Rapporto del capo della polizia
sull'attentato Zaniboni

1925

 

Con riferimento alla richiesta del 10 corrente N. 3200/1049, comunico alla S. V. Ill.ma quanto risulta dagli atti di questa Direzione Generale di PS da notizie confidenziali e riservate pervenute in ordine al complotto Zaniboni ed ai movimenti politici verificatisi in epoca anteriore ma che possono avere riferimento - seppure indiretto - al processo in istruzione.
I tentativi di rovesciare - colla violenza - i Poteri dello Stato ebbero inizio nell'estate del 1924, quando le condizioni politiche interne sembravano - apparentemente - favorevoli a tale insano tentativo. In quell'epoca cominciò l'organizzazione - nel territorio della vicina Repubblica - ad opera di fuorusciti italiani - di ogni tendenza politica, dall'anarchica alla repubblicana - delle cosiddette "Legioni Garibaldine", mentre il partito comunista - parallelamente, se pur con fini mediati diversi, inquadrò i gregari nelle "centurie proletarie". I centri piú attivi delle Avanguardie erano Parigi; Marsiglia; Nizza ed altre località della Côte d'Azur e della Savoia; il capo spirituale era il Generale Peppino Garibaldi e quelli effettivi il fratello Colonnello Ricciotti ed Alceste De Ambris.
L'arruolamento, l'equipaggiamento e l'armamento delle Legioni fu curato in sommo grado, mentre nei riguardi del finanziamento dell'impresa, i promotori del movimento escogitarono il lancio di un "Prestito della libertà" tentando il collocamento dei buoni denominati "Buoni emessi dal comitato per la libertà italiana". Il provento del prestito doveva essere destinato "per l'azione della libertà Italiana". Gli altri mezzi finanziari sarebbero stati forniti, in quell'epoca, anche dalla massoneria e dal Delegato del Partito Socialista Czecoslovacco Dott. Gustavo Winter che, come risulta in modo indubbio, consegnò allo Zaniboni, nell'agosto 1924, Frs. 300 000 (parte di detta somma sembra servisse per l'acquisto della automobile Lancia ora sequestrata allo Zaniboni).
Questo lo stato di eccezionale gravità, venutosi a determinare nello elemento italiano, residente in Francia, e che dimostra l'esistenza e lo sviluppo di un piano organico per lo abbattimento delle Istituzioni mediante azione violenta.
Occorre, ora, esaminare come l'azione ordita oltre Alpi fosse un complemento di quella che andavasi tramando all'interno ad opera di alcuni esponenti dell'Opposizione ed - in particolar modo - delle Associazioni "Italia Libera", "Patria e Libertà" e come il movimento generale avesse carattere prettamente sovversivo e violento.
Le Legioni Garibaldine avevano lo stesso contenuto programmatico dell'"Italia Libera": ottenere, cioè, un altro patto nazionale o carta fondamentale dello Stato, sulla base repubblicana. Vero è che sia i fratelli Garibaldi (Peppino e Ricciotti) che taluni dirigenti dell'Italia Libera avevano, talvolta, tentato di mascherare la sostanza repubblicana della loro azione con qualche apparenza di lealismo monarchico; ma che la tendenza di entrambi i movimenti fosse anti-istituzionale, lo si rileva da molteplici elementi.
In una lettera dell'ordinatore Generale dell'"Italia Libera" per l'Abruzzo, che fu sequestrata ad Aquila, era notevole il seguente brano: "Quello che dai combattenti dell'IL non si approva è quel senso di incertezza e di timore di apparire antimonarchico. I combattenti monarchici non stanno con noi, stanno nell'ANC. Ciò dico ad onta del filomonarchismo di Giampietro, di cui noi ci freghiamo altamente. Parlo di Giampietro perché al filomonarchismo di Peppino Garibaldi io non posso credere. Sono, del resto, note le frasi di Raffaele Rossetti:... "come preparazione alla futura lotta per la libertà civile d'Italia, io penso che sia tempo di dimettere la vecchia e pur santa formula (Italia e Vittorio Emanuele) per sostituirvi l'altra: "Italia senza Vittorio Emanuele"".
In un altro manifesto sequestrato ad Ancona, si legge, fra l'altro: "... noi siamo persuasi che non si mina la Monarchia rovesciando il Governo Fascista; ma che si demolisce per sempre il fascismo solo schiantando la Monarchia. Scopo unico ed assoluto della nostra lotta dev'essere lo abbattimento del Regno".
