Archivioteatro - theatre
Sentenza
monologo
di  Enzo Cicchino



PRESENTAZIONE
di Lino Zanca

    SENTENZA è uno scritto sconcertante: drammatico, teso, allucinato, grottesco; eppure cosi realistico da essere un singolare documento autobiografico, e cosi trasparente, per chi conosce l'autore, da far intravedere tra le maglie del tessuto letterario la semplicità e l'immediatezza dell'atto esistenziale.
    Enzo (per mano della protagonista medico, incaricata dal pretore di eseguire un'autopsia sul corpo di una anziana suicida) prende un corpo; anzi, un cadavere: lo squarta, lo seziona, lo penetra, lo scompone, lo frantuma e lo devasta per sapere cos'è la vita, cos'è la morte, cos'è la verità, cos'è il rapporto che lega madre e figlia, cos'è la follia, cos'è la scienza, cos'è l'amore: cos'è l'uomo.
    Come può per questa strada l'amico Cicchino conoscere qualcosa?  Si può conoscere la vita da un corpo morto?  Si può conoscere l'amore e la verità dalla follia?  Si può distruggere per costruire?  Spezzare per incontrare l'unità?  Qual è il meccanismo che agisce in questo scrittore così originale e così classico, così moderno e così antico?  Così greco per cupità nella concezione del destino umano e per negatività del rapporto con la natura, ma anche cosi moderno per il furore dissacratorio e per la smania di andare oltre lo scontato e il "Lascia perdere!"?  Qual è il tormento che spinge questo -in apparenza e de visu- indifferente visitatore dell'esistenza e che come scrittore scopri un furente devastatore?
    Mano a mano che leggi questo testo, dopo dì averlo chiosato di imprecazioni e sberleffi, perchè ti fa rabbia quell'eccesso di livore e quell'accanimento, che sei portato a giudicare gratuito, e dopo di aver recuperato degli 'scarti' che solo sul finale ti risultano preziosi, allora capisci qual è quel meccanismo che eccita in modo irrefrenabile la fantasia dello scrittore e ti rendi conto di quale e quanto sia il tormento.
    Enzo Cicchino dìstrugge il corpo perchè vuol andare oltre il suo confine, che è la pelle, che è la carne, che è la spazio-temporalità che si identifica con la corporeità: lo scrittore in effetti ce l'ha con se stesso, col suo essere uomo: vuol superare il limite della conoscenza, legata a triplo nodo con la carnalità pensante che è l'uomo.  Egli odia se stesso e si uccide perchè ama la verità, che vede venire alla vita tra le sue mani di carnefice della morte; egli ama la verità, che intuisce sempre più chiaramente stare oltre
e la propria identità di figlio dell'universo: l'identità di uomo, di essere, di natura; e se la natura si chiama ventre materno, e se dentro di questo e dentro il petto c'è "lui": un timbro: "Dio", allora egli lo afferma, lo registra nel taccuino di 'esperto settore': anche se lo fa con rabbia, perchè gli dà fastidio dover ammettere qualcosa senza capirla fino in fondo: essere costretto dalla verità a pronunciare un "sì" obtorto collo: quasi per dovere di cronaca e non, come vorrebbe, per il piacere di una scoperta luminosa e appagante.  'E se la verità mi tormenta e mi umilia -sembra dire- allora io me ne disfaccio, la depenno e la distruggo a colpi di bisturi.
    Ma poi desiste dall'opporsi ad essa: si rassegna alla sconfitta, finendo per dichiararlo esplicitamente: addirittura -a noi sembra- da posizioni di vincitore:

    « Non si imprigiona il mare, il vento, nè Dio; nè valgono le guardie a satollare le incertezze dell'aguzzino.»
    « La verità non è questa carne!  Non si esprime in questa permanenza oggettiva che mi è crollata nelle mani.  No!  Tutto è al di là; io ne ho posseduto solo là scorza.»
    «Aprii di nuovo il petto: lui, quel piccolo corpo di carne pareva uno spettro!  La pancia!  Il ventre!  L'ombelico!  Il ventre!  La pancia!  Dio!»
    «Ecco: attraverso quel corpo sezionato si scopre l'errore vivo: non resta nel bisturi che il delitto sommato ad altro delitto ... quello di essere stati empi con una carità infinita ».

    Enzo, cosi, si ritrova alla fine squartato come quel corpo: aperto e scoperto come quell' "errore vivo": una verità, un errore e una morte dimezzati: veri solo a metà: come dimezzata è l'anima, che pretende signoreggiare sul corpo umano, che è invece la metà del suo splendore e del suo potere.  Ed è senz'altro lui, lo scrittore, quel cadavere a metà che, stremato dalla immane fatica della ricerca, si ritrova ancora muto tra le mani e del quale dice che «una delle pupille aveva perso il suo umor vitreo e affondava nell'orbita come un piccolo cencio ammosciato.  Ma l'altro occhio, SI, l'altro era vivo!».
    Solo un lettore superficiale potrebbe avere l'impressione che in questo racconto manchi l'esito dell'autopsia del cadavere o che manchi addirittura il finale.  Il finale c'è eccome!  E' l'uomo, che nell'indagine su se stesso è sempre costretto a riconoscere come un inizio ogni preteso e sospirato finale; e il risultato dell'autopsia è appunto l'incapacità del medesimo di conoscere pienamente e con certezza la verità.  La frase finale: «Era un'attrice mia madre» è la sola risposta che l'uomo può dare al problema della conoscenza: la verità è una creazione artistica: la verità si crea, si inventa: come si crea e si inventa la vita nel momento stesso in cui si vive: la verità si identifica con l'atto di vivere: la verità è viva perché è la vita, la sola opera d'arte di cui ciascuno è l'indiscusso autore.
    Ma se la verità è vita, è vita anche l'errore, qual'ora la vita sia sbagliata.  E' questo il punto chiave de1 racconto di Enzo: "l'errore vivo" che egli trova dentro il cadavere.
