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La ballata
dell'uomo misterioso

-1988-
900 versi di Enzo Cicchino

A mio padre
antica immagine
del mio cuore


Nel 1988 partecipai alla sceneggiatura di un brutto film, mai uscito sugli schermi.
Peraltro anche l'argomento mi interessava assai poco, tuttavia per tentare la fortuna... collaborai.
Colmo della sfiga, finii col trovarmi dunque invaso di tanti fogli sudati ed energie spese
al vento che mi svolazavano per la stanza.
Con rabbia, nel tentativo di dare un senso a troppi mesi della mia vita sprecati per quel lavoro
dicisi di tradurre il tutto in terza rima dantesca a endecasillabi incatenati.
Esperienza allo stesso modo delirante, che tuttavia mi ha donato un esercizio sicuro nella flessione al verso, della parola.
Unico intoppo ahimé, è che ormai -dopo tanto tempo- la comprensione del poemetto mi risulta così incresciosa che, io stesso, devo affrontare una fatica
bestia, ...quasi non ci capisco più nulla! Spero dunque che voi lettori, cari lettori vergini a tale inezia, vi risulti molto più chiaro
e divertente che per me... autore!




***

L'uomo misterioso non è altro che un cavaliere del Rinascimento antico proprietario della fattoria in cui la comune di ragazzi abita, ed il cui ritratto viene riportato alla luce da Livia durante il restauro dell'intonaco esterno della casa. E' un affresco meraviglioso; il cavaliere, con indosso l'armatura, combatte tra le fiamme sulle mura di un castello, assediato, nella quale occasione lui trovò la morte. Il ritratto si anima. Invisibile scende dall'affresco vivendo simile ad un capriccioso protettore tra i suoi eterogenei ospiti. Ragazzi e ragazze fra cui Desi che ha una voce splendida; e tanto che il cavaliere se ne innamora entrando in competizione con Davide, un altro dei suoi inquilini.
Nella fattoria, con i ragazzi, vive anche un capriolo a cui Desi è molto affezionata al punto che per salvarlo finisce in fin di vita all'ospedale. Rimessasi, poi, la ragazza in occasione di un concerto in piazza tenuto con i suoi amici, viene scoperta da Toni: discografico famoso... E l'ombra del cavaliere misteriosamente la segue, favorendone il successo.
Ma poi accade che...

 

 

