Archiviostoria - history
 

Ipotesi eterodosse
sulla scomparsa della salma
di Gesù'
di
Silvano Villani




E' abbastanza improbabile, per ora, che il lettore trovi questo volume esposto sul banco di una libreria. Se lo vuole leggere, o almeno sfogliare per farsi un'idea di ciò che contiene, dovrebbe richiederlo espressamente al commesso: «Vorrei vedere un libro intitolato Il mistero del sepolcro vuoto, di Silvano Villani; Elèuthera editore, Milano. Ce l'ha?». E a quel punto potrebbe anche accadere - in alcune grandi librerie accade - che il commesso, dopo avere consultato il calcolatore, vada a frugare in qualche remoto scaffale. Forse ne estrarrà un piccolo volume, unica copia: «Sa, non è molto richiesto. Anzi. Non è richiesto per niente».
D'altra parte sembra evidente che per richiederlo i clienti della libreria dovrebbero anzitutto sapere che il libro esiste. Se però nessun giornale ne ha dato notizia, e il bilancio non consente al piccolo editore che s'è avventurato a pubblicarlo di spendere per fargli pubblicità, il libraio non è incoraggiato a esporre un esiguo, umile, sconosciuto volumetto, sul banco: lo spazio è limitato; e i potenziali lettori non hanno modo di sapere, se non in via del tutto casuale, che un determinato libro, nel quale si tratta un particolare argomento, è disponibile.
Ci possono essere diversi motivi per cui i cronisti letterari non danno notizia di un determinato libro. Anzitutto perché i libri che escono ogni giorno sono tanti (quarantacinquemila all'anno, dicono, in un paese come l'Italia dove pure si legge tanto poco): difficile scegliere. Poi perché l'autore è uno sconosciuto, o quasi; oppure è un personaggio sgradevole, un noto rompiscatole. Perché il libro è banale, è sciatto, tratta di cose prive di interesse. Perché l'editore che lo stampa è piccolo, quasi insignificante, e il cronista non guadagna granché, quanto a fama, rispetto o altro, a dare notizia dei suoi libri; e poi lo spazio sul giornale è anch'esso, sempre, come quello del libraio, molto limitato. Perché infine a scrivere - bene o male che lo si faccia - di un certo libro sul proprio giornale si può dare un dispiacere a qualcuno "che conta e che può" (come si direbbe a Napoli); e non tutti i cronisti hanno la vocazione del martirio.
L'argomento de Il mistero del sepolcro vuoto  non potrebbe essere, infatti, il motivo principale della riluttanza dei cronisti a citarlo? Il quesito cui nel libro l' Autore tenta di rispondere è certo affascinante, ma non sono pochi coloro che lo troverebbero assai sconveniente:
 

Dov'è andato a finire il cadavere di Gesù dopo la sepoltura?


«Naturalmente», si dice nelle prime righe del libro, «il quesito non si pone per chi crede che Gesù con tutto il suo corpo terrestre sia letteralmente salito in cielo, come afferma la dottrina cristiana», e perciò sia sparito dalla grotta che era il suo sepolcro. Molti laici miscredenti, però, che hanno deciso di non respingere tra i racconti di pure favole i Vangeli, e anche diversi credenti che pensano di sapere "riconoscere le allegorie", come direbbe uno scrittore del II secolo, potrebbero porselo. Anzi: se lo sono posto fin dai tempi antichi, e continuano a porselo. Anzi, prima di questo, si sono posti ben altri quesiti, anche più sconvenienti e radicali:
 

E' sicuro che da quella grotta in quel tempo sia scomparso un cadavere?
E' sicuro che si trattasse di quello di Gesù, il predicatore galileo?
E' proprio sicuro, infine, che questo Gesù di cui parlano i Vangeli sia esistito?


