A settanta anni dalla loro redazione ecco per
la |
COLLOQUIO COL GENERALISSIMO FRANCO
19 luglio 1939 - XVII
Istintivamente il Generalissimo Franco tende a portare il colloquio sul terreno
militare da quello politico. Egli è ancora piú Capo di un Esercito
che Capo di uno Stato. I problemi politici, che durante tutta la sua vita e
la sua carriera di militare sono stati da lui soltanto superficialmente sfiorati,
adesso, nella nuova responsabilità di Caudillo di una rivoluzione e di
un popolo, si presentano al suo spirito con la imperiosa urgenza di un dovere,
ma si presentano ancora in modo confuso, ed egli non nasconde il suo impaccio.
Il Generalissimo Franco è, a trattarlo, quell'uomo che uno ha conosciuto
attraverso le sue opere, le sue parole e le sue stesse fotografie. Non si hanno
né sorprese né delusioni. Uomo semplice nel tratto e nel pensiero,
sereno nell'esame delle questioni e nel giudizio, confina la conversazione ad
una lucida esposizione di avvenimenti e di situazioni contingenti senza mai
avventurarsi più oltre. Ha parlato della sua gratitudine per il Duce
e per l'Italia in termini da non lasciare dubbio alcuno circa la sua sincerità.
Egli sa e dichiara di dover la vittoria in guerra alla collaborazione mussoliniana,
cosí come comprende essere necessario l'ausilio fascista per superare
le non trascurabili difficoltà interne che si presentano e piú
ancora si presenteranno al consolidamento del suo regime. Il prossimo incontro
di Franco col Duce è atteso da lui - e dai suoi migliori collaboratori
- come l'avvenimento fondamentale che dovrà segnare la direttrice di
marcia della nuova Spagna, particolarmente per quanto concerne la politica interna
e la politica sociale. La politica estera invece, sembra - nonostante alcune
incertezze ed esitazioni che trovano la loro spiegazione naturale nella presenza
di molti elementi vecchio regime e nella necessità di dover superare
alcune difficoltà contingenti, sembra - dicevo - nettamente orientata.
Franco - premettendo che deve per qualche tempo ancora ménager la Francia,
al fine sopratutto di riavere in patria le ricchezze esportate dai rossi, che
ammontano a oltre cinque miliardi - ha confermato la sua ferma intenzione di
orientarsi sempre piú nettamente sulla linea dell'asse Roma-Berlino,
in attesa del giorno in cui condizioni generali e preparazione militare della
Spagna permetteranno di identificarsi col sistema politico dei Paesi totalitari.
Desidera a tal fine un periodo di pace ed è stato lieto di sapere quanto
dal Duce fu detto in proposito a Serrano Suñer e da me a lui stesso confermato;
soltanto bisogna tenere presente che le necessità spagnole vanno al di
là dei due o tre anni previsti. Franco ritiene necessario un periodo
di pace di almeno cinque anni, ed anche questo calcolo - a molti osservatori
- sembra ottimista. Se nonostante le previsioni e la buona volontà, un
fatto nuovo ed imprevedibile dovesse accelerare il momento della prova, la Spagna
ripete la sua intenzione di osservare una neutralità molto favorevole,
piú che molto favorevole nei confronti dell'Italia. (Dico dell'Italia
e non dell'Asse, non perché la Spagna non approvi o sia comunque fredda
nei confronti del sistema Roma-Berlino, ma perché gli spagnoli tengono
a sottolineare una netta differenza nei loro sentimenti per l'Italia e per la
Germania.) Ma Franco stesso si rende conto che una neutralità potrebbe
essere osservata solo per poco tempo, cioè nel caso di una guerra a rapido
corso. Ma a lungo andare non sarebbe possibile: gli avvenimenti porterebbero
la Spagna a dover prendere una piú netta posizione. La rivoluzione franchista,
che trova i suoi elementi fondamentali nel risveglio dello spirito nazionale
e imperiale spagnolo, non consentirebbe di rimanere a lungo in una posizione
di inferiorità morale in Europa, cosí come rimase la Spagna democratica
e decadente della monarchia. La Spagna dovrebbe prendere partito per la sua
stessa vita futura. Quali alternative può presentare un conflitto? La
vittoria dell'Asse, ed in tal caso una Spagna neutrale non avrebbe che la prospettiva
di un avvenire gramo in un'Europa nettamente controllata dalle Potenze totalitarie
che - senza il contributo spagnolo - avrebbero giustamente ricostituito a loro
solo vantaggio la situazione europea. Oppure la vittoria delle democrazie, e
in tal caso non è ammissibile la sopravvivenza del regime franchista
alla sconfitta degli altri e maggiori e piú antichi regimi totalitari.