A dimostrare gli stretti vincoli ed il parallelismo dell'azione fra le organizzazioni suaccennate, basti solo - fra i numerosi contatti avuti dal Generale Garibaldi cogli esponenti dell'IL e della "Patria e Libertà" - la seguente elencazione dei viaggi e dei colloqui avuti dal Garibaldi nel mese di dicembre dello scorso anno: Il giorno 4 ad Udine riunione degli aderenti all'"Italia Libera" con l'intervento dello Zaniboni e dell'avv. Piccin; il 7 il generale è a Roma, dove si trattiene per parecchio tempo avendo numerosi abboccamenti con rappresentanti dell'"Italia Libera" e con uomini politici dell'opposizione: on. Conti, Amendola, Bencivenga, gen. Capello, Giampietro, ecc.; il 25, come s'è dianzi detto, arriva a Genova ove ha un lungo abboccamento con capitan Giulietti (in questo colloquio sembra siasi trattato pel trasporto - via mare - dei "Legionari Garibaldini"); il 27, a Torino, ha un colloquio col noto Filippo Naldi, nel pomeriggio dello stesso giorno si intrattiene col conte Sforza, giunto appositamente da Massa e col quale aveva già avuto un colloquio preliminare e breve, in treno, alla stazione di Genova; il successivo giorno si reca ad Alessandria, ove ha luogo, in casa di Raimondo Sala, una riunione con noti esponenti dell'Associazione "Italia Libera" e "Patria e Libertà". Lo stesso giorno, in automobile, unitamente all'on. Misuri ed al Sala, parte per Pavia, ove ha luogo una riunione privata in casa del fascista dissidente Bezzi. Riparte, la sera stessa, per Alessandria, in automobile, donde prosegue per Torino.
Il 30 ritorna a Torino ed il 1° gennaio è a Roma. L'intensa attività di questo periodo avrebbe dovuto preludere alla fase risolutiva del movimento sedizioso e l'adesione degli ascritti alla "Patria e Libertà" avrebbe dovuto accrescere le già numerose fila dell'"Italia Libera".
Si inizia però col 3 gennaio, una nuova fase, non prevista, che liquida definitivamente il movimento all'interno: lo scioglimento dei gruppi dell'"Italia Libera" e della "Patria e Libertà" arreca un fiero colpo all'organizzazione; disorienta i capi, sbanda i gregari, spezza, d'un tratto, le pazienti fila tessute d'un capo all'altro della Penisola, dà la sensazione precisa che il Governo vigila ed opera con la consueta fermezza.
Anche le "Legioni Garibaldine" risentono del contraccolpo e cominciano a sgretolarsi ed il processo di dissoluzione è alimentato dalla distrazione dei fondi raccolti, per usi personali, dalle beghe interne che cominciano ad ingrandire per, poi, scoppiare in un vero e proprio scandalo ed in interminabili ed edificanti polemiche fra le varie fazioni aderenti alle Legioni. Ad una delle ultime adunate che ne prelusero lo scioglimento - avvenuta a Parigi - nel gennaio 1925 - intervenne anche lo Zaniboni, come rilevasi dal noto libro del Piastra "La truffa rivoluzionaria e quella neo garibaldina".
Può considerarsi, cosí, chiusa la prima parte del movimento sedizioso che mirava, appunto, ad ottenere un cambiamento coattivo delle Istituzioni, imposto con mezzi anticostituzionali alla volontà costituzionale del Parlamento: ed i mezzi consistono in un complesso di atti preparatori illeciti quali gli arruolamenti di uomini armati o da armarsi (art. 452 c. p.); raccolta di armi e di munizioni destinate allo armamento ed all'equipaggiamento militare (art. 10 legge p. s.) (in quel torno di tempo furono eseguite nel Regno importanti sequestri di armi); raccolta di fondi a mezzo di un prestito internazionale: effetto immediato era la possibilità di compromettere l'ordine pubblico provocando la guerra civile (art. 252 c. p.).
Passato il primo istante di disorientamento, ad iniziativa sempre degli esponenti delle disciolte associazioni "Italia Libera" e "Patria e Liberta", Tito Zaniboni, Misuri, Corgini, Raimondo Sala, Forni, Capello, si ricomincia il lavoro di organizzazione - all'interno - fermo restando il fine di rovesciamento violento delle Istituzioni.
Aderiscono al movimento anche i "Goliardi della libertà".