L'A. si è cimentato con questi e altri quesiti, e non sempre si è valso di argomenti risaputi. Nel corso della sua indagine ha raccolto indizi e prove fuori, spesso, della tradizione evangelica. Ha trovato almeno una decisiva testimonianza sull'attività di "un tale Gesù", e non nelle Sacre Scritture. Nelle stesse Scritture (nel Vangelo di Giovanni) ha rinvenuto un versetto molto eloquente, e finora assai trascurato dagli esegeti, circa la dipartita del Signore dal sepolcro. Ha trovato un fortissimo indizio, molto pagano, che in Palestina un cadavere scomparve davvero da un sepolcro al tempo che si ritiene fosse quello di Gesù, sì da creare grande scompiglio e inquietare l'Imperatore. Ha trovato molte altre cose che suggeriscono valutazioni e interpretazioni assai diverse da quelle convenzionali e familiari ai cattolici non meno che ai laici. L'A. giunge a conclusioni probabilmente inattese per la maggior parte dei lettori: e perciò questi, se decidono di leggere Il mistero del sepolcro vuoto , non dovrebbero andare subito a sfogliare le ultime pagine, come non lo fanno quando hanno tra le mani un giallo dal quale si aspettano soddisfazioni.

A questo punto converrà che racconti come il libro è nato. Ne parlo nell' introduzione. Eccola:
 