    Ma la vita è sbagliata fino a quando non è compiuta, e la sua compiutezza si ha con la morte, che è l'inesorabile distruttrice della vita.  Finchè la vita è in divenire, tutto può diventare: il divenire è di per sè apertura all'essere e quindi alla verità.  E' la morte il momento in cui l'atto di esistere è fissato per sempre in una posizione preclusa al divenire.  E' dunque la morte il compimento definitivo dell'essere.
    Ma il compimento della vita può coincidere con il suo scomparire?  All'interno di un cadavere può nascondersi il nulla?  Come si chiama quel qualcosa di vivo che pur deve esserci in un cadavere?  "L'errore vivo"?  Visto che la morte, non essendo essere, non è neanche verità!
    Qual'è, insomma, la morte che completa la vita senza distruggerla?  'Ci deve essere, se è vero che esiste la verità!', sembra dire Enzo.  Qual' è la luce che sta oltre il velo d'ombra?  Qual'è la vita ... che non muore?  'E' forse Dio?'.  E' questo, in fondo e in larga misura forse inconsapevole, il tormento dello scrittore: la vera domanda e la vera risposta che egli avanza e che depone, sudata e vigile, sul tavolo dell'autopsìa: mentre la luce dell'alba irrompe dalla finestra e investe di sè quel mucchio di corpo ormai in decomposizione.  Quella domanda/risposta è una consegna importante che Enzo fa al lettore e che ciascuno solo da solo può onorare, all'interno del suo esistere incomunicabile: forse una ipotesi che potrebbe spingere l'enigma dell'errore vivo ad un approdo di chiarificazione.
    E anche noi facciamo una domanda all'autore, dato che lui ce ne sollecita tante: E' lecito - e semmai fino a qual punto - rifugiarsi nel mostruoso per sfuggire al 'rischio' della consapevolezza?  Il costo di questa operazione - e cioè il trovare relegata nel mostruoso la stessa consapevolezza - non rischierebbe di risultare troppo alto?
    L'arte è finzione e interpretazione della realtà; ma quando affronta il problema della conoscenza, può essa spingersi oltre il limite razionalmente e sensorialmente controllabile senza far perdere all'uomo la possibilità di usare gli unici strumenti di cui dispone per raggiungere la verìtà? 0 Enzo Cicchino è convinto che la sola opportunità per conoscere la verità risieda nel battere altre strade consegnandosi alla estrosità irrazionale e all'avventura dell'intuizione profetica? 0, più semplicemente, il protrarsi del gioco vuol nascondere una consapevolezza già percepita come ineludibile, ma dalla quale l'autore teme possa essere bandito per sempre il gusto della ricerca e il sapore ogni volta nuovo della scoperta?  Qualunque sia la risposta di Enzo a queste domande, essa non diminuirà il fascino di questo racconto nè la sua forza di provocazione a farsi coinvolgere nella ricerca: soprattutto se esso dovesse cogliere il lettore già per suo conto con la testa tra le mani per lo stesso motivo, e magari con le mani tra i capelli.
    Non capita molto spesso, in questi nostri tempi veloci, di imbattersi in uno scrittore che sappia metterti seriamente in crisi e che ti si affianchi come valido aiuto nella impostazione di problemi esistenziali cosi alti e nella formulazione di valide ipotesi dì soluzione.  Lo scrittore si differenzia dallo scribacchino come la forte pacca sulla spalla, che ti fa male ma ti rallegra, si dìfferenzia dal saluto verboso, ossequioso e uggioso del sedicente amico che ti vuol chiedere un piacere.
(Lino Zanca)

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    Signori della corte... devo giurare? Bene. Lo giuro! Anche se tutto ciò non serve ad affermare con maggior determinazione i fatti della verità.
Lo giuro!
    Si. In nome del popolo... mi assumo l'ingrato compito di esprimere, tutti i risultati a cui sono pervenuta nella mia qualità di medico legale: di perito settore. Ma non solo perché si è dinanzi a voi, dei giusti! ma perché è la verità stessa che ci costringe come un corpo vivo a soggiacere alla legge! E per la legge il cadavere perde la sua connotazione di essere ed assume quella più semplice di documento della tragedia... della colpa di aver vissuto... calpestato il mondo! Perché esistere è già di per sé... imputarsi. Essere il prescelto: il protagonista! un errore che identifica l'essere assoluto. Ma fino a quando è lecito attribuire ad un uomo, una donna, la qualifica di colpevole se questi non ha avuto alcuna volontà di compiere quelle azioni terribili di cui lo si accusa?
    Chi? E' riuscito a determinare tutte le pene del vissuto senza coglierne la gravezza? O ha saputo ricomporre, fra le astute incertezze che vibrano nel giudizio altre nuove leggi? mute!
    Cos'è che nasconde l'imputato? Il suo gesto, o il suo corpo? Forse la volontà! Ecco il segreto. E resterà innocente la carne finché le imperscrutabili forze della vita e le patenti della scienza non ne avranno determinato le intenzioni!
    Possono delle volgari strutture anatomiche offrire un ricetto così arduo all'immaginario in cui si è annidato il crimine? Oh, lo affermiamo tutti! è un delitto estremo, il nostro. Tuttavia sono le gravezze estreme ad essere impunibili! Le notti vivono nel rimorso... ed a nulla valgono le sbarre: non si imprigiona né il mare, né il vento, né Dio! Né valgono le guardie a satollare le incertezze dell'aguzzino. Non rimane che percorrere le cupi pareti del riformatorio e stordirsi. Se il corpo della luna tuttavia avesse un fremito... anche lei forse dovrebbe temere! Si. Lei, la luna! Perché volubile accompagnatrice della nostra sorte che ci segue e si ferma. Corre! S'adira e si addormenta. Riesce a gemere in segreto la sua luce.
