Intervista ad Aldo Buti
di Paolo Felici
per
The Scenographe
r
International Journal of Production & Costume Design
(aprile- maggio 2003)


"Il magico allestimento firmato da Aldo Buti dà una grande eleganza formale a una serata che inizia la stagione del ballo all'Opera di Roma sotto i migliori auspici."

Così scriveva Mario Pasi sul Corriere della Sera a proposito dello spettacolo La Bella Addormentata nel bosco.

Abbiamo incontrato Buti durante il nuovo allestimento de Il lago dei cigni e ci è sembrato necessario iniziare la nostra conversazione sottolineando proprio quell'eleganza che da sempre
Contraddistingue lo stile dello scenografo e costumista fiorentino.

Aldo che cos'è l'eleganza per te?
Siamo spesso ingannati e assuefatti all'idea che l'eleganza coincida con alcune immagini che la televisione ci propone: scenografie coloratissime, vallette con abiti succinti, ambienti sfavillanti di luci.
E' certamente qualcosa che nulla ha a che vedere con l'eleganza. Non è niente di vistoso, né di eccentrico, ma un unico insieme essenziale che denoti un rigore nel disegno degli spazi e delle forme, anche nelle atmosfere più fantasiose. E' insomma qualcosa che si incontra attraverso una ricerca interiore. Ecco, io credo che l'eleganza sia lo specchio dell'interiorità.

Dunque è come una radice che si sviluppa dentro alcune persone.
Credo di sì, una radice che trae nutrimento dal buon gusto; almeno così ho imparato dai miei grandi maestri con i quali ho avuto la fortuna di lavorare: Anna Anni e Piero Tosi.

Raccontaci come hai iniziato la tua carriera artistica.
Nel '72 Lucia Poli, che era stata la mia insegnante di letteratura al liceo artistico di Firenze, mi presentò come un allievo pittore a Donato Sannini. Donato era nipote della contessa Flavia Farina Cini, che in gioventù dirigeva la "Compagnia della Fiaba" dove avevano debuttato molti talenti fiorentini come Paolo Poli, Franco Zeffirelli e Alfredo Bianchini. Donato, avendo ereditato la passione del teatro dalla nonna, che era anche la finanziatrice dei suoi spettacoli, stava progettando la sua prima regia teatrale. Mi propose, quindi, di disegnare la scena per il suo spettacolo da allestire a Roma. Naturalmente accettai. Ma fu per quell'istintivo desiderio che in quel periodo ci prendeva un po' tutti, andar via di casa, lontano dai genitori, verso l'avventura. L'attrazione per il mondo dello spettacolo non ci entrava per nulla! A quel tempo il teatro lo conoscevo solo come spettatore.
Cosi venne settembre e Donato si ricordò di quell'incontro avuto mesi prima e un giorno mi telefonò e mi disse di fare le valige per Roma. Mi venne a prendere la mattina dopo e con lui c'erano anche Carlo Monni e Roberto Benigni.
Così è cominciata l'avventura…

Come fu il primo incontro con l'ambiente romano?
Roma era molto più eccitante di Firenze. Una città barocca e sensuale, dove si viveva all'aperto, con i ristoranti e i teatri disseminati in ogni angolo. Teatri spesso ricavati da ex cantine, come il Beat '72, oppure da ex autorimesse come l'Alberico… Io, Benigni e Monni, ci stabilimmo a casa di Donato e tutti e quattro, fra una sosta al ristorante e al teatrino d'avanguardia, cominciammo a lavorare a " I Burosauri", una commedia di Silvano Ambrogi.
All'inizio sembrava fosse un gioco, forse perché eravamo tutti dei principianti. Non avevo proprio idea di come fosse Duro questo lavoro. Me ne accorsi più tardi, quando cominciai a fare l'assistente sia nel cinema che nell'opera lirica.
Devo essere riconoscente ad Anna Anni, che tanto mi aiutò all'inizio e alla fiducia che mi fu elargita da registi come Jancso, Trionfo, Bussotti, Bolognini. Con Miclos Jancso, il grande regista ungherese, scoprii il cinema a soli ventisei anni, quando lavorai al film "Vizi privati pubbliche virtù", girato nell'ex Jugoslavia e fu uno shock.
Il cinema era un mondo di matti per me che venivo dal teatro…Fuggii terrorizzato! Ci volle Bolognini a convincermi A tornare sul set, alcuni anni dopo. Disegnai per lui i costumi della "Certosa di Parma". Bolognini era un regista molto esigente, abituato a lavorare con scenografi e costumisti di alto rango come Mario Chiari e Piero Tosi. Non Era facile accontentarlo. Aveva una particolare sensibilità figurativa e un gusto ricercato. Bolognini mi ha insegnato a guardare con attenzione e con una certa crudeltà le persone e le cose. Con lui ho lavorato anche a varie opere liriche. C'è una fortunata edizione di "Aida", realizzata vent'anni fa che ancora gira per i teatri d 'Europa, con grande successo.

Veniamo alla tua ultima fatica: Il lago dei cigni. Come mai il balletto dopo tanto teatro e cinema?
Devo ringraziare Carla Fracci e Beppe Menegatti per avermi chiamato ad allestire questo grande spettacolo.
Certi balletti, essendo tratti dalle favole, mi portano in un mondo onirico e per me, che sono un sognatore, è un'esperienza fantastica. "Il lago dei cigni" nasce da una composizione che Ciajkovski scrisse per divertire i suoi nipotini durante una vacanza estiva in una villa nei dintorni di Mosca. Così ho pensato, insieme a Menegatti e Galina Sansova che ha curato le coreografie, di realizzare lo spettacolo come filtrato attraverso la fantasia di un bambino di quell'epoca. Siamo dunque nell'ottocento. La favola della giovane Odette trasformata in un cigno si rappresenta in una serra neogotica dove il principe e la corte sono personaggi di metà ottocento, al tempo delle crinoline e degli oggetti preziosi creati da Fabergé, il raffinato gioielliere dello Zar. Il bosco con il lago, ispirato all'immagine dell'isola dei morti di Bocklin, è reso visibile attraverso delle quinte e fondali dipinti che calano dall'alto a vista come fossimo in un teatrino fatto in casa; anche se qui, di piccolo non c'è nulla, ma tutto si svolge in un grande palcoscenico che per me è lo spazio dell'immaginario.
Sia le scenografie che i costumi sono stati realizzati dai tecnici del Teatro dell'Opera di Roma e i dettagli decorativi da un folto gruppo miei bravissimi assistenti.

 


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