I MILLE VOLTI DELLA NOTTE
di Nero Dossobuono

 


GARDENIA

quante volte ci hanno detto addio
le parole che ci lasciano ai sogni!
Quante volte dimmi, amore mio,
fummo due soli, stretti come pugni!

Quante volte il tuo pegno, le mie pene
l'ebbra volta delle stelle in te aprirono
le speranze; insonni, per le brune vene
all'ancora d'un porto e infin partirono!

Quante volte tu impaziente alga
scendesti nelle pieghe del tuo vento
e il cor rappreso con i miei spaventi
su le dune trattenesti col tuo manto!

All'ombra poi mescevi arditi raggi
con sottane azzurre dai riflessi argento;
sento tepor d'un di' …oh, fuoco salga!
entro le carni nude su cui m'avvento.

Guarda... non vedi? Eccoti... il mio guanto.
Attorno a me tu sei. Mi avvolgi. Mi riprovi.
Forse il tramonto sul tuo ciglio e' incanto
di quel che godi e quel che superbo provi.


***


FORSE VANO L'ADDIO

Anche tu... I tuoi occhi nascondono
il corpo irripetibile di un respiro
di cui m'e' ignoto il nome. Tu che...
ali sei e corri ove sanno volare
le tenere piume. Vai dentro il mare?
Cerchi sull'onde la viva dolcezza d'un
confine? O nella valle t'immergi per
ritrovar le semenze dell'acuto paradiso
di cui non conosco il monte? Dove, io
e te… Perche' non fuggimmo? E invece
or siamo ad incaponir la brocca e tentar
di bere il fiele che perdemmo a vent'anni,
…e di cui non restan che gli arsi sapori!
Ma delle tue mani il profumo ancor mi resta
dietro l'albero ove e' seppellito il cuore.
Non e' che ombra l'incontro. Felino rincorro
le emozioni che si perdono. Qui la RETE!
voglio sputare l'amo ai sogni! Tacciare di
falso gli arcani menestrelli! i canti che odo
impazziti, ancestrali, inermi, qual voci
siderali. E' notte? Forse. Quale notte?
Quella delle armonie che impersonano
le intemperanze, che dona ragione
alle coscienze incallite sulla colpa.
Piacevoli dolori ancora mi sommergono,
battendo confini di una logica avara
che s'impregna della bonaccia dei corpi.
Ravvivo la mano. Ed il ventre, il fianco,
i glutei sommossi da un tremito. Sodomie
vive di fermi cavalli al di la' della valle.
Di chi, donna, sei? che siamo? chi vuoi?
chi sono? Smarrisco nell'aria la cama
e la pula, il grano frumento battuto
trebbiato disperso. Qui, nell'aia, bambino,
le pietre pretesi che scagliai su mia madre
senza perdono. Or, adulto, il respiro abbandono
al notturno fragore delle fragole amare,
che, il giardino, schiaccia col tallone di un
angelo passato a chiedermi il conto. Rimuovo
il rimorso. Vile, nel mio, forse vano, piccolo istante.


***


E' LA TUA MANO CHE MI PORTA

Vorrei tanto baciarti sotto questa bufera
di lampi e tuoni di parole che avvolge Roma
in pena. E tu Giglio mi manchi. Nascosta
tra le pieghe brune e un riflesso di pazze
magie nel cui alveo trascorro la notte.
Cavalcano i cervi nelle brughiere ed e'
la tua mano che mi porta, ed e' la mia
mano che ti scioglie quei capelli… d'un
tempo… ora ingessati da un gel di paure.
In vetta, signora! Su, corri! veloce a costringere
per prima la forza. Tra le donne. Il corpo
e' piu' in alto. La voce piu' forte. A me
batte il cuore. Ti ho pensato. Ed ho la bocca
bruciata di salsedine amara hmssh! e la tua
lingua ricopre questo animale, ardente.
piu' fine e' il coltello… di nebbia ramata
or e' lui che mi spezza … cribbio! Di questo
rossore vuoi farne giaciglio? Mi apri
la porta; guerriero il castello in cui mi
baci, e sola mi appari, velita. Le ciglia
amorose che ilarioni onde ti porsero
sulla pelle, d'esse colgo or nel cielo
un frammento; or sugli occhi mi preme
questo tessuto avaro da cui talvolta
sono sorti i sogni di creature silvane
al cui petto par che rubi un alito. Troppo
schianto e' nella verga che avverte
del fuoco divino lo spazio irrimarginabile!
E' nel crear che sogni. E sogni il coraggio
del cervo che beve all'anfora il tuo miele;
e tu porgi audace il succo che il bramir agogna
rinascente in quest'ambrosia erba
ch'e' 'l sapor tuo di canfora.


***

BRIVIDO

Un cubetto di ghiaccio tradurtelo
vorrei come un serpe lungo
il fondoschiena, fin sulle mele
vellutate, poi giu' fra le cosce
sotto la palme dei piedi strofino
vincendo l'arsura del lungo
cammino verso me. Puoi voltarti.
Sentovedo tuoi cuprei colori
del melograno e tra le fessure
ambiziose porgere ancora quel
fresco dolore d'acqua tagliente.
Labbra. E capezzoli duri del vento.
Seno arpeggiante mollica
dal nettare scuro. Onfalo vivo
d'origine pregna. E poi giu' dentro
la carne bruna volubilmente
addormentata nel piacere
dell'attesa. Dall'artico bianco
del peccato mai vinto la carezza
ti porgo d'ardosa frescura sul ventre
a me aprico e tra le labbra
lo spavento della felicita'
immobilizzo di me. Ti raffreddo
il clitoride mondo. E poi con la
lingua ti sorprendo le vene
turgide che scorrono fra i miei
denti ora teneri per il palpito
che ribolle dentro le tue anche
dure per l'orgasmo finalmente
compiuto della ruvida fuggibile vita.