    Era facile vedere l'imputato trascorrere interi giorni a meditare su libri fittissimi di calligrafia minuta. Eppure nessuno dei medici ha ritenuto mai necessario invitarlo a scandire, leggere quelle carte che spesso stropicciava  irrimediabilmente.
    Neppure gli hanno chiesto di toccarsi il petto, i capezzoli, i capelli lunghi e corti, o il ventre. Non gli hanno ordinato di esprimere il nome di ciò che era. Forse lo avrebbe solo borbottato. La sterilità è una colpa che ci portiamo addosso e ci inginocchia di fronte alla porta della vita. Per questo... si perdona molto... ad un imputato che ha messo al mondo figli! Che ha la pancia! e una pelle che si allarga e partorisce. Per un uomo no; la sentenza è inappellabile! perché nulla gli penetra nelle viscere. Perché non crea radici. O lattee mammelle.
    Può essere maschio e femmina la colpa, alta e bassa, larga e sottile, stupida e acuta nell'incidere il proprio odore corneo di realtà... V'è un poderoso incesto tra bestialità e coscienza nella procreazione. Tra vaginite e vagito. Tra l'equivoco del penetrare nelle cosce ed il concepire l'acerbo anelito del sacro. La materia conchiusa nell'armonia lascia tracce miserabili alla nascita: feci e sangue. Se si nascesse nell'acqua forse le spinte pelviche sputerebbero i corpi in lontananza! Invece è in un misero letto che si raggruma all'origine la merda ingiallita del prossimo.
    E chi è venuto al mondo è a sua volta mostruoso perché uomo, perché donna, perché animale, fiore, insetto, virus. Ogni macromolecola riproduce se stessa senza chieder conto della sua necessità! Ma io sono un medico! sono un perito settore raccomandato dalla legge. Io, devo fare la differenza!
    Provo sempre un piacere forte, intraprendente, quasi ossessivo quando mi trovo sotto le unghie le forme di un bel corpo maschile da fare a pezzi, detiene una profonda avvenenza, semplicità, asciuttezza; il maschio non è barocco, è più evidente, senza misteri, anzi la sua virilità si esalta o si umilia unicamente nell'azione esteriore del pene, ma la donna?
    Ho sempre avuto un moto di repulsione dinanzi alle donne, è tutto più difficile, più enigmatico, più isterico, c'è del troppo che mette dubbi, che tradisce, che ci pone in uno strano desiderio di compromesso e di gioco fra scambio di bellezza e verità. Particolarmente se si ha fra le mani una giovane fanciulla nel fiore degli anni uccisa per amore, per un raptus di gelosia, o per un aborto clandestino! Ma io rifuggo le autopsie di queste membra.
    Goccia a goccia si liquefa la dolcezza fra le labbra di un dio.
Di battito in battito se ne va poi torna il marinaio del sentiero oscuro, prima di affondare le sue ossa nell'oceano dei crotali marini. Lasciandosi nel cuore il suo terreno incolto ed il mugghio autunnale del vomere. Il passo cede alla melma viva intanto che alle finestre già corre il seme affacciandosi con i capelli smunti. -Ha piovuto tutto il giorno; anzi, piove! piove! piove! Dio mio perché piove?- L’acqua si raggruma in fontanelle pettinate dalla polvere, guazze di foglie, e l’ombra dei rami dei pini sulla strada forma un pentagramma al cui ritmo...
    Pareva che perfino il bisturi mi sfuggisse dalle mani precipitando al suolo con la stessa voglia delle nacchere tra le mani di uno schiavo. Ed io lo raccolsi. Lucido. Trascinante. Sulla carne. Ed incidevo il seno. Le guance. Le labbra. La bocca celeste con le marine zolle. Conchiglie lattee. Desideri morti da cui emergono le chiavi dell'amore e del fuoco.
Vergini energie divennero le emozioni. Sussulti di viscere. Lingue petulanti. Inghiottite dall'istrice umano. Oh, signori. Giudici! voi lo sapete... Presidente! Il piacere elargisce felicità insospettabili ai corpi.
    Ma hanno stoffa per coprirsi le vergogna queste scellerate pupille che si contendono la luce? Il carnefice astrale penzola da questo cappio nudo. Il puzzo di leccornie uccise è il maggior premio per l'avvoltoio che si butta a precipizio sul vuoto.
    Odo piangere. (Si rivolge alla platea) E’ qualcuno di voi? o la risacca di questo mare verde come il fiele di un bambino...!? che ancora non gode... la colpa innocente di sentirsi avvoltoio!?
    Si. Il primo uomo fu innamorato della morte. Così come noi di questo uccello che non canta, che sbrana la terra, che ferisce il sole con i suoi artigli di lame, e poi sprofonda negli abissi divorando luce cupa. Ignaro dei galeoni colmi d'ore che emergono all'orizzonte.
Ma io sono qui per  testimoniare signori giudici! signori! E certo pur essendo principio che il dovere mi opponga ai fantasmi... sono proprio i fantasmi che inventano impalcature dalle cui unghie l'intelligenza non riesce a divincolarsi!
    Era un corpo ridanciano e dimesso lei. Sonnambulo e pazzo. Cieco. Senza drappi. Con il solleone in gola ed il ronzio della mia lama sulla fronte.
    Era un corpo di qualunque età. Di qualunque esistenza. Di qualunque infallibile Dio. Era il canto; era il grido. Era la permuta della vita; della felicità e della sconfitta. Era il dolore sincero. Era il pianto appena nati. Era il fuoco. Era la luce. Era l'esser pietre invece che leoni! Un corpo obeso invece che spada. Era l'essere infelice e il suo contrario. Orco e santo. Un otre svaporato. Un sopruso. Un pescecane. Un cartoncino del prezzo! Poteva essere la giovinezza delle droghe marce e della tortura della ruggine. Quella donna.