Quindi la Spagna deve accelerare i suoi armamenti. In primo luogo sul mare.
Franco è pienamente d'accordo con il suggerimento dato dal Duce a Serrano
Suñer di decidere la costruzione di quattro corazzate da 35.000 tonnellate.
Senza l'esistenza di un forte nucleo di navi da battaglia, non si può
concepire una flotta spagnola capace di acquisire un peso reale nel controllo
dei mari. Intende quindi mettere subito sullo scalo due corazzate, ed a fine
di risparmiare tempo chiede a noi se siamo disposti a fornirgli i piani del
nostro tipo Vittorio Veneto che egli farà costruire al Ferrol con l'ausilio
di ingegneri italiani. Oltre al vantaggio del tempo risparmiato, vi sarà
anche quello che l'identità del tipo permetterà a tutti i fini
una maggiore, piú efficace collaborazione bellica tra la squadra italiana
e quella spagnola, costituenti cosí un nucleo omogeneo. Su questo punto
egli attende una nostra risposta con la possibile sollecitudine. Considera,
tra i tanti problemi militari, questo quale il piú urgente.
Mi ha parlato quindi dell'organizzazione dell'aeronautica confermando che egli
intende sviluppare al massimo potenziale tale arma e che pertanto ritiene necessario
che essa costituisca un organismo a parte e non venga divisa tra la Marina e
l'Esercito. La collaborazione aeronautica italiana, che è stata uno dei
fattori determinanti della vittoria, dovrà anche in avvenire costituire
uno degli elementi principali per assicurare lo sviluppo all'aeronautica spagnola.
Per quanto concerne i Pirenei, il Generalissimo Franco ha già cominciato
a far sviluppare una notevole opera di fortificazione, ma si riserva di intensificare
e realizzare il pieno programma relativo agli apprestamenti militari in tale
zona non appena le questioni in corso con la Francia saranno state sistemate.
Ho personalmente fatto controllare a mezzo di nostri ufficiali i lavori in corso
alla frontiera di Irún; è risultato che si stanno costruendo numerosi
fortini.
Poco mi ha detto il Generalissimo Franco per quanto concerne la situazione interna
spagnola. Si è limitato a svolgere gli argomenti che il Duce stesso aveva
prospettato nella Sua lettera.