***

LA PORTA

Stringerti le mani quando avvincono
il nulla artiglioso della rabbia felina
…che uccide il petto con la sua luce
ignuda. Stringerti alla mia vita quando
la terra fugge. Quando la mia orbita
e' in fiamme. Quando la parola piu'
dolce non e' piu' una lacrima ed il
suo vapore eterno alita sopra noi.
Stringerti in lune ricolme, in fertili
diademi di sogni, stringerti nelle
arabesche intenzione di percuotere
le onde con la verga uncinata dell'amore.
Stringerti vorrei tra le braccia
quando s'aprono. Quando per
una improvvisa felicita' barriscono
e la foresta dei baci diventa rami
e foglie in cui nascondere il nostro
dolore. Stringerti a lungo. Quando
sorge il sole ed il mattino e' ancora
stanco. Soffiare sulle ceneri del tuo
ricordo, ravvivarne il corpo e dei
carboni stanchi riaccendere la sepolta
ferita fiammella. Della vampa lenirne
l'arsura, del fumo reingigantire il bosco
di noci moscate da cui la nostra felicita'
trasse profumo. Stringerti vorrei. La lingua.
Feroce. E come due spade in punta, sfidarti
nel duello del piacere oscuro. Quello
che il respiro avvolge dentro. E la bocca
in turgide armonie si flette. E tu entri
in me. Ed io entro in te. Lingua mia
tua fra lingue! L'una piu' fiera e sull'altra
viva la fessur tua mia delle bocche socchiuse.
Quanta armonia del bene mai piu' scordero'.


***

IREM

La magia del tuo corpo. La dolcezza
delle tue unghie sulla scorza del mio
alito bruno. E' la tua carne che voglio
tra le mani che sorgono... dalla terra
donde abbiamo tratto luce. Che importa
che per ora sei lontana, quando forse
un giorno sarai qui fra le mie labbra
corrose perenni dal terribile desiderio.
Che importa la distanza del mare! quando
i nostri corpi sanno varcare le tenebre
e trarre calore dalla luna! Che importa
se taglienti odo le parole che gli ardori
sommergono! Che importa se urla saranno
i piaceri della pelle quando tu... certo
verrai su questa polvere! ...i cui sogni
indolenti calpesto in attesa di te. Che
importa se altra donna possiedo se sei
tu che mi manchi? Temi possa col vento
morire il respiro che trattengo di te
sulle labbra? La bocca apro, nel sole,
e s'imprime nel mio volto lo stesso
calore che coglie te sola per le strade
furiose d'Istambul. Il cielo e' nostro.
Azzurro. Profumo. Zampilli nel mio cuore.
Tu affiori tra le ancore dei miei anni
colmi di vivi sogni. Perche' temi la mia
assenza quando il mio coraggio ti spinge
feroce oltre il dardano bosforo della tua
anima di levriero? Sento il respiro e la
rabbia nelle tue braccia irose come dio
che... s'alzano verso pietre d'Occidente.
Perche' non accetti che da un monte possano
scorrere altri fiumi? dal mio mare altri
nembi che irrorino amore sul tuo mondo?
Perche' non senti, nei miei palpiti di parole,
incantevoli architetture di desideri
umani? Un pittore non possiede un solo
pennello per imprimere le sue voglie
fatte di colore? e neppure una sola tela
per stendervi il seme della propria
anima. Tu sei donna. Io sono uomo. Tu
sei amore. Ed io passione. Un insieme eterno!

***

GIARDINO IN GARDENIA

Respiro con i tuoi fianchi morbidi faville
immerse ne l'azzurro dei tuoi pensieri pregni
…t'avvampo arguto il seno dai torbidi lapilli
zirconico e' il rossore al cui amor m'impegni.

Le stelle furon lacrime ma or sono bambine
che vincono il pudore qual vergini furenti,
di lor sento gli spasimi, di te la scultura fine
gli ardosi baci gravidi sublimi e prepotenti.

La scure del mio volto sferza il confin del monte
ne afferra le comete, ne scheggia gli ornamenti
con me supina copuli e al divin goder fai ponte
cercando i lampi muti… senza cedimenti.

Piu' dell'oro, o il pane, la tua vagin m'e' dolce
un tempio santo armonico non certo del peccato
e' un pellegrin lo sperma nettar che ti addolce
vulcanico pel viaggio sul pube piu' incantato.

Dall'inferno al paradiso con volitivi muscoli
son sceso'n te femmina d'ardimentosi pascoli
e mi denudi il corno co suoi scherzosi tiscoli
fervida tu lo prendi: potente dentro mescoli.

Il dominator che brami qui e' con la sua natura
tu l'ami? E puo' morire! Lo stringi a lungo ore
tra i mai vinti orgasmi che vibran di paura
per gli attimi di morte che or son solo amore!


GIOCO

A volte rischio la vita e perdo...
l'indifferenza per il banale,
per l'inutile, per il superfluo,
per cio' che e' vano, per cio' che beffo,
rimanendo come viperino
bacio attaccato al cuore
labbra e dolcezza
pensieri e impossibili
sguardi che per lo specchio
non sanno invecchiare.
Rimango attaccato
al sentiero, agli uccelli
che lo tormentano coi loro
becchi asceti, alle lucertole
che guazzano nel calore
di una voluttuosa ardita
stagione. Alle sanguigne scene.
Si. A volte gioco, infilo
i miei denti nella macchina
dell'amore tramutandomi in lampo.



 
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