Il defunto ispettore Generale di PS - comm. Augusto Battioni - per preciso incarico ricevuto, seguiva, colla meticolosità ed intelligenza che gli erano peculiari - il movimento e - piú particolarmente - l'attività dell'ex On. Tito Zaniboni che - dopo l'allontanamento del gen. Garibaldi - aveva assunto un ruolo di primo ordine e che - ben a ragione poteva considerarsi come la mente politica direttiva del movimento, mentre il Capello era l'esperto militare ed il finanziere.
Il 19 maggio la Direzione Generale di PS venne a conoscenza che pel giorno 21 Giovani Goliardi istigati da elementi dell'opposizione avrebbero preparato una manifestazione che doveva culminare col tentativo di far trattenere S. M. il Re nei locali universitari per farGli sentire le proteste contro il Governo e contro le pretese violazioni della libertà. Contemporaneamente altre manifestazioni vivaci si dovevano tentare in vari punti della città.
Successivamente le notizie si precisavano sicché riuscí possibile ricostruire in ogni dettaglio e colla massima precisione quello che era il piano dei disordini e si poterono adottare le piú efficaci misure per fare abortire la manifestazione.
E, precisamente, fu accertato che nel pomeriggio del 18 maggio, il noto Bezzi, rappresentante dei combattenti dissidenti di Pavia - insieme con certi Andrea Castelli e Francesco Perolli rappresentanti dei "Goliardi della Libertà", si recarono dal Sala, ad Alessandria, per chiedergli un aiuto finanziario di L. 10 000 per facilitare l'organizzazione della manifestazione del 21.
Non avendo il Sala mezzi a disposizione, decise di rivolgersi al Ducci ed all'on. Misuri al quale ultime inviò una lettera - firmata anche dal Bezzi, dal Castelli e dal Perolli - chiedendo un anticipo di L. 5000 per "le spese di ristorante degli studenti che dovevano convenire a Pavia". La lettera, che porta la data del 18 maggio, contiene una frase assai sintomatica e che conferma che la somministrazione dei fondi fosse devoluta al Capello: "Esponi allo "zio" la situazione e procura di ottenere quanto necessita". Lo "zio", giusta quanto riferiva il defunto Ispettore Generale Comm. Battioni era il Generale Capello.
Il 19 a sera, il Ministero ebbe precisa notizia che la Massoneria aveva accordato le 5000 lire richieste che furono consegnate attraverso il Ducci al Sala. Il Gran Maestro della Massoneria avrebbe nella occasione sconsigliata l'andata a Pavia dei principali promotori per evitare provvedimenti repressivi.
Il 20 alle ore 4 il Bezzi a Pavia al Bar Perseveranza aveva visto il Perolli e gli aveva dato qualche centinaio di lire. Alle 16 fu invitato da un agente a recarsi in Questura; ma prima di ottemperare all'ordine si recò nella cucina del bar nascondendo la somma di denaro che aveva indosso, somma che poi ritrovò, come ebbe a confidare al Perolli, quando fu rilasciato in libertà. La manifestazione progettata, per le tempestive efficaci misure adottate dall'autorità, abortí e lasciò un senso di sfiducia e di sorpresa fra i promotori ed i gregari. Lo Zaniboni intanto cercava di organizzare una manifestazione di protesta a Mantova, per la visita di S. M. il Re, coadiuvato nell'organizzazione da certi Gobbi e Ferrara. Ma anche questa seconda manifestazione abortí.
Riunioni private erano, però, precedentemente avvenute: il 6 marzo in casa Misuri - Via Vittorio Veneto - coll'intervento di Zaniboni, Corgini, Sala ed altri due ed il successivo giorno 8 all'Hotel Moderno. In quest'ultima riunione si decide di far rivivere, sotto forma di "gruppi" le antiche sezioni della "Patria e Libertà". Sala è incaricato della organizzazione del Piemonte, Zaniboni della Lombardia e del Veneto, Misuri e Corgini dell'Italia Centrale. È da tener conto che - proprio in quell'epoca - tra le opposizioni si parla di "resistenza", di "azione" piú che non si facesse in passato: lo stesso Amendola a Napoli, Spallicci a Forlí ed altri a Roma ne parlavano apertamente. In successive riunioni si concretano i particolari degli sviluppi da dare al movimento - specie per il finanziamento - cui avrebbe provveduto il gen. Capello longa manus della massoneria.
Per rendere possibile alla organizzazione di sfuggire ad ogni azione repressiva era garantito il massimo segreto. Il che, oltre tutto, ne faceva corrispondere lo spirito a quello della massoneria.