    Non avevo inciso che lo zigomo, quando... orrore! ho scoperto... con ansia... che... non... non... Avevo tra le mani non una ragazza -come pensavo- ma... una vecchia! Dio! era la prima volta... E il bisturi mi scendeva... come un serpe nei polpastrelli... madidi. Le unghie turgide. Il cuore bagnato. Eiaculato! Deflorato. Dio! E' il tempo che passa come un vizio. Con quel rudere grinzoso di molecole, con quel rigido ombelico senza carne, con quelle mani affusolate, lunghe e sottili le stesse che in gioventù aprirono la vagina ossuta... arieggiandovi come a delle grate. Lei! ...ad uccidere!
    Oh! perché l'uomo?! Perché attribuire alla perdita della bellezza la più severa delle vergogne? quasi che fosse dirupo lo scandirsi nell’ombra... delle rughe. Provavo imbarazzo... osceno, lo stesso piacere disgustoso che si ha lungo un sentiero quando l'energia dei nostri passi solleva il profumo intenso di ginestra. Si soffoca.
Oltretutto questo corpo disgraziato era lui ad aver commesso il delitto. Il più grave delitto. Aveva ucciso. Ed era stata lei a...!
    Con quelle labbra... meretrici di sogni.
    Si è parlato di possibili lesioni al suo cervello. Comunque permettetemi un chiarimento tecnico: prima che l'informazione nervosa raggiunga gli emisferi cerebrali, il talamo fornisce una stazione intermedia nel trasmettere gli stimoli. E in teoria -chiunque- agendo sul talamo avrebbe potuto controllare la sua malattia e costringerla a desistere! ma allora perché nessuno ha impedito che si compisse quel...! Ieri la nostra vecchia si è impiccata! Forse la pazzia è figlia di una sacralità che ha bisogno di leggerezza! O forse è schiava di  un mandante celeste irraggiungibile!
    Non vi dico l'orrore che mi ha fatto il rimirare quei lividi segni sul lenzuolo che le è servito da cappio. Benché le speranze restino tutte impigliate alla corda è il ricordo di esse che resta per sempre ancorato alla vita. E intanto quella carne che ha sentito il richiamo della voluttà... così orrido... è stata sopraffatta da me, dal mio amore istologico per la sua storia.
    Mi è scesa fra le mani come un angelo.
    Non immaginate quanto sia difficile aprire un corpo per dedurre elementi di prova. Mi è toccato palparla! E tu... Freddo, afferri il bisturi con queste due dita e -zacchete!- scortichi il loco ove risiedette la ragione... che impazzì.
    Non era la prima volta che affrontavo l'esame autoptico di una donna. Era la prima volta però che venivo buttata dal letto all'alba per correre a cercare nelle ossa del suo cranio... dov'era... La sua follia!? No. No... Perché...
(Si lava le mani in un bacile. Se le asciuga).
    Mi avete chiesto di essere tempestiva. Beh, certo, nonostante le proteste di mio marito. E' geloso! da un po' di tempo mi rimprovera i miei continui incontri con il cancelliere, mi accusa di essere la sua amante. "Sei maniaca di tutte le brode del tribunale!" mi urla. Ma non è vero! Anche se da qualche tempo vengo sempre più spesso in questi corridoi bui con l'odore di muffa. E' come se ne fossi attratta, come se avessero anch'essi delle viscere ed io mi immergessi in esse identica ad un serpe fra chilometri di angoscia.
    Voleva fare l'amore mio marito prima che uscissi. Si era così eccitato! è venuto su di me con prepotenza, stavo per accendere il lume quando ecco -oh no, mi vergogno!- col suo peso mi ha schiacciato completamente il petto. Qui tra i peli di questo neo mi sono rimaste le tracce del suo sperma. Dice che non può fare a meno di me, si è convinto che io lo tradisco e lui me lo impedirà; afferma con insolenza che non gli permetto di dipingere. Ha minacciato di venire qui -dentro l'aula- con un coltello e... Dio mio! Ma non verrà, io sono certa che non verrà, almeno non oggi, oggi proprio non può, neppure lui sa perché ma non verrà! Oh se solo sapesse...
    E nello schiacciarmi con il corpo sul cuscino mi urlava cose che mi fanno ribrezzo, rivoltanti. "Con chi sei abituato?" gli ho chiesto.
"Con te, solo con te!" rispondeva e la consapevolezza che ciò fosse vero mi ha creato una tortura da soffocarmi! "Perché devi correre in tribunale? Perché ti nascondi?"
Da un paio di mesi vorrebbe un figlio... da me! crede invece che io lo voglia con qualcun altro! il cancelliere!? Oh! Certo il dottor Viganò è un bell'uomo ma... lo sapete giudici non è questa la ragione dei miei incontri con lui!
    Un figlio? E' un'idea pazza! potrei denudarmi qui dinanzi a voi per farvi comprendere che non posso, che è assurdo, comunque lui rifiuta di ammettere la verità. Lui! Mio marito!
    Mio padre... si invece. Mio padre. Si. Lui sa tutto. Lui è d'accordo che io mi astenga dal procreare... portando in questa pozzanghera (si tocca il grembo) degli infelici!
Mio marito non vuole... non vuole essere consapevole eppure il dramma di questa storia è nato tutto da... un suo ritratto, quello di una stracciona che percorreva il mercato di Capodimonte intabardata di borse di plastica. Fu quella vista l'ossessione... Ne parlai con mio padre, solo, mio marito no, lui doveva restarne ignaro! Per due volte mi sono rivolta alla polizia, ho fatto fare ricerche... Le sembianze di lei però si erano perse... raccolte ora solo nella disperazione di  quei suoi colori e dei suoi stracci!
