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Il Training Autogeno, la Pedagogia e la Didattica

 


Franco Blezza

Facoltà di Scienze Sociali
Università degli Studi "G. D'Annunzio"
Chieti


 

Pedagogisti e Didatti, oggi: gli eredi legittimi di una storia antica

Affacciandoci ad un settore nel quale noi Pedagogisti e Didatti (nel senso di studiosi di Didattica Generale) siamo relativamente nuovi, essendo il Training Autogeno finora “casa” soprattutto di Medici e Psicologi: ci corre il gradito compito, con l’espressione di stima per chi questo ingresso ha voluto, di presentarci.§
Chi siamo? Siamo gli eredi legittimi di una cultura la cui storia è antica quanto quella della stessa Medicina, svoltasi con alterne vicende per due millenni e mezzo, e riemersa come professione non necessariamente scolastica, né primariamente rivolta alle età dello sviluppo, da qualche decennio.
La storia della Pedagogia affonda le sue radici saldamente fino alle origini della civiltà occidentale, di cui è parte integrante. Se ne considerano fondatori i Sofisti, i quali costituirono anche i primi professionisti dell’educazione, fioriti a partire dal sec. V a.C., e Socrate (469-399) [1]: coevi, quindi, ad Ippocrate (460-370).
La nostra professione attinge a quelle fonti antiche, oltreché il suo blasone, i suoi componenti primi anche come pratica operatività d’esercizio: il dialogo, la cittadinanza come socialità e come partecipazione attiva alla vita politica (politeia), l’ironia e la maieutica, le regole della logica, la retorica, il gnvqi seauton o nosce te ipsum, con il senso delle proprie potenzialità e dei propri limiti, e la condanna della ubriV, e via elencando, considerandovi anche quanto ci hanno apportato Platone ed Aristotele oltre a Socrate e ai Sofisti, in originale e liberati di certi platonismi e certi aristotelismi. Il che spiega, tra l’altro, come mai noi studiamo la nostra storia assieme alla Storia della Filosofia, o alla Storia Umana, come materie fondamentali nella nostra formazione iniziale.
Il termine è tardo-medievale (Francia, 1495, e poi Germania): indica non l’educazione, ma la riflessione su ciò che è educativo. Deriva dal termine greco paidagogoV, poi latino pedagogus, che designava prima di tutto lo schiavo responsabile di condurre il fanciullo a scuola o nei luoghi dove veniva educato; e solo successivamente, e in certi casi, chi si prendeva cura dell’educazione in senso più lato. Così il termine pedagogo andrebbe richiamato dalla desuetudine, per indicare chi opera professionalmente come educatore avendo una salda teoria pedagogica (Erziehungswissenschaft) alle spalle e distinto dal generico educatore (come in tedesco il Pädagoger si distingue dall’Erziehrer o dallo Jugend-lehrer). Invece, il Pedagogista (Pädagogiker) è figura “di mezzo” tra questi operatori pratici dell’educazione e chi elabora una teoria dell’educazione (Erziehungswissenschaftler). Una revisione terminologica, come la storia ci insegna, viene solo successivamente all’evoluzione socio-culturale: nello specifico, a quell’evoluzione che ha condotto alla rinascita della professione di pedagogista, dopo due secoli di evo breve (fine ‘700-fine ‘900) caratterizzato dal Bürgergeist, nella transizione all’evo seguente [2].
Il concetto stesso di educazione si è da tempo liberato dalle limitazioni ottocentesche che lo volevano confinato nella scuola e nelle età dello sviluppo (o in parte di esse), salvo casi rientranti nella cosiddetta “Pedagogia speciale” (handicap, devianza, marginalità, deficit di varia tipologia, ..)
L'etimo latino e-ducere dice abbastanza poco: Tanto più che esiste anche un educare che rimanda alla Nurture contrapponibile alla Nature. Il lungo dibattere, anch'esso ottocentesco, tra simili opposti dualismi, riconducibili per lo più al dualismo tutto filosofico tra Positivismo e Idealismo, ha dimostrato tutta la sua inutilità. Tra questi dualismi vi è, con quello tra il “trarre fuori dall’educando” o il “fornire all’educando” (e-ducere ed educare, appunto), anche quello, di storia più lunga, che rimanda l’educazione e l’insegnamento al concetto di Bildung, a seconda che la Bild sia considerata interna all’educando-discente, oppure esterna e in qualche modo incarnata o attualizzata dall’educatore-docente.
Oggi si riconosce, generalmente, che tale altissima prerogativa umana non ha sedi né età privilegiate, ma può comprendere “qualunque forma di comunicazione interpersonale la quale concorra, o sia suscettibile di concorrere, alla perpetuazione della storia e dell'evoluzione culturale come prerogative essenzialmente umane.” [3]. E non si attribuisce all’etimo del termine “Pedagogia” molto più valore di quanto non ne possano attribuire a quello della loro propria disciplina i matematici, o i chimici.
Come didatti, studiosi cioè di Didattica Generale, siamo eredi di secoli d’insegnamento professionale, intenzionale, formalizzato, istituzionalizzato. Il verbo didaskw, insegno, e derivati era comune in greco, mentre nel latino classico troviamo solo didascalicus. E’ medievale anche la locuzione ars didactica, poi ripresa in francese e successivamente in altre lingue europee. Dopo Rachius (Wolfgang Ratke, 1571-1635), è quasi doveroso il riferimento a Comenius (Jan Amos Komensy, 1592-1670) ed in particolare alla Didactica magna (1657). Ma la definizione di questi della Didattica come “arte d’insegnare” va attentamente ripensata considerando che “ars” indicava (e avrebbe indicato ancora a lungo) attività scientifiche o tecniche come la Medicina, l’Architettura, l’Ingegneria, e via elencando. Una svolta, con riferimento organico ad una scienza ancora di là da venire come la psicologia, si avrà con Johann Friedrich Herbart (1776-1841).
Anche in questo caso, scontiamo un’eredità recente contraria alla professionalità: si tratta della eredità Neo-idealistica italiana la quale, con i due teoreti (e politici) fondamentali Benedetto Croce e Giovanni Gentile, e con una parte dell’insegnamento di Giuseppe Lombardo Radice: questo si vede bene nell’impostazione che ha avuto per tanti anni l’Istituto Magistrale, scuola di cultura umanistica dalla quale era esclusa qualunque professionalizzazione, e nel reclutamento dei docenti medi come esperti disciplinari, con la sola alternativa delle a-periodiche sanatorie in base ad una “esperienza” intesa solo come conta dei periodi di servizio prestato: tutte chiare scelte politiche che hanno trovato una decisa riforma solo negli ultimissimi anni, con l’attivazione nel 1998 del Corso di Laurea (quadriennale) in Scienze della Formazione Primaria e nel 1999 delle Scuole di Specializzazione per l’Insegnamento nella Secondario (o SSIS), entrambe rilascianti titoli accademici con valore abilitante.

