le sue origini non sempre chiare, una cosa è certa che la stola sia diventata contrassegno qualificante dei ministri ordinati, al punto che le norme per la celebrazione eucaristica replicano che la stola sia sempre necessaria sia per il sacerdote che per il diacono.


La dalmatica

Questo lussuoso abito riservato agli imperatori, ai nobili e alle classi più elevate dei romani, è originario dalla Dalmazia. Le dalmate antiche erano confezionate in lana o in lino, solo più tardi si sono usate quelle di seta e il colore è sempre stato bianco fino al XI secolo. Era una lunga veste che arrivava fino sotto ai ginocchi, con larghe maniche fino ai polsi, ornata con due striscie chiamate "claves" più o meno lunghe secondo la dignità della persona che l'indossava e era anche abbellita lungo i bordi con fregi e ricami.
Ancor prima di essere una veste liturgica era un vestito profano, sempre con il nome di dalmatica, usato a Roma al tempo degli Antononi nel II secolo. Questo indumento veniva indifferentemente indossato da uomini e donne e non veniva ornato, era caratterizzato dalle maniche lunghe e larghe.
Nel secolo III i vescovi indossavano questa veste anche nella vita civile.
Per la prima volta come veste liturgica la si può vedere in un affresco del III secolo nelle catacombe di Priscilla, che rappresenta la consacrazione di una vergine compiuta da un vescovo forse anche il Papa stesso, vestito di dalmata e penula.
La dalmatica originariamente la poteva indossare solo il Papa e dai diaconi romani, ma già dal V secolo la vestivano vescovi e diaconi non romani, come si vede neo mosaici della cappella di S. Ambrogio a Milano.
L'uso di vestire la dalmatica venne dal IX secolo in poi, mentre in Spagna anche i sacerdoti la indossavano senza alcuna licenza.
Nel secolo IV Papa Silvestro ha permesso ai diaconi romani di indossare la dalmatica con distintivo d'onore per distinguerli dal clero per i rapporti speciali che avevano con il Papa. Questo dimostra che la Chiesa romana riteneva l'uso della dalmatica come un proprio privilegio e che soltanto il Papa potesse conferirla.
Ma la dalmatica è stata usata come veste liturgica solo dal V secolo in poi.
Il Giovedì Santo i vescovi durante il rito della lavanda dei piedi si tolgono la casula e rimangono in dalmatica cioè nell'abito che rappresenta il servizio e la carità.
Oggi nelle celebrazioni solenni la veste del diacono è la dalmatica che si indossa sopra il camice e la stola.

La casula

La casula, vestito ampio a forma di mantello, può avere vari colori: bianca, rossa, verde, viola o nera. Avvolge e ricopre la persona del sacerdote quasi a voler ricordare quell'investitura ricevuta nell'ordinazione e che nelle più importanti celebrazioni liturgiche lo fa quasi scomparire come persona ben identificata per evidenziare che egli agisce nel nome e nella persona di Cristo e della Sua chiesa.
Questo indumento che oggi il sacerdote indossa sopra il camice e la stola per celebrare la Messa significa "piccola casa" e che serviva per ripararsi dal freddo e dalle intemperie, ed è il risultato dell'evoluzione di un antico mantello di forma circolare con un foro al centro per passarvi la testa. Questo mantello per la comodità nei movimenti, già nel II secolo sostituiva la toga romana e è diventata il segno distintivo dei senatori.
E' anche come distintivo delle persone di rango che viene usato e poi conservato dai sacerdoti nello svolgimento del loro compito liturgico. Il sacerdote indossando la casula "indossa" Cristo nella cui persona si appresta ad agire.
Per renderla sempre più comoda nel movimento delle braccia la casula è stata ristretta e aperta sui fianchi e nel XVI secolo ha raggiunto quella forma esteticamente infelice, che copre davanti e dietro senza avere alcun richiamo simbolico .
Nell'epoca barocca queste due superfici davanti e dietro, erano diventate dei spazi per preziosi ricami, dei veri capolavori, e che ancora oggi nei musei diocesani suscitano grande stupore.


I colori

Non solo negli abiti civili, ma anche nel clero i colori hanno una certa importanza. Però per oltre sette secoli nel culto cristiano i colori degli abiti non hanno avuto una importanza particolare, tranne il bianco che ha sempre predominato ed è sempre stato il colore della festa.

Bianco: Risurrezione, gioia, purezza,
Viene indossato: nel periodo Natalizio, nel periodo Pasquale, nelle celebrazioni del Signore
nelle celebrazioni della Vergine Maria e nelle celebrazioni dei santi non martiri.

Rosso: amore e martirio,
viene indossato: la domenica delle Palme, il venerdì Santo, la domenica di Pentecoste,
nelle celebrazioni dei santi martiri.

Viola: penitenza, conversione, attesa e suffragio
viene indossato: nel periodo dell'Avvento, nel periodo di Quaresima e nella liturgia dei defunti.


Verde: speranza, costanza nel cammino e ascolto perseverante
viene indossato: nel tempo ordinario.

 

Colori meno usati

Rosa: stempera il colore viola interrompendo il clima penitenziale e indica gioia per la solennità
che si avvicina.
viene indossato: nella III domenica di Avvento (detta "Gaudete" = gioite), nella IV domenica di
Quaresima (detta "Laetare" = rallegrati)

Oro: regalità
viene indossato: in alcune solennità per sottolinearne l'importanza.

Azzurro: richiama il cielo
si indossa: nelle celebrazioni che riguardano la vergine Maria.