LA BALLATA DELL'UOMO MISTERIOSO

Se 'n è 'l vento è forse l' uragano;                L'affresco...
che riporta in vita il cuore foco
intonaco sarei rimasto invano
se Livia non fosse a scalzar quel loco.
Aprii gli occhi dal chiuso del dipinto
guardando sulla vita come un gioco,
quindi fui scosso, ver nell'aria spinto,
tra Davide Giovann Marco Katìa
Marta, Rico sulla scala avvinto,
bella Desi; è la mia fattoria!
Qual ombra uman ch'anima non perde         La simpatia
né mister fantasma o folle pazzia,
per qué giovan che fé mia terra verde
m'adoprai lavor ed opra d'ingegno
liberarli de le passate merde.
Co' archi trombe tamburi, d'arte pegno         Un tempo fui
di guerra, io cavalier (tempo discrima
l'antica ira che fa omini 'ndegno
lupo d'amor) tradussi in gloria opima
'l terror, che prende e mai colpa non lava
fin che l'impegno, passato, 'n redima.
Or non fu pace in mio cor che amava
battaglie facinorose e ira tanta
che nel fuoco morte che tornava
urlo mio stremò all'ombra pianta.
Non che or volessi tornare in terra             Perché sono qui
e fantasma impazzir Desi che canta
ma fier gioia portar chi valor rinserra
come a compagni del mio passato.
Profumo antico ancor mi prende e afferra
guidai lor mano. Musica. Vibrato,
tenni l'aratro. Semina. Ulivo....
emozion santa del lavor. Rinato
'n mia campagna verde non soffrivo.
tant'ero bello immerso nel colore;
solo 'l mio naso parve un pò retrivo
al timor di un secco raffreddore
ma poi con Marco allegria facendo
mettette bello in moto lor trattore.
Da UOMO MISTERIOSO permettendo         Viaggio in città
volli poi un giorno ir in città
accidenti che sapore orrendo
persino 'l fumo 'n cel carciere sta,
pareva una gran bolgia messa a festa,
nomm'ero mai trovato in questo posto
quindi mi venne un gran mal di testa
e timor, che per fantasma è tosto.
E chi protestava su un cancello
e chi sparava un archibugio arrosto
per il calore, dico: "Che macello
parmi zampon che friggola all'inferno!"
"Ahi! ... " 'n voce allor gridò "...Perciò è bello!"
Come la neve a soglie dell'inverno
'ncontra il sole povero e mendico
e lascia il colle dove ha fatto perno,
così 'l ragion di cima in cima irtico
battuto da violenza che s'ammura
neanche l'ombra sa più dar d'un fico
l'irreligiosa mente che s'oscura.
Io che resisto ai colpi delle lance
in core mio mi venne la puntura
e con Davide la gip romor che ciance
me ne tornai nella mia terra al fresco
dove più forte soltanto il vento piance.             Desi e capriolo
Pallidi vergini foglie di pesco
e tu Desi corri a cantar capriola
che odo belar: "Latte! Oppur non cresco".
Già le chitarre percussion pianola La musica
di musica il rock intento fiero
ritmo ch'è antico profum di viola
raccolgo orma ferita nel sentiero
vecchio 'l tamburo delle mie canzoni.
Percorro ignoti il corpo del maniero                 Livia, dipinge
e crolla 'l corpo mio dall'emozioni;
'ncontro Livia ancella che fa arta
pittura a cui pittor pingette azioni:
finto strepito su torrion di carta,
ma or tutto par vel agli occhi miei.
Grand'onere condusse al sole Marta                 Marta
memoria di quegli uom che non fu dei,
violenza 'n cor cavarono una perla
e resta 'l passato nello sguardo rei.
Ecco Giovanni al conto della gerla                 Giovanni
economo dei soldi professore
arpion al cuoco dette una sberla                     Il cuoco: Rico
ché solea cocer a ufo da signore,
ma qui l'amico 'n è come la sepe
che la si taglia senza far onore...
"Mio Rico vedo 'l tuo piacer che depe
di grazia 'l desinar zuppa di fest'a
quelle patate aggiungere del pepe".
"Una dose di zenzero molesta La vita è uno
che in orient'uccide l'appetito zenzero
dall'aguzzin ti fan tagliar la testa
senza poter chiamar nessun partito..."
Gli fece Rico riflession amara
e "...Ahi! Ahi!" sul padellon scottatte
'l dito, come un pivel se amante è avara.
Ma passion ti resta pe rossi gambe,                 La gastronomia
cozze, cavisi, tufo, arte sì cara...
('l cuor finisce a volte a cose strambe!)
"...Più de l'AMOR primeggia la CUCINA
perché se la testa accicuta entrambe,
lo stomaco, imper manda in rovina
al ribrezzo di mangiar le ghiande!"
Rrico avida virtù che 'l cibo affina
e ch'agli occhi miei si fé più grande
'l genio tuo, che riforma e assaggia
la minestrosa 'zuppa dell'Ande!..
Qui si coltiva orto, si foraggia                 La fattoria
animai che mugge 'l cor degli anni,
vortice fiero, che terror miraggia.
Nel corso della giostra co' suoi panni
aquile ner tu mostri, della luna
schermo di volti, primaver d'inganni;
oh ma più vasta or rugge la fortuna
amor portò su mia terra malata.             Quindi l' amore
Donna scendeva come fior ch'aduna
l'umido; spiar d'anima andata,
sul ciglio del fium e 'l core pieno
vinsemi l'ardor voglia salata,
Desi era là con il bel seno.
Ma io ch'ero fantasma nella scorza
le fitte dei-dolor sentii ameno.
Eppure 'l tempo l'avido non smorza
'l Priapo 'l Pan, ì m'innamoro indegno.
Desi bambina dammi tu la forza
di trattenere 'l fuoco 'n questo regno,
perché vissi anch'io un tempo i morsi
del giovine sapor vivido pegno
e crudel canto del dolor i sorsi,
Io di guerra battevo in queste valli
nemici a schiere e simili, rincorsi;
invece ora non ascolto che galli
e mi perdo a osservar l'antica asprezza
de le percosse guerre che m'affalli.
Davide! ...Che fai? ...Ma l'accarezza...!             Un rivale
Perché venisti tu su questa sponda...
Desi a te ama. Il corpo. Che amarezza
essere moccolo di amor su onda
ch'illude vita ed illusion paventa
'l vigor che la ragione affonda.
Certo è sempre 'l mortai che addenta
la neve che si scioglie sul pianeta;
arcobalen 'dduce scintill, avventa
diluvio, cor conforta quel ch'asseta
e stilla, di fuoco 'n fiume scontra
navigator, che fugge senza meta.
Ma su la riva Desi Davi 'ncontra
beltà 'nquieta chioma di stella
e su quel mare 'l seno gli occhi ontra
'ncauto ceppo accese la donzella.
Qual merlo nel gran pianto d'amore             Giovanni, economo
ch'invola ogni canzon ch'a lui s'appella         della saggezza
e valca colli d'arrossato ardore
e pigolìi de figli della chioccia
papavero ch'è rosso amaro cuore...
tal fosti tu Giovanni fera goccia
ch'a orte d'amici non permette affanno
pur se Katia nuda vien fuor da doccia.
Sol un rampollo giunge allegro ogn'anno             Il pacifista
Marco, sul trattor che divelle 'l suolo Marco
'ngegno 'mozion tutto ricopre 'l panno, .
vago uccel potente corri usignuolo.
E crosta antica del gel feroce
rompi, drago, ironico mariuolo:
finestre a mezza notte apri veloce
ché amar tu vuoi lo sterminato giorno
con urla antiche al suon della tua voce.
Uomo. Di guerra odiasti il cieco forno
'bbiettor tu fosti ai colpi di cannone,
via corresti senza far più ritorno
che la viltà di te non fu padrone,
come 'n la Camargue silve fattorre
bucoliche cavalle a solleone.
Da Marco amico, venni a Katìa, a porre             Katia, la
l'ispirazion che non tradisce fémme;                     poetessa
come ruscello anima che scorre
gli inverni muti le percosse flemme
e madidi lenzuol su cor villoso
degli anni e volti: lacrime di gemme.
Sogno febbrile e pazzo e misterioso
è 'l volo del rondon su vasto soglio.
Tu poem di chi cerca azur lo sposo                 Che tormento
avventi 'n ter che punge d'agrifoglio                 fa il nostro
Desi Davì, fruscìan le siepi,                             cavaliere!
ardor l'incorse a fondo dello scoglio.
più che mirar meglio che crepi-
diss'io -A tali tenzon mi vien che sudo!-
Amor amor gelosia da iepi!
Qui vostre donne dal passato nudo
giungono a sol, ultima ...Desi... veggio
d'anima e corpo, aperto, vel ignudo ...
pingo capelli, ch'è di beltà scheggio
ah, perfin cervo par esser gentile!
Io, alito; coscienza; emm'ammareggio
ch'è urlo d'un canto a fine aprile
...che riconosce 'l nocchier disperso
'n onde, ...e 'l mar a casa portò umile
come leon incauto cacciator perso.
E venne lampo co reciso giglio,                         "Mi piace mentre
da uragan pioggia, ch'è animo terso;                    dorme"
tal gufo, dell'inquieto bosco figlio,
mé ritrovai ne la buia stanza
col fremito cor e mi storia 'n ciglio.
Desi per lo ciel, tenea baldanza
la ferita che non uccise uccello;
tua rorida pupilla astrea danza,
'mmovi tu la cruna: -Perciò è bello!-
Uomo, donna; ver baci alla finestra                     Gelosia e
mister del canto fuso nell'anello                            vendetta
d'usignolo ...avvolti e da ginestra,
ma ì su chella scen feci vendetta!
(Anche se poi pentir è voglia destra).
Bigua sorte a lei porsi divetta
mentr'al petto mio dedi corteccio.
La fé 'ncontrar su via motocicletta                         L'incidente
ch'ad ospedal mandò, ('l mio ben è lercio!)
...E pallor fitto pelle inquiete gole
fin che l'orror mio non fu guercio.
Lattiginoso ventre 'ì luna e sole
mostri la carne su ferite zolle
brillìo e spavento corpo che dole
Desi tradita su la terra folle.
I versi tuoi Katia non han più occhi
ed ombra vasta or ferra 'l campo molle.
Ma 'n sonno ch'è mortai corsa dei cocchi                 In ospedale forse
donna rivedevi 'n cor la fattoria                                 ...sognando
di ognun suo gran danzar come batocchi,
caprioli ed altri amor scesi per via.
Batterie chitarre pian musica rock
le tue canzon cantavi in allegria,
sogni incantati di realtà un tock,
ma la tua sorte ancor filata a cruna
stendea letarga man fumor del cock.
L'uno ch'è terra 'ntorno a te fu luna
cener passion, che troppo sol avvampa
tenera scorza d'affanno, s'aduna
l'eterne ferite, stagion dirampa.
Tal Diana è 'l sogno, divo e martire,
accende fier la sua notturna lampa
'n mente galassia, arco teso a colpire
'l fatuo ch'è d'ognun l'essenza, e singulto:
cacciator la preda che 'n sa morire.
Livia co preghier ti facea indulto                     ...Accanto a lei
che vita, grazia sperata, alluma;                         svenuta
e lì venni pur io a farti culto
e rafforzar la prega d'una piuma,
sorsero parole amor amore
su l'abbandonato ciglio co la bruma.
"Gesù tu hai conosciuto il dolore                     Preghiera
eppur buono ci hai amato tutti
benché la tua sofferenza Signore
non fosse ver che per noi, corrutti.
Anche io, lei, ogni altro stillio
ti amiamo Gesù, perché asciutti
senza tua luce; però tu sei Dio
mentre noi non siamo niente
nemmeno polvere: solo mormorio
di atomo che sorge e che ti sente.
Perché vivi ci par troppo diversi
da polvere assolata ch'è ardente;
sudor del mondo ci sentiamo persi,
per questo vogliam Desi con noi viva
o bui ne' campi ci vedrai dispersi:
lenta stagion che passa 'n su la riva.
Accontentati delle verdi foglie
che cadono, Signore pater diva,
dei gigli quando aratro li accoglie,
o le gru infilzate nei voli
che autunno impartisce con doglie,
nò Desi: udiamo la voce gli assoli.
Alberi nudi su le mani stanche;
malinconia per questo a volte soli
ci prende a sera stretti sulle panche
di mandorlo, i cui fiori a marzo illudi
quando coperti dalle nevi bianche
si mostreranno ancor più nudi.
Io mi avvicino porgendo i rami,
pianto lascio ad orma che tu chiudi.
In quel mentre penso solo a te. Chi ami?
Ed allo sforzo lacerante che fu
il tuo grido -Eli lamà sabactami-.
Eppur la terra scurì tremò e giù
e pianse, ma fu lasciata vivere,
come un corpo dannato nel mai più
che emerge da nero fango. Vincere!
Noi tutti siamo stati quel corpo
volevamo soffrire, e te stringere,
perché la tua forza su bimbo storpo
pervade. Chi del nulla luce affranto...
chi più del freddo dell'inverno orpo,
solitudine, potrà capir quanto
noi gela: orfani di stagione intera
de la vita che ci vola accanto.
Signor tu gioventù e giovinezza
perché negarci 'l giorno ch'è mia spera
giorni che verranno come carezza.
0 cresceremo visti sol da notte,
bui, sotto questo ciel ch'è asprezza.
Ma Desi è ancor qui e grida lotte,
non è morta, e tu non ne hai bisogno,
facci vivere Signore, o guai! Botte!"
