Il papa nel piatto
di Maria Pia Di Marco

Nel volume (inedito, in attesa di un editore)  è narrata la  storia di un piatto. Anzi, del motivo che vi è dipinto sopra (Nettuno che sorge dal mare e calma i venti): un tempo fu, verosimilmente, il manifesto politico di  papa  Giulio II, eseguito nientemeno che da  Raffaello.  L'aulico tema del Nettuno virgiliano, illustrato dal Maestro per un celebre pontefice in un momento storico particolare, perde a mano a mano di significato e diventa un genere di repertorio  designato col titolo convenzionale "Quos ego..."  nelle botteghe dei maestri maiolicari.
Il famoso verso 135 del I libro dell'Eneide comincia infatti con le due parole: Quos ego, pronunziate da Nettuno contro i venti scatenati da Eolo sul Mar di Sicilia. Letteralmente, Quos ego è quasi intraducibile ("Voi che io..."): fra soggetto e oggetto manca il predicato; e ci sarebbe da chiedersi se il Poeta non lo mise perché non fece in tempo a correggere il suo lavoro (si dice che prima di spirare raccomandasse agli amici di distruggere il manoscritto), oppure perché trovò che lasciata com'era l'espressione riusciva più efficace. L'esametro completo induce a preferire quest'ultima ipotesi: mentre il dio rinuncia ad apostrofare i venti ribelli e controlla la sua ira, Virgilio ci fa capire che nella tempesta, come in politica, è più urgente ristabilire l'ordine che castigare. Proprio come pensava il suo committente, Augusto, che s'identificava senz'altro con il Nettuno.
Nello scritto di cui qui si parla il tema letterario del Quos ego...  viene orchestrato a più livelli,  e a ogni livello esso rivela qualcosa di sé. E' un topos figurativo di successo nelle maioliche istoriate rinascimentali: ed è in questo ambito che, accanto a celebri pezzi conservati nei musei d'Europa, se ne aggiunge uno bellissimo, inedito, un piatto appartenente da generazioni a una famiglia di Novara. L'indagine  ne ricostruisce il pedigree ed evidenzia la  straordinaria qualità dell'oggetto.
Il mondo delle ceramiche istoriate rimanda  a quello dell'editoria (è dai  libri illustrati, dalle singole stampe che i maiolicari traevano i soggetti per le loro composizioni).  Ed ecco riapparire il nostro Quos ego... non più illustrato su piatti e brocche, a ornare credenze di famiglie agiate, sotto forma di una splendida incisione di Marcantonio Raimondi, un collaboratore di Raffaello. L'incisione, a sua volta, deriva da un disegno perduto dell'Urbinate, che l'artista potrebbe avere eseguito per Giulio II.
Che cosa poteva importare a papa Della Rovere una illustrazione del I libro dell'Eneide, con l'episodio della tempesta  vistosamente collocato in primo piano?
Si dà il caso che Giulio II, in un certo momento del suo pontificato, si trovasse a combattere una guerra contro i Francesi, che fu per lui più gravida di minacce, se è possibile, della tempesta che colse Enea nel Mar di Sicilia. A scatenarla furono quattro cardinali ribelli inviati da Luigi XII di Francia in quel di Pisa, col compito di aprire un concilio scismatico e deporre il papa dal soglio di Pietro. I Quattro - alla fine rimasti in tre, come i venti di burrasca che Raffaello e Marcantonio non mancarono di raffigurare nel Quos ego... - furono respinti dalle truppe ispano-pontificie, miracolosamente, per così dire, come la perturbazione atmosferica dal dio Nettuno.
Mentre portava avanti la guerra contro Luigi XII, con alterne vicende e con l'obiettivo di punire il re e i suoi emissari, Giulio II decise di non lasciare solo alle armi la sua propria difesa. Indisse un Concilio legittimo, opposto a quello di Pisa, per ristabilire una pace che nel suo pensiero era subordinazione delle parti a un Tutto. Verosimilmente, si preoccupò anche di propagandare questo suo ruolo di pacificatore-ordinatore, ma in un modo spettacolare, all'altezza del suo noto senso di onnipotenza: diciamo come il Nettuno virgiliano che calma i venti, metafora della pax augustea.  A Giulio II  piaceva molto l'Eneide: la leggeva  alle truppe affaticate durante le campagne militari che guidava personalmente. Quanto alla Pax augustea, era il suo ideale politico  ed egli non mancò di farne dipingere un altro geroglifico diverso da questo del Quos ego (Augusto abbinato al mito di Nettuno e Anfitrite)  sul soffitto della Stanza della Segnatura. A Raffaello piaceva molto l'Eneide illustrata di proprietà di Pietro Bembo (il Virgilio Vaticano 3225): ne trasse un disegno che venne utilizzato nell'incisione (fra le scenette di contorno al Nettuno). A Raimondi piaceva  tutto quello che Raffaello gli dava da incidere. In questo quadro è lecito immaginare che il papa, l'artista e il suo collaboratore concertassero una stampa celebrativa (l'equivalente dei conii papali, in cui Giuliano della Rovere appariva immancabilmente come pacificatore e promotore di giustizia).O forse il team Raffaello-Raimondi stava preparando - in occasione della vittoria papale - il frontespizio per una edizione a stampa dell'Eneide: omaggio particolarmente appropriato al vincitore. O ancora: il Quos ego era destinato proprio al soffitto della Segnatura, al posto di Nettuno e Anfitrite, e poi fu tradotto da Raimondi in una  stampa.
Tornando al papa, a pochi mesi dalla sua vittoria, morì. Durante il carnevale, la città lo aveva festeggiato come imperatore, quale voleva essere (si era scelto, infatti, un nome che richiamava alla memoria  più la gens Iulia che il riformatore Giulio I). Nell'orazione funebre, il bibliotecario pontificio, Tommaso Inghirami, lo paragonò al Nettuno virgiliano,  e tuttavia la metafora gli sembrava riduttiva (sono parole sue): non  bastava a celebrare la  capacità del pontefice di  ristabilire l'ordine con tanta celerità.
Noi sospettiamo che  Giulio II, al contrario, non  l'avesse considerata riduttiva.



 
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