Il sacerdote o prete

Come nasce un sacerdote? Nasce da uno sguardo di intenso amore, si sente chiamato e soprattutto attratto da una serenità e dolcezza infinita e a cui risponde liberamente, la sua è una scelta di amore e bontà.
Il giovane sacerdote è capace di dedizione e è pieno di entusiasmo e desiderio sincero di servire la chiesa.
Il sacerdote, uomo fra gli uomini viene nominato per il bene degli uomini e delle cose che riguardano Dio.
Il prete è un uomo vero, quindi deve avere una forte e equilibrata personalità, ed essere capace di portare il peso delle responsabilità pastorali. Il sacerdote deve avere una grande capacità di relazione con gli altri. Non deve essere mai litigioso o arrogante, ma sincero, affabile e ospitale, le sue parole devono uscire dal cuore, deve saper comprendere, perdonare e consolare.
Prete = ministro del culto cattolico
Prete secolare = che non vive in comunità sotto regola, ne ha fatto voto di povertà.
Prete operaio = denominazione dei preti cattolici francesi che dopo la seconda guerra mondiale si dettero a un attivo apostolato nel mondo degli operai, condividendo di essi la vita quotidiana, il lavoro nell'officina, gli interessi e aspirazioni nel campo sindacale.
Il movimento promosso dallo stesso arcivescovo di Parigi cardinale E. Suhard fu praticamente condannato nel 1953 dalla chiesa.
Una mia impressione... questo fatto lo trovo ingiusto, lavorare non è mai stato un peccato e non mi risulta che Gesù Cristo l'abbia mai proibito, anzi il povero è con il sudore della fronte che si guadagna il pane!
Probabilmente in Francia in quel periodo erano tutti ricchi... oppure la chiesa detestava i lavoratori.

Ora un famosissimo "prete" simpatico e genuino, che tutti conosciamo...

Don Abbondio.

Don Abbondio è senz'altro il personaggio più popolare dei Promessi Sposi.
E' la figura con cui Alessandro Manzoni ha spiegato nelle forme più varie, tutta la sua capacità ritrattistica, la sua virtù comica e le sue doti fantastiche ed umane.
Don Abbondio non era nato con un cuore di leone. Ma fino dai primi suoi anni aveva dovuto comprendere che la peggior condizione a quei tempi era quella di un animale senza artigli e senza zanne e che pure non si sentisse propenso di essere divorato.
Non era ne ricco ne nobile e coraggioso ancora di meno e si era accorto di trovarsi in quella società, come un vaso di terracotta costretto a viaggiare in compagnia di molti vasi di ferro. Si è trovato a vivere in una società retta da prepotenti. Don Abbondio si era fatto prete senza riflettere sugli obblighi e sugli scopi della missione sacerdotale, badando soltanto a procurarsi una vita agiata e tranquilla.
Uomo angusto e soggiogato dal terrore e dal sospetto, vive schiavo delle piccole cose della vita. Privo di volontà cede a tutti, dopo breve resistenza, incapace per natura a fare del male e per viltà diventa complice e strumento dei violenti. E' attaccato al denaro, privo di cultura e diffidente di tutti.
Eppure da questo spirito così meschino Alessandro Manzoni ha creato il suo personaggio più attraente.


Vescovo

Il Papa è il successore di Pietro e i suoi vescovi sono i successori degli apostoli, in quanto occupano nella chiesa gli stessi posti che gli apostoli occupavano nelle comunità dei primi cristiani.
Successore degli Apostoli nel governo ordinario delle singole chiese o diocesi sotto l'autorità del Pontefice.
La consacrazione episcopale conferisce, l'amministrazione della cresima e dell'ordine sacro, celebrazione dei sacramenti e la facoltà di governare e amministrare. Nella chiesa primitiva i vescovi erano nominati dall'assemblea del clero e del popolo, ora sono eletti dalla Santa Sede. Il vescovo si dice "residenziale" se governa effettivamente una diocesi. "Titolare" quando pur portandone il titolo, non la governa perchè non più posta in territorio cattolico. "Coadiutore" quando è nominato come aiuto al vescovo di una diocesi, in genere con diritto i successione. "Ausiliario" quando questo diritto non è concesso.
Discusse le origini dell'episcopato secondo la chiesa cattolica esso è istituzione apostolica e lo è stato sino dalle origini unitario, come grado supremo della gerarchia ecclesiastica, secondo la critica non cattolica invece l'episcopato monarchico si sarebbe svolto da un originario governo collegiale delle singole chiese.
In Italia in base al concordato la scelta dei vescovi spetta alla Santa Sede dietro riservato gradimento del governo, un vescovo ordinario militare presiede al servizio dell'assistenza spirituale presso le forze armate dello stato. Anche alcune chiese cristiane non cattoliche conoscono la dignità e la funzione episcopale (ad esempio la chiesa anglicana) e alcune anzi fondono su di essa la stessa ecclesiastica considerando la singola chiesa con a capo un vescovo, come una entità autonoma al di fuori di una vera subordinazione gerarchica ad un'autorità centrale in ciò richiamandosi a quella che secondo alcuni sarebbe stata l'organizzazione della primitiva chiesa cristiana, prima dell'affermazione del primato del vescovo di Roma.
Questione dibattuta è quella della validità (rifiutata dalla chiesa cattolica) delle ordinazioni episcopali fatte da vescovi che validamente ordinati hanno dopo avvenuto lo scisma della chiesa di Roma e in base al principio della successione apostolica della loro autorità trasmesso l'ordinazione consacrando vescovi rappresentanti della chiesa scismatica.