Il modellino della casa di Pietro in una bacheca del piccolo museo dello Studium Biblicum Franciscanum a Gerusalemme fu come un lampo su un paesaggio in ombra fino a quel momento. Accadde parecchi anni fa. Mi ero recato a visitare il direttore di allora dello Studium, padre Bellarmino Bagatti, soprattutto per raccogliere un'opinione circa la convivenza delle diverse confessioni in Israele. L'archeologia dei tempi di Gesù cui quel museo era in parte dedicato non mi sembrava invece che potesse essere molto interessante: che cosa avrebbe potuto mai produrre di attinente a quella predicazione, infatti, oltre a qualche coccio, qualche pietra, qualche moneta del primo secolo del tutto simili a innumerevoli altri? La storicità dell'irruzione di Dio nel mondo è un pilastro della dottrina cristiana; la realtà però è un'altra cosa. Per molti, moltissimi anche non credenti, e non solo in Italia «la vicenda narrata dai Vangeli» - mi torna comodo dirlo con le parole di certi scrittori anglosassoni - «è spesso completamente separata da ogni contesto storico: un racconto di nuda, atemporale, mistica semplicità, vissuto in una sorta di limbo, una terra mitologica lontanissima nel tempo e nello spazio».
Il frate mi accolse compassato, e da dietro una scrivania rispose cauto e diplomatico ai miei quesiti. Senza però del tutto eluderli. Infatti mi rivelò, con qualche esitazione, che a volte gli scavi dei frati dello Studium non erano graditi alle autorità israeliane. Quali scavi? Era la domanda che aspettava. Padre Bellarmino, un pisano smilzo e scattante, si levò in piedi e a rapidi, impazienti passi mi guidò al museo. Per esempio, appunto, gli scavi alla casa di Pietro: il modellino riproduceva un' insula , un tipo di unità abitativa frequente ancora oggi oltre che in Palestina e in Siria, nelle campagne della Turchia, in Irak, nell'Iran arcimillenario degli scià, e in Africa; fatta di canne e fango, o, a seconda dei materiali reperibili sul posto, di pietra: e se è di pietra non lascia scampo alle vittime quando arriva il terremoto, che anche perciò è così micidiale in quei paesi. La recinzione di pali chiudeva un gruppo di casette - quattro o cinque - dalle pareti di canne e argilla e il tetto di frasche,  e un sistema di cortili. Vi abitava d'uso la famiglia allargata, come dicono gli antropologi, coniugi con figli, nonni, zie, nipoti, cugini; in quel caso si trattava della riproduzione della casa a Cafarnao, in riva al lago di Genesaret, dove aveva abitato Simone il pescatore con i familiari. Simone-Kefa-Pietro era sposato (aveva anche figli? ecco un quesito cui i quattro vangeli dimenticano di rispondere): tra quei familiari la suocera che Gesù guarì dalla febbre: Mc, 1, 30-31.
 «Ne abbiamo trovati i resti che risalgono al primo secolo. Era la sua. La casa diventò poi un luogo di culto, gli israeliani suggerirono che potesse trattarsi dei resti di una modesta sinagoga. Su questi però era stata costruita nel quinto secolo una chiesa bizantina. Tra i calcinacci i padri Corbo e Loffreda che hanno condotto lo scavo avevano poi trovato pezzi di intonaco con diversi graffiti, tra i quali il simbolo di Gesù e il nome di Pietro: e ciò pose fine alle discussioni. Lo scavo ci ha consentito di leggere esattamente un passo del vangelo di Marco, a 2,4».
Racconta il vangelo in quel punto che siccome intorno alla recinzione era fitta la folla di quelli che volevano essere miracolati, quattro di loro, decisi a fare arrivare davanti a Gesù, all'interno nella capanna di Pietro, un paralitico perché lo guarisse, fecero passare il  lettuccio su cui giaceva l'infermo sopra le teste della gente attraverso il tetto: «scoperchiarono il tetto dov'egli si trovava, e fatta un'apertura, calarono il lettuccio». «Era un tetto di frasche», esclamò trionfante padre Bagatti, «ecco perché si poteva praticare un'apertura. Ce lo ha rivelato lo scavo. Banale: ma nessuno ci aveva pensato, prima».
Gli scavi dei frati in tutta la Terrasanta erano in corso, allora, da circa trent'anni, mentre a Roma ancora ferveva negli ambienti vaticani la polemica sulle ossa di Pietro, avvolte in quel panno color porpora bordato d'oro, che Margherita Guarducci aveva salvato un attimo prima che finissero tra i calcinacci da buttare, provenienti dagli scavi sotto l'altare della Basilica. I religiosi archeologi addetti a quegli scavi, che pure erano stati ordinati da Pio XII desideroso di accertare la verità circa la tomba di Pietro, non riu-scivano a persuadersi che fossero proprio sue, del Pescatore; preferivano continuare a credere che la Basilica, come fonti opportunamente interpretate potevano suggerire, fosse stata eretta da Costantino su un sepolcro vuoto, una pia bugia, sì, ma imperiale. In Palestina invece l'archeologia, suprema passione degli israeliani, aveva già conosciuto momenti di successi mondiali del genere La Bibbia aveva ragione. I frati dello Studium avevano deciso di scendere in campo e di dimostrare, soprattutto a beneficio dei pellegrini cristiani, che almeno in certi casi anche i vangeli avevano ragione. Ma non senza qualche inquietudine, erano uomini esperti del mondo, e soprattutto di cose cattoliche. I monumenti cristiani più antichi in Palestina erano allora le grandi basiliche - a Betlemme, a Nazaret, sulla tomba di Maria, sul Santo Sepolcro - erette sui luoghi sacri da Costantino, «questo masso erratico piombato sul placido corso del fiume della storia». Una vocazione irresistibile della Chiesa romana, fin dalle sue origini imperiali - et pour cause,  probabilmente - è stata sempre, infatti, quella di metabolizzare in qualche modo il cime-lio, la reliquia, il più piccolo e insignifi-cante documento storico fino alla sua eventuale dissoluzione nel grandioso edificio ecclesiastico, sottraendolo all'esperienza diretta del credente. Bisognava dunque scavare sotto le basiliche e vedere se ci fosse davvero qualche cosa di concreto. Una scom-messa pericolosa: e se non avessero trovato niente, oltre a pie invenzioni?
Dappertutto invece i frati dello Studium, di cui per anni padre Bagatti è stato l'animatore, qualcosa  hanno trovato: pochi e umili reperti, luoghi e oggetti di culto conservati da una  consolidata tradizione ben più antica delle basiliche. I vangeli in qualche modo cominciavano dunque a narrare qualcosa di storico e verificabile an-che per i profani e gli indifferenti. E si dovrà pure ricordare che gli archeologi israeliani dal canto loro, intorno agli anni Sessanta, nel corso di indagini nello strato relativo al I secolo, avevano rinvenuto a Gerusalemme qualcosa di ben più concreto e allarmante per tutti: in un sarcofago avevano scoperto, nel senso che ne avevano tolto il coperchio di pietra, lo scheletro di un uomo nudo, sui trent'anni, sicuramente ebreo; su polsi e piedi i fori dei chiodi coi quali era stato appeso verosimilmente a una croce nella prima metà del primo secolo. Tutto Israele trattenne il fiato, mentre Ygael Yadin, eminente archeologo e capo di stato maggiore alla difesa, cominciava a redigere la perizia (che si può leggere negli annali del Museo Rockefeller, a Gerusalemme). Fu stabilito, non so come, che non poteva essere Lui.  Del resto, tanti in quel tempo erano stati uccisi così.
Agli scavi dei frati, che non avevano mai goduto di grande notorietà, dedicai nel 1984, qualche anno dopo la prima visita allo Studium, alcuni articoli sul mio giornale. Sì, dovevo ammettere che i vangeli anch'essi "avevano ragione", almeno in qualche loro parte. A quel punto mi sembrò inevitabile il passo successivo: se i vangeli hanno anch'essi ragione, se raccontano una storia almeno in parte vera, l'indagine del giornalista può fermarsi a Cafarnao? Non può. Non dovrebbe. Poiché i testi dei Vangeli che conosciamo risalgono al IV secolo, come le basiliche che l'Imperatore eresse sui luoghi consacrati dalla tradizione, diventa lecito, anzi doveroso anche per il profano avventurarsi nello scavo, o quanto meno tentare di saggiare quello compiuto da altri, ben più esperti specialisti soprattutto tra le righe dei testi sacri. Molte di esse certa-mente sono state scritte - e questo non era così sicuro fino a qualche tempo fa - assai prima che i concilî, mettendo quei testi definitivamente a punto, cominciassero a levare l'immensa costruzione dottrinaria all'interno della quale ancora oggi tutti viviamo e, bene o male, ci riconosciamo. Moltissime altre no.
Ho dedicato parecchi anni all'indagine. La letteratura sull'argomento è sterminata, per esaurirla ci vorrebbe, penso, ben più di una lunga vita. Ma dopo alcuni saggi il campo dove è verosimile che l'indagine porti a qualche nuovo risultato, fortunatamente, si restringe parecchio, sempre tenendo conto che si tratta di un "parecchio" rispetto, appunto, allo "sterminato", e che si prescinde dagli aspetti teologici della questione: una foresta di vertiginose finezze, questa sì senza confini. Altri anni sono poi trascorsi alla ricerca di un editore. Ha scritto un critico che in Italia è quasi impossibile pubblicare qualche cosa che possa dispiacere ai comunisti o ai cattolici. Ho fatto ambedue le esperienze, e sono lieto di potere affermare che il "quasi" è assolutamente pertinente. Infatti tempo addietro ho dedicato un libretto a un misfatto commesso dai comunisti che tutti sembravano volere dimenticare, il caso di Schio. Ho impiegato un anno e mezzo per trovare l'editore disposto a pubblicarlo. Alla ricerca di uno disposto a pubblicare "Il mistero del sepolcro vuoto" ne ho spesi tre. Alla fine ho trovato anche questo.