Il problema della scientificità, e l’equivoco operazionalistico

In questa sede, con il termine “scienza” assoluto, senza cioè ulteriori specificazioni, intendiamo le scienze della natura, e quelle scienze della cultura che sono ad esse ravvicinabili pere metodo: ciò, coerentemente all’uso comune e anche all’uso accademico del termine (“facoltà scientifiche”). La precisazione può essere superflua in un contesto sanitario, ma non lo è quando si parli di Pedagogia e di Didattica e delle questioni epistemologiche che le riguardano.
Se volessimo riproporre il problema della scientificità nei termini di Wilhelm Dilthey (1833-1911), cioè distinguendo le discipline per oggetto di studio, dovremmo ascrivere la Pedagogia e la Didattica al differenziato mondo delle Human- Sozial- Geistes- Wirtschafts-wissenschaften, con non pochi problemi nella traduzione in italiano come scienze umane, o della cultura, o dello spirito… mentre dovremmo ascrivere la Medicina alle Naturwissenschaften. Se invece poniamo il problema nei termini più attuali di metodo, come già presso il contemporaneo di Dilthey Wilhelm Windelband (1848-1915), allora troviamo le analogie più piene tra la Pedagogia e la Didattica da un lato, e la Materia Medica con il Training Autogeno al suo interno: sono tutte scienze, aventi come oggetto comune l’uomo come portatore di bios e di ethos, come soggetto di storia e di cultura, come individuo di una comunità soggetto di valori e sede di comunicazione cioè, come diremmo con locuzione tecnica dei Pedagogisti, come persona.
L’Epistemologia del ‘900, dalla quale è stata largamente informata la Pedagogia contemporanea, ha superato il dualismo tipicamente filosofico tra Idealismo e Positivismo. Riconfermando quanto era già chiaro nel Pragmatismo statunitense di fine ‘800, oggi si concorda nel considerare scienza “in senso stretto” un corpo di teorie sulla realtà che soddisfi le due condizioni della coerenza logica (o “interna”) e della controllabilità con dati di fatto che non abbia ancora condotto a falsificazioni (o coerenza “esterna”, la quale è sempre provvisoria).
Nel descrivere sinteticamente lo status epistemologico della Pedagogia, Mauro Laeng così si esprime “Comprende l’arte dell’educazione, la scienza di quell’arte, e la filosofia di quella scienza.” [4]. La Pedagogia, insomma, ha un componente scientifico essenziale, e d’importanza e peso specifico crescenti, ma è qualche cosa di più complesso e comprensivo di ciò che si intende, in senso stretto, con il termine “scienza” e derivati.
E’ diverso lo status quaestionis per la “didattica”.La scientificità della didattica sta nella riscontrabilità di conseguenze dell'atto didattico sull'allievo in termini di modificazioni osservabili, ciò che corrisponde metodologicamente al concetto medico di “evidenza”. Non e quindi necessario passare per la “Pedologia” o per la “Matetica” perché si possa fare della scienza e della professionalità in Didattica, come non è necessario ipotizzare una disciplina specifica del paziente, della quale sarebbe difficile fin escogitare un termine, per la Medicina Chirurgia, o per la Psichiatria o per la Psicoterapia.Si rimane sul punto di vista del pedagogista o del didatta-docente come su quello del medico o dello psicoterapeuta: che non è arbitrario bensì scientifico, in quanto controllato dalle retroazioni provenienti dall'interlocutore, sia egli allievo, educando, paziente od utente.
La Didattica ha cominciato ad assumere uno status di scienza in senso stretto a partire dall’Ottocento, con significativi precorrimenti in epoche precedenti. Ciò ha corrisposto allo spostamento dell’attenzione sull’allievo e sul di lui apprendimento, rimanendo l'insegnante il soggetto di questa attenzione: nell'insegnante la parte valutativa è integrante della sua professionalità. Così la Didattica è la scienza dell’insegnamento, che ha nell’apprendimento dell’allievo quel dominio esperienziale che le offre i necessari Feedback positivi e negativi.
Un equivoco che va rimosso, a questo riguardo, è il riferimento, esplicito o sottinteso, all'epistemologia operazionista: il credere, cioè, che sia scientifica solo la ricerca quantitativa, fatta di statistiche, grafici, diagrammi istogrammi, ideogrammi, e comunque di quei dati semplici e non soggettivi che i Neo-positivisti chiamavano “Protocolli” (il termine, peraltro, nasce in ambito positivistico). Questo è un errore di sottovalutazione: la scienza è un dominio enormemente più ampio: sono proprio la Clinica Medica e quella Psicologia che non è fatta solo di test e reattivi semplici [5], che ce ne offrono le testimonianze più significative e probanti.
La visione della scienza come complesso e sistematizzazione di operazioni di misura è anch’essa superata, pur se più recente: si chiama Operazionismo, e l’autore di riferimento è Percy William Bridgman (1882-1961). Si tratta di un’Epistemologia che ha dato qualche risultato per alcune parti della Fisica, e le cui applicazioni alla Didattica della Fisica sono risultate interessanti ma di successo e fecondità, alla fin fine, abbastanza scarsi [6].
Ferma restando l’importanza della operazionalità nella scienza, non si può dire che essa costituisca una condizione necessaria di scientificità, essendovi al contrario ampi settori scientifici in senso pieno, sia come ricerca che come professionalità corrispondenti, che vi prescindono largamente: si pensi, oltreché alla Clinica Medica e a tanta Psicologia, alla Storia Naturale, o alle Scienze della Terra.
Su questo si è discusso ampiamente, sia con riferimento specifico alla Pedagogia [7], che alla Didattica [8]. Per una visione non riducibile ad operazionalità, sarebbero innumerevoli le citazioni possibili dal Piaget epistemologo, cioè dalla parte dell’insegnamento del grande ginevrino che rimane valida anche oltre il superamento dei prodotti in termini di scansioni dello sviluppo cognitivo ed intellettuale umano in fasi. E non sarà male notare che questo insegnamento ci viene da uno studioso di formazione iniziale naturalistica, approdato poi ad un fecondo e importantissimo studio scientifico dell’uomo attraverso la mediazione della filosofia, in particolare della filosofia pragmatista [9].
Proprio i medici ne sono i primi testimoni, sia dell'utilità indubbia di dati operazionali, sia nel loro carattere non necessario ne sufficiente.
D'altronde, e parlando più in generale: come ha ampiamente argomentato Réné Thom, “una descrizione completa del mondo matematico, che è il mondo della pura quantità, deve infine introdurre considerazioni <<qualitative>>. Viceversa, per la maggior parte, le qualità [...] si prestano [...] alla costruzione di un campo quantitativo” [10]. Anche il dualismo qualità-quantità è essenzialmente filosofico, non scientifico.


Il nesso metodologico tra Pedagogia e Training Autogeno

E’, in effetti, la metodologia largamente comune che fonda ogni discorso sulla dimensione pedagogica e didattica del Training Autogeno. Il che acquista una particolare importanza per i Pedagogisti, che hanno proprio nella Metodologia un componente essenziale della loro formazione e della loro stessa professionalità.
Cominciamo notando che i protocolli proposti nell’ambito del Training autogeno, a partire dal fondatore Schultz, costituiscono una concretizzazione molto significativa di questa visione di scientificità. Vediamo, come ottimo esempio, quello proposto da Claudio Widmann [11]:

Ora
Data
Posizione
Sensazioni psichiche
(interiori)
Percezioni somatiche
(fisiche)
Difficoltà
Inconvenienti Osservazioni
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Altre versioni di schemi di rilevamento largamente analoghi fanno riferimento a "vissuti somatici" e "vissuti psichici". Il termine "vissuto" richieda probabilmente una mediazione maggiore, oltre ad essere tipicamente psicologico e quindi poco pertinente alla dimensione pedagogica.
E’ possibile impiegare, in questo contesto, il termine “clinico” e derivati nell’accezione metodologica, nel senso di un modo di pensare e di operare che sia attento alla logica della situazione, e che dai casi particolari proceda verso i casi generali: cioè, secondo una metodologia “casistica”, contrapposta a “statistica”, e nel rifiuto di qualunque forma di determinismo. Il Pedagogista agisce insomma per abduzione, riconoscendo attraverso caratteristiche dei casi particolari studiati i tratti che lo riconducono al caso generale studiato e noto; e in questo senso, per via etimologica, si potrebbe anche parlare di diagnostica. Si tratta di una metodologia analoga a quella della Clinica Medica, per la quale esistono innanzitutto i soggetti malati, e solo il Medico è in grado di ricondurre i singoli pazienti, ciascuno con le proprie particolarità e variabilità individuali, ai casi generali delle “malattie”.
Il concetto di Abduzione si deve a Charles S. Peirce (1839-1914), uno dei padri del Pragmatismo “classico”, il logico del gruppo. Tra questi vi era anche il medico e psicologo William James (1842-1910), mentre la parte più strettamente pedagogica si deve a John Dewey (1859-1952) e alla sua scuola, e prende più propriamente il nome particolare di Strumentalismo.
Il Pragmatismo-Strumentalismo ha informato di sé gran parte del potente rinnovamento occorso nell’educazione occidentale e nella scuola nei primi decenni del secolo XX, costituendo tra l’altro la base dottrinale per l’Attivismo Pedagogico (cosiddetto ”storico”) il Movimento delle Scuole Nuove, l’Educazione progressiva. In Italia è stato conosciuto al grande pubblico e ha potuto esercitare una sua influenza solo nel secondo dopoguerra.
Oggi, le sue grandi linee sono riprese come Neo-pragmatismo filosofico e pedagogico, e costituisce il riferimento più saldo per la professione di Pedagogista, come lo è stato per le riforme della scuola a partire dai primi anni ’70. La ripresa di alcune di queste grandi linee è avvenuta sotto la spinta di un’altra corrente di pensiero filosofico, nata e cresciuta in Europa, vale a dire il Razionalismo Critico, o Falsificazionismo, di Karl R. Popper (1902-1994).
Dobbiamo al suo massimo esponente in Italia, Dario Antiseri, negli anni ’70-’80, sia le applicazioni alla Didattica Scolastica [12] sia quelle alla clinica medica [13]. La sintesi è nel fondamentale volume Teoria unificata del metodo [14].
In buon sostanza, si tratta di uscire dal dualismo chiuso Positivismo-Idealismo, anche se non si ignorano gli importanti contributi che il Positivismo ha recato alla clinica medica, soprattutto in Italia con Salvatore Tommasi (1813-1888) e Augusto Murri (1841-1932) e, al di fuori di letture grottesche quanto poco realistiche, con lo stesso Cesare Lombroso (1836-1909). E di optare per una conoscenza a carattere ipotetico deduttivo, creata dall’uomo nel tentativo di risolvere problemi, la cui validità e i cui limiti sono da controllarsi con l’esperienza futura.
Ma vi è un altro aspetto che accomuna metodologicamente la pedagogia e la didattica da un lato, e la medicina e la psicoterapia con particolare riguardo per il Training Autogeno dall'altro: ed è l’impiego professionale della parola per conseguire nel destinatario quelle modificazioni osservabili che sono specifiche delle finalità professionali rispettivamente perseguite. Come scrive Schultz, “La psicoterapia lavora con <<mezzi psichici>>, ma, nella maggioranza dei casi, lo psichico diventa efficace, o per lo meno riconoscibile a livello di efficacia, attraverso la trasmissione linguistica, attraverso la parola. Per lunghissimi tratti della comunicazione linguistica tra paziente e medico, troviamo che sono collegati dalla comunicazione verbale sia situazioni di insegnamento, aiuto, cambiamento, esercizio, addestramento, consulenza e conduzione psichica, sia lavori che avviano a situazioni suggestive o concentrative, e, infine, anche quei lavori che conducono nel profondo <<dell’inconscio>>. Il medico moderno sa che il discorso, quando <<va al cuore>>, porta con sé commutazioni organiche (organismische Umstellung) evidentissime” [15]
Tutto questo vale per il pedagogista, con la sola necessaria esclusione dell'aspetto terapeutico.