Il cavallo del Vescovo di Catania

Questa leggenda che parla del cavallo del vescovo di Catania, appartiene a un tempo molto, molto lontano.

...Enrico VI un crudele imperatore svevo che regnò in Sicilia dal 1194 al 1197, ordinò vescovi e dignitari a lui fedeli e feroci pari suo. Uno di questi crudeli funzionari era il vescovo di Catania, che una volta ordinò a uno scudiero di portare il suo cavallo più bello a passeggio sulle balze dell'Etna. A un certo punto il cavallo si imbizzarì e cominciò a correre verso la cima del vulcano, il povero scudiero spaventato seguì il cavallo ansante e grondante sudore, fino sulla vetta dell'Etna, ma quando era arrivato sull'orlo del cratere centrale, il cavallo fece un balzo e sparì dentro al cratere. Lo scudiero pensando a quale sorte gli aspettava se sarebbe tornato senza il cavallo dal suo feroce padrone, si mise a piangere. Improvvisamente vide accanto a sè un uomo molto anziano con una grande barba bianca che gli disse: "Io so perchè piangi, vieni con me e ti mostrerò dov'è il cavallo del vescovo di Catania. Lo prese per mano e lo condusse per un misterioso passaggio, attraverso il fumo del vulcano. Lo scudiero si trovò dentro una meravigliosa sala dove su un trono tutto d'oro sedeva re Artù. Il re gli disse che sapeva tutto di lui e anche del crudele vescovo di Catania e gli fece vedere in fondo alla sala il cavallo che egli cercava e aggiunse: "Torna dal tuo vescovo e gli dici che sei stato alla corte di re Artù e digli anche che la sua prepotenza e la sua crudeltà hanno stancato perfino la pazienza di Dio e che presto lo punirà per mezzo mio e digli anche che se rivuole il suo cavallo deve venire lui stesso a prenderselo, salendo a piedi fino qui. Ma se non verrà entro 14 giorni al quindicesimo giorno egli morirà".
Tornato a Catania lo scudiero raccontò al crudele vescovo quello che gli aveva detto re Artù, ma lui non gli ha creduto, anzi lo accusò di aver venduto il cavallo, ma colpito dall'accento sincero del suo servo, non lo fece decapitare ma lo fece imprigionare. E ogni giorno lo faceva venire davanti a lui e lo interrogava, ma lo scudiero raccontava sempre la stessa storia di re Artù. Il vescovo non voleva umiliarsi e tanto meno riconoscere le sue colpe e continuava a mandare gente sull'Etna a cercare il suo cavallo, ma la gente non tornava più. Cosi si andò avanti per 14 giorni, all'alba del quindicesimo giorno il vescovo esasperato mandò a chiamare lo scudiero e gli disse: "Tu sei uno stregone, ti sei divertito non solo a fare scomparire il mio cavallo ma anche i miei cavalieri e le mie guardie. Io ora ti darò il premio che meritano gli stregoni come te, non la decapitazione o la forca, ma il rogo. Chiamò le guardie e disse: "prendetelo e bruciatelo vivo" si alzò in piedi e strabuzzò gli occhi, fece una giravolta e cadde morto stecchito.
La profezia di re Artù si era avverata e il crudele vescovo aveva terminato per sempre di tormentare i poveri catanesi.

Una leggenda inglese narra che re Artù vive ancora sull'Etna.



Cardinale

Cardinale è il titolo che si da ai più alti dignitari della Chiesa Cattolica. Vengono nominati dal Papa e formano un consiglio detto "Sacro Collegio".
I cardinali sorti dai presbiteri dei venticinque titoli o chiese parrocchiali di Roma, dai sette (poi 14) diaconi regionali e sei diaconi platini e dai sette vescovi suburbicali (Ostia, Velletri, Porto e S.Rufina, Albano Palestrina, Frascati, Sabina e Poggio Mirtelo), sono stati consiglieri e cooperatori del Papa.
Dal 1150 i cardinali formano il Sacro Collegio con un decano che è il vescovo di Ostia e un camerlengo quale amministrattore dei beni. Dall'anno 1179 sono elettori esclusivi del Papa.
Nel secolo XII incominciano ad essere nominati cardinali i prelati residenti fuori Roma e hanno la precedenza sui vescovi e arcivescovi e dal secolo XV anche sui patriarchi, bolla "non mediocri" di Eugenio IV 1439 e anche se semplici sacerdoti hanno voto nei concili. Nei secoli XIII - XIV il numero ordinariamente non superiore ai 30 è stato da Sisto V anno 1586 (Cost.Pastquam 3 dicembre 1856) fissato a 70 (sei cardinali vescovi, 50 cardinali preti, 14 cardinali diaconi). Ma tale numero è stato superato sotto i papati di Giovanni XIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II. Paolo VI stabilì il criterio del limite di età (80 anni) con il quale i cardinali perdevano il diritto di eleggere il Pontefice.
Al 30 giugno 1981 i cardinali viventi erano 125 con 13 ultraottantenni e 112 elettori del Papa.
Paolo VI fissò anche il numero dei cardinali elettori a 120. La proclamazione della nomina può essere ritardata (cardinali in pectore).
I cardinali vescovi e i cardinali diaconi risiedono ordinariamente a Roma, molti dei cardinali preti sono a capo delle più importanti diocesi della cattolicità. Appartengono alle varie congregazioni romane e sono considerati principi del sangue, col titolo di Eminenza.