Fé io, e Livia e io, e io, pareva un sogno.
Maga stupita delle sue carole Il rimorso, ...
sentì dì lei profum, di vita gogno,                         nuovo destino:
che riportò Desi candida prole rock-star
tra corride, suoni, forza fiera.
Ma io fantasma in quel fatto -dole-
per lei destin vergo su la tastiera,
quindi stetti a prepar la sua fortuna
che di musica rock la fece artiera.
Iva !n spedal signor occhi ch'abbruna                 Il chitarrista
della canzon famoso chitarrista famoso
ma or con gamba rotta e gesso a luna
ne le mie man farà quel ch'ho 'n vista...
Torno a casal però che c'è attesa                         Alla fattoria
de la quiete al dolor in su la pista,                         nessuno dorme
nessun dormì la notte pell'offesa.
né Davide Rico Giovanni Marco
a tutti lor molceva quell'impresa;
'l capriol ferito era dagiato parco
ne la stanza insiem co le donzelle
e d'amor pe lei anche lui n'è carco;
"Ahi come scorre la notte mie stelle!"
dicea Katia cercando 'n cuor mattino
"Voi che del tempo siete nostra pelle
narrate dove sta 'l suo lumicino?"
"Io l'ho sognata..." poi diceva Marta
"...Livia sorrideva e Desi, ...a bambino...
ah, i bei pensier de sogni son di carta!"
Vacillan passi che giungon da sera
nel pianeta d'om che invitto assarta
galeon, quando irride la costiera
del primo raggio, che sprizzò, che erra:
sol che d'ogni origine è miniera,
così pur tu Giovanni occhi di guerra
bramavi (quel che Livia in ospedale:
pace gentile ch'ogni onor disserra)
la preghiera stupita a colpi d'ale.
Non versasti co' me parole gesta                         "Il mio, è un
sospiri profusa passion carnale                             dolore diverso"
corrida che la sorte mira e appesta
ma speranza, che voce, suon urlato,
riscenderà da ciel e sarà festa -
d'onor. Desi, il canto: maraviglio iato,
con il tuo corpo di leonessa antico
la più audace vita del creato.
Venne 'n gip Davide col cuore aprico                     "E' salva finalmente!"
sgravò tutti de pensier atroci:
"E' salva! Salva! Non c'è più nemico
per succussione o altri destin feroci
mort'è 'ccisa co tutte le sue barre".
'Spedale: dita su corde veloci                                 Desi fa amicizia
musica di Al vi prese alle chitarre;                           con il chitarrista
Al rock, fiero incantator d'orchestra                        Al
tua voce l'animò in sue gazzarre;
anch'io voll'esser lì co la mia destra
che destin nuovo ed incantato soglio
sul ciel della fortun volli, finestra.
Canto, arte incredibil a Desi coglio,
e 'l mio 'nfinito ardor già lei riprende
anche se a qualcuno costerà doglio,
Davide 'n posso al tuo piacer ch'attende "                ...La musica
donar questo mio fior ch'amor riporta,                     irromperà"
spingerla vò per cel che stelle fende
com diva di canzon musica accorta.
La bona stella venne a te superba
in ospid Al con sua gambon ritorta
'n mondo delle stelle ti mise erba.
Tornasti a casa dunque Desi cara                             Concerto in piazza
a preparar bella canzon, che serba
inconfondibil talento; non bara
la tua voce nel concerto in piazza
dove con Al v'è già Toni (alma avara)
discografico il cui talento impazza
e invita Desi tra stelle e canzoni,
promette illusion e gloria ch'è pazza
(scontorce vita a tacchini e capponi).
Ragazza mia questa è l'avventura
che il destin offre in rari doni,
certo del brivido sentirai paura
allontanarti dai fratelli tuoi.
Decidi il sogno. Toni ha premura                               Intrigante il
conosce bene 'l business che puoi,                             discografico Toni
lui ha 'l pian di porti tra le dive
e tu non puoi dir di no sai quel che vuoi.
Piccola piccina tu onor rivive Che fare?
de le fantasie urlate tra le porte,
per campi, fattoria; canzon giulive
composte in giorni lontani da morte.
Or passion vento e corni per le strade;
'n polveroso asfalto, montagne storte,
corre trattor, ansante, per contrade;
profondo porta il vomere lucente
'n cor mette 'l sem che ogni notte cade.
Divelte spin dall'aratro potente
ultime raccogli, e vuoi partire
anima rupestre che non si pente;
la tua virtù è pregna, sì pò ire,
non c'è timor ne la tua spinta a flutti.
Ricordi parol di Marta, 'l sospire:                     Commiato
"Da ogni sentier qui si accetta tutti
come in autunno ogni uccel che resta,
nella fattoria qui tue idee non butti
com nel mondo, che indegno, le calpesta
senza vergogna né viril pudore.
Ma tu decidi pur con la tua testa".
Simil le fé gli amici con dolore.
da la cucin tra pentole ben nate
ma i loro occhi cambiavano colore,
Rico friggeva ancor le sue patate;
e sul suo volto lessi la tristezza
non disgiunta da lacrime salate.                       Ti
Con la chitarra avvinta alla capezza                 Resterà il ricordo
Davì scolpisti Desi sulla boma
e tu dinanzi al muro in volo spezza
l'orma del vento 'n tutta la sua chioma;
l'uomo incantator però ti mira:
è forza, l'intento mio è assioma.
Meraviglia però non sempre gira,
dell'avventura amor vi fé avari;
la giovinezza più mister non tira
se il volto copre ogni amor che bari.
Conchiglie e nettare e vago destin
attende, tra aquile, pupille; amari
corde risuonano del celo confin
il canto, lampo tuo caduto brami
fende aria, urla che s'intona ferin
su palcoscenico che arde rami.
Davide, tu che non fosti il ceco
dell'oriente, avvolto a fura e origami,
tua nostalgia di lei accendi a greco:
'l verde manto di pascolo giulivo, -
su terra ...cavalli. Tuo amor fa eco.
Nitrito di giumente, dall'ulivo,
sotto stelle a firmamento volte
...bevon l'ammanto che ci fa più vivo.
Non c'è invidia per le passion colte
'n sever canto di prediletta luce.
Sicur volesti tu di ben accolte voci,                         Davide, a cantare
Sue canzon che or vol produce.                              le insegnasti tu
Lì nel cascinai da mia storia colmo
(prim che nascesse opra che Toni duce)
portasti tu caprai a ombra dell'olmo.
Desi, corri, va. Porterai valanghe.
Tacite promesse ferite. Polmo.
Scorza dell'albero, staccata. Sanghe.
...Com piuma rimarginerà, la carne,
da le frecce più patite e langhe.
Nessun idea dell'or pò ricavarne
chi vorrà 'ccide tuo animo giocondo
com fosse grido 'n volo delle starne.
Davì non pianger se cor triste 'l mondo
e nostalgia ti prende sulla sera,
già è caduto su alito rotondo
mesto acuto nettare di preghiera.
Anch'io a te vorrei confidarmi Solidarietà
tutto 'l mio dolor c'anima sincera,
solo ho timor che tu vuoi picchiarmi;
anche se ombra, son sempre tuo rivale
ed ho diritto anch'io d'innamorarmi.
Desi io mi venni ad impazzir con l'ale
scendendo arzillo e fresco dalla bara
come si fa coll'ovo fritto e il sale.
Dal mio affresco, sulla pietra mara                         "Ma io rincorro
degli anni muti carichi di alloro,                               Desi"
ecco torno di nuovo a lei. Per mesi
sulla sua bocca Toni ha trovato oro,
io con Al galeotto, contratto tesi:
cerva, che al fiero occhio brandisce spade
poi scimitarre e colpi, 'n cielo spesi.
'L sacrificio tuo vuoto monte invade;                         Fra le star
già vedono del gran successo altezze:
luci, apparecchiate stelle, notte e ade
tra cristalli, volti voli e arditezze.
Malinconia con pianto, d'alveo bosco
livida piroga, scendi in asprezze.
Lucciole avare, amor che non conosco,
ricchezza; ogni alma accecò 'n orrenda
flima. Stanze. Droghe nel corpo fosco,
e volto magro, illuminò di Zenda                                 La segretaria
flotte di alveoli rinsecchiti bianchi. aguzzina
Nell'avido cuor di Toni rammenda
l'inesausta ricchezza. A cui opra
manchi ver natur. Perciò pose degli elmi
che profum sol di musica non stanchi,
Desi, che fu spinta tra terra e melmi.
Ma tuo onor non fu da sfortuna liso
ti condussero dal maestro Anselmi,                             Il buon Anselmi
ed alle note tue lui non fu inviso.
E quelli che 'n tutto forman denaro
dinanzi al tuo talento fé sorriso.
Come campana dentro campanaro
i giornalisti di avide notizie
in ogni canton tutte le sonaro
tra la follia di note e di malizie.
E la corsa freme, corre, aguzzina,
brucia le pazzie che sembran letizie.
'L successo tradì ora, Desi bambina,                         Prigione dorata
ed io or vorrei portarti lontano
strugger malvagia corte che rovina
la tua felicità in un pantano.
E venne Zenda, ch'è la memoria e 'l male,                   L'onnipresente
che 'n prigionia Desi conduce invano.                         Zenda
Zenda, la croce che riveste e assale
perché da vita ebbe cieca saetta.
Dinanzi alla ragion forza non vale
ma abbraccia di ciascun la sua vendetta
come su scoglio fa acqua de la riva.
Zenda, Desi tenevi accanto e stretta
come pastor d'inverno la sua piva,
'l tuo dover lo so è forte e cronico
ma vuoto quando ogni stagion. moriva.
'L successo ricorda il volo melanconico                             Ahi, successo!
dell'aquila reale, quanto più vola
in alto tanto più gli uccelli faraonico
si lasciano il ricordo che li immola
esserle passati un giorno accanto.
E' difficile incontrar oca e fola
a certe altezze. Sol di vetta, 'l manto,
anch'esso disabitato ma scheggia
confitta in terra da un antico schianto,
E tu cosa credi che 'l voi riecheggia
tranquillo a tali altezze? I cacciatori
ti ammirano e ti mirano, rosseggia
'n aria 'l fuoco dei lor caricatori
che lor coraggio fa sempre più vile;
eppure 'l cel lo guardan da amatori
perché le nubi 'l canto fa sottile
de la passion che languida carezza
come se fosse un bacio quel fucile.
Ceco immondo! Chi l'altera bellezza
delle aquile sogna di uccidere.
Sembri tu Desi, ancor non avvezza
a orror folla, che ti vuol opprimere
e al varco tende colpo di freccia
a provar tue remiganti libere.
Soltanto luce. Fiera. Sol intreccia
lo sguardo. Forse al di là di pardo,
tra tutti gli alberi, ti farai breccia.
Ombre di elogi, che ti fan baluardo.
E 'l mitigar. Briglie. Su tue fatiche
'n volo. Su cime. Che sperar attardo
le immensità del cel. Terrà apriche.
Ma nulla potrà ferirti gli occhi
o le pupille. O 'l remar d'ali antiche,
in volo che ci cantano i rintocchi.
Gli uccelli che sono al vento, in vetta,
facilmente discendono sui cocchi.
Non hanno timor de la cruna stretta.
Ma devi metterci amor passione
dinanzi al tormento, e n'aver fretta
che sul palcoscenico è azione.
Ci vuol tutto 'l tuo cuore per salvarti
ed ogni ser la vita è lezione
che la tua gran foresta non può darti.
Devi essere instancabile. Selvaggia.
Ed avere solo te per consolarti
perché dinanzi a te è lunga spiaggia.
Dall'infinito lancerai degli urli,
capirai tutto e diventi saggia.
Altri soccomberà: di lor ti burli
insieme ad Al, di lor, di Toni osceno.
Anche tu vaghi sola. Poi ridurli
tra macerie. Fortezze. Crollo veno. ...
Perché di pietra par la solitudine.
Granito immenso. Aido serpe avveleno
per gigantesche corde. Libudine
dell'uomo, forco. Intorno al corpo colse
nuda lun, restando inerme acrudine.
L'innamorato ardore 'l mare avvolse
come fa 'n rete pescatore eterno.
Poi su lacrime cor sfuggente accolse
qual preghiera che uccidesti in verno.
Perché tu col forte scalino del remo
travolgente spegnesti 'l foco alterno.
Spingi. Col petto. Barca in cui saremo.
Gran cervo par il celo. E orma scalfisce
il fortunato amor, che scopriremo
nell'ampia fortezza, che non perisce.
Spingesti il cuor di barca. Giù nel fiume
l'aquila è con te; Trasogna. Ardisce
soglio raggiunto in nettare di brume.
Ed io fui là con temperante guida "Ma io ti resto
Misericordia. Al corpo delle piuma accanto"
parmi di strasentir proprio re Mida
sul fiero legno dell'albero maestro,
che grande oscillazion di note fida
perché d'arte Anselmi è braccio destro.
Tal inquieto colpo mortai di marra
'l musico travolge volpe rupestro;
chi più del tono ardito di chitarra
'l ventre della terra può riprendere!
Con legno acero, masticato a barra
coi denti. Acuminati. Arte. Stendere