Confesso che sono stati, questi ultimi tre, anni assai difficili e, a un tempo, sorprendenti. Non mi aspettavo una tale chiusura, nonostante che conoscessi molto bene, in virtù della mia lunga esperienza di giornalista, gli effetti dell' ossequioso conformismo che prevale in tanti ambienti della nostra società. Molti editori non mi hanno mai risposto, ma questa accidiosa ostilità per le buone maniere è diffusa ormai a tutti i livelli e in tutte le specialità; e non solo tra gli editori di libri. Uno ha fatto sapere tramite il postino di non abitare più da tempo all'indirizzo cui avevo inviato il volume: repentinamente aveva traslocato. Altri sicuramente hanno letto il testo, e tra questi alcuni lo hanno respinto ostentando le mani ancora bruciacchiate, come dopo avere stretto tra le dita tizzoni ardenti. Altri hanno lodato la dignità della scrittura, riconosciuto l'importanza dell'argomento: ma l'opera, concludevano con fredda cortesia, non rientrava nei loro programmi.
Complessivamente reazioni tutte molto trasparenti sulla scelta di non offrire spazio a una voce fuori del coro: e in tempo di Giubileo, poi. Il lettore che si azzarderà a sostare sulle pagine di questo libro trarrà da sé la conclusione se esso meritava davvero di essere cestinato; al tempo stesso si chiederà chissà quante e quali altre espressioni di dissenso siano sottratte ogni giorno alla sua attenzione dalla materna prudenza degli editori.
Ma sono considerazioni in certa misura gratuite poiché all'editore Elèuthera sarei anche potuto arrivare subito, con un po' di fortuna (e di accortezza); e non avrei mai saputo che cos'è, e quali pensieri suscita, bussare inutilmente a tante porte per tanto tempo.
 