Per quanto concerne la Monarchia, pure evitando di entrare a fondo nella discussione,
ha affermato con una chiarezza inequivocabile che la Spagna non può adesso
comunque tornare a vecchie formule del passato: il Paese respira aria nuova,
intende procedere verso la sua ricostruzione materiale e spirituale; qualunque
persona o istituzione dei vecchi tempi ne frenerebbe e forse ne troncherebbe
la marcia. E devo aggiungere che su questo argomento ho trovato anche negli
ambienti che circondano Franco una quasi assoluta identità di punto di
vista. Soltanto alcuni Generali, il cui prestigio e la cui influenza sta rapidamente
diminuendo in confronto dell'accresciuto potere del Caudillo e contro i quali
d'altra parte gioca anche il fattore tempo poiché sono tutti in età
notevolmente avanzata, hanno delle nostalgie dinastiche che però non
riescono e forse non intendono nemmeno tradurre in atti pratici. E dovrebbero
anche fare i conti con il popolo il quale è nettamente antimonarchico
nella sua assoluta maggioranza. Percorrendo otto città della Spagna e
traversando campagne e villaggi per molte centinaia di chilometri attraverso
fittissime ali di popolo, non ho mai inteso un grido né visto un segno
che manifestasse i sentimenti monarchici del Paese. È la Falange ormai
al centro del Paese. È un Partito ancora all'inizio della sua formazione
e della sua azione, ma raggruppa già tutte le forze giovanili, gli elementi
piú attivi, e massimamente le donne. La Falange è antimonarchica;
dal Segretario del Partito ai Consiglieri Nazionali, a tutti i membri influenti
che hanno con me conferito, non ho raccolto altro che espressioni di ostilità
verso la dinastia e verso lo stesso sistema monarchico, espressione nei suoi
ultimi tempi di una politica rinunciataria e decadente. Devo aggiungere che
la Falange e tutto il popolo spagnolo sono dominati da un sentimento di odio
profondo verso i Paesi democratici sui quali invece la monarchia fece per molto
tempo perno. Non è un odio teorico e indeterminato: è l'odio di
gente che è stata dilaniata nei sentimenti e nelle carni, che porta le
piaghe e i lutti di perdite recenti e delle quali la responsabilità è
fatta completamente risalire alla Francia e all'Inghilterra. Vedove e mutilati,
combattenti ed orfani sono uniti in un unico slancio allorché si eleva
un grido di ostilità verso Parigi e Londra. Serrano Suñer mi diceva
che qualunque uomo che in Spagna volesse fare una politica di avvicinamento
alle democrazie sarebbe travolto a furore di popolo. Sono convinto che ha ragione,
e di questo sono anche convinti quegli elementi piú moderati nei confronti
della Rivoluzione, quale ad esempio il Ministro degli Esteri Jordana, che, per
calcolo o per temperamento, sono partigiani di una politica prudente nei confronti
dell'Asse, ma che non sono in alcun modo animati da sentimenti di francofilia
o di anglofilia. La nostra vivace posizione polemica nei confronti della Francia
è, per il popolo spagnolo nel suo grande complesso, un nuovo elemento
di unione che si aggiunge ai tanti ormai realizzati tra l'Italia e la Spagna.
Il Caudíllo è deciso a svolgere una politica di grandi riforme
sociali; vuole, secondo la formula mussoliniana, andare incontro al popolo.
In realtà degli sforzi in tal senso sono stati fatti e con risultati
anche abbastanza concreti. L'ausilio sociale, il piatto unico, una serie di
contributi volontari o obbligatori, rappresentano già ora la decisa volontà
del regime di migliorare le condizioni delle masse. In tutte le città
da me percorse, tranne nei quartieri periferici di Madrid, ove l'atteggiamento
popolare lasciava fortemente scettici sui sentimenti nutriti, l'adesione al
regime sembra piena e completa.
Molti e gravissimi sono ancora i problemi che si presentano al nuovo Regime;
e in primo luogo quello di liquidare la cosiddetta questione dei rossi. Già
arrestati nelle varie carceri della Spagna ve ne sono 200.000. I processi si
svolgono ogni giorno e con una rapidità che direi quasi sommaria e si
basano su questi criteri: i responsabili di crimini sono passati per le armi;
gli organizzatori rossi che prepararono e condussero la rivoluzione senza però
macchiarsi di colpe disonoranti sono condannati a pene che variano dai dieci
ai venti anni; i soldati dell'esercito repubblicano che furono inquadrati obbligatoriamente
e che non ebbero responsabilità personali durante la guerra, sono messi
in libertà e mandati ai loro paesi d'origine dove vivono sotto uno stretto
controllo della Falange e della Polizia. I condannati però possono redimersi
ed abbreviare la loro pena lavorando nelle opere di ricostruzione: ogni giorno
di lavoro corrispondente a due di pena. Ho visto io stesso numerose squadre
di prigionieri intente a riattare ponti e a riparare strade: il trattamento
loro usato è buono e ciò è provato dal fatto che non si
hanno che pochissimi tentativi di fuga. I figli dei rossi giustiziati o caduti
in guerra sono trattati con grande spirito umanitario; in seno alle organizzazioni
giovanili della Falange vengono fusi coi figli dei nazionali. Sarebbe inutile
negare che tutto ciò fa ancora gravare sulla Spagna un'aria cupa di tragedia.