Strumenti didattici impiegabili dal Pedagogista nei riguardi del Training Autogeno

Sono sostanziosi e vari gli strumenti (concettuali ed operativi) impiegabili dal Pedagogista anche nei riguardi del Training Autogeno che sono ascrivibili all’ambito della Didattica.
Il pensiero va immediatamente alla scuola, al rapporto docente-discente (magari maestro-scolaro), all’insegnamento con riguardo particolare ai primi gradi di scuola. Questo riferimento non è scorretto, se non lo vuol considerare come esclusivo: “Con il termine didattica ci si riferisce sia all’attività di chi insegna, sia alla riflessione e alla progettazione operativa relative all’insegnamento, alla definizione di orientamenti, condizioni, modalità operative che si ritiene possa assicurarne l’efficacia formativa […]. La definizione di didattica rinvia a quella di insegnamento, identificabile come un’attività volta intenzionalmente, in forma organizzata, […] secondo procedimenti ritenuti efficaci, a sviluppare (estendere, approfondire, modificare) abilità, conoscenze, valori […] il rapporto del soggetto con la propria cultura e con altre culture, Una definizione abbastanza precisa, anche se limitata, di didattica è quella che la indica come una sezione del sapere pedagogico che ha per oggetto il metodo d’insegnamento.” [16]. Da qui parte l’individuazione di una serie di riferimenti essenziali per comprendere la dimensione .
A premessa vi era una chiara presa di posizione secondo la quale “non sono sufficienti né il pensiero né la parola a modificare la realtà. Solo modificando il comportamento si produce una variazione del rapporto tra la persona e il suo mondo. Solo assumendo una prospettiva nuova ci si immerge in una realtà diversa. […] l’azione pragmatica, che include il progetto e lo perfeziona nell’apprendimento, spetta alla didattica.” [17]
Una concezione realistica e adeguata della Didattica rimanda ad una concezione analoga dell’apprendimento, da intendersi “come l’acquisizione di nuovi comportamenti” [18]. E questa consente di attivare i collegamenti con l’intervento psicologico e psicoterapeutico nella piena consapevolezza delle potenzialità e dei limiti dei due settori professionali: come scrive K.V. Wilkes sulla “Modificazione del comportamento”, si tratta una “Espressione generica riferita all’uso applicativo della psicologia comportamentistica, che offre a quanti lavorano in ambito assistenziale (psicologi clinici e dell’educazione, operatori sociali, insegnanti, ecc.) uno strumento per promuovere dei cambiamenti nel comportamento umano.” [19]; visioni unilaterali e riduttive dei riferimenti al comportamento non sono fondate.
Rientra nella Didattica indubbiamente la gran parte delle attività scolastiche, a partire dalla scuola per la prima e per la seconda infanzia e fino ai corsi universitari, e tutto ciò che va sotto il nome di “formazione professionale”, da quella per le professioni manuali ai corsi per le professionalità intellettualmente più elevate di livelli successivi alla laurea. Ma vi rientrano anche attività molto differenti, come quella del pedagogista nel consultorio, o nell’educazione sanitaria e nella medicina preventiva, od anche di chi insegna il Training Autogeno o qualche altra tecnica in via non terapeutica.
Ricordiamo che proprio Iohannes Heinrich Schultz scrisse Übungscheft für das autogene Training [20], cioè propriamente un “quaderno d’esercizi”
Un’attenzione all’insegnamento può, semmai, consentire due obiettivi fondamentali di importanza evidente: di recuperare quella gran parte della professionalità pedagogica che si è sviluppata nell’ambito scolastico, o in ambiti ravvicinabili ad esso, negli ultimi due o tre secoli; ed altresì, di riscontrare il convincimento che l’azione del Pedagogista, anche come didatta, non può essere e non è necessario che sia tenuto sul piano puramente operazionale.
Circa il primo obiettivo, notiamo come sia educazione “qualunque forma di comunicazione interpersonale la quale concorra, o sia suscettibile di concorrere, alla perpetuazione della storia e dell'evoluzione culturale come prerogative essenzialmente umane” [21], il che comprende l’insegnamento come caso particolare di evidente rilevanza. E questo coi rimanda direttamente all’impiego che lo stesso Schultz fa del termine Schulung (femminile, che indica più l' istruzione, la formazione, che non l'allenamento o l'addestramento, da Schule), che egli stesso riferisce allo autogene Training e che non è sovrapponibile né all’anglicismo Training né alla verbalizzazione tedesca di quel termine Trainieren.
Semmai, va osservato che non di trasmissione pura e meccanica si deve trattare, ma di un atto promozionale nei confronti dei discenti e della società intera. Come “in una comunità scolastica” anche nella famiglia “si attua non solo la trasmissione della cultura, ma anche il continuo e autonomo processo di elaborazione di essa, in stretto rapporto con la società” [22] per una evoluzione integrale della persona-interlocutore (“utente” per l’Assistente Sociale, “paziente” per il medico tradizionale, “cliente” sotto altre prospettive ancora) e nel rispetto dei valori dei quali questi è latore.
E circa il secondo, notiamo come non siano e non siano mai state operazionali senza residui né l’esercizio della professionalità del medico, né quella dell’insegnante: ed anzi, sarebbe un errore ridurvele. E pure, entrambi si esprimono così secondo legge e deontologia. Gli insegnanti hanno sempre rilasciato, e continueranno a rilasciare, titoli aventi valore legale pieno e senza alcuna appellabilità di merito e di sostanza, in sede di valutazione sommativa al termine di ogni classe e di ogni ciclo di studi dai sei anni d’età in poi, senza la necessità di una validazione operazionale. Il fatto che si siano integrati alla valutazione dell’insegnante strumenti docimologicamente avanzati, tra i quali quelli che rientrano nella dizione comprensiva quanto equivoca di “prove oggettive”, vari strumenti sociometrici, o protocolli osservazionali di comportamento, non ha mai neppure intaccato tale prerogativa-responsabilità professionale del docente; un po’ come per il medico l’impiego di esami di laboratorio tutti operazionalizzati non ha mai tolto, né si ritiene che mai toglierà, la funzione centrale del medico come uomo. Un computer che faccia le diagnosi e prescriva le terapie, o che valuti gli alunni in senso sommativo e d’uscita promovendo o riprovando, non lo si ritiene proponibile né pensabile da chi conosca l’una o l’altra materia,.
Insomma, esattamente come esiste il cosiddetto “occhio clinico” [23], esiste, ed ha pieno valore legale, quello che potremmo chiamare “occhio didattico”, che entra in gioco in sede di interrogazioni, scrutini, esami e rilascio di titoli aventi pieno valore legale: un tale “occhio” ha un valore ancora più forte di quello “clinico”, anche sul piano legale, perché esso non prevede quei possibili Feedback che sono invece inscindibilmente connessi al secondo nella somministrazione di terapie conseguenti alla diagnosi e alla prognosi. L’operazionalità è certo importante, ma non esaurisce la scientificità, si è detto, e non è condizione necessaria di quella trasferibilità intersoggettiva che alla scienza si richiede, nella fattispecie, del Training Autogeno.
Operazionali possono essere considerate, volendo, le Übungen (femminile, esercizio, pratica, compito, allenamento, esercitarsi), ma non necessariamente il controllo delle stesse mediante esiti le cui rilevazioni sono, largamente, demandate all’ “occhio clinico” del medico che è anche, per quanto osservato, “occhio didattico”, e all’autovalutazione dello stesso soggetto. Quest’ultima non esclude il riferimento al professionista, ma lo interiorizza (dal punto di vista psicologico) e lo fa proprio (consciamente, dal punto di vista pedagogico) dell'interlocutore.
Un altro ordine di strumenti concettuali didattici impiegabili nel contesto del Training Autogeno può ravvisarsi in quello che lo stesso Schultz delinea scandendo “in cinque gruppi fondamentali […] l’intera psicoterapia” [24], e che giocano un certo ruolo nella sua teorizzazione, quando si riferisce alla dimensione didattica del Training e che sono l’allenamento, l’esercitarsi, come un seguito dell’azione del didatta sul discente in cui si vede bene come la prassi non venga compiuta dal primo sul secondo ma venga invece compiuta dal secondo su sé stesso; ed ancora “i procedimenti che sono in stretto rapporto coi metodi psicologici puri, quindi l’esercitarsi (Üben) a singoli compimenti (Vollzug) e l’addestrameno (Schulung) psico-fisico dell’uomo globale.” [25]. Essenziale, da un punto di vista che speriamo non sia solo il nostro, è che il conseguimento di simili Vollzugen, o Vollziehungen, non sia frutto di Zwang, come nella comune parola composta Vollzugszwang [26].