l'avida battuta che è nel ferro.
E 'l corpo a punta, che non sa svellere
tra tormento: miseria. Nel cielo, erro.                 Nonostante le
L'amabile cultura già sprofonda.                         difficoltà
Brani mi condusse, E braci atterro
quando immersa nell'atro regno affonda
l'incauta luce, in cui si spegne l'ira.
E il mondo cieco di colori, gronda,
nel cerchio alto che riproduce e spira
dolor. Senti 'n orchestra fitta, 'n scalmi,
le note che trasse qual chi cospira
'n macolato ghiaccio. Canto di salmi.
A casa discografica io non c'ero,                         Vincere le prove
comunque la consolle segue a palmi
'l corso audizion, che volli ben austero.
Voce bianca. E lor volto tramortito
che fece gogna a giudizio severo,
Toni da sua ragion trasse partito.
Ahimé io che persi corazza e staffa                     Specchio trucco
venni pur a quel tavol ch'è tuo.                             Mito
'l truccator, su te, pennelli arraffa.
Mistero dinanzi a te. Io resto specchio
della vita, che solo 'n luce scaffa.
Perché bellezza, qual ombra di vecchio,
spesse volte c'illude e ci trascura.
Scorge vita là dove mi apparecchio
e confonde 'l tempo, che attraversa mura
come se nostra vita 'n fosse che notte.
Tra corsi d'acqua rompe la figura
tutte le apparizioni che son dotte.
Vedi tu sabbia che nella clessidra
scorre lenta, abbandonata arrotte
'n quello stretto orifizio: collo a idra?
Ttenta" guarda! Si trasforma in tempo.
Tempo ch'è di vetro ma che assidra
e ci riporta in polvere di grempo
dove s'uccide gl'attimi più fitti,
piegar armenti, ognor, diman, e sempo:
corre Terra pe l'universi dritti
che vita fer dell'uom e ogn'anno pela;
lasciamo 'l tempo compier suoi delitti.
.Speme, ardor. E' quel che ciglio vela                 L'ossessiva Zenda
più volti ignari del castigo. Zenda
langue tua vita. Crudo far ti cela
immite maldizion ch'amor ti sgrenda.
E 'l ventre, abominevol, che t'afferra
qual pelle di tamburo che si tenda
al suon della caduta. Stel che erra
come quand'io fu' colto a ste contrade
'n rapido tenzon. Trafitta guerra
che mi ferì già morto tra le spade
follia calda e membra e garrese
volti che scorgo 'n sogno per le strade
che d'amar sangue sé trarre maggese.
Su lacrime ferì inutil vampe
passion d'antica donna che s'arrese
tra quei che furon ombre e solo zampe.
Zenda ricordi qué furor. Battaglie.
Tu segretaria, la mia Desi sgrampe.
Sei lucida. Feroce, le tue maglie
tengono stretta la sua vita addosso
a muro di successo. E rompe faglie.
Mentre 'l suo core grida "Più non posso!"             "L'amore per te
Ma spettatori, vengono col treno                           mi fa perdonare
dinanzi al tuo dolor che è rosso,                             tutti"
e io vi amo tutti. Tutti. Senza freno.
Voi che ascoltate la mia Desi bruna
perché fiera nel vostro cuore almeno
c'è l'anima sincera che s'aduna
che risonò lo sconosciuto ardore
'e stravaganze 'n evitò nessuna.
Le grandi giovinezze del colore                                I punk
tra vaghe zucche e pallidi capelli
sembravano bandiere tricolore
e grandi ammiratori l'eran quelli.
Certo a miei tempi vestio di calzone
cui aggiungevo anche tanti orpelli
che mi facean sembrar mezzo pavone,
ma or tra questi pink panck punck 'ndiavolati
con le creste la capa a istricione
è come esser tra dei tarantolati
morsi da bella voce che li scuote.
...Narrar voglio ancor dei fatti salati                     Una 'violenza'
che Desi ebbe a patir tra anime vuote,
'n casa di un gran disco-uomo di successo
il qual con lei fè quel che maial puote.
Orror sua vil a tutti parve un cesso:
droga violen sodom libì e vizio
e lo chiamavano incontro col sesso
quando lei ad uom gridò "Vaffansizìo!"
Pensando di sopprimere l'oltraggio,
il signor, chiamò un paparastizio
reporter e laidi giornal d'assaggio:                         I reporter
al cui squallor, di già previsto aspetto,
non manca affatto orror e né coraggio.
Sol crudeltà. Ferocia. Vil dispetto
che ha minato di squallore il flash
mettendo sulla stampa 'l nudo petto
all'avido sapor di svam urla e splash.
Certo lo scoop creò una bella rogna                     La fregatura
a Toni, cui venner sui capelli mash, per Toni
Che l'impresa parv'esser ita a gogna
tra quei sentier da cui uscirn'è amaro
...ch'é terra di profilattici e menzogna!
Ma quant'altre cose, emozion, covaro...                 Il mistero
Zenda: meravì paggio ti si spegne di Zenda
l'opima brezza ch'è di stelle faro.
Desi tornasti prim che sol appegne
"Che ti succede Zenda?" tu dicesti
"...'N t'ho mai vista finger co mani 'ndegne!"
(Era già notte quando poi piagnesti).
Lei rispose co no sguardo: "Vattene!..."
e tradiva sul suo corpo hhic i pesti,
vizio scorbutico tra follattene:
"...Davver v'è tanta gioia 'n vita, una sporta?
...'N attimo che va su e giù. A'ttene àttene!"
Zenda celava il cuore nella porta.
Buttasti giù nel fondo la sua chiave,
con lei chiusa 'n la stanza fosti accorta:
"In casa ti nascondi come, nave
perché sul tuo volto inquieto c'è droga
nero fium che ormai di letto è rave!"
...Desi 'l pianto a pezzi 'l corpo tuo affoga,
su le bianche braccia; 'l cor tuo forzato:
qual corpe 'l cerchio batte su la doga
pe' rinforzar la stoppa a tino andato,
tal d'amicizia" 'l sacro pegno sente
verso l'umana luce che sembra fiato.
"Che che ne sai tu piccola incosciente.
La droga? Perché me, ver donna fiera,
prim vole roe poi di viver si pente?
E' a sopravvì che ci vo bandiera
e 'n core mi trascino questa croce.
O spemi che lasciassi 'l corpo a sfera
e cervel scavato da mano atroce
fin che venga 'l dì 'n cui si grida -muore!-
Non ho che sette notti e lun feroce
nemmen basta al pianto delle suore;
e 'l giorno, in più è com se lo rubassi
a te, e godo questo furto con il cuore
perché io sono ladra a vita, e passi
pure il tempo e anni a l'or di sole ghiotte"
per me la vita affonda co suoi sassi!"
"Fai pena Zenda, tue luci perrotte..."
così quel dolce amor mio a lei compose,
(oh avrei voluto carezzarti notte
'n quella ser che sì forte lampo tose)
"…Ahi giorni che m'hai fatto odiar potere
ma or ho capito sì ben altre cose
che tua rabbia non mi fa più temere.
Perché non desti tutto al primo incontro
quando nessun terror potevo avere
ma solo compassion, che non è ontro;
me far lieve tuo dolor è allegria.
L'orgoglio avuto or m' si rovescia
contro ferrando te qui stella in avaria;
or ti adotto come più amica e figlia
perché mi anima da allor con te fu ria.
E soltanto oggi mia ragion consiglia
da abbracciar la tua fortuna amara
che avido corpo del destin ripiglia".
Tu eri proprio divina Desi cara
(e io ti guardavo silenzioso accolto
sul nulla eterno ch'è vicino a morte
fantasma vita corpo già dissolto)
mentre tuoi occhi guardavan lei serena
tal Cristo con gioia il ladron assolto
per non sottrarre al tempo la sua pena.
"Non voglio tua pietà né compassione
perché il mondo sempre ci avvelena..."
rispose Zenda al colmo dell'azione
"...Quissù, la scena, mette 'n mostra 'l sangue,
il terror più fitto, la delazione.
Che ossa, cervel, cor, accicuta e langue.
Tutto crudo spettacol diventa:
-Ecco, lei ha la morte addosso! Tangue!-
E misericordia mai più paventa.
-S'osservi quant'è nutilmente bella...
quant'ancor la voglia non si spaventa...
quant'ancor attraent'è a fiera stella…
Ma lei non serve più lei più non serve ...
la morte è con lei, perciò è bella!-
Toccami, senti quanto il polso ferve,
toccami! Dai, è forse capo indegno... ?"
Qual galeon, cui bonà t'uccide verve
e sin da prua perde forza il legno,
Zenda, tua bellezza si fa demente: "...
Quel che scorre è di veleno pregno,
un tempo 'l corpo tutto rese attraente
ma or il fuoco malevole mi rugge
mina la vita al giorno, che risente
'l fiele, tutto, dell'anima distrugge...
così della droga io prendo l'assenzio
e trabocco di collera che fugge.
Però voglio comprarmi 'l tuo silenzio
dimmi che prezzo hai, tu dimmi che vuoi?
Parla disponi di qualunque cenzio
voglio sottrarre cotàl destino a buoi".
Mia Desi c'amor n'accettò disprezzo:
"Resti pur calma né dolori tuoi
perché di nulla tu sarà tappezzo.
'L mio silenzio è gratis. Non mi rulla
in testa onor che possiede un prezzo,
è il primo giorno che sei umana culla
ed anche se mi ferisci, che importa!
l'amicizia del cuor non costa nulla".
Ma Zenda sghignazzò a testa torta
cogliendo 'n suo dolor tormento ebbro:
"Divertente!" concluse alzando aorta
che teme niun discorso delir febbro.
"Mio ben per te sarà profum di gaggia,
tutto 'n comune avrem, persin la lebbro,
co parol, grida; spettacol che viaggia,
musica d'orchestra, 'l bramar di canti;
ma è 'l passato che più cor si piaggia:
qué giorni 'diati insiem che sono tanti".
Così lasciasti di perdon tua amica                     "Come non amare
e 'l cardine d'amor tradusse 'n pianti,                 la tua dolcezza?"
Desi mia pardon s'or mio bacio affica,
certo 'n son pivel che té pò 'nvaghire
però tu sai ch'ardor al vento spica
né guarda chi, s'è un vecchio a morire
giovane, triste, o soltanto un'alma.
Sì traditor bastardo, che ferire
'n guerra può d'ogni nemico su palma,
...salvar la vita... ma c'onor di resa
portar trofè di lui co tutta calma,
i braccia lei tra lor c'ardor d'impresa;
ma voluttà non trassi 'n corpo prode.
Che già 'l destino preparava attesa                     Sei ribelle
'n palcoscenico, fera 'zion, che rode
Toni (ver discografico tiranno
business follia cocain cor da Erode).
Musica mai a poter creò affanno
tua voce sol, poter dell'emozione,
il barbaro sistem portò 'n inganno.
Memoria è tutto. Colpì canzone
ch'è storia di tua lite. Sodomia.
Dall'orchestra: nacque rivoluzione
tra le chitarre batti e la pazzia...
Ci cantò, gridò: -That's why is wonderful-                 La musica vince
ch'è sapor di guerra punck fattoria.
Venne giù lei da palco tra urla e cori,
batte 'l suono Al, barre, !ncisi violini
coprivano la piazza 'n tutti i pori
fuggendo 'mprenditori e gl'aguzzini;
Musica è rivoluzion di tori!
-Dereuber ist dass shoene-.
Immaginavo però che 'n la scossa                             Perché?
rapidamente aperta sulla scena...                               Delusione.
da quel giorno altrove sarebbe mossa
'n fondo è largo sino a varcar frontiera.
Invece cadde tutto in una fossa!
Elettricisti gente di carriera,
troupe di cinema intorno alla piazza...
è sparita mia Desi condottiera
c'è solo un'attrice se non è pazza.                                 Desi non esiste
Oh nobil Desiderata m'accese …                                 E' solo un
la rabbia l'inganno, Cristo che razza                              film
di truculento mostro è tal paese!
Io, ...scalmo di barca in su la neve
cui s'è asciugato 'l mar che intese...
di chi sarà felicità mai breve
se 'l destin ti coglie ignudo, e pentre
nell'acqua che travolge 'l cieco? E beve
scorza ch'annega ogni altro ventre?
E' scoperta che mi riduce a muro"
...i, da tomba, nel ver, volea far centre.
Nemico è l'uom. Crudele e puro.
Sia ne l'affanno che in parole scarse
'n alba di giorno suo bramor figuro
colpito dall'armi crudo e mani arse...
Torno ogni mattino in su la rupe
lo sguardo che riporta le comparse
per il sentier tra acque dirupe
e tra maschere gentil di attori
scopro nell'oggi moto allegrie cupe,
'l rombo di guerra 'n corpo de - motori
su mia terra, che ho scoperto e arato
ai miei tempi, ch'è dei rematori.:
quando sul mar tira vesti di sparato
dopo ogni canto ritornava il pianto
per la terra che s'è lasciato urlato.
Or mi ritrovo solo nello schianto                                 E' il sogno
cinema: gli attor son tutti andati via                             di un sogno!
e su tunica è rimasto 'l manto
della calce; color, sem, ipocondria...
muta è tornata la follia ch'udite.
L'ambigua morte scorga, audace sia!
Stentate a creder: muoion pur mille vite
se del chiaror di lun possiedon volto.
Io dunque torno al nulla voi partite
Che illusion d'amor m'avete tolto.