    L’avevo persa in un dedalo di polvere. Colore e polvere. E il troppo giallo sulla tela pareva essere la traccia di una colpa. Mio marito non sa, non vuole riconoscere di essere stato proprio lui l'artefice di questo dramma. Il suo impeto di pittore ha ficcato il punteruolo troppo in fondo nelle suppellettili vitali di... me stessa. Qualunque contrapposizione attui è vana! Lui insiste. Insiste per abitudine; ed è ormai un'abitudine anche la mia paura... quando gli urlo in faccia che non è solo la mia anima ma è il corpo di me e di lei che gli si nega! Mi fa orrore ogni contatto con quell’uomo. Credetemi però signori giudici... io lo amo! Solo dinanzi a lui mi vedo una terra forte in cui sedimentano gli amminoacidi eterni di un concime cosmico! E' questa la ragione per cui non riesco a trattenermi... è così audace il fervore quando mi si aggrappa; il ragno dell'esistenza mi vien dentro, mi percuote, mi rovista tutta col suo cervello incursore armato del suo fiero manto di meningi... come fosse anche ai pensieri necessario un condom!
    Mio padre. Certo solo mio padre è d'accordo... la sua ragione è con me... Però non basta. Non si rende conto -lui- che un figlio mi sarebbe più necessario degli incontri col cancelliere. E mio marito! Oh, mio marito! mio marito! Ignazio... (Porta le mani al grembo facendo il gesto della pancia che si gonfia) No, per lui questo mio negarsi è troppo anormale... Considera la mia immaginazione infilzata alla forca di una bestia.
“Tu mi vedi solo come un grosso coleottero notturno che ti morde” Mi percuote. Mi bagna. Credetemi... è verità! Tormenta coi suoi peli proprio qui... il petto. Una mano, l’altra! pare un muso di coccodrillo. “Immagini che io sia solo una chiavica che ti addenta i capezzoli!” mi tormenta “O nulla più che un pensiero molesto che ti estrae la felicità dalle gambe con un nido di tenaglie. La tua vulva non è che una manciata di tabacco... nella speranza che mandi in fumo la vita”. Così mi ha detto.
    Ma... No. Non è vero!
    Perché la giustizia resta muta, coperta dalla sua mummia di ermellino, e deve essere solo mio marito a piangere? forse perché dal mio sesso, nella notte,  emerge il terrore? o forse perché il piacere... è nella paura!? Nel sangue che ti penetra per farti grazia dell'infelicità! Eppoi... mi dipinge! Voltandomi le spalle.
    Ritiene che bisogna dimenticare tutto, lui, anzi ritiene che appunto l'oblio debba essere il dovere ultimo di una donna. Ritiene che io sia una vigliacca che pretende di ricondurre anche il passato più atroce e remoto al vile -presente-! come fosse anche il tempo -invece che assoluto- vertenza di giudizio. Lui ha in odio la necessità, lui vuole soltanto vivere perché la vita non resti una palude nella quale immergersi fino all'osso del collo.
    Mi prepara il caffè talvolta al mattino, fra i miasmi dell'acquaio e del gas, quando per la stanchezza non riesco ad alzarmi... Lui vuole che io gusti il profumo del caffellatte... gli odori... le sensazioni più semplici... Talvolta desidera che io le percepisca... tutte, come un sogno... In un fuoco... Grave però è che crede ci sia eroticità in tutto questo... nell'odore... vorrebbe convincermi a non abortire.
    "Tuo marito non è che un servo chiamato per puro caso alla corte di un -valvassino della palude!" Tutti i giorni se ne vien fuori mio padre, polemico, con disprezzo. "Tuo marito è illuso! Crede che un figlio possa cancellare ogni equivoco alla nostra disperazione!" Lo ripete. Protesta a suo modo, mio padre. Fischia. Borbotta. Scatarra, sussultando ai colpi di bronchi della tosse. Bestemmia. Frena le costipazioni. Inveisce. Ed è quanto di più paterno gli riesca fare.
    Ieri Ignazio mi ha offerto una vivanda speciale che non assaggiavo da mesi: cioccolata e panna! Bevendo, i miei occhi si sono riflessi però ombrosi nella tazza lucida, perseguitandomi. Non cerco più innocenza in me! ho il timido rancore di non essere neppure me stessa in quest'aula di tribunale, soltanto ricordo! Vivo nel passato... col disagio di essere la crocefissione del presente.
    Stamani il neon è esploso, spargendo infinite minuscole schegge di vetro sul letto, sfiorandomi appena. Ma per lui, no. Quello scoppio bruto, è stata un'eiaculazione precoce di spermatozoi taglienti! il rischio lo ha eccitato ancor più... l'ho sentito emergere dall'acme di un sogno. Beh, ho dovuto allontanarlo di peso, con forza, lo so non è stato un bel gesto... ed io ero coperta di sangue, avevo delle ferite... Me ne sento colpevole. Ho sempre amato quell'uomo e non è giusto sacrificargli i desideri per dare sprone all'angoscia!
    Colpa vostra -giudici- se son dovuta schizzare in macchina, premere l'acceleratore e giungere fin qui per dare sfogo agli ordini inappellabili del cancelliere! Certo, era necessario compiere questo referto... Mah!
    Eccola lì... La salma era già preparata su tavolo anatomico: distesa, nuda. Lattea su quel banco di marmo che spesso mi ricordava reminiscenze scolastiche: pareva su un altare pagano ai cui piedi venivano sgozzati fanciulli omerici... Ma fra i pagani c'era un sacerdote a condurre il rito, qui soltanto il mio inverecondo scrupolo e la scienza.
Aveva le braccia stecchite la donna. Il collo spezzato. I piedi scorzosi. Il corpo rigido. La bocca incollata sul niente.
    Eppoi le mani... Oh non parliamo di... quelle mani...!
    Dopo aver indagato sulla condizione dei capelli gli rasai la testa; sì, con calma, da cima a fondo! Volli intaccare con il rasoio appunto quel capo e quella nuca che -sicuro- erano stati femminili nei momenti più sublimi dell'amore e che -non ora, ma un tempo- avevano vissuto anche loro gli spasimi di chissà quali profonde sublimi carezze.