E perché il massimo segreto fosse mantenuto sull'organizzazione e perché nessuno - meno i dirigenti - potesse essere in possesso di notizie complete, cosí da rendere monca qualsiasi delazione (sullo scempio dei criteri adottati dai comunisti - e dopo che parecchi elenchi ed un registro di iscritti caddero, tempo addietro, in mano alle autorità) si stabilí:
- di distruggere - e furono distrutti - tutti gli atti relativi alle preesistenti sezioni della "Patria e Libertà", de "L'Italia Libera" e dei "Goliardi della Libertà" ed alla formazione successiva dei "gruppi di azione";
- di non rilasciare tessere né ricevute agli iscritti, dividendoli in gruppi di 24 (semplice) e di 48 (rinforzato) - per rioni o quartieri di città, borghi, comuni rurali e contrade di campagna - a seconda del numero degli aderenti.
I soli "capi gruppi" dovevano conoscere i loro uomini; mentre il capo della "zona" (composta di piú gruppi - ed ordinariamente corrispondente a piú provincie) conosceva solo i "capi gruppo";
- le istruzioni per le comunicazioni - molto rare - erano impartite, generalmente, a voce ai "capi gruppo" dai capi delle rispettive zone, nei contatti continui che mantenevano, in riunioni che si indicevano improvvisamente, al passaggio in un determinato centro del capo della zona, incontrandosi in pubblici esercizi campestri od in luoghi di movimento, cosí da poter far credere, in ogni caso, alla occasionalità dell'incontro stesso. Cosí lo Zaniboni e gli altri esponenti del movimento avevano piú volte riunito a Castiglione delle Stiviere, Asola, Mantova, ecc. i loro gregari ed il gen. Capello poté "ispezionare" quasi tutti i "gruppi" riunendo i capi, improvvisamente, in località diverse presso Verona, Trento, Alessandria, ecc.;
- la corrispondenza fra i capi delle varie "zone" ed il "comitato segreto" - di cui si dirà in seguito - è quasi interamente sostituita con i contatti continui. E, quando occorreva scrivere, si adoperavano indirizzi convenzionali, su buste di ditte commerciali o di società spesso inesistenti;
- ogni inscritto ai "gruppi" (compresi i "Goliardi") doveva avere - presso di sé o presso parenti od opportunamente nascosto - un fucile con suffícienti munizioni.
Si riteneva cosí di ottenere - al momento opportuno - il pronto armamento di tutti i gregari, senza correre il rischio di sorprese o di sequestri, ai quali avrebbe potuto esporre lo agglomeramento di armi.
D'altra parte - per qualsiasi bisogno eccezionale - si faceva assegnamento sulle armi, nei piccoli centri ordinariamente custodite da pochi uomini, della MVSN e nelle città, esistenti nei magazzini e nei depositi, dato che il movimento che si sperava di tentare nel prossimo inverno, sarebbe dovuto scoppiare improvviso.
E precisamente:
Secondo lo Zaniboni:
- in tutti i comuni, nei quali erano costituiti i gruppi di azione iniziando - simultaneamente - il movimento di rivolta alla Autorità del Governo appena avvenuto - o, non avvenendo - appena diffusasi la voce di un attentato a S. E. Mussolini e (dopo l'arrivo della notizia falsa) interrotte od impossessatisi delle comunicazioni telegrafiche;
Secondo Capello:
- concentrando tutte le forze di cui l'organizzazione disponeva per lanciarle all'occupazione degli uffici pubblici ed alla conquista, quindi, del Potere, nella illusione che, di fronte a tali masse, l'Esercito non agirebbe, se pur non si inducesse ad un "pronunciamento".
Avrebbero aderito al movimento, per tentare il raggiungimento del fin comune, molti elementi operai, come molti combattenti indipendenti e tutti i goliardi della disciolta organizzazione che avevano aderito all'"Unione Nazionale".
Tali elementi non avrebbero fatto, per allora, parte diretta dei "gruppi" ai quali, per accordi segreti locali, si sarebbero riuniti al momento dell'azione.
Avrebbe dovuto presiedere a tutto il movimento un "comitato Segreto" il quale, per la parte direttiva politica, doveva fare capo allo Zaniboni e ad altri suoi amici politici e, per il comando militare dei gruppi, al Capello.
Fu, inoltre, costituito, in un convegno tenutosi a Roma nei giorni 21 e 22 giugno, un "comitato Esecutivo".