***




Carissima Assunta,
qualche anno fa mi sono imbattuto nel vostro sito ed ho scaricato "La ballata dell'uono misterioso" di Enzo Cicchino: endecasillabi scritti coi piedi, ma che mi hanno dato l'idea di raddrzzzarli.
Sono così riuscito a farne l'OCR e con un po' di pazienza e molto divertimento, ho cercato di dare un senso a quello che pareva non averne.
Probabilmente, in effetti, un senso in tutta questa ballata non ci sta, ma mi sono veramente divertito a cercare di rendere meno traballante e più sensati quegli endecasillabi.
Ovviamente, dal momento che l'idea iniziale non è di certo mia, mi sono preso guardia di pubblicarlo in qualche mio blog, ma ho deciso di spedirlo a te in maniera tale da farlo vedere e leggere al reale autore, ossia ad Enzo Cicchino.
Quindi, se lui è d'accordo, propongo da una parte di sostituire le pagine scansite con un file di testo, dall'altra propongo di aggiungere la mia "traduzione".
Bene, per il momento rimango in attesa di una tua risposta, o meglio, di una vostra risposta, dal momento che la decisione finale spetta, penso, ad Enzo Cicchino.
Francesco Gennaro



***



adattamento a cura di Francesco Gennaro


 

LA BALLATA DELL'UOMO SOLITARIO

 

 

Meglio del vento forte l'uragano

riporta in vita un cuore troppo spolpo:

intonaco sarei rimasto invano

se Livia non avesse dato il colpo

che rivelò alla vista il mio dipinto

ed io ripresi vita in contraccolpo

sbalzandomi nell'aria e risospinto

fra Davide e Giovanni in compagnia,

Katia e Marta, lo sguardo troppo stinto,

Marco e Desi, nella mia fattoria.

Il lupo il proprio vizio mai non perde

né la virtù, nemmeno la pazzia:

quei giovani sulla mia terra verde,

con il lavoro e l'opera di ingegno

libererò delle passate merde.

Con archi, trombe e spade, inclito pegno

di guerra, cavaliere un tempo prima

tradussi il furore, dell'uomo indegno,

in atti e gesti franchi, gloria opima,

il terrore che mai colpa non lava,

compiendo giusto sforzo che redima.

Senza pace quell'animo che amava

l'indomita battaglia e l'ira tanta

che dava morte atroce e ritornava

spingendomi ad urlare: «Guerra santa!»

Ma non volevo ritornare in terra

per fare spavento a Desi che canta,

ma per portare gioia a chi non erra

come feci ai compagni del passato.

Profumo antico che mi prende e afferra.

Mossi la mano in musica. Ed io grato

tenni l'aratro e seminai l'ulivo.

All'emozione e al lavoro rinato

nella campagna verde non soffrivo

per quanto mi ero immerso nel calore.

Solo il mio naso sembrava punto al vivo

temendo di buscarmi un raffreddore

quando Marco, con allegria ridendo,

partì rombando in cima al suo trattore.

Panni di UOMO MISTERIOSO vestendo

volli un giorno andare nella città:

all'accidenti che rumore orrendo,

in cielo un fumo nero se ne sta,

pareva una bolgia vestita a festa,

non mi ero mai trovato in tale posto

perciò mi venne un forte mal di testa,

paura, che per un fantasma è tosto!

Chi protestava ai piedi di un cancello,

chi dava vista di essere già arrosto.

Per il bailamme esclamo: «Che macello!

Mi sembra un'oca fritta nell'inferno!»

Ma gridò una voce: «Per questo è bello!»

Come la neve, a fine dell'inverno,

si scioglie a un sole povero e mendico

e lascia il monte dove ha fatto perno,

così sognavo un luogo molto aprico.

Sbattuto da violenza che perdura,

non ebbi moto d'ombra più di un fico,

la mente ottenebrata che si oscura.

Io resistevo ai colpi delle lance,

ma il cuore mio non ama quell'arsura:

al provvido rumore delle plance

mi godo del ritorno il vento fresco:

arrivo alla mia casa senza ciance.

All'ombra pallida del fior di pesco

la bella Desi va alla capriola

che bela: «Dammi il latte, che non cresco!»

Con chitarre percussioni e pianola

intentano un bel rock, corposo e fiero,

dal ritmo antico che mi sa di viola

ed io ricordo, acuto nel pensiero,

di quando accompagnavo le canzoni.

Percorro, ignoto, il corpo del maniero

e crollo in vista di tante emozioni.

C’è Livia che riporta sulla carta

di un nobile pittore le visioni,

la cura del pennello, come sarta,

ma come tutto è vero agli occhi miei!

Un grande peso accascia il cuore a Marta:

amore per un uomo non di lei,

se lo coltiva in sé non come perla,

lanciando intorno sguardi molto rei.

Vedo Giovanni prendere la gerla,

contando i soldi come un professore,

gli sperperi del cuoco sono sberla:

soleva cucinare da signore!

Ma il conto della casa non è siepe

che puoi potare senza disonore:

«Mio cuoco Rico metti troppo pepe:

lo spreco di denaro, prego, arresta

che noi non siamo i magi del presepe!»

«Se ti preparo tutto come a festa

è già perché ti trovo di appetito:

di povera cucina non hai testa

ed io sarei al più presto redarguito!»

Gli disse Rico con la bocca amara

«sulla padella puoi scottanti un dito,

ma l'acquolina, vedi, non è avara:

di rane vuoi il risotto con le gambe,

gradisci ogni pietanza sia più cara:

ti aspetti di mangiare cose strambe!

Ricchezza e parsimonia alla cucina

fanno una guerra dura per entrambe.

La povertà ci porta alla rovina:

fa schifo mantencare fave e ghiande!»

«Rico» disse «virtù che il cibo affina,

agli occhi miei ti rendi sempre grande:

sfrena il tuo genio, ma la minestra assaggia:

si faccia degna all'Inca delle Ande!»

Con l'orto coltivato si foraggia

la stalla che rifulge senza affanni:

il bove rumina lento alla staggia.

Nel corso della giostra coi suoi panni,

aquile nere, mostri della luna,

schermo d'aprile, volto senza inganni;

più vasta corre adesso la fortuna

recando amore alla terra malata.

Discinta donna al lume della luna

spiavo, dolce, splendida e adornata

in riva al fiume dell'amore pieno

avvinto come serpe acciambellata:

si profilava Desi dal bel seno!

Anche se spettro stavo nella scorza,

provavo quel dolore troppo amaro.

L'avidità col tempo non si smorza:

di Priapo e Pan divenni presto regno.

Desi, bambina, dammi tu la forza

di trattenere il gesto dentro il segno,

poiché sentivo allora i crudi morsi

di un cuore giovanile avido pegno

e, crudele il canto, nella gola i sorsi.

Guerriero combattevo in queste valli,

nemici a schiere impavido rincorsi,

ora sento solo il canto dei galli

perdendomi nel gioco dell'asprezza

di quanto tu prometti e non avvalli!

E Davide con grazia l'accarezza,

le spalle con le braccia le circonda.

Se Desi l'ama provo un'amarezza

di chi riporta il moccolo sull'onda

che solo illude ed altro non paventa

ed anche la ragione vi si affonda!