    Da giovane, era stata alta, slanciata... forse... una mondana graziosa inconsapevole dei propri doveri e che si era trovata più volte a raccogliere i frutti immaturi della propria bellezza. Dimessa, ora, in quel ciarpame di corpo perfino la morte invecchiava.
Quanti figli in quel triangolo?
    Una sfera di luce mi entrava dalla finestra, allegra; sì, allegra! nonostante quel suo giungere mi ferisse gli occhi! annebbiava la vista il sole, rendendo ancor più ossessivo l'organico intervento del mio sguardo.
    Che fastidio! Troppo! alle pupille!
    Preferii allontanarmi un po' da quel cadavere... Diafano, vitreo, lo lasciai lì sul tavolo per farmi aria. Mi avvicinai ai vetri. Subito però non riuscii granché a respirare, ebbi un lieve malore. Richiusi ermeticamente gli occhi, poi quegli oscuri sportelli umidi... per tornare alla luce artificiale: un proiettore al quarzo, che meglio di chiunque altro sottolineava questo mio scientifico incidere sulla scatola cranica.
    Straordinario! Le ossa frontali sembrava che fossero già state aperte... e molte volte! Oh, non perché dimenticassi che alcuni segni li avevo fatti io con il rasoio. No. Perché... dinanzi a quella testa rasata ebbi una visione che mi inorridì. Mai avevo visto tante cicatrici su una scatola cranica: una ragnatela!
    Già ad una prima osservazione sembrava che quelle ossa fossero state aperte tre o quattro volte. Anche di più... Pazzesco!
    Certo, afferrata la sega... avevo aperto anch'io, velocemente, ero ansiosa! Le due parietali... subito dopo... la parte sporgente della fronte.
    Oh! Che c'era... O meglio, che non c'era!
    Tutto era infinitamente assurdo, lì. Cupo, disordinato!
    In quella scatola cranica vi erano già stati asportati i lobi frontali! Ed infatti esternamente appena sotto l'attaccatura dei capelli, cicatrizzato, vi corrispondeva un largo sfregio che arrivava alle orecchie, suggerendo un solco dei buoi...
    Signori della corte, vi chiederete -come mai ad una donna le siano state praticate operazioni così devastanti?- Mah! Quindici anni fa circa venne di moda asportare i lobi frontali come cura della schizofrenia in pazienti afflitti da turbe ossessive. Sul principio l'intervento pareva del tutto innocuo anche se gli effetti collaterali sui malati erano complicati e bizzarri. I primi rapporti clinici sulla lobotomia infatti suggerivano uno scarso effetto sulle attività intellettuali... salvo se misurate con i test di intelligenza! ma studi successivi più particolareggiati, dimostrarono invece che dopo tali asportazioni col tempo si verificava un concreto deterioramento di tutte le attività creative. L'agire quotidiano dei pazienti spesso cambiava in modo drammatico, con gravi mutamenti nella personalità: -certo si aveva una riduzione dello stato ansioso- tuttavia il prezzo era una completa perdita di inibizioni, di pudore, era un continuo esibire organi genitali accompagnato ad euforia.
    In vita lei aveva avuto momenti di violenza imprevedibili. Perciò, per verificare... -con quel cervello aperto- mi sono precipitata ad osservare l'amigdala; credevo già di trovarla nelle stesse condizioni dei lobi frontali invece era intatta. Vi pare strano che ci si precipiti sull'amigdala: un nocino di materia grande come il bottone di un pompiere, eppure è fondamentale! sottende al controllo dell'aggressione, interviene in battaglia quando ci si affronta uomo contro uomo e ci si scanna come bestie. Talvolta però, può assumere anche il ruolo di centro della punizione più che del controllo. Si è potuta arrestare perfino la carica di un toro... per stimolazione elettrica dell'amigdala! Ecco, immaginate quella povera donna la notte in cui aprì il gas e fece saltare il palazzo! ...se noi gli avessimo stimolato l'amigdala?
    Ma pur se il corpo era lì stupendamente intatto, i chirurghi certo non avevano dimenticato un'altra operazioncina detta -split brain-: non è altro che la semplice divisione del corpo calloso fra i due cervelli.
    Il corpo calloso è una massiccia lamina di fibre mielanizzate che collegano l'emisfero destro con quello sinistro. Dunque. Gli emisferi del cervello erano stati separati l'uno dall'altro accuratamente come fossero due fratelli siamesi ed ognuno poteva finalmente vivere per conto proprio senza scambiarsi più quei disturbanti impulsi elettrici generatori di schizofrenia.
    Anche questa operazione, innocua?
    Oh, certo; salvo qualche buffo conflitto secondario. In particolare nel comportamento delle due braccia... ad esempio: una mano prende un giornale, l'altra lo allontana, la prima lo afferra nuovamente e così via finché il giornale è tutto spiegazzato e illeggibile.
Qualcuno ha anche ipotizzato che tutte queste malattie possano essere state determinate da una lesione del forcipe! Mah! Osservando l'interno della scatola cranica sembrava che invece di un forcipe ci avessero parcheggiato una ruspa!
    Ormai dovevo abbandonare il cervello.
Ho continuato -com'è d'uso- a scendere in basso, far a pezzi tutto, dalla testa ai piedi. Mi sembrava che già il farlo mi desse una meccanicità superba, inconfondibile. Si, inconfondibile nella sua completa materialità.
    Aprii la gabbia toracica. E qui lo vidi... il cuore, era lì! ma non palpitante come quello di una vittima dinanzi al sacerdote Inca nell'attimo in cui viene immolata al sole. No! Era lì, freddo, con il sangue raggrumato in un bozzolo di terra rossa e cuprea, senza irridere ad altro che alla morte... il cuore.