Tale comitato avrebbe dovuto dedicarsi, specialmente, alla risoluzione della quistione del finanziamento.
In un primo tempo, la "massoneria" sembra avesse promesso una somma mensile ingente per provvedere alle spese generali (viaggi, riunioni segrete, qualche aiuto personale, specialmente ai combattenti, ecc.) ma non avrebbe versato che piccole somme; sicché la quistione rimase insoluta.
Il nuovo movimento, per quanto circondato dal segreto piú fitto, giorno per giorno, attraverso l'attività degli esponenti ed i contatti che avvenivano, era seguito dalla Direzione Generale di PS che, tempestivamente impedí l'effettuazione dei progetti elaborati per le manifestazioni di Pavia e di Mantova. L'attenzione maggiore, però, era rivolta all'ex onorevole Tito Zaniboni sospettato, fin d'allora - ed il successivo svolgimento dei fatti conferma pienamente la bontà della strada battuta - e le cui mosse erano strettamente e con la maggiore segretezza seguite. Valga ad illustrare quest'ultimo punto ed a maggior riprova dell'esistenza del piú stretto accordo dell'On. Zaniboni coi rappresentanti, in ispecie, della disciolta "Patria e Libertà" il seguente breve cenno delle ultime manifestazioni dell'ex On. predetto;
Le frequenti visite effettuate ad Alessandria non erano sfuggite alla vigile attenzione della polizia: il 24 agosto 1925 furono notati numerosi segreti abboccamenti fra lo Zaniboni e il Sala; il 26 Zaniboni riparte pel Friuli - dopo breve sosta a Mantova - dove ha frequenti colloqui col Cav. Nicoloso, col Rag. Agnoli e con altri. Il 14 settembre ritorna ad Alessandria e rivede il Sala; il giorno successivo era a Torino dove fu raggiunto da quest'ultimo. Il 16 mattina il Sala era ad Alessandria, ma, nel pomeriggio dello stesso giorno si restituiva a Torino, rientrando poi ad Alessandria la sera stessa. Il 17 settembre il Sala tornò nuovamente a Torino e con lo Zaniboni si recò alla "Stampa", rimanendovi per tre quarti d'ora. La sera dello stesso giorno mentre il Sala era tornato ad Alessandria - lo Zaniboni arrivava a Mantova insieme col Quaglia. Il 19 settembre si trasferisce ad Urbignacco ove permane fino al 29, inviando però in questo intervallo di tempo, e precisamente il 24 ed il 28 settembre il Quaglia ad Alessandria. Dal 29 settembre al 10 ottobre lo Zaniboni riesce a far perdere ogni traccia di sé. Solo in quest'ultima data la Direzione Generale di PS assoda che era ritornato ad Urbignacco e che era nascosto nella cascina della Paoluzzi. È notevole, perché ciò è nella psicologia di chi ha in animo di commettere qualche delitto e non vuole che si conoscano i suoi movimenti, la cura che pone lo Zaniboni nel far perdere le sue tracce. Fu disposto, pertanto, che, pur continuandosi, anzi intensificandosi la vigilanza, gli fosse lasciata la sensazione di riuscire ad eluderla per facilitargli qualche imprudenza. Il 12 ottobre è segnalata la sua presenza a Villacco. La notte sul 18 la sua automobile Lancia Lambda è ricoverata in un garage di Mantova e la mattina del 18 lo Zaniboni, insieme con la Signora Graffigna, parte passando nel pomeriggio per Forlí. Disposto opportuno servizio alle porte della capitale, verso le ore 12 del 19, viene segnalato l'arrivo ad una fermata davanti al posto telefonico della barriera di Ponte Milvio. A questo punto si perdono nuovamente le tracce dello Zaniboni che non risulta sia entrato in città quella sera né da quella barriera. Si accerta però che la Lancia è ricoverata, sotto il nome di Quaglia al "garage Lancia" e che il 22 partí facendo sosta ad Orvieto. Il 24 ottobre lo Zaniboni è a Milano, ove sotto falso nome, alloggia all'Hotel Concordia lasciando l'automobile, visibilissima, nel giardino che è davanti all'albergo; il 26 riparte giungendo, nella stessa sera, ad Udine. Di lí ritorna ad Urbignacco donde riparte per la Capitale la mattina del 31 ottobre.
La dettagliata esposizione suddetta vale a dimostrare come la Direzione Generale della PS, fin da tempo remoto, seguisse, con meticolosa cura, i movimenti dello Zaniboni e dei suoi accoliti avendo avuto la sensazione precisa che qualche cosa di veramente grave stesse maturando.