E sempre l'essere mortale addenta

la neve che si scioglie nel pianeta:

riluce l'arcobaleno, si avventa

il diluvio, con forza quanto asseta

e stilla, nel fuoco il fiume scontra

chi più remando fugge senza meta.

Desi, sulla riva, Davide incontra:

lustra beltà inquieta, nobile stella,

su questo mare, donna, gli occhi inoltra.

Incauto ceppo accese la donzella!

Quel merlo che piangeva per amore

fa vana ogni canzone che l'appella

varcando valli di assolato ardore

e i pigolii dei figli della chioccia,

il papavero rosso, amaro cuore...

Così sembra Giovanni, ferma roccia,

che dagli amici non permette affanno

se Katia nuda sporge dalla doccia.

Solo un ragazzo sembra senza danno:

Marco che con l'aratro fende il suolo,

che il cuore suo ricopre con un panno,

canta il trattore come un usignolo,

la terra con il vomeea feroce

spacca, lui vago, ironico mariuolo:

apri presto la finestra, veloce

desta vita allo sterminato giorno

con urla antiche, suono della voce.

Odiasti della guerra il cieco forno,

obiettore ai colpi del cannone,

te ne scappasti senza far ritorno,

venisti all'ombra della mia alta torre

che indomita sconfigge il solleone.

Da Marco schivo giungo a Katia a porre

ispirazione alle umide maremme,

presso alla riva l'anima discorre

di inverni crudi, di giornata flemme,

lenzuola madide, petto villoso,

tristi, sui volti, lacrime di gemme.

Sogno febbrile e pazzo e misterioso

è il volo della rondine sul foglio:

tu canti la ricerca dello sposo,

corona dalle spine di agrifoglio.

Davide e Desi strusciano le siepi,

si accoppiano di ardore sullo scoglio.

- Piuttosto che vederli è meglio crepi! -

mi dissi - Mi sento che trasudo! -

La gelosia all'amore mette pepi.

Le vostre donne qui passavo a nudo,

è Desi, infine, l'ultima cui vedo

l'anima, libro aperto, volo nudo,

vaporosi capelli, non possiedo

nemmeno il modo di essere gentile!

Ed all'orecchio mio quasi non credo:

sento il suono di un canto a fine aprile!

Riconosciuto dal nocchiero sperso

che il mare porta a casa nell'ovile,

per ritrovarsi caccia in altro verso.

Mi infuoco con lampo in bianco giglio,

come la pioggia scroscio a cielo terso;

e come il gufo, del bosco figlio,

furtivo entrai nella sua buia stanza,

con fremente cuore, pavido ciglio.

E Desi mi mostrava con baldanza

il corpo penetrato dall'uccello,

muovendosi fulminiea in una danza,

gridando infervorata: «Quanto è bello!»

Una coppia intrecciata alla finestra,

mistero del piacere in un anello,

danza dell'usignolo alla ginestra.

Di quell'aspra vista volli vendetta

(ma il pentimento scese alla mia destra).

Di ambigua sorte la resi costretta

ed io del caso reo feci rabbercio::

che fu investita da motocicletta

che la ridusse come cencio lercio!

In clinica il suo sé rivide il sole

e per l'orrore l'occhio tenne guercio.

Farfugliando frementi parole

di corsa martoriata fra le zolle,

manifestando colpo che le duole.

Il tradimento mio fu, certo, folle:

per Katia i versi sono privi d'occhi,

un'ombra vasta cela il campo molle.

Nel sonno mortale corsa di cocchi

vedevi, Desi, dalla fattoria,

rintronano le orecchie coi batocchi

dei caprioli in danza per la via,

al fervido tuonare del tuo rock

quando cantavi, bella in allegria.

Sembravi incatenata dallo shock,

ma il filo della vita è nella cruna:

non fosti consumata come coke!

La terra, intorno a te, si fece luna,

cenere di passione che divampa,

scorza di affanno che lenta si aduna

sulle ferite che il dolore avvampa.

Diana nel sogno che vuole partire,

che fiera accende la notturna lampa

della galassia, arco teso a colpire

il fatuo che è l'essenza ed il singulto:

cacciata preda che non sa morire!

Pregava Lidia, per concesso indulto,

che in te la vita sia, grazia si alluma.

Io nella stanza spettatore occulto

aggiunsi alla preghiera qualche piuma,

e sussurravo frasi con ardore

col ciglio abbandonato nella bruma.

«Fortuna, che conosci il mio dolore,

che in questa stanza ci apparenta tutti,

allevia il suo soffrire, per favore:

non vedi come siamo qui distrutti?

La vita sua ci sembra un gocciolio:

temiamo che finiscano i suoi flutti.

Se sulla terra agisci come un dio,

facendoci parere un mero niente,

non polvere, ma solo un mormorio

dell'atomo che sorge e che ti sente,

noi ci illudiamo di essere diversi

da cenere di fuoco troppo ardente:

nell'opera del mondo siamo persi,

noi ti chiediamo Desi resti viva,

che non ci lasci, ciechi, in campi spersi:

lenta stagione cresca alla sua riva,

ti basti il crepitare delle foglie:

non essere vendetta, eterna diva,

i gigli che l'aratro si raccoglie,

le gru infilzate, trepide, nei voli

quando d'autunno sentono le doglie:

non Desi che ci canta i suoi assoli!

Alberi nudi dalle branchie stanche

malinconici prendi: siamo soli

quando la sera, stretti sulle panche,

a marzo il mandorlo coi fiori illudi,

quando i suoi rami, colmi di ali bianche,

rivelano, all'aspetto, di esser nudi.

Io mi avvicino a te porgendo i rami

del pianto di quell'urna che tu chiudi

e timido mi chiedo se tu l'ami.

Ricordo: nella vita che mi fu

più volte spensi vite come stami:

adesso non lo voglio fare più!

Allora ti chiedo: Lasciala vivere:

dal paradiso Desi scenda giù!

Lascia la sua vita possa vincere,

ritorni il senno spento nel suo corpo:

viva tra noi la rivogliamo stringere!

Infondile nel sangue l'anticorpo,

dal morbo lascia vivo il corpo affranto,

che sia questa preghiera guardiacorpo,

che possa della vita dare vanto:

si svolga la matassa in interezza

della sua vita che ci scorre accanto.

Fortuna, Desi è in fiore, è giovinezza

che lunga vita agogna e quindi spera

fulgidi giorni come una carezza!

O rimarremo figli della notte

a stringerci le labbra per l'asprezza.

Guarda Desi in preda alle sue lotte:

La morte sua non ti è, certo, bisogno,

viva, Fortuna, da queste aspre botte!»

Ed io con Livia la pregavo in sogno.

Il forte senso di quelle parole

sortì nel risultato che più agogno:

torna alla vita Desi sotto il sole

lottando con la morte molto fiera.

Ed io, fantasma astuto che troppo si duole,

vergai per lei un fato alla tastiera:

tracciai le trame della sua fortuna

rendendola, del rock, una bandiera.

All'ospedale entrava, sua sfortuna,

di un gruppo rock famoso chitarrista

per una gamba rotta da una Duna:

io gli farò comprendere l'artista!

Ed alla fattoria c'è molta attesa

del suo dolore ognuno rende vista:

non dormono, scioccati dall'offesa.

Nemmeno Rico, né Giovanni o Marco,

contratto il volto, con la pelle tesa;

il capriolo langue dentro il parco

e sospirando spera cose belle:

aspetta Desi che si mostri al varco.

«Che pena questa notte e le sue stelle!»

Sospira Katia in cerca del mattino.

«Il tempo scorre lento alla mia pelle

ridotta sono come a lumicino!»

«Io l'ho sognata» le diceva Marta

«con Livia sorrideva: era un bambino

che graffia i suoi disegni sulla carta!»

Ma grevi passi rompono la sera,

come la stoffa l'ago della sarta

quando finisce l'orlo alla gorgiera.

Il suono di quel passo non disserra

il buio immenso, quasi di miniera,

ma gli occhi di Giovanni fanno guerra

per quanto accadde in stanza d'ospedale:

sperando che la donna torni in terra

cammina e spera in quello che più vale:

non rese con parole manifesta

la propria brama verso lei carnale,

ma col suo lutto quella notte appesta,

eppure spera di essere salvato:

ritornerà fra noi e sarà festa,

fiero sarà di non aver parlato.

Desi, leonessa, ascolta quanto dico:

sarà salvezza cogliere il tuo fiato!

Davide giunse con il cuore aprico

sgravando tutti dai pensieri atroci:

«È salva! Salva! Non ha più nemico:

lottando con le armi più feroci

sconfisse morte e tutte le sue sbarre!»

All'ospedale, con dita veloci,

quell'Al pose le mani alle chitarre:

un rock elettrico come un'orchestra.

Quel suono la animò: fece gazzarre!

Ed io stavo seduto alla sua destra:

vi posso assicurare, non imbroglio,

ma quella musica lesta la prende

facendola tornare a questo scoglio:

di Davide l'amore, adesso, attende.

Il suo sospiro in vita la riporta,

ma il chitarrista Al Desi pretende

come cantante esperta e molto accorta.

La buona stella giunse a te superba

per mano di quell'Al, la gamba storta:

rifulgi come il croco in mezzo all'erba!

Tornasti fra di noi, Desi mia cara,

di cogliere il successo, forse, acerba.

Ma è forte il tuo talento, non si bara:

dimostralo alla gente sulla piazza

dove quell'Al con Toni si prepara

a cogliere un talento che già impazza.

La bella Desi interpreta canzoni

che rende l'auditorio gente pazza

guidandoli all'ascolto dei suoi suoni.

E Desi cede presto alla ventura,

sapendo che ci sono parchi doni,

ma conscia di non aver paura

di allontanarsi dai percorsi suoi,

ma si concede a Toni con premura

che sa che di ottenerlo tu lo puoi

quel successo che premia la più diva

e sa che sai e ottieni quanto vuoi.

Con te, dolce Desi, sembra riviva

il fasto delle dame alla mia corte:

ne cantavano la gioia giuliva

scacciandone l'affanno della morte.