Il Pedagogista nella sanità

Il problema generale del rapporto tra il Pedagogista e gli operatori di alto livello nel settore sanitario, entro il quale si pone e si cerca di risolvere anche quello del Pedagogista rispetto al Training autogeno, va posto in termini rigorosi con una distinzione netta e che non ammette eccezioni né riserve: il so operare è, come abbiamo osservato, una forma particolare di intervento con la parola, e di un parlare reciproco, di let’s Talk! Questo espone a fraintendimenti un esame superficiale dell’intervento del pedagogista come interlocuzione e consulenza, in quanto potrebbe presentare delle similitudini con quelle dello psicologo o del medico che esercita l’intervento psichiatrico in talune forme tipiche sue proprie.
Ma vi sono almeno due discrimini assoluti: il pedagogista non è un terapeuta, e il pedagogista non si occupa di inconscio. Quella che egli pratica è una forma particolare di relazione d’aiuto, nello stesso senso (non terapeutico, non presupponente una “fisiologia” di riferimento) in cui gli psico-sociologi come Georges Lapassade introdussero la locuzione negli anni ’60: tale locuzione è stata poi assunta, separatamente e nello specifico di ciascuno, dagli assistenti sociali e dai pedagogisti. E tale relazione d’aiuto si esercita, dialogicamente, sul piano culturale.
Il pedagogista non è in alcun modo un terapeuta. Questo è un fatto intrinseco del suo essere professionista dell’educazione, e dell’educazione come la si intende oggi e da tempo: il che esclude una verità (una “fisiologia”, o “legalità”) di riferimento interna, per un riferimento esterno e, di conseguenza, ascrivibile ad altre e diverse figure professionali.
Ciò significa, tra l’altro, che egli deve escludere dal proprio agire anche ogni possibilità, o rischio, che il suo interlocutore individui il proprio terapeuta in lui stesso anziché in altre figure che possono esserlo propriamente, per cultura e preparazione oltreché per status professionale legislativamente sancito.
Non vi sono obiezioni di principio a che il pedagogista impieghi strumenti concettuali psicologici o medici (o sociologici, filosofici, giuridici, ...). Il carattere composito della sua cultura, e la sua capacità di assumere da Input differenziati per volgere a fini educativi contributi essenziali di altri saperi, costituisce anzi uno dei punti di forza della pedagogia. Invece, si deve escludere che egli possa comunque far ricorso a strumenti terapeutici, in particolare psicoterapeutici. E questo, prima che non per ragioni di principio e per ragioni giuridiche, che pur sussistono entrambe, perché il pedagogista in quanto tale non ha la preparazione che gli consente di tener sotto controllo tutte le variabili, e tutti gli effetti collaterali, cui il ricorso a siffatti strumenti potrebbe dar luogo.
Ciò significa quindi che, allo stato, non sembra aprirsi alcuna possibilità perché il pedagogista acceda a quelle applicazioni del Training Autogeno che si propongono scopi terapeutici, in particolare quelle del Training Autogeno superiore.
Ciò significa, altresì, che le controindicazioni non le può certo diagnosticare il Pedagogista, anche se è bene che abbia una cultura tale da consentirgli di ipotizzare una possibile loro presenza e, quindi, di indirizzare il cliente-allievo-interlocutore ad uno specialista per i controlli preventivi che si rendessero eventualmente necessari. Egli, se lavora da non terapeuta nel Training Autogeno, deve conoscere bene le controindicazioni per l’applicazione del metodo (ad esempio pericolo d’infarto, problemi legati al diabete, soggetti paranoici, ecc.); e deve saper valutare fin dove può arrivare la sua propria competenza, e quando invece il caso sia da demandarsi ad altro professionista. Se ha dei dubbi sarà comunque indicato che chieda aiuto ad un medico o ad un terapeuta, dovendo comunque essere sempre in grado di riconoscere ciò che non è di sua competenza.
Tutto ciò, invece, non impedisce che il pedagogista parli, propriamente, di anamnesi, in particolare che si prefiguri una vera e propria anamnesi pedagogica e culturale. Questa può giocare un ruolo importante nei preliminari dell’insegnamento del Training Autogeno, in quanto può mettere in luce le potenzialità di autodisciplina, di organizzazione di sé stessi, di controllo dei propri tempi, di attenzione e cura di sé. E via elencando.
E’ altresì possibile parlare, nello stesso senso, di diagnosi pedagogica, nel senso etimologico che è comune anche alla diagnosi medica: un conoscere attraverso. Come scrive Piero Crispiani, essa costituisce una “conoscenza approfondita, empirica ed ermeneutica, di singoli soggetti o singole situazioni, colti nel loro senso, oltre le apparenze e nella loro interezza.” [27]
Un’altra distinzione sta nella preclusione di principio da parte del Pedagogista nell’accedere all’inconscio. Tutta l’azione del Pedagogista si svolge sul conscio: può essere un conscio sottinteso, non discusso, mai criticato, e magari mai fatto oggetto di analisi alcuna, perché dato per scontato, ovvio, tacitamente ammesso ed accettato, non necessitante di alcuna attenzione né richiedente di nulla del genere. Questo succede, e all’esperienza dello scrivente succede spesso. Ma alle soglie dell’inconscio il Pedagogista deve necessariamente fermarsi, e semmai reindirizzare l’interlocutore ad altro professionista a ciò qualificato, cercando semmai di preparare la strada, di presentare bene il nuovo rapporto professionale, eventualmente anche di rimuovere quegli ostacoli che vi fossero, ad esempio di carattere culturale, quando l’accesso a terapie neurologiche e psichiatriche venga ritenuto disonorevole o da evitarsi, oppure quando in un train de vie con scarsa cura per sé stessi una adeguata, regolare e cadenzata frequentazione di un terapeuta non trova posto.
Sono questi i casi nei quali meglio risalta la professionalità del Pedagogista come un didatta. Sono anche quelli nei quali si può ipotizzare una significativa modificazione del Setting, da quello dell’interlocuzione cioè su posizioni anche formalmente paritarie, a quello del docente-professore di là di una scrivania-cattedra o simile.

Lo specifico del Pedagogista nel Training Autogeno

Detto della dimensione Pedagogica e Didattica del Training Autogeno, vediamone lo specifico, come aspetto particolare di ciò che il Pedagogista può essere chiamato ad apportare della propria cultura e della propria professionalità nel campo sanitario.
Il Training Autogeno si va progressivamente aprendo a settori detti “non clinici” come sono l’educazione, il lavoro, lo sport. Dal punto di vista pedagogico, per le ragioni che si sono accennate, piuttosto che di settori “non clinici” parleremmo di settori “non terapeutici”, in quanto l’aggettivo “clinico” nel nostro contesto viene impiegato in senso puramente metodologico, cioè situazionale, casistico, contrapposto a “statistico operazionale”.
Sono scelte terminologiche che si comprendono contestualizzandole. Vediamo a quali contenuti possa corrispondere questo ampliamento del dominio.
In un certo senso, tutto l'insegnamento del Training Autogeno è Didattica. E, come lo stesso Schultz più volte accenna, il medico in una prospettiva di psicoterapia bionomica agisce pedagogicamente: con riferimento, cioè, alla Pädagogik, e non direttamente alla Erziehung, e neppure ad un Unterrich. Vale a dire che agisce da professionista presupponendo anche una ben precisa teoria pedagogica che non è elaborata da lui ma che egli mutua, e da questa trae un [28] componente essenziale per il suo esercizio professionale.
Il Training Autogeno, in sé, non ha finalità pedagogiche in senso stretto. Non è uno strumento concettuale ed operativo proprio e specifico della Pedagogia Generale, né della Pedagogia Professionale. L’impiego del Training Autogeno per finalità pedagogiche richiede l’inquadramento in un contesto più ampio.
Detto questo, va contestualmente notato come esso possa essere impiegato per finalità pedagogiche: il che vale, del resto, per tutti gli Input che la Pedagogia trae dalle cosiddette “scienze dell’educazione”, configurandosi come un meta-discorso che assume, riprocessa e rivolge a fini suoi propri, cioè di educazione (Erziehung), quanto viene elaborato con finalità differenti (ad esempio teoretiche, cognitive, oppure terapeutiche, o giuridiche, e via elencando). Il che costituisce il reciproco di quella mutazione dalla Pädagogik da parte del medico che ha teorizzato Schultz, come testé ricordato.
Tutto ciò può consentire di appurare se il Pedagogista, con la propria storia (coeva a quella della medicina e molto diversa) e con la sua professionalità (metodologicamente ricca di analogie, ma anch'essa diversa, ha qualche cosa di specifico da dire sul Training Autogeno.