    I polmoni congelati in alveoli vuoti di vento... come la stessa stanza con le finestre chiuse. I vitrei sigilli! Eppure... Nulla mi è sfuggito di quella carne. Avevo l'impressione di conoscere tutto, di seguire un familiare sentiero dentro la sua pelle.
    Quando ho finito ero stanca. Ho posato il bisturi.
    Ho spalancato le finestre per la prima volta eliminando ogni penombra. Ero cieca. Sentivo la luce schiacciante negli occhi. Non ho chiamato nessuno. Volevo dormire. Non potevo. Come? con quella carne aperta sul marmo. Con quel corpo morto penetrato dalle mie unghie e... che sentivo ancor più profondamente nelle mani, dopo averle toccato già l'anima e il cuore.
    -Ma sapete, io lo conoscevo bene quel corpo!- E me ne resi conto soltanto allora, quando i capelli furono metallicamente sfiorati dalla luce... ecco, quel sospetto che avevo sempre avuto, che... E' grave l'affermazione che sto per fare signori della corte! ...Io avevo sempre avuto, dal momento che ho impugnato il bisturi, la sensazione che quella donna io la conoscessi bene, che somigliasse a qualcosa, a qualcuno, ad una immagine alla cui presenza -colpa di mio marito- mi ero assuefatta. Si, era lei la stracciona del ritratto, quella figura enigmatica dall'occhio acutamente strabico che contro la mia volontà Ignazio aveva posto al centro della tela e me ne aveva imposto la presenza. Voleva rendermi impotente. Si rendeva conto che mi inquietava il ritratto, cadevo in apprensione, perfino mio padre le rare volte che veniva a trovarci ne era scosso.
    Troppe volte mi ero avvicinata con ansia. Avevo latrato su quei pigmenti rabbiosi, mordendo il rosso magmatico delle viscere, il giallo torbido dei capelli, il grembo  nero degli occhi, il colpevole bianco del suo niente. No. Non di donna era il ritratto, ma di un acrilico portamento di furori. Un'eruzione. Un volto fatto con la materia stessa di quel nulla che rende così felici gli uomini. Aveva ridotto in polvere milioni di donne su quella tela, Ignazio. C'era in essa lo sconforto di comprenderle tutte. Una atroce falsità dall'espressione obliqua. Una risolutezza irresponsabile. Diecimila occhi pareva sorprendessero la  ragione... Ebbi l'impressione di scorgerla... Si. Mi guardava senza pietà... Ed era soltanto un volto! Una barbona! Un semplice volto... Era il volto di mia madre!
    Ignaro il cancelliere Viganò aveva affidato a me l'autopsia di quella pazza suicida. Proprio a me... sua figlia!
Oh, il brav'uomo non conosceva la mia storia.
    Eppure vi dico, mentre salivo queste scale desideravo forte e comunque di essermi sbagliata, che non fosse lei, che non fosse... invece eccomi qui... con la mia tragedia. Oh, certo, non si preoccupi la corte, non sono qui per raccontarla! non vi farò orrore con i miei singoli rimorsi! non voglio suscitare -della vostra pietà- il sussiego! No. No. Non porterebbe in alto né il valore scientifico della verità né il pudore che v'è nell'angoscia di questa lunga storia di morte che... Neppure è saggio che una figlia -dinanzi ad altri uomini- debba far comprendere l'orrore, l'ambiguità o il senso della pazzia di sua madre. Nemmeno mi soffermerò su altre ragioni che la figlia di una vecchia multiomicida potrebbe far supporre di sé. No.
    Ma torniamo all'autopsia! Ci siamo soffermati a lungo su quel grumo che al ristorante mangiamo fritto con le zucchine -il cervello!- che da ogni buongustaio, per il suo candore, è agognato maniacalmente come fosse la degustazione di un ectoplasma! No. Io lo detesto. Il sangue vi si aggruma nel cervello... simile a gocce di bitume sull'asfalto.
    Gli occhi erano aperti. Però... io! Il perito settore!?
    Per la verità una delle pupille aveva perso il suo umor vitreo ed affondava nell'orbita come un piccolo cencio ammosciato. Ma l'altro occhio? Si, l'altro era vivo! Sembrava ancora gonfio, umido, benché il venticello di brezza che entrava dalla finestra aperta tentasse di asciugare tutto, anche i miei! che nonostante la freddezza del portamento un po' per volta -come un otre- si erano riempiti di lacrime.
    Mi incantavano quelle iridi oscure, apparentemente verdi, che acquistavano la magia di fragili pagliuzze d'oro quando si chinavano sullo specchio. Oh, talvolta mi colpiva... lo sguardo di mia madre, lasciando intravedere altre... altre enigmatiche passioni dietro le ciglia. E queste facevano impazzire le notti... mio padre, gli spettatori a teatro.
    Certo, occhi discutibilmente miti, ciascuno però... daltonico. E anch'io ero attratta da essi e mi ingegnavo a fissarne le iridi per scoprire -non meno di mio padre- quelle stesse pagliuzze d'oro di cui mi parlava lui. Mi sentivo premiata poi quando potevo correre sulle sue ginocchia a raccontargli la visione di lei. Oro! oro! oro! Credo talvolta che ne fosse perfino geloso di quel mio sviscerato amore per la mamma, avido, insofferente.
    Eppure nei riflessi di quella retina trovavo un palpito strano, imprevedibile... forse lo stesso che preoccupava  il medico... vedevo il suo volto pensieroso. E poi mio padre... ogni giorno più perplesso, in particolare quando alzava il capo al cielo senza che io sapessi -perché?-
    L'aveva sposata per amore, mia madre. Circonciso dalle sue braccia istrioniche di donna. Lei era tutto per lui.
    Soltanto dopo anni -quando mia madre si ritirò dalle scene- era prevalsa la quiete abitudine dell'istinto che appartiene ai corpi, il cui amore ha bisogno di un ordine assoluto -per trasmettersi-. Desideri intimi. Audaci, festosi. Non si erano però mai picchiati!