Padre Annibale Maria Di Francia
La predella di Padre Annibale



Padre Annibale nasce a Messina il 5 luglio 1851 e muore il 1 giugno 1927.
Logorato dalle fatiche e pieno di meriti, confortato dalla visione della Vergine Maria, sempre da lui amata, lodata e venerata. L'espressione più ricorrente ascoltata durante e dopo i funerali fu: "E' morto il Santo".
La chiesa onora Annibale Di Francia con il titolo di "Insigne apostolo della preghiera per le vocazioni" Giovanni Paolo II che lo ha proclamato Beato il 7 ottobre 1990, lo ha dichiarato "autentico anticipatore e zelante maestro della moderna pastorale vocazionale", e il 16 maggio 2004 lo ha iscritto dell'albo dei Santi.

Padre Annibale Maria Di Francia, un giorno andò a celebrare una messa in un Santuario di una città, ma rimase molto sorpreso e addolorato quando si accorse che sulla predella in legno sotto ai suoi piedi era dipinto a caratteri grossi il nome della SS.ma Vergine titolare di quella chiesa. A quella vista si sentì confuso e quasi non sapeva dove mettere i piedi. Tornato a Messina continuando a pensare come avrebbe potuto rimediare al grave inconveniente.
Ma un giorno arrivò la soluzione, si trovò di passaggio per Messina il Superiore di quel Santuario, allora Padre Annibale insieme a Padre Vitale si recarono da lui per ossequiarlo e naturalmente per parlarli di quanto gli stava a cuore, la profanazione sebbene materiale, del santissimo nome della Vergine che veniva quotidianamente calpestato dai celebranti.
Lo ha pregato quindi di rimuovere quella predella che egli avrebbe sostituito a sue spese con un'altra degna del luogo e chiedeva di ricevere in compenso l'antica in memoria del rinomato Santuario.
Con la somma di lire mille (di allora) fece fare un'altra e la invio al Santuario per sostituire quella antica.
Oggi quella predella cosi ricca di memorie si trova ancora presso l'Istituto delle Figlie del Divino Zelo allo Spirito Santo a Messina.


Piccola storia dei Papi


Abbiamo venti secoli di papato a partire da S.Pietro, la cui papità era assai dubbia. In questi venti secoli abbiamo avuto Papi considerati ufficiali dalla Chiesa Cattolica, poi ci furono gli antipapi e dei periodi di "vacanza papale" cioè quando non regnava alcun Pontefice.
Vi furono anche storie macabre e di sesso, ben nota è la storia del Borgia, ma non pare essere stata l'unica.
Esaminando la lista dei Papi dopo 880 si scopre che nei seguenti centocinquant'anni succedettero trentacinque Papi regnanti circa quattro anni ciascuno. Ma nel nono e decimo secolo molti Papi eletti avevano trent'anni e molti ne avevano venti, la loro durata era di due settimane e qualcuno un mese o al massimo tre. Sei di loro vennero detronizzati ed un buon numero vennero assassinati
Quando un Papa spariva, nessuno sapeva cosa gli era successo, poteva essere ovunque e poteva essergli capitata qualsiasi cosa come: assassinato in un bordello, percosso e menomato come Stefano VIII° al quale nel 930 tagliarono orecchie e naso. Oppure poteva anche essere scappato con l'intero tesoro di S.Pietro, come Benedetto V° nel 964 che è fuggito a Costantinopoli dopo aver violentato una ragazzina, ed riapparso dopo aver sperperato tutto provocando ulteriori tumulti.
La storia di questi insoliti Papi continua...
D'altronde in quei tempi non era necessario essere cardinale o prete per diventare Papa. Adriano V° era un buon Papa ma non era mai stato ne vescovo e ne prete.
Nel secolo scorso tre patriarchi sono diventati Papi:
Papa Pio X, Papa Giovanni XXIII, Papa Giovanni I.


Il titolo di Pontefice

Il titolo di pontefice che attribuiamo al Papa non gli spetterebbe nè di diritto, nè di fatto.
La parola "pontifix" era dei Rasena (gli Etruschi) e veniva usata per indicare una delle molte qualità dei loro Lucumoni, quella che si riferiva alla loro capacità di costruire ponti (probabilmente tra gli umani e le divinità).
I Romani, dopo aver sconfitto gli Etruschi, (che come civiltà sembrarono estinguersi dalla storia) la fecero propria e l'attribuirono ai loro "sacerdoti".
Quando gli imperatori decisero di essere "divini" credettero opportuno che tale qualità dovesse riferirsi e loro medesimi e se ne appropriarono. A questo punto giocando sull'equivoco e sul falso palese costituito dalla cosiddetta "donazione di Costantino" che fra l'altro non si sognò mai di rinunciare al titolo di pontefice.
I Papi credettero opportuno, per rafforzare la loro superiore qualità imperiale che permetteva loro di giustificare l'esercizio di un controllo sopra i vari regnanti, appropriarsi anche di questo titolo, (quindi solo a fini di potere temporale), distorcendone cosi l'originario spiritualissimo significato.



Papa Giovanni
il Papa buono


Papa Giovanni... chi l'ha conosciuto, non lo dimenticherà mai.