La formula proposizionale

Claudio Widmann espone una serie di controindicazioni assolute del Training Autogeno, e di controindicazioni relative ad una o più formule, queste seconde che portano alla necessità di apportare delle modifiche [29]: se si osserva, si tratta di controindicazioni tutte di ordine medico, sulle quali il pedagogista non può avere altra voice in capitolo che non sia quella di recepire dal medico la diagnosi e le prescrizioni, ivi compresa la messa in atto di quegli accorgimenti particolari, che consentono comunque di praticare il Training Autogeno.
Un campo che potrebbe esser di interesse specificamente pedagogico potrebbe essere costituito dallo studio della formula proposizionale della calma, senza per questo volerne escludere una modificazione apriosticamente. Non sfugge che questo costituisce un problema di fondo e un motivo d’aggregazione per questa sede di studio e di formazione: ma lo poniamo come problema, non dimenticando che la condizione necessaria di praticabilità di qualsiasi intervento pedagogico, la quale deve essere presente nell’interlocutore come nel pedagogista professionale, è costituita dalla cosiddetta “apertura”, vale a dire dalla “disponibilità piena e senza riserve (in particolare, senza riserve mentali) a cambiare, a divenire e al divenire evolutivo; a rimettersi sempre in discussione con tutto sé stesso, e a cominciare da sé stesso, come proprie idee di fondo e come proprio progetto di vita; a ripensare le proprie scelte, specie quelle fondamentali, e le proprie relazionalità e relative modalità d'instaurazione e d'esercizio; a rimettere in discussione anche le cose considerate e prese come le più fisse, tra le quali sé stesso, a cominciare da sé stesso; e un convincimento profondo del valore del pluralismo, della divergenza, del dubbio come elemento metodologico essenziale” [30]
Lo studio della formula proposizionale va visto come un problema tipicamente pedagogico Non si tratta, è chiaro, di alterare nella sostanza quanto aveva pensato Schultz, ma di renderlo meglio funzionale al contesto cambiato, che è innanzitutto linguisticamente differente, e di pensare attentamente se possono esservi differenze ulteriori anche considerati i tempi e la casistica nei quali Schultz stesso ha operato. Del resto, è acquisita l’esistenza di formule particolari per problemi specifici.
La stessa traduzione, come ben noto, costituisce un problema tutt’altro che banale: si rifletta anche solo sull’evidenza secondo la quale, in lingua italiana, “com-ple-ta-men-te” è una parola lunga, di tredici lettere e soprattutto di cinque sillabe, che ben scandita attira su di sé l’attenzione almeno quantitativa prioritaria su tutta la formula. Viceversa, in lingua tedesca, “ganz” è monosillabo (ma anche, ad esempio, “vollstandig” o “völlig” sono considerevolmente più brevi e, probabilmente sarebbero meglio equilibrate nell’economia complessiva della formula).
“Io sono completamente calmo” ha un significato preciso nell’economia interna del discorso propriamente medico. “Io sono calmo”, chiaramente, è altra cosa.
Un eventuale studio di formule preposizionali alternative sarebbe tipicamente pedagogico, specie se tendente a volgere il Training Autogeno a finalità che fossero a loro volta d’ordine pedagogico, come potrebbero essere, ad esempio, la concentrazione nello studio o nel perseguimento di un obiettivo scolastico o concorsuale o culturale ben preciso, oppure l’allontanamento di alcuni ostacoli nella pratica sportiva, o l’ottimizzazione nell’impiego delle proprie risorse, e via elencando. Sarebbe nient’altro che uno dei tanti casi particolari nei quali il pedagogista recepisce Input provenienti da altri domini (non solo medico o psicologico, ma anche sociologico, giuridico, filosofico, morale, …), e li riprocessa iuxta propria principia, volgendoli alle finalità proprie, cioè educative, che non sono proprie di nessuno degli altri campi menzionati.
La Didattica, e la Pedagogia Sperimentale, ci offrono gli strumenti per valutare l’efficacia delle modificazioni, mediante il confronto tra prove d’ingresso e prove di uscita di un gruppo sperimentale, e quello di un gruppo di controllo che invece mantiene la formula originaria.
C’è chi preferisce tentare un ricompattamento della categoria attorno ad una ottemperanza sostanziale all’originalità dell’insegnamento di Schultz. Qualora invece si ritenesse di considerare la possibilità, anche solo in via d'ipotesi di lavoro, di una modifica di tale formula, in vista di obiettivi particolari, questo andrà considerato senz’altro competenza dei pedagogisti, seppur certo non dei soli pedagogisti.

Le motivazioni, e le conseguenze relative

Se invece, in questo contesto, e fintantoché consideriamo non modificabile la formula preposizionale, allora per il Pedagogista si sposta il piano dell’esercizio specifico: ferma restando una formulazione, e una didattica, comune a quella di altri professionisti, si pone un grande problema del ruolo che può avere il Training Autogeno, come accesso ad esso e come suo impiego, nel progetto di vita di ciascuno, e come sue funzionalità, e più in generale come congruità umana.
Un primo discorso di questo livello riguarda le motivazioni: non solo e non tanto “perché un soggetto si accosti ad apprendere e a praticare il Training Autogeno”, bensì e più propriamente “con quale carico di implicazioni nel proprio progetto di vita, e per il proprio progetto di vita, ciascun soggetto vi si accosti”.
Scrive molto opportunamente ancora Widmann: “Ora mi ripeto la formula della calma: può darsi che effettivamente provi una sensazione di quiete: ben venga! Molto più probabilmente compariranno i vissuti più diversi e disparati. Va egualmente bene!, mi limito a registrarli, a prenderne mentalmente nota.” [31]
Correttamente ascritto alla sfera della Psicologia (vissuto) quanto può mettersi in movimento in corrispondenza della formula preposizionale, rimane da chiedersi con quale bagaglio di aspettative, di motivazioni, ricercando che cosa, il soggetto si accosti a tale formula e più in generale al Training Autogeno: e questo attiene alla sfera pedagogica. Che senso (Sinn) può avere la ricerca di quanto può dare il Training Autogeno nella mia vita di relazione? Nel mio lavoro? Nella mia maturazione? Nella mia ricerca di vie nuove? Nel mio studio?
E, d’altra parte, come interpreto, quale Bedeutung attribuisco, a ciò che dal Training Autogeno via via mi deriva.
Quale ermhneia ermeneìa e quale ermhneusis erméneusis applico al Training Autogeno nel mio progetto di vita.
Uno dei compiti cui la ricerca pedagogica è chiamato, e quindi uno dei punti che poniamo alla nostra ricerca, può essere formulato come segue: quali conseguenze ha il medesimo esercizio del Training Autogeno in progetti di vita diversi?
Si tratta, come del tutto evidente, di una ricerca casistica-clinica, solo molto parzialmente (e difficilmente) operazionalizzabile.
Le persone che vengono ad apprendere il Training Autogeno sono tante, con altrettante motivazioni differenti. Ma esso non costituisce una tecnica ginnica, per cui è il didatta a decidere se ciò potrà avvenire: questo, anche perché le differenze di motivazione cambiano qualche cosa di sostanziale, anche se i sintomi somatici dal lato strettamente medico (cuore, temperature, respiro, …) non cambiano. L’obiettivo del Training Autogeno rimane il raggiungimento dello stato di calma compiuta: conseguito il quale, a seconda del soggetto e delle sue motivazioni, la stessa realtà apparirà diversa, migliore, più accettabile o piacevole. Insomma, i vari perché troveranno una risposta in questo raggiungere naturalmente , attraverso il “lascio che accada”, lo stato di calma.

La vita come Problemlösung

Un secondo ordine di compiti predicabili propriamente al Pedagogista nel suo specifico professionale riguarda ciò che i pedagogisti stessi chiamano l’“agire per problemi”. Esiste una didattica “per problemi” che ha il suo capostipite, almeno, agli anni '40 e all'opera di Georges Polya, nel campo della Didattica della Matematica [32]. E' sempre di questo dominio quella che, probabilmente, è stata la sperimentazione didattica più ampia, e meglio fondata, della metodologia per problemi che abbia avuto luogo nel nostro paese, e precisamente il ricordato "Progetto Prodi - Matematica come scoperta" che ha interessato tutte le classi medio-superiori, e in ordini di scuola diversi, fin dai primi anni '70 [33]. Poi, questa metodologia didattica si è estesa alle varie materie scientifico-naturalistiche, e successivamente alle scienze umane e sociali, più recentemente alle Filosofia; mentre il metodo cosiddetto “naturale”, oggi “situazionale”, per l’insegnamento delle lingue cosiddette “moderne” può considerarsene una particolarzzazione.
Ma il discorso è più generale, per il Pedagogista che si consideri correttamente anche un metodologo. Vale il principio popperiano tutta la vita è risolvere problemi (Alles Leben ist Problemlösen [34]), che si completa con il popperiano unended is the Quest [35].
La visione della vita a-problematica la si comprende storicizzandola, era tipica dell’educazione dell’evo borghese (che è sorto con le rivoluzioni borghesi di fine ‘700, ed è andato in crisi con la seconda metà del ‘900). Era un corollario dell’educazione come omologazione a modelli, la quale doveva durare relativamente poco (una dozzina d’anni) nel cosiddetto “arco di vita”, prevedendosi senz’altro l’imboccare della “retta via” (nei due sensi, di “diritta” e di “giusta”, una ed una sola), dopodiché come nella fiabe “vissero tutti felici e contenti, La cappa di ipocrisia borghese, la rispettabilità, e l’intimità domestica, nonché la potente asimmetria nella costruzione educativa dei generi, tenevano il tutto come noto [36]
Oggi noi riconosciamo che quel Bürgergeist è superato dai tempi, dalla realtà socio-culturale; e che, in questo contesto in divenire evolutivo, l’agire “per problemi” caratterizza l’uomo come persona,, e che l’ideale di una vita a-problematica è un ideale meschino, nonché irrealistico [37].
Alcuni grandi geni hanno precorso la crisi del Bürgergeist e, in questo senso, J.H. Schultz sta per noi in parallelo con lo Erich Fromm di The Art of Loving (1956) [38] e di altri scritti ancora precedenti.
Rimandiamo agli scritti citati per un approfondimento della questione. Limitiamoci, qui, ad enunciare la problematica che supporta un altro aspetto del progetto di ricerca specificamente pedagogico. Essa riguarda i nessi che vi sono tra una vita considerata come una continua posizione di problemi e il Training Autogeno.
Il che non significa interrogarsi sul quali siano i problemi alla cui soluzione possa concorrere il Training Autogeno”, questo può esserne semmai un aspetto molto particolare, anche se non di poca rilevanza. Significa, piuttosto, interrogarsi su come un agire con e su se stessi quale è il Training Autogeno possa coniugarsi come Weltanschauung, per un Pedagogista anche come Meschheitanschauung, oltreché come Methodologie, o se si preferisce come Logik der Forschung [39], con una vita considerata come continua ed interminata Problemlösen.