Che la passione vada per la strada,

su polveroso asfalto per vie storte,

che ansimi il trattore alla contrada:

profondo scorra il vomere lucente

di notte argenteo seme ne ricada.

L'aratro sulle zolle sia potente:

sepolto il seme, infine, puoi partire

che l'animo rupestre non si pente,

ma, premio di virtù, corrà l'ardire

di immergersi, profondo, dentro i flutti.

Ricorda quanto Marta poté dire:

«Qualunque sia il cammino accetto tutti:

come d'autunno il merlo fa la cresta

nella nostra fattoria tu non ti butti.

L'indomito estro tuo non si calpesta

ma, privo da vergogna e da pudore

può, pregno delle lodi, avere testa!»

Le dissero gli amici con dolore

nella cucina di pentole accaldate,

i loro occhi mutarono colore

con Rico che friggeva le patate.

Lessi nel volto suo molta tristezza

accompagnata a lacrime salate.

Con la chitarra cinta con fierezza

Davide scolpì Desi sulla boma,

la sua figura fende l'aspra brezza:

l'ombra del vento colma la sua chioma:

l'uomo, incantato, rapido ti ammira:

risalti, forte e netta, come assioma!

Meravigliosa corsa che si aggira

di avventuroso amore mai avari,

la gioventù il mistero non attira:

anche, coperto il vento, sa che bari.

Del fiore nettare, vago destino

d'aquila che prende il volo, gli occhi amari,

arpe suonano nel cielo vicino:

col canto si dispiega quanto brami

e fende l'aria con un urlo ferino.

Sul palcoscenico fece certami:

Davide, tu che non ti dimostri cieco,

sai come piegare l'origami:

infiammati per lei di fuoco greco,

manto verde del pascolo giulivo

con nitriti d'amore rende l'eco:

nitriti di giumente, dell'ulivo,

in branchi folti, strette nella valle,

si pascono del loglio sempre vivo.

Non nasce invidia dalle passioni colte

al canto astrale di lunare luce.

La voce sua con note ben raccolte

la rendesti alle canzoni che produce.

Nel casolare della mia storia colmo

(molto prima di Toni che conduce)

portasti il capriolo in ombra all'olmo.

Desi, corri, va: porterai valanghe!

Promesse tacite, nel cesto colmo,

una ruota di carro senza stanghe

ma ben presto ricrescerà la carne:

trasformata in barolo delle Langhe!

Non stimavi l'oro ricavarne

a spegnere il sorriso più giocondo

come il grido in autunno delle starne.

Davide non pianga il triste mondo,

se nostalgia lo prende nella sera,

ma un alito vagheggia e gira in tondo,

mesto nettare d'alta preghiera.

Ed anch'io, con te, vorrei confidarmi,

gronda dolore l'anima sincera,

ma temo forte tu voglia picchiarmi:

anche fantasma sono tuo rivale

e posso di una donna innamorarmi!

Desi mi diede un forte colpo d'ale

quando scesi, vessillo, dalle bare

come il mollusco con limone e sale.

Dipinto affresco sulle pietre amare

degli anni muti carico d'alloro.

Tornai a lei. Ed ecco che per mesi

dalla sua voce Toni trova l'oro

ed io, con Al, propongo questa tesi,

la cerva che non teme delle spade

o delle scimitarre i colpi stesi.

Il sacrificio tuo la piazza invade

ed il successo porta a quelle altezze:

le luci nella notte sono rade

ma fingono miriadi di alte ebbrezze.

La flebile melanconia del bosco,

la livida piroga coglie asprezze.

Avaro lume che non riconosco,

ricchezza: accechi come vampa orrenda,

rigurgito di drago d'occhio fosco.

Col volto magro, segretaria Zenda,

meteora dagli alveoli spessi e bianchi,

di Toni il cuore avido rammenda

l'inesausta ricchezza il cuore manchi

per la natura aprica e senza elmi

lavoro ai musicisti non mai stanchi.

Ma la sfortuna fa l'onore liso:

perciò tornasti dal maestro Anselmi,

che alla tua musica non è mai inviso.

Chi tutto trasforma in vile denaro

al tuo talento fecero un sorriso.

Come battacchio in mano al campanaro,

per i giornali colmi di notizie

tutti i cronisti attesero al tuo varo,

grande follia di note e di malizia,

corsa di fremiti, forte e aguzzina

vantava i tuoi gorgheggi con delizia.

Sai che il successo tradisce, bambina,

ed io vorrei tenertelo lontano,

sfatare la sua sorte che rovina

la tua felicità come il pantano.

Ma giunse Zenda, memoria ed il male,

che ti trascina prigioniera invano.

Zenda, la fiamma che investe ed assale,

come di morte, cieca, una saetta

di fronte alla ragione forza vale

e può dare ad ognuno la vendetta

come l'acqua allo scoglio sulla riva.

Zenda che teneva Desi accanto stretta

come il pastore d'inverno la piva,

sentendosi in dovere, forte e cronico,

ma vuoto, mentre l'animo moriva.

Sembra il successo un volo malinconico

dell'aquila reale quando svola

in alto come un uccello faraonico,

ma lascia il suo ricordo e vi si immola

per essere passata al sole accanto.

Non vive insieme l'oca con la fola

più in alto che non di neve un manto,

come tranciato netto dalla scheggia

confitta dentro il monte come schianto.

Tu speri forse che il volo galleggia

tranquillo a quelle altezze? I cacciatori

ammirano il tuo volo che rosseggia

facendo fuoco coi caricatori

che il loro oltraggio rende sempre vile:

sembrano ammirare il cielo da amatori,

il canto della nuvola sottile,

lo sguardo loro sembra una carezza

come mandasse baci col fucile:

cieco il mondo chi la fiera bellezza

dell'aquila rapace vuole uccidere!

Mi sembri, Desi, ancora non avvezza

a quella folla che ti vuole opprimere

e al varco attende, tesa la sua freccia,

per colpire le remiganti libere.

Tu, fiera luce al sole che si intreccia,

felina come pelle di leopardo,

in mezzo agli alberi apriti una breccia!

Ombre di elogio ti fanno baluardo

che mitiga, alle briglie, le fatiche:

in volo sulle cime non mi attardo

dal culmine del cielo in lande apriche:

ma nulla potrà mai ferirti gli occhi,

le pupille. Remori d'ali antiche:

nel volo sento cantano i rintocchi.

Gli uccelli volano verso la vetta

e scendono, fulgendo come cocchi:

non temono la cruna troppo stretta!

Bisogna metterci grande passione

contro il tormento, senza troppa fretta:

sul palcoscenico vola l'azione.

Ci vuole il tuo coraggio per salvarti:

bisogna rilevare la lezione

che la foresta non potrà mai darti:

devi essere instancabile e selvaggia.

Il tuo potere sta nel consolarti

finch cammini sulla lunga spiaggia,

dall'infinito giungono i tuoi urli:

capendo questo tu sarai più saggia.

Di chi soccomberà tu te ne burli

con Al e con Toni, quell'uomo osceno:

vagando sola tu potrai ridurli

in misere macerie, nientemeno!

Pare di pietra spessa Solitudine:

granito enorme, col fiele m'avveleno

le gigantesche corna dell'incudine:

l'uomo, porco, che del tuo corpo colse

pallida luna, luce e pulcritudine.

L'innamorato ardore il male avvolse

come la rete del pescatore eterno,

ma con le lacrime il cuore accolse

la prece affievolita dell'inverno,

poiché, giocando di scalmo col remo,

travolgesti, spegnendo, il fuoco eterno.

Col seno spingi la barca in cui saremo

la chiglia il cielo di cervo ferisce:

il fortunato amore scopriremo

nell'ardua fortezza che non perisce.

La barca tu spingesti giù nel fiume,

l’aquila, con te, trasogna e ardisce

di rapida raggiungere le brume.

Mi recai là come perenne guida,

misericordia al corpo senza piume,

mutando tono al tocco come Mida.

Fiero grido dall'albero maestro:

la giusta oscillazione cui ti affida

l'arte di Anselmi che è il tuo braccio destro.

Come un colpo mortale della marra

la musica travolge il tuo capestro:

maggiore il tono ardito di chitarra:

dal ventre della terra pare scendere!

Il legno d'acero foggiato a barra

coi denti acuminati lo fa stendere,

con fervida battuta, come ferro.

Il corpo impunito, che non osa svellere:

tra tormenti e miserie per il cielo erro.

La labile cultura si sprofonda.

Conduco brani e come brace atterro

quando ti immergi nell'antro che affonda

l'incauta luce in cui si spegne l'ira.

Dal mondo, cieco di colori, gronda

la musica che rallenta e spira

dolore, l'orchestra sembra si calmi

con note illanguidite, si sospira

al ritmo immacolato dei salmi.

Nello studio discografico non c'ero:

chi stava alla consolle seguiva a palmi

l'andare del concerto troppo austero.

La bianca voce, il volto tramortito

si fa gogna dal giudizio severo,

da tutto questo Toni ebbe partito.

Ahimè, che privo di corazza e staffa

giunsi a vederti trasformata in mito

dal truccatore che il pennello arraffa.

Mistero su di te che si fa specchio

della bellezza tua che forte schiaffa.

Poiché vaghezza, un'ombra d'oro vecchio,

fin troppo spesso ci illude e trascura.

Scorgo la vita dove ti apparecchio,

confonde il tempo che attraversa le mura

come se vita non fosse che notte.

Fluire d'acqua rompe la figura,

tutte le apparizioni sono dotte:

vedi la rabbia che nella clessidra

scorre lenta in nuvole corrotte

dallo stretto orifizio: collo d'idra?

Attenta: guarda! Si trasforma il tempo:

tempo di vetro colma la clessidra

e ci riporta, polvere, nel tempo:

passa la terra gli universi dritti.

Speranza, ardore: è il ciglio che disvola,

con vento ignaro dal castigo e tende

langue alla vita e cruda ti si cela:

con muto maledire ti si arrende!