Questo umile uomo, che viene da un paesino del bergamasco, il quarto di quattordici fratelli, (certo non era di famiglia benestante e tanto meno nobile) ma aveva qualche cosa che valeva molto di più, aveva tanta nobiltà nell'animo e tanta ricchezza nel cuore.
Papa Giovanni fu eletto per un'unica ragione per la sua "età" perchè dopo il lungo pontificato di Papa Pio XII i cardinali ne volevano uno che avrebbe avuto "breve durata" (ma guarda un pò cosa non vanno a pensare!)
Però... nessun cardinale aveva potuto sapere e pensare, che Roncalli con il suo buon umore, la sua gentilezza, il suo calore umano, avrebbe conquistato l'affetto di tutto il mondo, in un modo tale che i suoi predecessori non avevano mai ottenuto e che sarebbe stato uno dei più importanti e rivoluzionari Papi della storia. Per la prima volta fa cadere il "muro" del Vaticano e va fuori Roma. Annuncia l'indizione di un Concilio Ecumenico ma apre le ostilità della curia. Qualcuno si chiede: "Ma dove vuole arrivare?".
Ricordo e vi ricordo alcuni episodi che sono rimasti indelebilmente registrati nelle menti di chi l'ha conosciuto.
Uno dei più belli e indimenticati discorsi della storia della chiesa è stato il "discorso della luna". Il suo discorso era semplice, dolce e poetico insieme e con uno straordinario richiamo osservando la luna disse:
"Si direbbe che persino la luna si è affrettata stasera..." poi salutò i fedeli della sua diocesi e con la sua umiltà di sempre continuò: "Tornando a casa, troverete i bambini, date loro una carezza e dite: questa è la carezza del Papa" Troverete forse qualche lacrima da asciugare. Abbiate per chi soffre una parola di conforto.
Quando Jacqueline Kennedy andò al Vaticano per incontrare il Papa, egli si stava preparando a riceverla e nervosamente provò le formule che gli erano state consigliate di usare: "Mrs Kennedy, Madame" oppure "Madame Mrs Kennedy" ma quando la First Lady arrivò scartò entrambe e le corse incontro con un semplice "Jackie".
Il 7 marzo 1963 prese il coraggio di iniziare il disgelo con l'Unione Sovietica e ha ricevuto personalmente nel suo studio privato in Vaticano il genero di Kruscev con la moglie Rada. Rada emozionata e felice disse a Papa Giovanni: "Lei ha le mani grosse e nodose dei contadini, come quelle di mio padre"
Alla fine dell'incontro Papa Giovanni disse al suo segretario. "Può essere una delusione, oppure un filo misterioso della Provvidenza che io non ho il diritto di rompere". E la storia ha dimostrato lea presenza di quel filo.
Per le feste natalizie andò a visitare i bambini di un ospedale romano dove con intima e contagiosa dolcezza ha benedetto la bambina che lo aveva scambiato per Babbo Natale.
Questi episodi hanno riempito quel vuoto di contatto col popolo che i precedenti Pontefici avevano creato.
Questo era il simpatico e tanto amato Papa dalle mani nodose dei contadini.


Papa Luciani, l'amico del popolo.


Ormai è cosi lontano il tempo di Papa Luciani. Il suo dolce sorriso, il suo viso sempre gioviale, è cosi che lo ricordo...
Scelse il nome papale per ossequio verso i due Papi che lo avevano preceduto, Papa Giovanni XXIII che lo aveva nominato vescovo e Papa Paolo VI che lo aveva nominato cardinale.
E' bastato un mese di pontificato perchè Papa Luciani entrasse nel cuore della gente. La sua umiltà nel presentarsi al mondo aveva reso il rapporto talmente immediato e semplice. Perchè ricordare Papa Luciani?
Perchè parlarne ancora? Perchè uno come Papa Luciani ci manca, manca ai cattolici, ma manca anche al mondo intero. Nel suo regno sulla cattedra di Pietro, che per lui fu brevissimo, appena di 33 giorni e poi la sua morte, che resta un mistero... perchè Luciani è morto così improvvisamente senza accusare nessun malore? So che voleva fare tante cose che nessun Papa prima di lui aveva osato fare. E' stato anche il primo Papa a parlare in termini "umani" di sè, abbandonando il plurale e rivolgendosi al popolo in prima persona, (anche se zelanti custodi della formalità sono stati pronti a riconvertire i suoi discorsi per la pubblicazione sull'Osservatorio Romano e anche su altri documenti.) E non ha avuto indugi nel presentarsi nella sua vera personalità, per esempio ammettendo che quando Paolo VI lo aveva nominato Patriarca di Venezia era diventato completamente rosso dalla vergogna. E è stato anche il primo Papa ad ammettere la paura che lo ha colto quando è venuto a sapere di essere stato eletto Papa, nessun Papa prima di lui aveva espresso questo sentimento di umiltà. Inoltre ha rifiutato l'incoronazione, la tiara e la sedia gestatoria, che però gli fu stata imposta per il suo tipico modo di camminare poco formale.
Ha avuto anche una certa morbidezza della questione nei confronti degli anticoncezionali, che furono nientemeno che oggetto di una censura da parte dell'Osservatore Romano, che non ha pubblicato i commenti papali.
Pochi giorni prima di morire ha convocato i principali responsabili delle finanze vaticane, per verificare come venivano gestiti gli ingenti fondi del tesoro vaticano, (penso ce nè abbastanza per giustificare un omicidio) ma non fece in tempo ad approfondire l'argomento perchè morì il 28 settembre 1978, è sepolto nelle grotte vaticane.
Sarebbero ormai una decina i casi di guarigione che hanno del miracoloso e che vengono attribuiti a Papa Luciani. Un numero più che sufficiente per sostenere la richiesta di apertura del processo di beatificazione.

P.S. E' stato un triste mattino quando la radio diede al mondo la tremenda comunicazione dell'improvvisa morte di Papa Luciani.