 

The mistery of the empty sepulchre - or - The last miracle
by  Silvano Villani



The empty sepulchre is Jesus'. The mistery of it is pointed out in the book's very first lines, togheter with a notice:

"What happened to the corpse? Obviously, this is not a problem for those who believe that Jesus with all his earthly body ascended to Heaven, as the catechism says."

This book has no meaning for believers, and the writer does not fancy they would take it into account. He proposes his book to others, to those who may have decided to spend some of the time of their lives in carefully reading the New Testament as a ancient tome (as did the author), and could not help but ask certain questions: what is true in the Jesus' story? Did his corpse really disappear from the tomb where it had been sealed? Nobody, nowadays, non even the most fanatical anticlerical, dares to deny that Jesus existed, that he performed many miracles, that he was tried, sentenced to death and crucified, altough it has been proved beyond any dout the all the Holy Texts have been corrupted by the very people who believed in Him, the Christians. What about the Resurrection? The skeptic is lead by enough circumstantial evidence, found even outside of the sphere of Holy Writings, to believe that the corpse really disappeared from the sepulchre, and that this fact roused some turmoil. The disbelievers have there a parallel paradox known in detective stories as the "inside locked room murder". The disblievers who cannot accept the idea that Jesus ascended to the Heaven fatally must ask: how did the Jesus' corpse leave the tomb, what happened to it? The very first signal, like a soft dissonant chord, is in the Fourth Gospel (Jn 20, 4-7):

They ran toghether but the other disciple running faster than Peter, reached the tomb first; he bent down and saw the linen cloths lying on the ground, but did not go in. Simon Peter, following him, also came up, went into the tomb, saw the linen cloths lying on the ground and also the cloth that had been over his head; this was not with the linen cloths but rolled up in a place by itself.

The evangelist emphasizes the fact: the cloth was not on the ground, it was "rolled up" and "in a place by itself". Therefore somebody was in the tomb at the moment the Jesus' corpse disappeared; somebody rolled up the cloth and likely put it on a bench. This is the very first signal. But behind it, like a puzzling shadow, hovers another question: why does the writer of the Fourth Gospel, and he alone, give us this information? Nevertheless, he conclusion is: somebody knew what happened to the corpse. Beside we can suppose that the secret did not disappear with the first Apostles, it was orally handed over to their successors, together with the heavy priviledge of being the trustees and the keepers of the Truth and of the Faith. We can, then, fancy that somebody in the Vatican knows?

The author of the present book (who is not a specialist of the subject, but is only a journalist) when he started to look for a publisher had a peculiar experience: three publishers, after receiving the manuscript, answered that they were broke; twoo told the postmen they where no longer at that address. Others did not even answer: but that is not unusual in Italy, where some believe that is very difficult to publish something not welcomed by Catholics or Communists. Difficult, but maybe not impossible. That is why the writer went on the Internet highways to look for a publisher.

Silvano Villani has been for many years foreign correspondent and special reporter for the Corriere della sera . He had the idea of this book long ago, while reporting on the archeological excavations in the Holy Land.

mail  Silvano Villani
 

Il mistero del sepolcro vuoto (villani.zip, Winword 6.0, dimensione 12 K)


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