Eppure, anche abominevole, ti afferra:

è pelle di tamburo che si tende

in cerca di caduta, ma non erra.

Come quando tornavo alle contrade,

rabida tenzone, accesa guerra

che mi fece morire con le spade:

follia che smembra l'uomo al garrese,

volti che scorsi in sogno, per le strade,

che con il sangue fecero maggese.

Ferite lacrime di vacue lampe,

passione per la donna che si arrese

fingendo le sue braccia come zampe.

Zenda mi ricorda furore e battaglia

e lucida e feroce fra le maglie

si tiene stretta alla sua vita addosso

ed invida al successo dà battaglia.

Ed il suo cuore grida: «Non lo posso!»

Gli spettatori vengono col treno

di fronte al tuo calore forte e rosso

provando amore tutti, senza freno.

Voi che ascoltate la mia Desi bruna

perché, fiera nel nostro cuore, almeno,

c'è l'anima sincera che si aduna,

che, risanando sconosciuto ardore,

di stravaganze non evitò nessuna:

la variegata chioma bicolore,

il taglio zigrinato dei capelli,

i nuovi giovani del tricolore:

chi applaudiva più erano quelli!

Anche ai miei tempi giacca e pantaloni

grigi non si usavano, ma gli orpelli

di ogni colore come dei pavoni:

vedendo questi punk indiavolati,

con quelle creste fatte a forbicioni,

sembra vedere dei tarantolati

accesi dalla voce che li scuote.

Ma devo narrare fatti salati

che Desi subì da persone vuote

a casa di un discografico in successo

che fece cose da arrossar le gote.

Sesso di perversione come un cesso:

droga, violenza, vizio e sodomia,

fu definito "incontro con il sesso"

ma quando Desi disse: «Vado via!»

pensando di salvarsi suo malgrado,

quel laido chiamò a casa, tuttavia,

reporter di sozzura d'alto grado

che la filmarono senza rispetto

con Desi che diceva: «Me ne vado!»

con crudeltà feroce e con dispetto

fissarono di flash quello squallore,

fotografandone il suo nudo petto

mentre leccava un cazzo e il suo sapore.

Quella notizia creò una bella rogna,

uscirne dalla strada è troppo amaro:

è terra di goldoni e di menzogna!

Ma frena l'emozione se ti è caro:

Zenda, il favorito paggio, luce spegne.

«Che ti succede Zenda?» Le chiedesti

«Ti ho vista fare cose troppo indegne!»

(A notte fonda per questo piangesti.

Ti disse con voce profonda: «Vattene!»

E drappeggiava, amara, le sue vesti.

«Se qui vuoi rimanere, affermo: “Stattene”!»

«Sarà di gioia di vita la sporta?»

E quella andandosene la porta sbattene.

Zenda aveva chiuso quella porta

e tu buttassi al mare quella chiave.

Ma dall'esterno quella disse, accorta:

«Nasconditi nel grembo della nave

finché non sia disciolta quella droga!»

Desi, nel pianto del tuo corpo affoga

bianche braccia sul cuore sfibrato:

come il bottaio colpisce la doga

per dare forza nuova al tino andato,

così l'amicizia quel segno sente

di umanità lucente come fiato.

«Che mai ne sai, tu, piccola incosciente

di droga? Mi accusi molto fiera

come chi troppo vuole, e poi si pente!

Per sopravvivere sono bandiera,

ma il cuore si trascina questa croce:

o speri che mi spenga, sfatta sfera,

pennello inventato da mano atroce

finché verrà quel giorno che si muore?

Da sette notti la luna feroce

mi illumina del canto delle suore:

il giorno dopo è come lo rubassi

a te, e mi godo il furto con sapore

perché sono ladra di vita, e passi

pure il tempo con le suore ghiotte:

per me la vita affonda dentro ai sassi!»

«Fai pure, Zenda, le carni corrotte»...

così quel dolce amore le rispose

(avrei voluto accarezzarti, notte,

quella sera al profumo delle rose!)

«Tu mi facesti odiare quel potere

ma capisco, fra tutte le altre cose,

che la tua rabbia non devo temere:

poiché non desti tutto al primo incontro,

quando paura non potevo avere,

ma solo compassione per riscontro:

alleviarti il dolore è un'allegria.

L'orgoglio ottenuto rovescio contro,

sento sferragliare l'avaria:

ti prendo, adesso, come amica e figlia

perché posso riprendere la via!

Ed oggi la ragione mi consiglia

di consolare la sfortuna amara:

dal colpo del destino si ripiglia!»

Sembravi una divina, Desi cara,

(io ti ammiravo silenzioso, accolto

dal nulla eterno, amico della morte,

fantasma vivo dal corpo dissolto).

Zenda in faccia guardarvi serena,

come Cristo col ladrone assolto

le dimostravi in volto la tua pena.

«Non chiedo pietà né compassione

perché il mondo l'anima avvelena»

rispose Zenda con moderazione

«rendendo i corpi martoriati a sangue,

sempre col timore di delazione,

la vita mi ristagna e troppo langue.

Tutto un mero spettacolo diventa:

- Ecco colei che è morsa da quell'angue! -

quella misericordia mi spaventa

- Ma guarda quanto è inutilmente bella,

quanto alla gloria, fervida, si avventa,

quanto è ancora attraente e fiera stella,

questa bellezza, ormai, più non le serve,

viaggia con lei la morte: perciò è bella! -

Toccami! Senti quanto il polso ferve,

toccami! Forse ti sembra atto indegno?»

Come nave alla bonaccia non ha verve

e misera la prua ritorna legno,

la tua voce, Zenda, si fa demente:

«Quanto scorre è di veleno pregno,

un tempo questo corpo era attraente,

ora un fuoco malevolo mi rugge,

contamina la vita che risente

del suo fiele che l'animo distrugge...

uso, per droga, questo amaro assenzio

e trabocco di collera che sfugge.

Perciò voglio comprarmi il tuo silenzio:

dimmi che prezzo. Dimmi: quanto vuoi?

Qualsiasi sia la cifra non dissento

pur di sottrarre il mio destino ai buoi».

Ma l'amore di Desi è senza prezzo:

«Rimani calma nei dolori tuoi,

non serve, a tacitarmi, alcun rappezzo:

il mio silenzio è gratis! Non mi frulla

in testa voglia di mostrarti sprezzo:

ami il dolore come la tua culla

al cuore l'amicizia conta nulla».

Ma Zenda sghignazzò come una morta

cogliendone il dolore con mente ebbra.

«Divertente!» Esclamò, la mano sporta

nel gesto tremito di chi non sfebbra.

«L'amore che ti porto, come gaggia,

tutto accomuna, persino la lebbra:

insieme allo spettacolo che viaggia

seguendo con l'orchestra amati canti.

Il mondo passato è l'ultima spiaggia:

dei giorni amati insieme e mai rimpianti!»

Tu lanciasti il tuo perdono all'amica

lasciando che l'amore volga in pianti.

Perdona, Desi, se il mio labbro affrica:

lo so che tu, per me, non puoi invaghire

però l'ardore al vento spesso spica

e non gli importa che faccia morire,

se in cenere riduce questa salma.

Il fellone bastardo che ferire

in guerra può del nemico la palma

salva la vita con l'onore in resa

riporta il suo trofeo con tutta calma.

Cauto, dell'abbracciarla tentai l'impresa,

ma voluttà non trasse il corpo prode:

malevolo il destino era in attesa.

Per il palco sulla scena si rode

Toni (mio discografico tiranno

follia d’affari come un nuovo Erode).

La musica, da sola, non è affanno,

ricava dalla voce l'emozione,

disfrena la tua voce senza inganno

della memoria colma la canzone:

liti racconta e quella sodomia,

la musica assegnava quell'azione

con le chitarre il basso e batteria

cantavi con un grido: - Stavo fuori! -

sapore della terra e fattoria.

Danzavi lungo il palco in mezzo ai cori,

Al serpeggiava gli incisi dei violini,

il canto saturava tutti i pori

sfuggendo dagli impavidi aguzzini

rivoluzione all'aria degli untori!

- Li stesi tutti secchi, quei cretini! -

Ed io speravo forte che la scossa,

rapidamente nata sulla scena,

avrebbe presto preso la riscossa

spandendosi ben oltre la frontiera.

Ma cadde tutto quanto in una fossa!

L'elettricista, autista di corriera,

la troupe del cinema dentro la piazza...

sparisce la mia Desi condottiera

rimane il viso dell'attrice pazza.

Svanita è la mia Desi che mi accese.

Colmo di rabbia e di inganno: che razza

di truculenza illude il mio paese!

Ed io, la barca spersa nella neve

del mare rasciutto dalle imprese...

Chi più avrà felicità mai breve

se il destino ti coglie nudo mentre

nuoti nel mare come un cieco? E beve

l'acqua che, morto, ti rigonfia il ventre?

scoprire ciò mi sbatte contro un muro,

disteso in una fossa, putreo ventre.

Mi è nemico l'uomo, crudele e duro:

sia nell'affanno che in parole scarse

all'alba la sua brama mi figuro

colpito dalle frecce a terra sparse.

Ogni mattina attorno a quella rupe,

la rivista che richiama le comparse,

scintillanti nell'ombra come drupe,

le maschere gentili degli attori

discoprono le loro vesti cupe,

rombo di guerra, rombo dei motori

nella mia terra che ho vissuto e arato

ai miei tempi godendone i favori

quando la sera in giacche di sparato

dopo ogni danza ritornava il pianto

della terra come un ululato.

Ed ora sono solo nello schianto:

gli attori sono tutti andati via

sulla tunica rimase solo il manto

della calce, colore ipocondria...

Muta è tornata la folla che sentite

contro l'ambigua morte audace sia!

Si stenta a crederlo, ma mille vite

spesso alla luna sono senza volto.

Io torno al nulla e voi ve ne partite

finché il velo d'amore sarà tolto.

 

webmaster Fabio D'Alfonso


 
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