"Infarto del miocardio" fu l'annuncio ufficiale del Vaticano alla stampa mondiale. Ma la morte di Albino Luciani, fino dal primo momento ha destato molti sospetti e dubbi... anche se ufficialmente è stata annunciata per "cause naturali" e ha convinto molti come un "delitto politico".
Il giornalista statunitense David Yallop espone nel suo libro "In nome di Dio" la tesi per la quale la morte di Luciani sarebbe da attribuirsi ad avvelenamento, probabile un veleno che ha agito a livello cardiaco. Giovanni Paolo I sarebbe stato assassinato in seguito ad un complotto organizzato dalla loggia massonica P2 perché era intenzionato a rimuovere il cardinale "Paul Marcinkus" dalla guida dell'Istituto per le opere di religione che custodisce ed amministra i beni del Vaticano.
Francesco Farsi, direttore del radiogiornale Vaticano al tempo del decesso, affermò che: "Qualcuno non gradiva il linguaggio semplice ed i modi inprevedibili" di Papa Luciani.
Anche altri autori hanno sospetti... e anche se c'erano convincenti moventi e ancora ci sono, ma il Vaticano è uno Stato… e tutto finisce in Gloria...
Tutto è stato cosi rapido per Papa Luciani... rapido è stato il conclave che poi lo vide Papa, solo tre votazioni, rapido fu il suo papato, appena 33 giorni e rapida lo è stata la sue morte, che lo portò via nel sonno.

Ricordiamo questo Papa, nella sua semplicità, nel sorriso e nella sua bontà.



Karol Wojtyla
un Papa che viene da lontano



Ecco la breve storia di un prete della Polonia che amava la montagna e il teatro e che è stato eletto Papa.

Karol Wojtyla un Papa da amare, prete operaio, colto, storico, anticonformista, non gli piace il protocollo e destò subito l'affetto dei fedeli e laici di tutto il mondo.
Un Papa straniero, un Papa polacco è il primo straniero dopo 455 anni. Appena eletto affacciandosi alla loggia di Piazza S.Pietro la sera del 16 ottobre 1978 improvvisa un brave discorso in italiano, con una frase che lo rende subito simpatico al popolo: "Se mi sbaglio mi corriggerete". Dalla Piazza sale una festosa accoglienza.
Proviene da una chiesa dell'Est (dalla Polonia comunista). L'elezione di Karol Wojtyla rappresenta una sorpresa e una novità, il fatto che venga da un paese nel quale professarsi cristiano richiedeva vera fede e vero coraggio. Wojtyla si distingue dai suoi predecessori nel fatto che a differenza di loro non ha esperienza di diplomazia vaticana e di Curia e interpreta il suo ufficio come missionario e non come Capo di Stato. Lo dimostrano i tanti viaggi compiuti tra l'Italia e il resto del mondo. Di particolare sono i viaggi nei paesi dell'Est e quelli in zone di guerra, nel aprile del 1997 a Sarajevo, nel maggio del 1997 a Beirut. Poi a Cuba dove si incontra con Fidel Castro nel gennaio del 1998.
Il 13 maggio 1981 il Papa subisce un attentato terroristico da un 23enne turco di nome Ali Agca che li spara due colpi di pistola ferendolo gravemente all'addome. Il Papa rimane sei ore in sala operatoria. Ristabilito perdona colui che aveva tentato di ucciderlo, andando a trovare Agca in carcere.
Va a visitare la sinagoga di Roma, nessun Pontefice l'aveva mai fatto prima.
Riporto qui quello che ha detto un grande giornalista e scrittore italiano Enzo Biagi:
"Il tratto principale del pontificato di Giovanni Paolo II mi sembrano le grandissime aperture, che nascono anche dalla sua cultura e dalle sue origini. E' fin ridicolo dire che è un grande Papa che ha vissuto il suo tempo e che ha aperto anche in politica delle strade nuove, pur arrivando dopo predecessori di grande statura. E' un Papa che ha parlato con i rabbini e i maomettani."

Karol Wojtyla ha anche i suoi hobby oltre alla montagna che lo ha visto "Papa sciatore" è già nota la sua passione per le arti, una diretta testimonianza è il suo passato da autore teatrale, perciò quando gli impegni glielo permettono si dedica alla visione di alcune pellicole cinematografiche. Ha visto "La vita è bella" di Roberto Begnini e che ha molto apprezzato e due film di un regista polacco Zanussi... "Un uomo venuto da lontano" e "Fratello del nostro Dio" che è tratto da un dramma teatrale scritto da Karol Wojtyla stesso.

Oggi il nostro Papa è molto ammalato, la malattia e gli anni circondano i suoi 25 anni di pontificato. E' un pontificato lungo, uno dei più lunghi della storia, ma il nostro Papa è forte e coraggioso, lo possiamo vedere pur malato continua la sua missione con amore e serenità. Il suo impegno non lo aretra davanti a nulla e lo sostiene la preghiera e la bontà verso il suo popolo.

 


Madre Teresa di Calcutta
la piccola matita di Dio


Il sempre giulivo viso di Madre Teresa, piccolina ma tenace, mi ispira subito questa bella poesia scritta da lei:

Ho sentito il battito del tuo cuore

Ti ho trovato in tanti posti, Signore.
Ho sentito il battito del tuo cuore
nella quiete perfetta dei campi,
nel tabernacolo oscuro di una cattedrale vuota.
nell'unità di cuore e di mente
di un'assemblea di persone che ti amano.

Ti ho trovato nella gioia,
dove ti cerco e spesso ti trovo.
Ma sempre ti trovo nella sofferenza.
La sofferenza è come il rintocco della campana
che chiama la sposa di Dio alla preghiera.