La scientificità e le modalità di controllo empirico

Un terzo aspetto del progetto di ricerca potrebbe anche considerarsi distinto, seppur non disgiunto, per la sua afferenza più alla sfera della Didattica che non a quella della Pedagogia. Riguarda tutto quanto comprendiamo con il termine, propriamente, di “controllo”, e che viene reso con qualche improprietà nel linguaggio comune con il termine, non equivalente, di “verifica”.
In Metodologia, si dà il nome di “verifica” al controllo che dà esito positivo, come dall’etimo latino “verum facere”. Lo si impiega, con tutte le cautele che discendono dal fatto che non vi è simmetria tra l’esperienza che dà conferme, cioè tra quella che potremmo chiamare “verifica” ma che non dà alcuna verità, e quella che si può invece chiamare “falsificazione” senza alcuna difficoltà. Non ci sono prove a favore,. Per quanto numerose, che possano garantire la verità di un asserto e del sistema di pensiero nel quale esso viene inquadrato in modo da poterne trarre le conseguenze di fatto che ne consentono il vaglio di quella che i Pragmatisti chiamavano ancora nella seconda metà dell’Ottocento l’“esperienza futura”; invece basta una smentita per inficiare logicamente tutto il sistema di riferimento. Anche per questo, la metodologia corrente suggerisce di indicare il dato d’esperienza positivo con il termine, meno forte ma più congruo, di “corroborazione”.
Il controllo, in Training Autogeno, è operazionalizzabile solo in parte, ed è comunque impossibile a ricondursi ad un’epistemologia operazionistica, si è detto: su questo, il Pedagogista non ha nulla da rivedere rispetto a quanto gli testimoniano i clinici medici, e semmai da inserirsi in piena coerenza.
Rilevazioni se ne effettuano sul soggetto, educandolo anche ad autorilevarsi, sia all’inizio che nel corso della didassi che alla fine: il che corrisponde alle ben note tre fasi “classiche” della valutazione didattica (scolastica, e non): la valutazione diagnostica o d’ingresso, la valutazione formativa o in itinere, la valutazione sommativa o d’uscita. E’ una distinzione rigorosamente fissata da decenni nella letteratura pedagogica e didattica, e che è chiara e rigorosa, anche se non sempre essa è seguita con altrettanto rigore nella didassi, in particolare circa il carattere di supporto alla valutazione dell’alunno che solo la terza tipologia di misurazione può fornire, mentre la prima e la seconda debbono servire al didatta per la sua programmazione didattica, e all’alunno per la consapevolezza di sé, di quanto abbia da fare e di quanto effettivamente stia facendo.
Quello che riguarda direttamente il Training Autogeno, e lo specifico del Pedagogista in esso, è un altro aspetto anch’esso chiaro nella letteratura da decenni quanto non sempre seguito con il rigore dovuto: ed è la distinzione tra misurazione e valutazione. Premesso che la rilevazione fattuale nel Training Autogeno è solo in parte misurazione, e comunque non può rientrare in quella categoria di pensiero, il terzo filone di ricerca riguarda in che cosa consista la valutazione nel e del Training Autogeno.
E’ chiaro che la risposta rimanda a questioni pedagogiche generali, come il ruolo del Training Autogeno nel progetto di vita di ciascuno, le aspettative con le quali il soggetto vi accede, l’impiego che poi praticamente il soggetto ne fa, il ricorso cui egli si sente di potervi fare. Ma si tratta di un problema con aspetti e dimensiono differenti, perché qui si tratta di passare ad un qualitativo differente, premesso che non vi è misurazione (cioè puro quantitativo) neppure alla base.
Non si tratta di una forma di “Customer Satisfaction”: qui andrà valutata l’effettiva adeguatezza del Training Autogeno a confortare (corroborare) la scelta di ricorrere ad esso, date certe aspettative.

La relazione d’aiuto

Vi è, poi, tutto quel contributo specifico che il Pedagogista può apportare al Training Autogeno anche senza esserne didatta, E’ quello che potremmo chiamare, in una prima istanza e con una figura retorica che chiariremo subito, l’aiuto del Pedagogista al Training Autogeno
Schultz stesso parla spesso di “aiuto” alla terapia, ed opera rigorosamente una distinzione netta tra “assistenza alla salute e lavoro con i malati” [40]. Non va dimenticato che la relazione d’aiuto che il Pedagogista instaura è sempre ricolta alla persona umana, cioè al soggetto di relazionalità, di cultura, di socialità, e portatore in sé di valori e di Sinn.
Schultz delinea bene una convergenza, al riguardo, con la pedagogia odierna parlando di “rapporto da uomo a uomo”, che “richiede una pariteticità interiore (Gleichstellung), una comprensione dell’altro nella sua peculiarità e nei suoi tratti tipici vitali. Il concetto di paziente come <<persona>>, come lo hanno elaborato Friederich Kraus e allievi, e l’introduzione del concetto di <<soggetto>> nella medicina, come ci viene dalla tradizione di von Krehl, rappresentata soprattutto da Viktor von Weizsäcker, Rudolf Siebeck e altri, devono stimolare qualsiasi attività medica a soddisfare questa giustificata richiesta del paziente.” [41]
Ciò non impedisce che si parli, ad esempio di un aiuto pedagogico “alla coppia”, o “alla famiglia”, o “al gruppo classe”, o ad una squadra sportiva, o ad un’azienda, e via elencando. Si tratta di una sineddoche, il tutto per le parti: l’aiuto è sempre prestato alle singole persone che compongono questi od altri sodalizi umani, anche se è un aiuto specificamente prestato per il fatto che queste persone ne fanno parte, e per le situazioni problematiche che specificamente insorgono in questo farne parte.
Si comprende, quindi, che “aiuto pedagogico al Training Autogeno” significa aiuto o al didatta, o all’allievo-discente, od anche ai familiari e ai vicini dell’allievo: tutte persone che divengono, per ciò stesso, suoi interlocutori.
E’ questo un aspetto particolare di una casistica ben più generale: si tratta della casistica dell’educazione sanitaria e alla prevenzione, e più particolarmente dell’intervento di indirizzamento verso l’accesso alla fruizione di professioni sanitarie, nei casi nei quali ad esso ostino pregiudizi di carattere culturale.
Lo scrivente ha una considerevole esperienza di trattamento pedagogico di soggetti affetti da qualche sindrome nevrotica, i quali si rifiutano di accedere al medico neurologo e alle sue terapie, o ad esempio, di assumere i farmaci prescritti, in quanto convinti che il solo fatto di frequentare quello specialista indichi la presenza di malattie vergognose od inaccettabili o incurabili, e l’assunzione di quei farmaci sia fonte di dipendenza e di altri effetti collaterali assolutamente da evitarsi. Lo scrivente ha pure seguito qualche caso di quella che un tempo si chiamava isteria in soggetti maschi, dove i bisognosi di un aiuto del genere erano i parenti del malato.
Ma vi è dell’altra casistica che per il Pedagogista è metodologicamente analoga. Sono ancora molti, anche se calanti di numero rispetto a tempi non lontani, i casi di donne che non vogliono neppure conoscere il Ginecologo, anche se magari conoscono e bene l’Ostetrico. Diventano, insomma madri, oppure abortiscono, anche più volte; ma si rifiutano di curare il loro apparato genitale al di fuori della riproduzione, come se fosse un’eventualità vergognosa, da donne socio-culturalmente non a posto.
E’ invece crescente, come segno di una ancor limitata presa di coscienza di un ‘problema che ha radici molto profonde, la casistica dei maschi che non vogliono andare dall’Andrologo anche quando ne avrebbero i motivi. Le ragioni sono quelle reciproche dei casi sopra ricordati: il considerare vergognoso e sminuente la propria immagine virile anche la semplice eventualità.
I pregiudizi che ostano ad un pieno accesso al Training Autogeno sono diversi, ma metodologicamente e pedagogicamente presentano delle analogie molto profonde. Ad esempio, il convincimento che alla medicina si debba chiedere una risposta di immediata efficacia, e di minimo o nullo coinvolgimento personale: in questo senso, persino l'assunzione di una compressa a cadenze prefissate, nonché essere caricato di significati risolutivi e destituito di effetti collaterali, viene visto come un appesantimento dell'autodisciplina, per troppi non pienamente osservabile.
Il Trainiren richiede un minimo di disciplina, di applicazione, di impegno personale; le Übungen ne richiedono un'altra dose, anch'essa minima, a ben vedere. Progetti di vita che escludono anche questo minimo di attenzione e di cura per sé stessi, e concentrano tutta la disciplina, l'applicazione e l'oblazione al di fuori di sé stessi, finiscono per vanificare anche la migliore Didattica, in quanto non offrono terreno fertile a questa semina avendo concentrato per altri scopi tutto il seminabile. E questo è un problema fondamentalmente pedagogico: in definitiva, il problema di fondo con il quale chiunque insegni o pratichi il Training Autogeno non può non misurarsi.
Persone che sanno bene di aver bisogno dei benefici di questa risorsa, ma che non sanno andare oltre qualche settimana d'attesa, e si fermano sì e no dopo i primi due esercizi, non sono necessariamente persone incapaci di quell'applicazione, di quella concentrazione, di quella diligenza, di quell'impegno su sé stessi che essa richiede, in misura peraltro molto limitata: ne sono capaci, ma hanno esaurito queste ed altre risorse altrove.
Sono, tanto per capirci, le persone che eccedono nell'assunzione di farmaci “al bisogno” (siano farmaci contro leggerissimi mal di testa, o psicofarmaci ai primi lievissimi mutamenti d'umore), e che spruzzano nel naso dei loro figli il decongestionante ai primissimi segni di chiusura, anziché insegnar loro a soffiarsi il naso.
In casi come questi, un'interlocuzione di limitata durata può rendersi indicata, sia prima che durante il Trainiren.