Le fucilazioni sono ancora numerosissime. Nella sola Madrid dalle 200 alle 250
al giorno, a Barcellona 150; 80 a Siviglia, città che non fu mai nelle
mani dei rossi.
Ma ciò dev'essere giudicato alla stregua della mentalità spagnola
e bisogna aggiungere che anche di fronte a questi avvenimenti il popolo mantiene
un impressionante spirito di serena freddezza. Durante la mia permanenza in
Spagna, mentre oltre 10.000 uomíni già condannati a morte nelle
carceri attendono l'inesorabile momento della loro esecuzione, soltanto due,
dico due, domande di grazia mi sono state rimesse da parte delle famiglie. Aggiungo
che il Caudillo le ha accolte senz'altro.
Come ho prima accennato, il prestigio e l'autorità di Franco sono grandi
in tutto il Paese ed in ogni strato della popolazione. Come il Duce prevedeva
allorché si oppose ai vari tentativi di mediazione, la forte situazione
di Franco è oggi determinata dall'essere egli il Capo vittorioso in guerra.
Anche il prestigio degli altri Generali è svanito di fronte al fatto
positivo e concreto che egli ha potuto depositare nella Cattedrale di Toledo,
accanto alla spada di Alfonso VI liberatore della Capitale, la sua spada di
generale conquistatore di Madrid. Avrà ancora molte difficoltà
da superare nella organizzazione interna. Il popolo, che ha innegabilmente ritrovato
le tradizionali ed altissime manifestazioni eroiche, soffre ancora di quello
stato di torpore nel quale fu abbandonato per secoli. L'opera di ricostruzione
è caotica per quanto fervida. Si pone piú interesse a ricostruire
Santuari che a riattivare i traffici ferroviari ancora in pessime condizioni.
Il clero tende a riprendere, sia pure con una forma di esasperato nazionalismo,
la sua vecchia influenza. Sottolineo che anche il clero è molto francofobo.
Il discorso pronunciato dal Cardinale di Toledo, uomo di altissima autorità
nel Paese, non lasciava dubbi in proposito.
L'attuale elemento direttivo di governo è fiacco. Non risponde in gran
parte allo spirito che si è creato nel Paese ed è necessario che
Franco si circondi di uomini che siano l'espressione della rivoluzione e della
guerra. In tal senso è spinto molto attivamente da Serrano Suñer,
che svolge un'azione molto impetuosa e proficua, se pur non sempre prudente
ed abile. Comunque - come il Duce vide chiaramente anche prima di aver conosciuto
l'uomo - Serrano Suñer è l'elemento sul quale deve poggiare la
nostra politica. Egli aspira a diventare Ministro degli Esteri ed è nostro
interesse che ciò avvenga. Lo stesso Serrano Suñer, che mi ha
parlato con una confidenza ancora maggiore di quella che conoscemmo a Roma,
ha detto che ciò sarà facilmente realizzabile se Franco troverà
da parte del Duce una indicazione in tal senso. Ne sono anch'io convinto. Franco
è completamente dominato dalla personalità di Mussolini e sente
che per affrontare la pace ha bisogno di Lui come ne ebbe bisogno per vincere
la gnerra. Il viaggio a Roma - che sarà immediatamente seguito da un
viaggio a Berlino - sarà per il Caudillo un avvenimento fondamentale
nella sua vita politica. Dal Duce egli attende - e lo ha dichiarato ripetutamente
nei colloqui che ha avuto con me - l'insegnamento e le direttive. Ed egli stesso
mi ha parlato di un avvenimento ancora maggiore, che anch'io reputo indispensabile
per completare in Ispagna l'opera compiuta dalle nostre legioni vittoriose:
il viaggio del Duce a Madrid, attraverso il quale la Spagna sarà in forma
definitiva legata alle sorti dell'Impero romano.
***
webmaster a.d.c.