Le difficoltà finanziarie, da un canto, la magnifica ripresa del Fascismo, l'opera diuturna, costante, assillante della polizia che scompaginava, con frequentissime perquisizioni, le fila dell'organizzazione criminosa, mentre fiaccavano i deboli ed allontanavano i tiepidi e gettavano un senso di sconforto - subito represso - nell'animo dei fanatici, fecero indubbiamente germogliare nella mente dello Zaniboni il proposito di non frapporre indugi ulteriori e di agire con ogni mezzo per arrivare ad una soluzione.
Egli scrive ad un amico alla fine del mese di giugno 1925: "...non posso lasciare il mio campo appunto perché la lotta si rende piú difficile di giorno in giorno. Io conduco una battaglia dalla quale assai probabilmente non uscirò vivo e che è di tutti i giorni e che ha bisogno di tutti gli ardimenti e di tutte le abnegazioni".
Ed alla fine del mese successivo (luglio 1925) egli, nel raccontare un incidente capitatogli coi fascisti di Verona, scrive ad un amico: "...niente mi impressiona né mi castiga. Continuo la mia strada con inestinguibile entusiasmo maledicendo i porci che attraverso le false lusinghe, hanno reso e rendono difficile qualche cosa di piú serio. Cerco affannosamente il modo di uscire con onore da questo stato d'inerzia che mi avvilisce e che mi stroncherà quando avrò finito le mie possibilità finanziarie che rapidamente sfumano; dillo ai bluffisti di tutte le gradazioni di quella cloaca immensa che ha nome Roma..."
Evidentemente, fallito il piú grande tentativo, organizzato dalle opposizioni all'interno e da rinnegati italiani fuorusciti, di rovesciare colla violenza le istituzioni e di gettare l'Italia nel caos, in via di fallimento l'opera dei "gruppi di azione" che avrebbe richiesto molto tempo, grande larghezza di mezzi, e, sopratutto, un clima politico piú idoneo, sorge e si matura nell'animo dello Zaniboni il fermo proposito di accelerare il ritmo degli avvenimenti.
E, giovandosi degli stessi elementi dei "gruppi di azione", minutamente concepisce, prepara e pone in attuazione - con scrupolosa cura - l'atto ultimo del crimine che non è punto di arrivo, ma che deve costituire il punto di partenza per il rovesciamento del regime.
Egli non aveva mai fatto mistero delle sue idee in proposito: pensava che, soppresso il Capo, i focolai istituiti in vari punti del Regno, con lungo e paziente lavoro di organizzazione e di propaganda, avrebbero risposto all'appello della riscossa e che l'incendio, appena gettata la scintilla, sarebbe divampato in tutta l'Italia. I capi locali non mancavano, il minimo comune denominatore dell'antifascismo avrebbe certamente operato il miracolo di fondere in un sol fascio uomini di avverse fedi politiche. I fatti che vengono a conoscenza, dopo l'insano tentativo, confermano la veridicità dell'assunto.
Da ogni parte del Regno giungono lettere, informazioni, segnalazioni delle Autorità che recano particolari sulle voci correnti in quel torno di tempo; voci di attentati, di sommosse, di avvenimenti importanti; voci che si concretano in episodi precisi - sui quali luce piena sarà portata dalle indagini in corso e che completano il quadro dell'abisso nel quale uomini incoscienti, ambiziosi o settari erano sul punto di gettare l'Italia.

Si allegano:

1) Copia del bando di arruolamento per le "Legioni Garibaldine della Libertà";
2) Piano del prestito per la libertà;
3) Cartella del prestito;
4) Modulo di arruolamento;
5) Copia dell'ordinamento militare delle Legioni Garibaldine;
6) Fotografia della lettera del PSU diretta allo Zaniboni e contemporaneamente la copia della ricevuta rilasciata dallo Zaniboni stesso al Dr. Gustavo Winter;
7) Copia fotografica di lettera inviata dallo Zaniboni ad un amico e contenente il brano trascritto nel presente rapporto;
8) Altra copia fotografica contenente il secondo brano di lettera inviata dallo Zaniboni ad altra persona e trascritto nel rapporto;
9) Copia del giornale "Pozzo dei Traditori";
10) Copia del giornale "L'unione dei padellari".
Degli allegati 4) e 5) quest'Ufficio spera di trasmettere gli originali.

Roma, lí 30 dicembre 1925.

Il Capo della Polizia