Il concetto di salute

Il discorso può terminare con un richiamo a come il concetto stesso di “salute” è stato riformulato dall’OMS, e su come il Training Autogeno si inserisca nel modo nuovo ed evolutivo di rivedere questo concetto.
Luciano Corradini, pedagogista animatore di diffusi progetti ministeriali di Educazione alla salute nel senso intuibilmente lato che ne risulta, osserva che “Si fa di solito riferimento alla definizione di salute dell'O.M.S., che parla di benessere fisico, psichico, mentale, sociale e anche morale, come risulta da successivi approfondimenti; e, se si parla di equilibrio, si aggiunge che esso va inteso in modo dinamico, che chiama in causa, oltre agli stati dell'organismo, i sentimenti, le idee, le convinzioni, insomma la cultura della persona: cultura intesa non tanto come un <<bagaglio>> da portare con sé, quanto come un modo di essere, di pensare, di progettare, di agire e d'interagire.” [42].
Come scrive Raffaele Tortora, “è cresciuta in questi anni la consapevolezza che l'<<educazione alla salute>> deve porsi come obiettivo non soltanto la mera informazione, con conseguenti e controproducenti campagne terroristiche incentrate sullo studio della malattia, quanto piuttosto la positività della cura di sé stesso, la valorizzazione della salute quale <<bene>> in sé, espressione di un benessere psicofisico, dello star bene con sé condizione per stare bene con gli altri e nella società.” [43].
Vi sono tutte le premesse per una visione largamente pluralistica dell'educazione: proprio la tematica della salute, nell'accezione ampia d'oggi, la Pedagogia è pressantemente richiesta di manifestarsi con intersoggettività scientifica e non con parzialità ideologiche.
C'è posto per una visione attenta alla società, come quella di Dieter-Jürgen Löwisch, che al problema dello <<star bene> offre una collocazione generale: “Alla base di <<bene comune>> e di <<comune>>, come di <<comunità>> v'è il significato di <<generale>>, <<universale>>. Il termine <<Wohl>> indica bene (in inglese <<Well>> e <<Welfare>>). Alla base del pensiero del bene comune v'è la constatazione di Hegel: <<Non v'è bene senza diritto>> (Filosofia del diritto, pag. 130). Il pensiero del bene comune è vecchio e si trova già nei romani rispettivamente nelle formule bonum comune o bonum publicum; res publica (Repubblica). Nel francese troviamo bien commun, bien public; nell'inglese: common good, public good.” [44]. In italiano, rimane diffusa la traduzione impropria di “Welfare State” in “stato sociale”; esistono espressioni come il latinismo “la cosa pubblica”, o “bene comune”; forse si deve riflettere sulla scarsa disponibilità di locuzioni siffatte.
Ma c'è posto anche per una visione più individualistica, come quella utilitaristica di Lutz Rössner [45], e che si traduce nel Greatest-happiness-principle che egli riprende proprio da Cesare Beccaria: “La maggiore felicità divisa per il maggior numero” [46].
In un ripensamento sul concetto di salute, e su quale sia l’aspirazione alla salute delle persone ai tempi odierni, il Training Autogeno ha un ruolo importante da svolgere: e in questo la pedagogia con i suoi professionisti può essere chiamata da apportare dei contributi essenziali.

Una posizione di problemi

La presente nota ha più la forma della posizione di una serie di problemi, dato un retroterra ben preciso e saldamente fondato, che non quella di una serie di strumenti concettuali ed operativi d’immediata applicabilità, come doveva essere per una presentazione di una professionalità entro quello che è stato teatro per altre.
Ora questa professionalità neo-accolta dovrà dimostrare quanto ha effettivamente da apportarvi. Così la ricerca continua, e le ipotesi si offrono al vaglio dell’esperienza futura.

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[1] Cfr. il John Dewey (1859-1952) più noto alla nostra formazione iniziale. Part. Democracy and Education (1916).Edizione italiana: Democrazia e educazione (La Nuova Italia, Scandicci-Fi 1949 1, 1992 riediz. a cura di Alberto Granese), pag. 389-390. Egli è stato il pensatore di riferimento per l’Attivismo Pedagogico in senso stretto (da qualcuno detto “Attivismo storico”) nei primi decenni del Novecento, e lo è per la rinascita delle professioni pedagogiche di questi ultime decenni, così come per le riforme scolastiche svoltesi nel nostro paese tra gli anni ’70 e gli anni ’90

[2] L’argomento è ampiamente trattato in F.B. Pedagogia della vita quotidiana (Pellegrini, Cosenza 2001), cui fin d’ora rimandiamo per tutto quanto attiene ai fondamenti, alla metodologia e all’applicatività della professione di Pedagogista.

[3] F.B. Educazione 2000 (Pellegrini, Cosenza 1993), pag. 116.

[4] Traiamo questa citazione dalla voce da lui redatta nel volume V dell’Enciclopedia pedagogica a sua cura (La Scuola, Brescia 1992); ma si tratta della formulazione da lui impiegata per decenni nella trattatistica e nella manualistica più diffusa.

[5] Per questo approccio alla ricerca, attraverso i casi e dai casi alla casistica generale secondo quel metodo che il Pragmatista Peirce chiamava “abduzione”, si usa l’aggettivo “clinico”. Si parla così di Pedagogia Clinica, come di Medicina o di Psicologia Cliniche, sinonimo di “casistiche” e contrapposte a “statistiche”.

[6] Merita tuttavia qualche attenzione il fatto che le concretizzazioni più interessanti di questa teoria epistemologica in termini di Didattica della Fisica siano state proposte proprio a proposito della Fisica di base per la formazione iniziale dei medici. Ci si riferisce all'opera di Mario Ageno, a partire da La costruzione operativa della fisica (Boringhieri, Torino 1970), e che si è tradotta essenzialmente nel volume Elementi di Fisica (Boringhieri, Torino, 19561, con numerose ristampe e riedizioni fino agli anni ’80). Di quest’opera è stato tratto anche un libro di testo in 3 volumi per le scuole superiori, di minor successo, con lo stesso titolo: la prima edizione risale agli anni 1963-65, e l'ultima ristampa al 1972.

[7] F.B.: Educazione 2000 (Pellegrini, Cosenza 1993), part. pag. 202-207 dove vengono ampiamente citati Jean Piaget e Alice Miller.

[8] F.B.: Didattica scientifica (Del Bianco, Udine 1994), pag. 125-127.

[9] La sua Autobiografia, sotto forma di intervista resa a Richard Evans, è in Jean Piaget. The Man and its Ideas (1973). E’ pubblicata in edizione italiana, con altri saggi e una bibliografia piagettiana sufficientemente ricca e fruibile, nel volume Cos’è la psicologia (Newton Compton,. Roma 1979 e successive riedizioni).

[10] Si rimanda alla voce “Qualità/quantità” da lui scritta per l'Enciclopedia Einaudi (in 16 volumi; volume undicesimo, pag. 460-476, Torino 1980) per la trattazione essenziale. La sua opera fondamentale Stabilité structurelle et morphogénèse è del 1976 (ed. it. Stabilità strutturale e morfogenesi; Einaudi, Torino 1980).

[11] Vademecum di Training Autogeno (La Bancarella, Schio-VI 1980), pag. 56..

[12] Si vedano in particolare, per i tipi dell'Armando di Roma, I fondamenti epistemologici del lavoro interdisciplinare (1971), Epistemologia contemporanea e didattica della storia (1974) e Epistemologia e didattica delle scienze (1977); i due volumetti della SEI di Torino che hanno aperto la collana “Quaderni di Scuola Viva” da lui stesso promossa, Introduzione alla metodologia della ricerca (1986) e Didattica della storia (1986, con Lucia Mason); ed in particolare Teoria e pratica della ricerca nella scuola di base (La Scuola, Brescia 1985). Quest’ultimo testo si è rivelato particolarmente efficace nella formazione universitaria degli insegnanti elementari in lingua italiana delle scuole di Croazia, cui si è collaborato a Pola fino allo scorso a.a.

[13] Vi sono state numerosi saggi pubblicati sulla letteratura medica. Ne segnaliamo due, apparsi su “Medicina nei secoli” (vol. XV, n. 2, maggio agosto 1978, pag. 209-253) e su “Romagna medica” (suppl. vol. XXXIV, fasc, V, 1982, pag. 31-50).