In principio -accadeva di rado- mio padre si allontanava con mia madre lasciandomi dalla zia, poi, tornando diceva che lei era partita per un viaggio, o era da un parente e che sarebbe tornata presto. E infatti dopo qualche giorno, puntualmente mia madre tornava.
Per un inverno fummo rassicurati, sorrideva persino a quel mio vantarmi d'aver scoperto le pagliuzze d'oro nei suoi occhi. Dopo qualche mese però, non sorrise più. Tantomeno ero più incoraggiata ad osservare lo sguardo ellittico che la inquietava, rendendomi sempre più scostante. Allarmata.
    Il suo sguardo tuttavia non era vuoto, solo sfuggente e ingabbiato nella ricerca di una assurda voluttà che non poteva trovare appagamento.
    Venne Pasqua.
Le partenze di mia madre si fecero sempre più vicine, ed il suo ritorno più avaro. Avevo undici anni quando non la vidi più. Se ne perse il nome...
Dopo qualche tempo mi dissero che era morta.
    Se avevo cancellato mia madre pazza dalla mia conoscenza diurna però non l'avevo dal sipario dei ricordi; il suo carattere mi apparteneva come l'aria, la pelle, o il sudore! che maltrattavo nelle notti di arsura, aleggiante, cattivo, sul mio corpo.
    Come certo sapete -uomini della corte- il perito settore non può fermarsi al cervello per capire la natura della follia e della morte di un imputato ma deve seguire il proprio bisturi giù... più... in basso, finché non s'immerge nelle viscere e lì, come un serpe fecondato dal calore di una pietra, deve soffermarsi. E poi scavare, scavare con quel coltello nel profondo della carne! dividere le articolazioni esangui e le masse muscolari come un fiero scalco. Per qualcuno di voi è facile, ma io... vi dico... nessuno può immaginare quanto sia riprovevole l'aratro ingiurioso del bisturi quando penetra nel muto terreno delle viscere.
    A quel collo rugoso -afferrato ora senza pietà dalle mie dita chirurgiche- molte volte mi ero aggrappata -bambina- per chiedere amore. Un collo potentissimo di caparbietà, troppo inabile ad offrire amore, ma... era giovanissimo e liscio quel collo, allora! gradevole al tatto, a quello poderoso della malattia.
    Lo stringevo quel collo, ora, con la forza ossuta di un  clinico che doveva esprimere delle certezze! Invece... solo gesti di ansia, manovre impacciate che mi obbligavano a produrre un referto! Scivolavo indifferente su quell'antico marchingegno che soddisfa appena la ricerca di un giudizio, quando...
    La verità non è in questa carne! non si esprime in questa permanenza oggettiva che mi è crollata nelle mani! No. Tutto è al di là, io ne ho posseduto solo la scorza. E tuttavia l'illusione di trovarla non solo mi eccitava il bisturi, ma lo infilavo fra sudice rughe grinzose... Oh... Troppo vecchie... perché...?
    Quante volte morì mia madre in quel suo perfido costume scenico!?
Anche le sue braccia erano potenti, indistruttibili come arco di titanio sulla nave celeste. Eppure quelle braccia reagivano al mio bisturi proponendomi una loro verità... una verità bestiale! Le sue mani urlavano di terrore!
    Aprii di nuovo il petto. Lì... c'era il cuore congelato del mio rimorso. Nonostante, lui, quel piccolo corpo di carne pareva uno spettro!
    Ricordo il suo odio verso me. Mia madre. Le sue urla.
Mi picchiò a sangue, un giorno, ho ancora addosso certe cicatrici! mio padre era lontano. Ma non lei! Era la sua malattia che mi era addosso e picchiava me! me? Come rimproverandomi d'essere al mondo con un peccato d'origine più terribile di tutte le colpe!
Benché fosse facile dalle torture ricevute raccontare tutto, -le sevizie che ho ancora sul corpo!- al ritorno di mio padre non dissi nulla.
Spiegazione insicura dava intanto mia madre, diceva che io fossi caduta dal terrazzo. Complice, rispondevo con un assenso. Mio padre invece non credeva, comunque si sforzava anche lui di immaginare che ciò fosse vero... Immaginare!
    La pancia! Il ventre! L'ombelico! Il ventre! La pancia! Dio! quando scorsi fra quelle viscere il bitorzolo rugoso dell'utero... Dio!
Giudici perdonatemi l'angoscia che non... Voi non potete... Ecco, attraverso quel corpo, sezionato... si riscopre l'errore vivo e non resta nel bisturi che il delitto sommato ad altro delitto... quello d'essere stati empi con una carità infinita.
    E' sadica la giustizia! e nessuno gliene fa colpa. Certo. Ma perché chiamare una figlia a sezionare sua madre!? procurando una vergogna che è più simile alla repulsione che alla legge.
Sono stata chiamata a compiere questa autopsia dal cancelliere qui presente, ed a cui sembra vada tutto il vostro biasimo! Ma... no! Orrore! No signori giudici... lui non ha colpa. Io! ho brigato affinché ignaro di tutto, mi chiamasse.
Ero avida di conoscere me stessa attraverso quel corpo! Me!?
    Volevo che mi affidassero la sua penetrazione. Volevo carpirle tutto -dentro- tutto... il segreto! Un medico cerca sempre la verità nei corpi. Ma vi assicuro, non ho inquinato le prove. Ho cercato solo di capire... l'origine... della mia stessa infelicità, di questo universo di carne che uccide me stessa! Ho cercato di scoprire la Legge!
    Tuttavia mi chiedo: perché tante famiglie distrutte? Perché la pazzia!
    Perché? Perché? Perché?
    Un mistero a cui nessuna autopsia potrà rispondere! Era un'attrice, mia madre.
 



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