Signore ti ho trovato nella terribile grandezza
della sofferenza degli altri.
Ti ho visto nella sublime accettazione
e nell'inspiegabile gioia
di coloro la cui vita è tormentata dal dolore.

Ma non sono riuscita a trovarti
nei miei piccoli mali e nei miei banali dispiaceri.
Nella mia fatica ho lasciato passare inutilmente
il dramma della tua passione redentrice,
e la vitalità gioiosa della tua Pasqua è soffocata
dal grigiore della mia autocommiserazione.

Signore io credo. Ma tu aiuta la mia fede.


Madre Teresa di Calcutta


Madre Teresa per anni si è curvata sui poveri, con la sua consapevolezza di suora e di donna. Per i poveri e bisognosi era una luce nella notte.
Nasce in Albania il 27 agosto 1910, da ragazzina era carina e aveva un carattere allegro, il suo sogno era diventare scrittrice o musicista. Dopo la morte del padre avvelenato dai Serbi la famiglia diventa poverissima. Il nome di Teresa lo prende quando in Irlanda riceve i voti nell'ordine delle Sorelle di Loreto. Il noviziato lo fa in India a Calcutta. Col passare delle ore sente sempre di più il desiderio di vivere tra i più poveri dei poveri, nel mondo dei derelitti che ogni giorno agonizzano sui marciapiedi dell'India.
La sofferenza, la miseria di quella gente non le danno pace, pensa sempre a quella folla di affamati, storpi, ciechi, e lebbrosi mentre continua a ripetere a se stessa: "Devo fare qualcosa". Ha deciso di vivere tra quella gente e di soccorrerli. Dopo le sue richieste e preghiere, finalmente le viene accettata la domanda. Pio XII la autorizza ad abbandonare le Suore di Nostra Signore di Loreto, rimanendo religiosa. Con dolore abbandona le suore di Loreto, ma ha deciso e vuole compiere quel passo, in nome di Dio che le chiede un radicale cambiamento della sua vita e vuole fare la sua volontà.
Indossa il bianco sari bordato di azzurro e con una piccola croce sulla spalla sinistra. Inizia la sua opera passando da una baracca all'altra con acqua e sapone, lava i bambini, le donne sofferenti, e i vecchi piagati, va in giro a chiedere medicine e cibo per curare e sfamare i suoi poveri e giorno dopo giorno col corpo dolorante continua la sua opera tra i più poveri dei poveri e vivendo come loro, per le vie di Calcutta.
Quando soprafatta dalla stanchezza, ripensava al convento di Loreto, alla sua vita regolare, alla sua sicurazza, ma non è tornata indietro, ha deciso di rimanere con i poveri, ha dato il suo si e le sue parole sono: "Sono il tramite attraverso il quale esprimiamo a Dio il nostro amore". E ricovera quelli che non vengono accolti negli ospedali, nella sua baracca sterrata dove abita, fino a quando un funzionario dell'amministrazione statale le mette a disposizione un locale all'ultimo piano di una casa.
In seguito Madre Teresa ci racconterà: "La prima persona che tolsi dal marciapiede, era una donna mangiata per metà dai topi e dalle formiche. La portai con un carretto all'ospedale, non volevano accettarla, se la tennero solo perchè mi rifiutai di andarmene finchè non l'avessero ricoverata".
Madre Teresa a Calcutta fonda la congregazione delle Missionarie della Carità. Si occupava di 7.500 bambini in 60 scuole, medicava 960.000 ammalati in 213 ospedali, 4000 lebbrosi, 3400 persone senza tetto e oggi l'ordine di Madre Teresa ha più di 700 missioni in 132 paesi del mondo.
Il mondo cominciò a rivolgere l'attenzione verso Madre Teresa e l'opera che aveva avviato. Ha ricevuto numerose onorificenze dal Premio indiano Padmashri e il 17 ottobre 1979 riceve il Premio Nobel per la Pace. Nel 1993 accompagna il Papa durante la sua visita in Albania.
Un giorno un uomo con un senso di schifo le aveva detto:"Non toccherei un lebbroso neanche per un milione di dollari" e Madre Teresa rispose: "Oh neanch'io" ma per amore di Dio lo curerei volentieri.
Giovanni Paolo II consegna in Vaticano a Madre Teresa le chiavi dell'edificio Primavalle destinato a diventare la casa di molti bambini abbandonati.
Madre Teresa ci ha insegnato la gioia di amare, il valore delle piccole cose fatte fedelmente e l'incomparabile valore dell'amicizia con Dio.
Madre Teresa continuò a guidare la sua congregazione e ad aiutare i poveri, nonostante i suoi seri problemi di salute durante gli ultimi anni.
Il Papa Giovanni Paolo II meno di due anni dopo la sua morte permise l'apertura della Causa di Canonizzazione e il 20 dicembre 2002 approvò i decreti selle sue virtù eroiche e sui suoi miracoli.

Alcune delle sue parole...

"Non sono stata chiamata per avere successo, sono stata chiamata per essere fedele".

"Ciò che io posso fare, tu non lo puoi fare, ciò che tu puoi fare, non lo posso fare io.
Ma insieme possiamo fare qualche cosa di bello per Dio".

"Amiamoci gli uni gli altri come Dio ama ciascuno di noi. E dove inizia questo amore?
Nella nostra casa. Come inizia? Pregando insieme".