[14] Liviana, Padova 1981. Qui egli argomentava come il medesimo metodo delle Scienze Naturali (capitolo I) sia applicabile alla Diagnosi Clinica (capitolo II), come anche alle Scienze Sociali e alla Storiografia (capitolo V), all’Ermeneutica (capitolo III), alla critica testuale e alla teoria della traduzione (capitolo IV ed appendice).

[15] Bionome Psychotherapie – Ein Grundsätzlicher Versuch (George Thieme, Stuttgard 1951). Ed it. A cura di Walter Orrù e Miranda Ottobre Gastaldo (Masson, Milano 2001), pag. 21-22.

[16] L. Trisciuzzi: Manuale di didattica in classe (ETS, Pisa 1999), pag. 10-11: come dichiarato nel titolo, l’attenzione dell’A. va prioritariamente ai problemi di Didattica scolastica, ma il riferimento di fondo è del tutto generale.

[17] Ibidem, pag. 9. Segue la citazione di H. Cantril secondo la quale “Ogni nostra consapevolezza, ogni nostro atteggiamento, ogni nostra opinione o giudizio deve sfociare nell’azione se ha da diventare parte di noi.” (le motivazioni dell’esperienza; La Nuova Italia, Firenze 1963).

[18] R. Laporta in A. Canevaro et al. Fondamenti di pedagogia e didattica (Laterza, Bari 1993), pag. 6. L’intera sezione, su “Natura e finalità dell’educazione” (pag. 5-41) inquadra bene la riformulazione della visione della Didattica rispetto a visioni riduttive che la vorrebbero come una materia essenzialmente di dominio scolastico.

[19] Voce di Psicologia- Dizionario enciclopedico (a cura di Roma Harré, Roger Lamb, Luciano Mecacci; ed. or. 1983; ed. it. Laterza, Bari 1986 n.e. 1998), pag. 175.

[20] Thieme Verlag, München 1974.

[21] Educazione 2000, citato, pag. 116.

[22] Art. 2 della legge-delega n. 477 del 30/7/73.

[23] Che non è né un’entità metafisica o idealistica, né un puro registratore di presunti “fatti puri”: sono questioni centrali nell’Epistemologia Novecentesca, attenta alla critica al Positivismo e al Neo-positivismo logico, in particolare nel Razionalismo Critico, o Falsificazionismo. Ottime trattazioni in tal senso, riferite ed anche contestualizzate alla realtà italiana e alle relative tradizioni, si trovano nell’Antiseri sotto citato, il quale rimanda anche all’insegnamento di Augusto Murri e, più in generale, a quell’italo-positivismo che fu meno estremista negli assunti dottrinali, e più attento alle varie applicatività, nei campi medico e clinico, giuridico, storiografico, antropologico, pedagogico e didattico, e via elencando. Su questo si vedano, innanzitutto, la Parte Sesta “Il Positivismo” e all’interno di questa la divisione 6 “Il Positivismo in Italia” nel volume 3 del fondamentale Il pensiero occidentale dalle origini ad oggi (La Scuola, Brescia1983, e numerose successive riedizioni ed edizioni in altre lingue), pag. 225-268 e 259-268; e soprattutto la Parte Tredicesima “Lo sviluppo della scienza e le teorie epistemologiche nel secolo XX” (ivi, pag. 705-777), con particolare riguardo al Capitolo trentasettesimo su “Il Razionalismo critico di Karl R. Popper” (ibidem, pag. 741-756). Al termine voi è un’ampia bibliografia alla quale rimandiamo senz’altro.

[24] Bionome Psychotherapie, ed. it. cit., pag. 20.

[25] Ibidem.

[26] Schultz ne parla, ad esempio, nell’op. cit., pag. 105.

[27] Pedagogia Clinica – La pedagogia sul campo, tra scienza e professione (ed. Junior, Bergamo 2001), pag. 220. Seguono le definizioni di alcuni casi particolari di diagnosi pedagogica: la diagnosi declaratoria, differenziale, educativa, evolutiva, funzionale, speciale.

[28] Si ricordi che “il” componente, al maschile, indica qualche cosa di omogeneo, mentre “la” componente indica qualche cosa di eterogeneo, in particolare di quantitativo e formale. Come nel calcolo vettoriale, i componenti di un vettore sono altri vettori, mentre le componenti del vettore ne sono le coordinate, cioè coppie o terne di numeri.

[29] Claudio Widmann, Manuale di Training Autogeno (Piovan editore, Abano Terme – PD 1980), pag. 12-14 e sgg.

[30] Pedagogia della vita quotidiana, citato, pag. 137.

[31] Id., Vademecum di Training Autogeno, citato, pag. 19-20.

[32] L'opera fondamentale, How to solve it, è del 1945 (ed. it.: Come risolvere i problemi di matematica, Feltrinelli, MI 1967). Notevole è anche il Mathematical Discovery in 2 voll. del 1962 (ed. it.: La scoperta matematica, Feltrinelli, MI 1970). Tra le sue opere in edizione italiana, vi è anche un Metodi matematici per l'insegnamento delle scienze fisiche (Zanichelli, BO 1979), che è importante (oltreché ovviamente in questo specifico contesto) anche per quel che diremo più avanti a proposito dell'integrazione didattica tra la fisica ed appunto la matematica: è appena il caso di notare la singolarità, quantomeno, della disattenzione diffusa nella nostra scuola per questo campo d'integrazione che è agevole da attivarsi, anche considerato l'alto numero di insegnanti di scuola secondaria che hanno le due materie nella stessa cattedra.

[33] Questo “Progetto” ha impegnato i Nuclei di Ricerca in Didattica della Matematica del C.N.R., e decine di insegnanti medio-superiori, a partire dagli anni '70. Lo scrivente ha avuto il beneficio di farne parte, come sperimentatore, negli ultimi anni della propria attività d'insegnante (aa. aa. 1980/81, 1981/82, 1982/83 ed uno scorcio del successivo). Come letteratura, questo "Progetto" si articolava, innanzitutto, nei tre libri di testo Matematica come scoperta (per il biennio delle scuole medie superiori, vol. 1 e 2; D'Anna, ME-FI 1975-1977; e per il triennio, in collaborazione con Enrico Magenes, Elementi di analisi matematica, D'Anna, ME 1982). Vi era poi una serie di guide (in particolare i due volumi scritti dai “nuclei” di Guida al progetto d'insegnamento della matematica nelle scuole secondarie superiori proposto da G. Prodi (D'Anna, ME-FI 1977-1978, preceduti da stesure interlocutorie) e di quaderni supplementari su singole branche per i diversi ordini di scuola del grado medio superiore; nonché un notevole numero di “quaderni”, altre “guide” ecc.

[34] E’ il titolo originale dell’ultima rilevante antologia di scritti di Popper (sottotitolo Über Erkenntnis , Geschichte und Politik, R. Piper GmbH & co, München 1994), sia sulle scienze della natura che sulle scienze della cultura che vanno dal 1958 fino al dicembre del 1993 (ed. it. Tutta la vita è risolvere problemi – Scritti sulla conoscenza, la storia e la politica a cura di Dario Antiseri: Rusconi, Milano 1996). Il grande filosofo viennese sarebbe mancato pochi mesi dopo, il 12 settembre 1994.

[35] Unended Quest è il titolo della sua Intellectual Autobiography del 1976 (Collins. London). Edizione italiana a cura di Dario Antiseri: La ricerca non ha fine. Autobiografia intellettuale (Armando, Roma 1986).

[36] Pedagogia della vita quotidiana, citato.

[37] F.B.: Un’introduzione allo studio dell’educazione (Osanna, Venosa – PZ 1996).

[38] Prima edizione italiana: L’arte di amare, Mondadori, Milano 1968, successivamente riedito moltissime volte anche in edizioni economiche e supereconomiche.

[39] E’ il titolo originale della sua opera-base relativa alla scienza. L’aggettivazione è apparsa nell’edizione inglese, dal titolo The Logic of Scientific Discovery (Hutchinson, London 1957), mentre per la prima edizione italiana, largamente arricchita di note e integrazioni, dovremo attendere il 1970 (Logica della scoperta scientifica, Einaudi, Torino).

[40] Bionome Psychotherapie, ed. it. cit., pag. 3.

[41] Idem, pag. 4.

[42] La pedagogia italiana contemporanea vol. I (Pellegrini, Cosenza 1994, 19952), pag. 300.

[43] A presentazione del quaderno Progetto giovani '93 espresso dall'Ufficio Studi e Programmazione del M.P.I. (Tecnodid, Napoli 1990).

[44] Pedagogia tedesca contemporanea vol. II, a cura di M. Borrelli (Pellegrini, Cosenza 1993), pag. 128. In realtà, l'aggettivo latino è “commune”.

[45] Sarebbe da leggere tutto il contributo, dal titolo significativo di “Pedagogia empirico-utilitaristica”, che fa riferimento massiccio alla letteratura di lingua inglese, ed un riferimento a tanti autori italiani molto più ampio di quanto non se ne faccia comunemente in Italia come Cesare Beccaria, Gaetano Filangieri, Antonio Genovesi, Alessandro Piccolomini, Leon Battista Alberti, Giandomenico Romagnosi, Andrea Angiulli, Roberto Ardigò, nonché ad epistemologi contemporanei. Pedagogia tedesca contemporanea, vol. II, citato, pag. 145-167.

[46] Ripresa da Dei delitti e delle pene (1764), edizione Harlem-Paris 1780, pag. 2

 

 

webmaster Fabio D'Alfonso


 
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