La gioia di amare

La gioia è amore,
la conseguenza logica
di un cuore ardente d'amore.
La gioia è una necessità
e una forza fisica,
la nostra lampada arderà
dei sacrifici fatti con amore
se siamo pieni di gioia.

 


Beato Giovanni



Io sono nata a Merano e ci vivo, per questo motivo desidero parlare di Giovanni, un beato per noi meranesi.
Giovanni Nepomuceno de Tschiderer era il quinto di sette fratelli. Nasce a Bolzano il 15 aprile 1777 (da notare che nella nostra nascita abbiamo diversi "sette" io: giorno 07 mese 07 nata di 07 mesi) figlio di Giuseppe Gioachino de Tschiderer di Gleifheim, esattore generale del Tirolo e Caterina de' Giovanelli. Da piccolo ha avuto problemi di pronuncia e è rimasto leggermente balbuziente anche da adulto. Dalla famiglia ha ricevuto un'educazione accurata e severa.
Nel 1785 la famiglia è dovuta trasferirsi a Innsbruck, ma un anno dopo Giovanni è ritornato a Bolzano, presso il nonno materno, per poter frequentare il ginnasio dei francescani e dove si distinse per: "onesta e diligente applicazione". A Innsbruck sostenne gli studi filosofici e frequentò padre Ercolano Oberrauch che lo guidò nello studio della Sacra Scrittura e della Patristicae nel 1794 e il 1798 frequentò gli studi teologici.
Il 27 luglio 1800 è stato ordinato sacerdote a Bolzano dal principe vescovo di Trento, Emanuele Maria Thun.
Ha celebrato la prima messa nella chiesetta di S. Antonio da Padova a Collalbo/Klobenstein sull'altipiano del Renon, dove ha fatto il periodo di tirocinio di due anni come prete ausiliario nella parrocchia di Longomoso/Lengmoos.
nel 1802 ha potuto recarsi per un anno a Roma dove fu più volte ricevuto in udienza da Papa Pio VII. Nel 1803 fu cooperatore a Auna di Sotto/Unterinn e nel 1804 a San Pancrazio/Sank Pankraz.
Nel 1807 quando è arrivato il momento di diventare parroco fu nominato docente di teologia nel seminario di Trento per nomina governativa, (in quelli anni il Tirolo e il Trentino sono stati domini bavaresi). A Trento nonostante le difficoltà della lingua italiana, si dimostrò un "insegnante ricco di talento e di grande abilità didattica".
Nel 1810 con l'annessione del Trentino al francese Regno d'Italia, i docenti tedeschi a Trento erano stati sostituiti da docenti italiani e per questo motivo Giovanni ha potuto realizzare il suo desiderio di diventare il 25 agosto 1910 parroco a Sarentino/Sarntal, in una parrocchia impegnativa per le molte frazioni e i molti masi sparsi. Giovanni vi fondò piccole scuole nelle varie località, seguendo i maestri e impegnandosi anche personalmente, soprattutto nel catechismo. Nonostante i molti chilometri da percorrere a piedi su sentieri di montagna, visitava con regolarità i malati e i parrocchiani più poveri, distribuendo loro viveri.
Il 13 settembre 1819 fu nominato parroco di Merano. A Merano continuò il suo operato con dedizione, ha aiutato la scuola delle Dame Inglesi, aiutando operai e artigiani in difficoltà e ogni settimana visitava i carcerati e dedicava molto tempo alle confessioni. Il 26 ottobre 1826 è stato chiamato a Trento dal vescovo Francesco Saverio Luschin e è diventato canonico e membro del Capitolo della cattedrale di Trento. Nel 1827 il 26 dicembre è stato nominato provicario con l'incarico di provvedere alla parte di lingua tedesca della diocesi. Nel 1832 gli è stato conferito il titolo di vescovo titolare di Ellenopoli sul Ponto e di ausiliare del principe vescovo di Bressanone per la provincia del Voralberg, da Papa Gregorio XVI.
La consacrazione episcopale è avvenuta il 20 maggio 1832 nella chiesa dei Serviti a Innsbruck, per mano del vescovo di Bressanone Bernardo Galura. E il 15 luglio 1834 su proposta del vescovo Luschinm di Trento è stato designato arcivescovo di Leopoli. L'imperatore Francesco I nomina Giovanni Nepomuceno de Tschiderer vescovo di Trento, nomina che è stata ratificata il 19 dicembre dello stesso anno da Papa Gregorio XVI.
Giovanni giunse a Trento l'uno maggio 1835, nel suo episcopato si era distinto per le numerosissime visite pastorali in tutte le località della diocesi, che per estensione era seconda solo a quella di Milano.
Consacrò sessanta nuove chiese e continuò la sua opera in favore dei più poveri sostenendo tra gli altri il Johanneum di Bolzano e l'Istituto per sordomuti di Trento.
Nel 1859 l'aggravarsi della sua malattia, idropisia cardiaca, gli impediva quasi di muoversi, ma continuò le celebrazioni episcopali fino a che nel 1860 colto da febbri alte fu costretto a letto. Dopo aver ricevuto l'unzione degli infermi e la benedizione papale la sera del 3 dicembre 1860 spirò serenamente.
Nel 1873 il suo successore Benedetto Riccabona ha provveduto all'avvio del processo diocesano informativo
sulle virtù di Giovanni Nepomuceno, che al 30 aprile 1995 a Trento ha portato alla beatificazione del vescovo trentino.

Con questo chiudo le mie pagine… se siete arrivati fino qua senza saltare dei capitoli…
allora vi devo proprio dire: "Grazie di cuore"

 

webmaster Fabio D'Alfonso


 
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